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Una questione di lupi: della Trilogia Una Questione Di Lupi, #1
Una questione di lupi: della Trilogia Una Questione Di Lupi, #1
Una questione di lupi: della Trilogia Una Questione Di Lupi, #1
E-book225 pagine3 ore

Una questione di lupi: della Trilogia Una Questione Di Lupi, #1

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Info su questo ebook

Quando la madre di Missy trasloca con lei e suo fratello nella loro casa avita sulle montagne di New York, Missy scopre che quelle colline sono piene di lupi mannari. E non si trovano solo tra le colline, ma anche nella loro famiglia. Scelta per diventare la compagna di un suo vicino, lupo mannaro sexy ma estremamente possessivo, cerca l’aiuto del suo amante Kenton, che non è un lupo mannaro. Lui riuscirà a proteggerla? Lei cosa farà quando scoprirà che lui non è un lupo mannaro, ma non è nemmeno umano? Ricco di azione, mistero, e di creature fantastiche, Una questione di lupi vi terrà sicuramente incollati fino all’ultima pagina!

LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2020
ISBN9781071579572
Una questione di lupi: della Trilogia Una Questione Di Lupi, #1

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    Anteprima del libro

    Una questione di lupi - Eileen Sheehan

    Indice

    1

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    Epilogo

    Sull’autore

    Altri libri di Eileen Sheehan

    1

    Si stava avvicinando il mio sedicesimo compleanno quando mio padre, Walter Cramby, lasciò mia madre, Maryanne Cramby, e le nostre vite cambiarono per sempre. Mio fratello, Josh, stava per compiere quattordici anni.

    Come se le preoccupazioni di madre non fossero abbastanza, fu abbandonata non molto tempo dopo aver perso il suo lavoro come maestra di quinta elementare alla periferia di Detroit. Tagli, dissero.

    Per fortuna, mia madre possedeva una recente, sostanziosa eredità di sua nonna che era riuscita a sopravvivere a suo marito. I miei nonni erano rimasti uccisi in un incidente stradale quando mia madre era adolescente. La mia bisnonna l’aveva cresciuta. Era una arzilla donna anziana che pensavamo non sarebbe mai morta. Anzi, ci domandavamo se non avrebbe vissuto più di tutti noi. Per via di quell’eredità, non avemmo mai avuto problemi di soldi mentre cercavamo lavoro.

    Purtroppo, alla mamma ci volle un po’ di tempo per rimettersi in sesto e anche per cercare un lavoro. Passò mesi seduta a compatirsi con una bottiglia di Jim beam come amica. Avevo diciassette anni quando mia madre sollevò la testa dalla bottiglia e sembrò che le cose stessero per tornare alla normalità.

    Non sono sicura se il motivo fosse la voglia di cambiare aria oppure il fatto di aver consumato gran parte dell’eredità con cui vivevamo, ma decise di trasferirci dalla piccola città alla parte settentrionale dello stato di New York dove si trovava la piccola fattoria che ci avevano lasciato i miei nonni.

    Riuscì a trovare un lavoro in una cittadina vicina, come insegnante di Inglese e Recitazione alle medie. Dal momento che la nostra casa era fra le colline appena fuori da questa città ridicolmente minuscola, il tragitto per arrivarci o per raggiungere una città perfino più piccola era piuttosto breve in termini di tempo e chilometri. Me la ricordo che sorrideva mentre mi dava queste informazioni e dichiarava che in questo modo avremmo usufruito del meglio delle due realtà.

    Feci del mio meglio per collaborare con lei e non lamentarmi troppo del trasloco, ma era difficile lasciare i miei amici di vecchia data. Ancora oggi, mi chiedo se mia madre abbia mai preso in considerazione l’impatto che aveva avuto su me e Josh l’abbandono da parte di papà.

    Non credo che lo abbia mai fatto.

    Dato che lavorava lì, a Josh sarebbe stato permesso di frequentare la scuola nel piccolo paese piuttosto che nella piccola cittadina. L’entusiasmo scioccante di mia madre al riguardo le impedì di vedere la reazione che avemmo io e Josh. Non eravamo bambini di città, ma nemmeno di paese. Anzi, il paese vicino che chiamavano città di montagna non era poi tanto più grande della zona di periferia da cui provenivamo.

    Io mi ero già diplomata ma a Josh mancavano ancora tre anni. Non riusciva a credere di doverli passare in una scuola con un totale di mille e duecentocinquanta studenti dalla seconda media al quinto superiore, dopo aver frequentato una scuola che aveva circa settemila studenti dal primo al quinto superiore.

    Non biasimavo la sua infelicità.

    Josh prese il nostro trasloco in campagna meglio di me, il che mi sorprese visto che era sempre stato quello ribelle e che si lamentava, da quando era nato.

    Dato che avevo solo diciassette anni quando mi diplomai, promisi a mia madre di rimanere a casa con lei per un anno prima di andare all’università; nel caso avessi deciso di andarci. Ne avevo piene le scatole della scuola e stavo ancora pensandoci su. A causa di quella promessa, non avevo scelta se non quella di andare con loro. A dire la verità, comunque non mi sentivo ancora pronta per vivere da sola. Avrei solo voluto che avesse aspettato ancora un anno prima di trasferirsi.

    Ci trasferimmo nella vecchia villa della nonna appena un giorno prima dell’inizio delle vacanze estive. Inciampammo sugli scatoloni che stavamo riempiendo per un paio di mesi mentre la mamma decideva cosa portare con noi, cosa vendere, e cosa dare in beneficenza.

    Finimmo per vivere con i vestiti in valigia per le ultime due settimane di scuola e dormimmo su materassi gonfiabili dato che tutti i nostri mobili erano partiti, diretti a est, prima di noi. Mamma voleva che fosse tutto lì ad aspettarci quando saremmo arrivati. C’era, ma era ancora negli scatoloni. E per aprirli ci volle un’altra settimana. Fui sorpresa di vedere quante cose non avevamo portato nella vecchia fattoria fino a che non ne vidi l’interno e mi resi conto che era già completamente arredato con i mobili appartenuti a mia nonna. Ovviamente mia madre fece un’altra cernita, mise via delle cose, ne vendette altre, e altre le regalò, operazioni che durarono per la maggior parte dell’estate finché alla fine la casa fu adatta alle nostre esigenze- o forse dovrei dire che alla fine noi ci adattammo alla casa?

    Odiavo il fatto che ce ne eravamo andati dalla vita frenetica e dalla comodità di vivere in città per trasferirci in un paese, ma mi piaceva la casa e il terreno. Era enorme e aveva un’aria di magnificenza.

    Mi ero aspettata una vecchia fattoria; mia madre la chiamava così. Invece, mi trovai davanti agli occhi un’enorme villa a due piani in mattoni bianchi, circondata da fabbricati annessi in mattoni rosso acceso e una stalla rossa e bianca con pascoli recintati da una staccionata di legno posizionata strategicamente intorno a cinquanta ettari di terreno circondato dalla foresta di proprietà demaniale. Anche se la proprietà era stata trascurata durante il periodo in cui era rimasta disabitata, aveva un aspetto maestoso.

    La mia camera da letto in realtà era una suite in cui c’erano un salotto e un bagno privato. Grandi porte finestre si aprivano sul mio balcone privato. Il balcone era piccolo, ma era tutto mio dal momento che vi si accedeva solo da quelle porte finestre. Era completamente diversa dalla camera da letto di tre metri per quattro in cui dormivo, nell’appartamento di tre stanze e un bagno nella villetta mono piano che copriva una superficie di quarantacinque per trenta metri quadrati, che ci eravamo lasciati alle spalle.

    C’era anche una piscina, che però era stata molto trascurata. La mamma non credeva che sarebbe stata in grado di rimetterla in sesto per quell’estate, ma promise che lo avrebbe fatto per l’anno successivo. Dal momento che sulle montagne di New York faceva più freddo che nella periferia di Chicago, per me non era un problema. Non amavo molto il freddo e il bagnato. Una volta che ebbi sballato le mie cose e fatto quello che potevo per aiutare la mamma, mi ritrovai a cercare qualcosa da fare per occupare il tempo. Era stato deciso che ci saremmo rilassati e ambientati per tutta l’estate. La mamma aveva insistito sul fatto che non avessi bisogno di cercare un lavoro per quell’anno e fummo d’accordo che mi sarei presa l’anno libero. Avevamo soldi a sufficienza e lei ne avrebbe aggiunti col suo lavoro. Mostrò il suo apprezzamento per come avevo affrontato la sfida e mi ero occupata delle cose mentre lei si ubriacava e insistette che usassi l’anno per riposarmi e godermi un po’ la vita prima di preoccuparmi di cosa avrei fatto successivamente.

    La compagnia della televisione via cavo non raggiungeva le zone così interne del paese e non avevamo ancora installato la tv satellitare. Questo significava che l’unica televisione che potevamo guardare era quella che riuscivamo a vedere tramite l’antenna e non c’era assolutamente nessuna connessione internet per i nostri computer. La mamma acquistò un hotspot per poter connettere i cellulari, ma controllava i minuti come un falco osservava la sua preda. La sua unica risposta alle nostre lamentele fu quella di dirci che stare senza per un po’ ci avrebbe fatto bene. Vivevamo in un bellissimo posto di campagna e avremmo dovuto goderci la natura invece di stare su Snapchat o Instagram.

    Eravamo lì da due settimane quando ci consegnarono tre cavalli. Per la prima volta da quando avevo saputo del trasferimento, ero sinceramente felice. Avevo preso lezioni di equitazione una volta a settimana da quando avevo dieci anni ed erano una delle cose che mi mancava di più. Ovviamente, prendere lezione una volta a settimana e avere il cavallo nella tua proprietà da accudire quotidianamente erano due esperienze completamente diverse, ma non ero spaventata da quella responsabilità. Anzi, ne ero entusiasta.

    Mi presi un paio di giorni per far ambientare i cavalli. Venne fuori che erano di proprietà della tenuta, ma erano stati portati in una pensione nel periodo in cui la tenuta era stat disabitata. Praticamente erano tornati a casa. Quindi, lo sforzo che fecero per ambientarsi di nuovo fu davvero minimo. Dal terzo giorno andai ad esplorare le colline a cavallo.

    Mi sentivo libera e felice.

    2

    Venne fuori che la foresta che circondava il nostro terreno era una riserva naturale. Quindi, cacciare non era permesso; il che mi faceva sentire estremamente sicura a cavallo. Tuttavia era permesso pescare nel largo fiume che si trovava all’estremità sud dei 90 ettari.

    Scoprii sentieri da trekking dove io e il mio cavallo potevamo transitare per esplorare. C’erano anche delle indicazioni occasionali che indicavano in quale parte della riserva ci trovavamo. Per via di queste indicazioni, che non mi facevano più temere di perdermi, mi avventurai dalla parte opposta della foresta.

    C’era una grande fattoria in un’alta valle al confine nordovest del terreno demaniale. Sembrava essere in buono stato, ma, ogni volta che vi passavo davanti, non vedevo segni di vita. Ovviamente non entrai nella proprietà. Rimanevo al confine delimitato da una fila di alberi e la osservavo.

    La villa era una classica fattoria a due piani. Non sono un’esperta di architettura, ma avevo assistito a un numero sufficiente di lezioni a scuola per dedurre che quella villa era stata probabilmente costruita all’inizio del secolo. Era come mi aspettavo che sarebbe stata la nostra villa.

    C’erano diversi edifici annessi segnati dalle intemperie e un fienile segnato dalle intemperie che un tempo sembrava aver ospitato delle mucche. Sebbene non fosse in ottime condizioni come la nostra casa, sembrava ancora ben tenuto. Solamente disabitato.

    Essendo nel pieno dell’estate, le giornate si allungavano sempre di più. Questo voleva dire che ero in giro a cavallo sempre più a lungo. Solo quando le pareti dello stomaco si strinsero con una tale forza da costringermi a fermarmi guardai l’ora e mi resi conto di essere stata fuori tutto il giorno. Avevo saltato il pranzo e la cena. Ero sul confine delimitato dalla fila di alberi e guardavo la fattoria vuota quando ebbi la presenza di spirito di controllare la posizione del sole. Se non fossi stata attenta, sarei rimasta bloccata nella foresta dopo il tramonto del sole.

    Il nome del mio castrone era Roger. Non era un nome che io avrei scelto, ma era il nome che aveva e a cui rispondeva, perciò non lo cambiai. Roger aveva il manto nero con una stella bianca sulla fronte. Era alto un metro e sessanta e aveva fianchi possenti e ben definiti. Se fosse stato un essere umano, sarebbe stato facilmente scambiato per un body builder.

    Cavalcavo Roger il più possibile ma, dato che Josh non era appassionato di cavalli e la mamma era troppo impegnata a farci acclimatare e a prepararsi per il suo nuovo lavoro, il mio compito era anche quello di far esercitare gli altri due cavalli. Daisy era un cavallo grigio maculato alto un metro e cinquanta, dal carattere docile, e Peter era un castrone marrone dall’andatura tranquilla, della stessa stazza e altezza di Daisy.

    Solo Roger si distingueva; non solo per la sua stazza e per il colore, ma per il suo atteggiamento cazzuto. Quasi tutti erano in grado di cavalcare Daisy o Peter. Solo le persone coraggiose ed esperte osavano salire sulla groppa di Roger. Dal momento che il ritmo della vita era rallentato ed era piuttosto noioso, quel pizzico di sfida che Roger offriva lo rendeva, ai miei occhi, estremamente attraente.

    Dal momento che stavo morendo di fame e avevo perso la cognizione del tempo, decisi di prendere una strada più diretta per tornare a casa. Questo voleva dire che non avremmo seguito i sentieri. Era una cosa che non avevamo mai fatto prima. Non ero sicura di come fosse il terreno o se ci fossero dei segnali fuori dai sentieri, ma sapevo che avrei dimezzato il tragitto verso casa.

    Non sapevo cosa aspettarmi se avessi tagliato attraverso la foresta, e Roger non era il cavallo ideale per quella situazione, ma non c’era niente che potessi fare. Preferivo cavalcare un cavallo capriccioso su un terreno sconosciuto piuttosto che rimanere bloccata con lui e cavalcare attraverso la foresta di notte. Sentiero o non sentiero, quello sarebbe stato un disastro annunciato.

    Ci stavamo facendo strada attraverso il labirinto di alberi da circa dieci minuti quando, alla nostra sinistra, vidi qualcosa di scuro muoversi in sincronia con noi. Quasi contemporaneamente, Roger fece una piroetta e lanciò la testa all’indietro, come a volersi liberare dal morso. Ringraziai il cielo di stare cavalcando western e non all’inglese, afferrai il pomello della sella per non perdere l’equilibrio e abbassai lo sguardo sul terreno, dove si trovavano foglie morte e umidicce e rami caduti.

    Mi ci volle concentrazione e determinazione per far raggiungere a Roger uno stato mentale più tranquillo e solido. Quando mi sentii sicura di averlo finalmente sotto controllo, mi guardai intorno per scoprire cosa ci stesse seguendo, ma se ne era andato.

    Mi sentivo nervosa e vulnerabile. Volevo andarmene da lì nel caso che tornasse o che comparisse qualcosa di nuovo, quindi spronai Roger ad andare avanti a un passo più veloce di quello a cui stavamo procedendo.

    Il sole tramontò sulla cresta della montagna circa cinque minuti prima che arrivassimo a casa. Mi assicurai che Roger venisse spazzolato e che i finimenti venissero riposti correttamente prima di dirigermi verso casa e soddisfare i bisogni del mio corpo.

    Trovai mia madre che andava su e giù sul patio circondato da siepi. Aveva chiamato i Masterson, una coppia di neosposi che abitava a circa un miglio lungo la strada in un piccolo cottage, per chiedergli se mi avessero visto. Sentendo quanto fosse preoccupata, decisero di tenerle compagnia mentre aspettava che tornassi a casa. Non ricordavo quando era stata l’ultima volta che avevo sentito la voce di mia madre così carica di paura. Mary Jane Cramby…sei sparita per tutto il giorno! A cavallo di Roger, per di più. È troppo imprevedibile per essere cavalcato così a lungo. Mi stavo preparando a sellare un cavallo e venire a cercarti. Dov’è il tuo cellulare?

    Dal momento che le chiamate e i messaggi dei miei cosiddetti vecchi amici erano diminuiti fino al punto da essere quasi inesistenti e il nostro piano tariffario aveva il wi-fi a tempo, cosa che rendeva difficile contattarci tramite social media, avevo smesso di preoccuparmi del cellulare e il più delle volte lo lasciavo sul comodino.

    Glielo spiegai nel modo più gentile possibile, considerando che mi sentivo come se mi fosse stata tesa un’imboscata da quando avevo messo un piede sul pavimento in pietra del patio. E poi c’era anche il fatto che aveva usato il mio nome completo.

    Sapeva meglio di chiunque altro quanto odiassi il mio nome. Mi presentavo agli altri come Missy; il soprannome che mi aveva dato Josh quando aveva solo tre anni. Era un nomignolo stupido, ma era meglio di Mary Jane, decisamente.

    Man mano gli animi si spensero e ci rasserenammo. Mi fu permesso di andare in cucina e mangiare il pollo arrosto con il purè che aveva tenuto in caldo per me. Era il pasto perfetto per terminare la giornata che avevo avuto. Era sostanzioso e soddisfaceva il mio appetito e mi confortava, calmandomi i nervi dopo lo stressante tragitto di ritorno verso casa e

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