L’abitudine di ricominciare
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Anteprima del libro
L’abitudine di ricominciare - Gloria Pocchiesa Marian
Gloria Pocchiesa Marian
L’abitudine
di ricominciare
© 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-3595-5
I edizione marzo 2023
Finito di stampare nel mese di marzo 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
L’abitudine di ricominciare
1.
Sono nata in un paese di montagna, un piccolo spigolo del mondo, all’ombra degli alberi che in inverno si tingono di bianco insieme ai tetti spioventi delle case, posto magico e incantato, dove ognuno conosce i propri compaesani e visto da fuori, tutto questo potrebbe anche sembrare idilliaco ma, almeno per me, non è sempre stato così.
Di quei problemi nascosti all’ombra degli alberi e dei tetti spioventi io non fui subito consapevole, non per i primi anni della mia infanzia, che ricordo con tenerezza: partecipavo con gioia alle feste di Carnevale, e alle serate in costume d’estate al paese, ed ero felicissima quando mamma e papà riuscivano a portarci al mare per un fine settimana, quelli erano gli unici momenti in cui la mia famiglia era riunita, perché per il lavoro di mamma e i problemi di papà non riuscivamo spesso a stare insieme, neanche per Natale. Sull’altro piatto della bilancia, a compensare la gioia di quei ricordi, ci sono immagini più tristi che si sono scolpite nella mia memoria, alcune di queste appartengono proprio alle sere di Natale che papà non c’era, quando aspettavo che tornasse ma non succedeva.
Durante la mia infanzia giocavo in compagnia degli altri bambini e di mio fratello, due anni più piccolo di me, nella via davanti a casa, ma non mi dispiaceva affatto giocare anche da sola, quando capitava, facevo la mia bancarella di ortofrutta con l’erba raccolta dal giardino ed ero contenta così, non mi rammaricavo per ciò che non avevo. Perché in famiglia non avevamo molto, ricordo che mamma lavorava sempre, di giorno in fabbrica, la notte lavorava a maglia per un’altra ditta, ha sempre cercato di portare qualcosa a casa nonostante le difficoltà, perciò spesso io e mio fratello rimanevamo da soli, e a volte ne approfittavamo per non andare a scuola. Per me non era un problema stare per conto mio, non facevo caso ai pomeriggi passati senza la supervisione dei genitori: giocare fuori era normale per tutti i bambini ai tempi, la casa non la vedevo come un rifugio accogliente: due stanze fredde e per me vuote, seppur da dividere in quattro. Stare sola all’aria aperta o a cercare in soffitta un po’ di calore erano le cose che preferivo, così a me non sembrava mancare niente e comunque non conoscevo altre alternative, se non quando la mia migliore amica dirimpettaia mi invitava a casa sua dove i giochi e le bambole non mancavano; nonostante io avessi poco o niente non la invidiavo, tanto meno il suo piatto sempre pronto a tavola sia a pranzo che a cena, mi accontentavo sempre: mi bastava quello che avevo.
Mamma lavorava sempre, ma non era affatto assente dalle nostre vite: faceva il possibile per non farci mancare niente, ricordo bene che la mattina ci preparava la colazione a tavola, una coccola per affrontare quelle giornate solitarie, era anche un’artista, e non dimenticherò mai il giorno in cui tornai a casa e trovai le pareti dipinte con i personaggi Disney… per noi era una favola.
Fu solo intorno ai dieci anni che iniziai a capire qual era il problema di papà, quell’incognita che ancora nessuno mi aveva mai spiegato, che lo teneva fuori casa fino alla sera tardi e lo rendeva silenzioso e distante in quei momenti che condivideva con noi: era l’alcol. La dipendenza era ciò che lo allontanava da noi, anche quando andavamo insieme alle feste del paese o quando mi portava a pattinare sul ghiaccio, il bicchiere era sempre presente e dopo poco lo rendeva assente, assoggettato al desiderio di sopperire a quel falso bisogno creato dall’assuefazione. L’alcolismo non lo rendeva né aggressivo né triste, ma prosciugava l’intensità delle sue emozioni e delle sue reazioni, ricordo che quando mamma si arrabbiava con lui e provava a discuterci, lui non alzava la voce, si sedeva sul divano e assumeva l’aspetto di un pulcino bagnato, la ascoltava, anche se non so dire se le parole di mamma avessero qualche effetto