La ragazza che sapeva leggere nel pensiero
Di Rossella Seu
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E Sofia ce l’ha. Da sempre.
L’omicidio di un suo caro amico la costringe a rifugiarsi in una pensione a Nizza. Dove, in solitudine, consapevole che l’assassino la sta braccando, scrive la sua storia, nella speranza che possa essere d’aiuto al detective che si occupa delle indagini e che, al momento, ha posto in stato di fermo un medico amico della vittima. Sofia conosce molto bene l’indiziato perché con lui condivide un progetto che potrebbe cambiare molte vite.
Un romanzo fresco, veloce, dai ritmi serrati che apre scenari inquietanti.
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Anteprima del libro
La ragazza che sapeva leggere nel pensiero - Rossella Seu
Rossella Seu
La ragazza che sapeva leggere nel pensiero
654 - Mysterious park
Giovane Holden Edizioni
www.giovaneholden.it
Titolo originale: La ragazza che sapeva leggere nel pensiero
© 2017 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu)
I edizione cartacea ottobre 2017
ISBN edizione cartacea: 978-88-3292-086-4
I edizione e-book novembre 2017
ISBN edizione e-book: 978-88-3292-112-0
ISBN: 9788832921120
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http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
A mia mamma Franca e a mio marito Eder,
angeli custodi terreni nel mio cammino.
Devo restare nascosta il più a lungo possibile. Non mi troveranno qui, non penseranno mai che io sia giunta fino a qui. Se anche qualcuno inizialmente mi avesse seguita, sono sicura di essere riuscita a depistarlo. Ho preso un taxi, un treno e un altro taxi per poi mimetizzarmi in mezzo alla folla del carnevale. La città brulica di gente, i fiori piovono dai carri allegorici e i bambini esultanti con i loro genitori sulla promenade mi offrono la copertura necessaria, per confondermi tra di loro con una semplice maschera e un mantello. Mi incanalo per le vie sempre più strette, fino a raggiungere il modesto albergo, dove ho prenotato una camera per la settimana. Ho chiesto di essere registrata con il cognome di mio marito, che di fatto non ho mai avuto. Tolgo maschera e mantello che ripiego su un braccio come fosse un soprabito. Mi guardo intorno e raggiungo in fretta la hall. Un giovane che avrà sì e no vent’anni mi porge la chiave della stanza 102, mi indica l’ascensore e augura alla signora Conti una buona vacanza in un italiano incerto.
Il detective Beccaria non prenderà bene la mia scomparsa, ma non posso agire altrimenti. Posso solo sperare che verificherà il mio alibi e che si convincerà che sono una persona da difendere e non da cacciare.
A essere sinceri non ho raccontato tutta la verità al detective, non avrei potuto, ora come ora non mi fido di nessuno, ma non ho ucciso io Riccardo. Le stesse persone che lo hanno fatto, potrebbero essere sulle mie tracce. Chiudo a chiave la porta dietro di me e mi siedo sul letto, tutta la stanza sembra girare su se stessa.
Non riesco a pensare lucidamente, non riesco più a distinguere tra i pensieri veri che ricordo e le parole proferite. Devo mettere ordine nella mia testa. So che è necessario che io scriva tutto quanto è accaduto a partire dall’inizio, affinché, se mi succedesse qualcosa, qualcun altro potrebbe, tramite i miei scritti, giungere a scoprire l’assassino. Io no, no davvero, non l’ho ucciso io e non so chi l’abbia fatto. Se anche avessi qualche idea, di certo non andrei a chiederglielo per averne la certezza. Il detective mi ha lasciato il suo biglietto da visita, in caso mi venissero in mente particolari che potrebbero dare una svolta all’indagine, ha detto. Ho buttato via il mio cellulare nella fuga, ma di istinto ho conservato il suo biglietto da visita nel portafoglio, eccolo, è ancora qui.
Tra le mura in pietra di questa villa antica, recentemente ristrutturata per offrire alloggio a ospiti da tutto il mondo, ho ritrovato un po’ di tranquillità. Il personale dell’albergo è cordiale e discreto. La terrazza che dà sul giardino di palme è il luogo ideale per raccogliere le idee e concentrarmi sul da farsi. Non è facile decidersi a scrivere i particolari di ciò che nascondo da tutta la vita. So di essere in parte responsabile della morte di Riccardo, ma non avrei mai ucciso l’unico vero amore che ho mai conosciuto.
Il mio più grande dono è fonte della mia rovina. La prima volta che capii di essere diversa avevo appena tre anni. Stavo giocando a nascondino con la mamma. Mi ero nascosta dietro a un appendiabiti in corridoio. Ero convinta che il mio nascondiglio fosse perfetto e che lì nessuno avrebbe mai potuto vedermi.
Mamma cercami,
gridai con la vocina stridula.
Mia mamma iniziò a dire a gran voce: Dove sei? Ti sei nascosta bene, non ti trovo,
ma nello stesso tempo sentivo un’altra voce, uguale a quella della mamma, solo un po’ più sommessa e questa voce diceva: Che buffa sotto quel cappotto, ma… oh no, ho dimenticato di comprare il sale e ora non so se mi basta
.
Uscii imbronciata dal mio nascondiglio, nervosa perché il sale sembrava essere più importante di me e mi misi a piangere. La mamma mi raggiunse preoccupata e, inginocchiatasi alla mia altezza, mi chiese se mi fossi fatta male. Le risposi che sapevo che faceva solo finta di non vedermi e che non mi importava nulla del sale, lei stava giocando con me e in quel momento sgranò gli occhi. Non dimenticai mai quell’espressione di incredulità sul suo volto. Mi disse che era convinta di aver solo pensato di avermi visto ma di non averlo detto. Da quel giorno iniziai a essere più attenta alle cose che udivo.
Ben presto mi resi conto che le cose che sentivo erano ben più numerose delle cose che mi venivano verbalmente riferite e che spesso le prime non erano sempre in accordo con le seconde. Ad esempio ricordo mio papà che assaggiando una pietanza aveva pensato che ci fosse troppo peperoncino, ma alla domanda diretta della mamma se gli piaceva la pasta, dopo aver bevuto