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Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre
Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre
Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre
E-book202 pagine2 ore

Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre

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Info su questo ebook

Quando a Fingerstone arriva Mister Moth, un tizio che veste di nero e che in testa porta un cappello da cowboy, Eddie si prende un colpo: quell’uomo è l’incarnazione vivente del Cowboy Nero che da troppe notti tormenta il suo sonno? Di certo, Quello è un tipo anomalo: esce di casa solo la sera e si copre sempre il viso con delle grosse lenti scure.

Eddie ha solo tredici anni, tuttavia, non si beve la storiella che Mister Moth sia semplicemente un nuovo vicino. Così chiede all’amico Pete di aiutarlo a scoprire chi sia in realtà il misterioso Cowboy Nero. Lo terranno sott’occhio per una settimana, annotandosi gli orari in cui esce di casa e di quando vi fa rientro, dopodiché, si intrufoleranno di nascosto nella sua abitazione. Ma ciò che troveranno là dentro catapulterà i due ragazzi in un mondo popolato da angeli deformi, demoni sanguinari e decine di altre creature mostruose…
LinguaItaliano
Data di uscita19 feb 2016
ISBN9788867824854
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    Anteprima del libro

    Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre - Davide Piazzese

    Davide Piazzese

    Eddie Stoner

    e il

    Guardiano delle Tenebre

    EDITRICE GDS

    Davide Piazzese Eddie Stoner e il Guardiano delle Tenebre©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione in copertina da Fotolia.com Dark King ©Dusan Kostic

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

    Il presente romanzo è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, luoghi, persone realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.

    A Loris,

    con amore.

    Paura del buio?

    Se hai paura del buio, ho un consiglio da darti: chiudi immediatamente questo libro e riportalo dove lo hai acquistato. È probabile che il libraio lo riprenda indietro senza far storie e ti consenta di sceglierne un altro. In caso contrario, puoi sempre venderlo al mercatino del libro usato; non importa se lo pagheranno meno di quanto lo abbia acquistato tu, l’importante è disfartene. La paura del buio è il primo segnale che in te c’è qualcosa di misterioso, di magico... e di terrificante!

    Incubi

    Devo prepararmi al peggio. È inevitabile. Altrimenti quello che sta accadendo non avrebbe senso. Stanotte, non appena ho sentito battere alla parete che dà sul giardino mi sono rintanato sotto al lenzuolo. Certo, se quel tizio fosse davvero entrato in camera mia, quel pezzo di stoffa non mi avrebbe garantito nessuna protezione, ma cos’altro avrei potuto fare? Per fortuna è rimasto fuori. Ha raschiato ancora per un po’ il vetro della finestra, ha lanciato qualche altro urlo e poi finalmente è andato via. Ma tornerà... lo sento. Presto verrà a prendermi. E allora non avrò scampo. Sarà la fine.

    Non sono catastrofico, dico solo che chiunque abbia almeno un briciolo di cervello, non verrebbe a trovarmi tutte le sere solo per sfogare le proprie smanie di urlatore percussionista. Che si tratti di un ladro l’ho escluso: a Fingerstone nessuno ha mai rubato niente e, comunque, i ladri non fanno tutto quel fracasso per entrare dentro un’abitazione. No, non si tratta di un essere comune, quei rumori sono opera del Cowboy Nero. È un pensiero assurdo, me ne rendo conto ma, guarda caso, tutto ha avuto inizio la prima notte in cui ho sognato quel tizio.

    Nel sogno cammino lungo un sentiero. Una nebbia fittissima pervade ogni cosa. E ho freddo. L’ambiente è semibuio, come fosse tardo pomeriggio o mattino presto. Smossi dal vento, enormi alberi dai rami sfogli sembrano giganti deformi dalle braccia ossute e lunghe. La danza macabra delle loro ombre mi procura brividi violenti in tutto il corpo, e passo dopo passo sento le gambe sempre più molli. Nonostante ciò, continuo ad avanzare. D’un tratto, in lontananza, appare l’ennesima ombra nera. È più piccola delle altre. Presumo si tratti di un arbusto. Gli arbusti però non camminano, quella cosa sì...

    È da una settimana che questo stesso sogno si ripete ogni notte. Ma la situazione sta peggiorando. Adesso sono tre notti che non appena poggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi, dalla nebbia viene subito fuori il Cowboy Nero. Si avvicina e mi gira attorno, mi scruta, annuisce e sorride. Poi sento battere alle pareti e mi sveglio. L’incubo però non finisce.

    Ieri ho parlato di questa cosa col nonno. Sapevo già che non mi avrebbe creduto sulla parola: nonno è del tipo credo in ciò che vedo. Così ho registrato quei rumori notturni con il mio lettore MP3 portatile, per farglieli ascoltare, a mo’ di prova. Come suo solito, all’inizio del racconto, quando ho parlato del Cowboy Nero, nonno l’ha presa a ridere. Si è divertito a prendermi in giro mimando facce orrende. Ma quando dalla tasca dei pantaloni ho tirato fuori l’MP3 e ho fatto partire la registrazione, lui ha aggrottato la fronte e con un gesto fulmineo si è impossessato dell’aggeggio e lo ha spento, poi mi ha urlato di non fargli mai più uno scherzo simile. Il suo viso era rosso di rabbia.

    In tutti questi anni, questa è la prima volta che nonno si arrabbia così tanto con me, eppure gliene ho raccontate di stranezze in passato. E anche parecchie! Lui però aveva sempre riso a quei racconti. Non li aveva mai presi sul serio. Diceva che avevo una gran bella fantasia, che ero tale e quale a mia madre.Altro che fantasia...

    Il mio nome è Edward, ma tutti mi chiamano Eddie. Nonna dice che Edward è un nome troppo pomposo, più adatto per un adulto, e secondo me ha ragione. E poi Eddie Stoner suona meglio di Edward Stoner, no?

    Non ho i genitori. Abito con i nonni sin da quando sono nato. Mamma morì qualche mese dopo avermi dato alla luce. Papà, invece andò via di casa poco dopo la mia nascita. Che iella!

    Viviamo a Fingerstone, una cittadina sperduta tra le montagne con a malapena tremila abitanti. Non esistono collegamenti autostradali diretti che conducono fino qui, solo strade secondarie e perlopiù malridotte. È il genere di posto adatto a chi vuole trascorrere un fine settimana tranquillo, a contatto con la natura. Tuttavia, di rado in paese arriva gente da fuori. La città più vicina dista parecchi chilometri.

    Casa nostra si trova in collina. L’ha costruita nonno da giovane. È una stupenda villa tutta in legno massiccio su due livelli e con un grande giardino. Nei dintorni ci sono decine di altre costruzioni, alcune simili alla nostra, altre più grandi, e altre ancora piccole come chioschi. Dalla finestra della mia camera si gode di una vista fantastica. Amo affacciarmi da lì e godere del panorama. L’aria è fresca e pulita. L’unica pecca della collina, è che da queste parti non ci sono attività commerciali e le strade sono sentieri in terra battuta. Nei giorni di pioggia, come in questo periodo, è un bel casino.

    Il centro del paese si trova più a valle, appena oltre il parco. Lì le strade sono asfaltate e ci sono tutti i generi di negozi, la scuola, gli uffici pubblici, la biblioteca, i bar e perfino un cinema. Insomma, non manca niente. Fingerstone è un posto tranquillo. Forse troppo. Al punto che alcuni potrebbero ritenerlo monotono. Di sicuro, nelle città più grandi ci sono molti più divertimenti, si fanno sempre nuove conoscenze e la notte, la gente se ne va in giro per locali.

    Qui da noi è tutto diverso: la maggior parte delle persone hanno una mentalità antiquata, difficilmente accade qualcosa di nuovo e in giro si vedono sempre le stesse facce. Eppure, non andrei via da Fingerstone per niente al mondo: c’è tanto verde e spazi liberi dove giocare, e ho parecchi amici, tra cui Pete, il miglior compagno che avrei mai potuto desiderare. In nessun posto del mondo troverei una persona come lui. E poi c’è Marika...

    A volte sono triste. Provo una forte sensazione di vuoto. Penso a mia madre e a quanto sia ingiusta la vita. Mi chiedo perché mai Dio abbia voluto portarmela via, perché abbia riservato questa sofferenza proprio a me. Nonna dice che non dovrei fare certi pensieri. Secondo lei, Dio sa sempre quello che fa. Bisogna solo avere fede.

    Da piccolo non accettavo il pensiero di essere orfano. Ero certo che un giorno mio padre sarebbe tornato da me. Nei momenti di maggiore sconforto, era proprio l’idea di poterlo abbracciare che mi dava la forza necessaria a sopportare la sua stessa assenza. Fremevo al pensiero di pronunciare la parola papà, di farmi accompagnare a scuola e presentarlo a tutti i miei amici. Immaginavo come sarebbe stato bello festeggiare il Natale assieme a lui. Ma queste cose sono rimaste solo sogni a occhi aperti. In tutti questi anni, papà non si è mai rifatto vivo. E non credo lo farà. Oramai sono cresciuto. Da tempo ho abbandonato certe speranze. A dirla tutta, ho cancellato quell’uomo dalla mente. Del resto, non vedo perché dovrei continuare a pensarci... A lui non è mai importato niente di me!

    Notte. Mi sveglio di soprassalto. Sono zuppo di sudore e il cuore mi batte all’impazzata. Quando vedo il mio nome stampato sulla trave del soffitto, capisco che ho avuto un altro incubo. Quella scritta sul legno l’ho incisa io, ed è talmente sgorbia che nemmeno il migliore tra i falsari riuscirebbe a riprodurla. Mi trovo in camera mia, sdraiato a letto. Tuttavia, non mi sento per niente tranquillo.

    Negli incubi precedenti, il Cowboy Nero non si era mai avvicinato così tanto a me. Ha addirittura provato ad afferrarmi per un braccio. Sono certo che se avessi fissato per un altro secondo quei suoi occhi demoniaci avrei preso la via del non ritorno. Ma forse è proprio così che si muore: un bel giorno ti appare quel tizio in sogno, ti fissa a quella maniera, ti afferra e ti trascina nel regno delle tenebre. Fine della storia. Io però non sono malato. E non ho il benché minimo dolore. Non ho mai preso nemmeno un’influenza. Niente di niente. Sono una roccia. Grande e grosso, il mio corpo è immune a qualsiasi cosa.

    Adesso il Cowboy ha smesso di grattare e non sento più nessun urlo. Credo sia andato via. Chissà cosa ha in mente... Qual è il suo piano?

    L’abat-jour sul comodino è accesa. Di notte non la spengo mai. È un’abitudine che mi porto dietro da quando avevo sei anni. Il buio mi ha sempre fatto paura. Nonna dice che non c’è niente di cui vergognarsi. Mi ha confessato che quando era bambina, pure lei aveva il terrore di rimanere al buio. Nonno invece mi ha categoricamente vietato di lasciare la luce accesa durante la notte. La ritiene una stupida mania utile solo a consumare energia elettrica e sprecare denaro. Dice che il buio è un evento del tutto naturale, che non c’è niente da temere, che oramai sono grande e devo smetterla con certe scemenze. E ogni sera, prima di mettersi a letto viene in camera mia e si assicura di persona che la luce sia spenta.

     A me non piace prenderlo per i fondelli, ma non riesco a farne a meno. Quando la sera lo sento arrivare spengo subito l’abat-jour e fingo di dormire. Un attimo dopo nonno fa capolino nella mia camera. Dal momento in cui si richiude la porta alle spalle, passano circa tre minuti prima che faccia rientro nella sua stanza e si metta tranquillo a letto. E un minuto dopo sta già russando come un ghiro. Per me si tratta di quattro minuti di buio, in totale. Poi riaccendo l’abat-jour.

    È stata nonna a suggerirmi di fare così.

    Le 7.00 del mattino. Nonostante sia fine maggio, non vedo nessuna traccia del sole. Sono giorni che imperversa il maltempo. Fred ha il muso appiccicato alla finestra, le orecchie tese e la lingua penzoloni. Guarda fuori. Pare ossessionato da qualcosa. Forse ha visto un gatto, un coniglio, o uno scoiattolo. In questa zona le campagne pullulano di animali selvatici.

    Stranamente la porta della mia camera è semiaperta. Nonno ieri sera non deve averla richiusa bene e Fred, ha subito approfittato dell’occasione per entrare. Sin da quand’era solo un cucciolo, nonno lo ha abituato a stare giù in salotto.

    Incuriosito dal modo di fare del cane, mi alzo dal letto e mi avvicino alla finestra.

    «Cosa c’è, bello!» dico accarezzando il golden retriever sulla testa.

    Fred si volta verso di me e mi lecca la mano, poi torna a fissare fuori. Uggiola e striscia una zampa sul vetro. Sono certo che vuole indicarmi qualcosa, perciò apro le imposte per dare un’occhiata: il cielo è sempre ricoperto da nubi grigie, ma ha smesso di piovere. Giù in strada non vedo nessun gatto, né altri animali.

    «Devi fare i bisogni?» gli chiedo, anche se so per certo che non si tratta di quello. Lo conosco alla perfezione. Sono quattro anni che abita con noi. Nonno lo ha portato in casa che era un cucciolo di pochi mesi. Per me è come un fratello. Sono convinto che non c’è differenza tra persone e animali, a parte la forma e... i peli.

    D’un tratto, in fondo al viale vedo arrivare un grosso camion: è di una ditta di traslochi. Solo ora mi accorgo che nella villa dove un tempo abitava la signora Rutemport, tre uomini stanno mettendo a posto il giardino e altri due tinteggiano la ringhiera. Il camion fa manovra e parcheggia nello spiazzale interno di quella proprietà. Fred abbaia due volte, poi ringhia basso. Fissa da quella parte...

    A scuola

    Devo ammetterlo: non amo molto la scuola. In particolare, oggi avrei preferito di gran lunga starmene in giro con Pete, piuttosto che rimanere seduto per ore con la schiena ricurva e un libro sotto al naso.

    Ha ripreso a piovere a dirotto. Neanche il tempo di asciugarsi, le strade si sono nuovamente allagate e nonno ha dovuto accompagnarmi a scuola con il suo pick-up. Mi ha persino scortato fino al portone d’ingresso proteggendomi dalla pioggia con quel suo vecchio ombrello. Che figura!

    Nemmeno Pete è venuto a scuola in bici, l’ho visto scendere dall’auto di suo padre. Adesso siamo entrambi in classe, uno di fianco all’altro, a sorbirci la lezione di storia. Che palle! Ma nel ventunesimo secolo, cosa mai può fregarcene di tutte ‘ste cose? Mah!

    Bulldog, alias professor Boris, sta parlando dell’antica Roma.

    Più che ascoltare la lezione, osservo il professore. Come al solito Boris ha alcuni graffi sulla faccia e zoppica leggermente. Mi chiedo cosa mai combini per ridursi sempre a quella maniera.

    Due ore dopo. Il suono della campanella annuncia la pausa pranzo.

    «Bene ragazzi, la lezione è terminata» dice Bulldog. «Domattina, faremo un compito scritto su quanto ho appena spiegato. Vi consiglio di

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