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Il silenzio - Youtube
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E-book183 pagine2 ore

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Info su questo ebook

La vita di un padre viene sconvolta e stravolta dalla lettura del diario di sua figlia. In questo modo apprende i tragici eventi vissuti dal lei e dalla sua compagnia di "bravi ragazzi" durante l'ultimo anno. Grazie a questa sconvolgente scoperta rinascerà fra loro un rapporto "vero".
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2020
ISBN9791220308335
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    Anteprima del libro

    Il silenzio - Youtube - Pietro Alfredo Moros

    info@youcanprint.it

    I

    La rabbia

    La rabbia è venuta a stare con me l’altra mattina e non me l’aspettavo. Una rabbia da non credere, perché ho capito che non posso fare un cazzo di niente per cambiare la situazione.

    Pioveva e io ero quasi pronta per uscire, mi stavo mettendo l’eyeliner.

    Mia madre ha criticato non so quale comportamento di papà e alla fine, come al solito, se l’è presa anche con me. Con un tono di voce assurdo mi ha detto che sto sempre a truccarmi, che invece lo stesso impegno dovrei mettercelo a scuola e che non me ne importa mai niente di niente.

    «Sei uguale a tuo padre, una menefreghista!», così mi ha detto. Ovviamente quando papà si arrabbia dice che sono uguale a lei. Insomma, è come se da loro avessi preso solo le cose negative.

    È stato un attimo, poi sono scoppiata: «Vaffanculo ma’, vaffanculo te, papà, e la scuola!».

    E sono uscita per spaccare il mondo.

    Avevo certi nervi che lasciamo perdere, e piangevo. Mentre sbattevo la porta, un tuono ha amplificato il rumore, facendolo rimbombare nella mia testa. È stato come lasciarmi alle spalle la solita Ambra, la brava ragazza che non se la prende mai, che non risponde mai male… e che ha una vita di merda.

    Quella appena uscita era un’altra persona.

    Per strada ho incontrato la solita gente. Qualcuno mi ha salutato, ma io non ho risposto e mi sono messa a correre forte. Li avrei presi a calci tutti, quei dementi con i loro sorrisi del cazzo.

    La rabbia che provavo quel giorno era strana, una sensazione mai provata, che mi ha come fatto sentire pronta ad affrontare chiunque, e quasi ho sperato che non mi lasciasse più.

    Finalmente stavo bene.

    L’anno scorso avevo una paura allucinante, tutti a dirmi: «Sarà diverso dalle medie, un casino bestiale! Devi farti prendere in simpatia dai prof, così potrai campare di rendita…».

    Avevano ragione, diciamo. Però, se la rabbia fosse arrivata prima, gli avrei riso in faccia ai prof.

    Correvo forte e le gambe sembravano sollevarsi da terra per conto loro. Ho smesso di piangere: non ne valeva la pena.

    Quando ero piccola, stare con i miei genitori era divertente, soprattutto con papà. Con lui giocavo, ridevo, parlavo e parlavo e lui mi ascoltava sempre.

    Poi, non ricordo nemmeno quando, è cambiato tutto. Sono cominciate le cattiverie: mia madre era sempre nervosa, papà era sempre in silenzio.

    La rabbia mi ha accompagnato fino a scuola. Era presto, quindi avevo tempo per la colazione mentre aspettavo i miei amici. Speravo che arrivasse qualcuno il prima possibile per farmi compagnia, perché non volevo rimanere sola a pensare: mi avrebbe forse portata a giustificare mia madre, e io non volevo giustificare proprio nessuno.

    Però intanto pensavo. E più pensavo, più capivo che non avevo la possibilità di migliorare niente.

    Quando è arrivata Alice, ho tirato un sospiro di sollievo. Alice (in realtà io la chiamo Aly) è mia cugina, e anche lei è quasi sempre incazzata nera con i suoi.

    Quel giorno aveva una faccia tutta seria: le ho chiesto come andava a casa, e lei mi ha risposto che, certi giorni, butterebbe sua madre giù dalla finestra. Per un attimo ho immaginato la scena e sono scoppiata a ridere. Aly mi ha guardato come fossi mezza matta, perché normalmente le avrei detto cose tipo: «Non esagerare, stai calma, cerca di capire…».

    La mia era una risata nervosa, però. Anche a me era venuta l’idea di buttare mia madre giù dalla finestra… ma abito al pianterreno.

    L’ho detto ad Aly e lei finalmente ha sorriso.

    Io e mia cugina siamo simili ma diverse, un po’ come le veline: lei bionda, occhi azzurri e un bel fisico; io con capelli castani, occhi castani e lo stesso bel fisico. Di carattere siamo identiche e abbiamo quasi gli stessi problemi… Lo so, quelli che hanno almeno un milione di giovani, ma a noi due degli altri novecentonovantanovemilanovecentonovantotto non frega un cazzo di niente.

    I giovani… mi fa ridere la parola. Ne parlano i giornali, i settimanali, la TV… è zeppo di programmi, film, dibattiti, articoli sui giovani. Siamo la categoria più monitorata dopo i virus dell’influenza.

    Mentre ero immersa in questi pensieri, sono arrivati anche i nostri amici. Mentre camminavano, ridevano e scherzavano e a me è venuta un po’ di tristezza; non lo so perché. Era come vederli per la prima volta.

    Comunque loro sono amici veri, quelli che se un giorno non li fai ridere perché sei giù, continuano a frequentarti lo stesso.

    C’è Ludovica, detta Spirit, carina anche se pallida in modo allucinante, con capelli nerissimi. Ha più piercing di un negozio di bigiotteria, è la classica ragazza un po’ sfigata, ma ti puoi fidare di lei a occhi chiusi. Dico sfigata perché a scuola è un casino e qualsiasi cosa tenti di fare, viene regolarmente beccata dai prof: è l’unica ad avere un registro di note che assomiglia alla Divina Commedia!

    Poi c’è Stefano, detto Steve. Parla un inglese-abruzzese che a sentirlo, tutti si piegano dalle risate, prof compresi. Lui è lo strafigo del gruppo: assomiglia a Justin Timberlake, ma con il naso ancora più perfetto. È simpatico, intelligente… e anche strano, devo ammettere, con le sue manie di persecuzione: vede nemici dappertutto, non so perché.

    Arianna, chiamata Piggie, all’inizio non mi era molto simpatica, anzi la consideravo una rompipalle: mi sembrava che se la tirasse troppo. È bella, forse un po’ stronza coi ragazzi, ma col tempo ho capito che si comporta così per paura, per timidezza. Certe volte le persone timide passano per tipi con la puzza sotto il naso, invece non è vero.

    L’unico che riesce a tranquillizzarla è Federico, in arte Bomber, un ragazzo simpaticissimo con la testa grossa, i capelli unti per i chili di gel che mette, gli occhi di un bell’azzurro e un modo di vestire che sembra antico persino a mio nonno. Il suo soprannome non c’entra con il calcio: lo chiamiamo Bomber perché ama tuffarsi a bomba. È troppo un grande! Adora ascoltare i R.E.M. e ci martella con una loro canzone in particolare: Everybody Hurts. Gli piace anche un cantautore italiano che prima di incontrare il mio amico, io non conoscevo: Ron. Ma se noi altri i R.E.M. riusciamo a reggerli, Ron proprio no!

    Insomma, Bomber è innamorato di Piggie e dice sempre che senza di lei niente avrebbe senso. Anche Piggie è innamorata, si capisce, ma non è il tipo che lo sbandiera ai quattro venti.

    Bomber è anche il migliore amico di Alessandro, si conoscono da quando erano piccoli e insieme ne hanno combinate di tutti i colori. A loro basta guardarsi per capirsi, le parole non sono mai servite. In effetti, più che amici, sono fratelli.

    Eccolo, finalmente: il ragazzo fantastico che io amo, Alessandro appunto, detto Bruce Springsteen, un mostro con la chitarra e dalla voce roca (fuma una marea di Camel) che mi fa venire i brividi. È dolcissimo, ha i capelli neri, gli occhi neri e profondi, la pelle chiara... secondo me assomiglia a un angelo, e un bellissimo angelo ce l’ha davvero tatuato sulla schiena: non solo le ali, ma una figura completa. Dice che un giorno si farà tatuare anche un diavolo sul petto, per portare addosso l’eterna lotta tra il Bene e il Male.

    Se penso che a me i miei non farebbero tatuare nemmeno una formica… OK, meglio se non ci penso, non mi va di incazzarmi.

    Comunque noi due non stiamo insieme, anche se io lo amo. Io non sono mai stata con nessuno, solo qualche bacio. Ma non con Ale… Cioè, non ancora. Non capisco nemmeno se gli piaccio, e in generale non ho fretta che lui mi baci, anche se certe volte lo vorrei davvero.

    Ma quanto sono deficiente? Non ho ancora detto che mi chiamo Ambra Moros e che ho deciso di scrivere su un quaderno perché non mi piacciono i diari con le date. Le date mi fanno pensare a Storia, ed è una materia in cui vado abbastanza male.

    II

    Il silenzio

    Lascio il quaderno sulle ginocchia e chiudo gli occhi. Ho bisogno di fermarmi un attimo, non so se per la stanchezza o per la tensione. Probabilmente sono entrambe le cose, santo Dio. È stata una giornata pesante e, in conclusione, hanno portato un uomo che è morto dopo dieci minuti.

    Ora sono immerso nel silenzio. Stringo il quaderno tra le mani, ma ancora non ricomincio a leggere.

    Ho frugato tra le sue cose. Sono arrivato a questo: non pensavo che l’avrei mai fatto. La porta chiusa della sua stanza, prima, era come un muro invalicabile.

    Ho avuto qualche secondo di esitazione, un tempo sufficiente per decidere di rinunciare, ma poi ho pensato che non posso andare avanti così: devo sapere quello che è successo, devo capire. Ecco perché sono entrato.

    La stanza è in un disordine da non credere: riviste per terra, articoli ritagliati e incollati su un enorme pezzo di cartone, CD senza copertine, copertine senza CD, il cestino pieno di carta… E, da qualsiasi parte mi giri, vedo le facce degli stessi quattro giovani, questi Tokio Hotel che sembrano spiare le mie mosse.

    Ho cominciato a cercare un diario, consapevole che nella baraonda non sarebbe stato facile trovarlo. Non ero nemmeno sicuro che esistesse in verità, ma le adolescenti di solito ne hanno uno.

    Dopo mezz’ora non avevo ancora trovato niente e ho pensato di arrendermi. Mentre stavo per uscire, però, ho lanciato uno sguardo alla camera e l’occhio mi è caduto sull’unico posto che non avevo considerato, tanto è banale: il letto. Da sotto una t-shirt stropicciata spuntava un quaderno.

    All’inizio ho pensato che fosse un quaderno di scuola, ma dopo averlo preso ho notato che era particolare, diverso dagli altri, più spesso, con la copertina tempestata di adesivi di quei Tokio Hotel e di altri bei ragazzi mai visti.

    Mi sono messo a fissare gli adesivi come un coglione, e mi è sembrato di tornare bambino, quando entravo nella dispensa di nascosto e rubavo la Nutella, con la paura che qualcuno arrivasse all’improvviso e mi sorprendesse con la bocca sporca; ma ora è diverso, non può arrivare nessuno.

    Ho aperto il quaderno, piano, come se non volessi far rumore, e ho provato a immaginarmi che Ambra ci avesse scritto solo le solite cose normali di una ragazza normale: mi piace quel tipo lì, la mia amica è stata stronza, non vedo l’ora che arrivino le vacanze…

    Appena ho letto le prime righe tuttavia ho capito che era inutile illudersi.

    Dovrei forse vergognarmi del mio gesto, invece penso di aver fatto la scelta giusta. C’è qualcos’altro, piuttosto, di cui mi vergogno: io che aiuto gli altri, mentre non sono riuscito ad aiutare mia figlia.

    III

    Un nuovo amico

    Oggi Ale non aveva per niente voglia di entrare a scuola e ha detto che si poteva andare da un suo amico, un tipo troppo figo. Di solito non mi fido dei tipi troppo fighi… però mi fido di Ale, così ho detto OK.

    Aly non sembrava tanto d’accordo, ma alla fine ha accettato anche lei. Piggie e Bomber avevano da studiare? per l’interrogazione di latino, quindi si sono dissociati; invece Steve pur avendo il compito di inglese ha deciso di venire, tanto già sapeva che avrebbe preso un brutto voto (ama l’inglese, ma l’inglese non ama lui). È stato bravo, ha convinto anche Spirit, che era super indecisa.

    Io bossavo la scuola per la prima volta… mi sono girata verso Piggie e Bomber che stavano entrando e, per un momento, ho pensato che avrei voluto essere con loro. Poi è successo che si sono fermati, hanno guardato noi, hanno guardato l’ingresso della scuola, si sono guardati tra loro… E hanno deciso di venire con noi, i due matti!

    Ale si è messo a ridere e ha cominciato a tirare pugni a Bomber, per gioco. Si è aggiunto pure Steve e hanno formato un groviglio: si davano pugni, schiaffetti e spinte. Che cretini…

    «Am, sei sicura?», mi ha chiesto Aly. Non ero sicura per niente, ma le ho sorriso tipo come se fossi una grande esperta di quelle situazioni, e le ho detto che era tutto sotto controllo.

    Mi sentivo incazzata col mondo, mandare affanculo le regole era quello che ci voleva.

    Insomma ce ne siamo andati, facendo attenzione a non essere visti dai prof o da altra gente che non si fa mai i cazzi suoi.

    Abbiamo preso il bus, abbiamo fatto un pezzo a

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