Il potere della gratitudine
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Durante il programma Nicoletta Carbone lancia la proposta di raccogliere piccole storie di gratitudine, come un integratore per fare le cose bene e ripartire con un sorriso.
La risposta degli amici ascoltatori non si fa attendere, con storie di vita quotidiana da cui Andrea Vitali si è lasciato ispirare per portarci nel sentimento della gratitudine che fa bene e ci fa stare bene.
Perché la gratitudine fa nascere gratitudine. La gratitudine ci permette di cambiare prospettiva, di stupirci delle piccole cose che tendiamo a dare per scontate, di farci lavorare meglio e alimenta la felicità.
La raccolta dei racconti di Andrea Vitali, i preziosi contributi del professor Piero Barbanti dal lato delle neuroscienze e della professoressa Guendalina Graffigna sull'aspetto psicologico della gratitudine, la piena partecipazione dei radioascoltatori, l'idea e l'entusiasmo di Nicoletta Carbone ci portano in un viaggio alla scoperta di un elemento fondamentale per il nostro vivere quotidiano.
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Anteprima del libro
Il potere della gratitudine - Piero Barbanti
lettura.
La gratitudine produce effetti positivi sulla nostra salute mentale e fisica
—Piero Barbanti,
Professore di Neurologia all’Università telematica San Raffaele di Roma e responsabile del Centro per la diagnosi e la cura delle cefalee e del dolore dell’IRCCS San Raffaele Roma-Pisana
La gratitudine è una emozione sociale. Cicerone riteneva che rappresentasse la madre di tutte le virtù, mentre Seneca sosteneva che costituisse la spinta motivazionale fondamentale dell’agire umano. Questi due grandi autori dell’antichità avevano compreso inconsapevolmente alcune verità neurobiologiche. Infatti, l’essere grati al prossimo (gratitudine focalizzata) o, in senso più generale, all’esistenza (gratitudine diffusa) è la precondizione per essere individui sociali e per abbassare le tensioni emozionali. Tutto ciò produce effetti positivi sulla nostra salute mentale e fisica. Vivere all’insegna della gratitudine è particolarmente vantaggioso per il nostro cervello: così facendo, impiega meno energie per bonificare
l’ambiente circostante, strategia a cui invece ricorre il soggetto rancoroso, sempre alle prese con la necessità di scrutare, analizzare e memorizzare ogni dettaglio ambientale per organizzare il proprio piano di attacco e di rivincita. Dunque, neurologicamente parlando, vivere ispirati dal senso di gratitudine è come vivere con il vento in poppa, senza pregiudizi, senza tensioni, e soprattutto con basso consumo di risorse neurologiche. Significa anche essere in grado di sfruttare il nostro patrimonio di neuroni specchio che ci consente di indossare
le azioni altrui, di metterci nei panni del prossimo per comprenderlo meglio e socializzare, fenomeno noto come empatia.
Gli studi di neuroimmagine funzionale hanno evidenziato che la predisposizione alla gratitudine ha in qualche modo un suo marchio anatomico cerebrale rappresentato dall’incremento del volume della sostanza grigia nel giro temporale inferiore di destra e nella corteccia postero-mediale bilateralmente. Si tratta di aree del cervello che in genere non vengono utilizzate per il giudizio critico – appannaggio invece delle regioni anteriori frontali – ma dalle quali dipende la nostra elaborazione visuo-spaziale, cioè la capacità di analisi dello spazio. Volendo ipersemplificare, il soggetto predisposto alla gratitudine sa leggere più efficacemente la realtà, accorgendosi meglio di quanto gli accade intorno. Inoltre, i soggetti naturalmente inclini alla gratitudine sono anche ormonalmente diversi perché possiedono livelli più elevati di ossitocina, sostanza prodotta dall’ipotalamo e immagazzinata nella parte posteriore dell’ipofisi. Oltre a facilitare le contrazioni uterine nel corso del parto, l’ossitocina svolge ruoli importanti in diverse aree del cervello verso le quali viene proiettata tramite il flusso sanguigno a partire dal suo deposito ipofisario. Potremmo definirla in termini neurologici come l’ormone dell’abbraccio visto che è alla base dei fenomeni di empatia tra gli individui, stimolandone la contiguità fisica, ma rappresenta anche l’ormone della fedeltà, dal momento che svolge un ruolo essenziale nel mantenimento di rapporti interpersonali stretti, veri e irrinunciabili.
Traducendo e sintetizzando quanto si è detto finora in un linguaggio quotidiano, possiamo affermare che sotto il profilo neurologico la gratitudine è un’emozione sociale che prevale in chi biologicamente possiede la capacità di analizzare al meglio l’ambiente circostante e sia predisposto a instaurare legami affettivi stabili. Questa buona disposizione d’animo potrebbe però essere letta anche in termini negativi, se pensiamo alla favola di Cappuccetto Rosso, e farci pensare che la gratitudine sia un istinto bello e nobile fin che si vuole ma forse poco critico e quindi pericoloso. Non è così. La gratitudine non viene regalata al primo che si incontri perché il cervello umano, per lo meno nell’adulto, è organizzato in maniera da erogare sentimenti e slanci emotivi solo a ragion veduta. Infatti, affinché il cervello produca gratitudine, deve essere preliminarmente eseguita un’analisi della situazione da parte delle sue zone più razionali e critiche. L’esempio più calzante è quello della richiesta di un mutuo ipotecario per un immobile del quale ci si innamori: la concessione dovrà essere preceduta dalla lucida valutazione da parte di un perito che dirà se il finanziamento richiesto sia congruo o meno. Gli studiosi hanno dimostrato che i prerequisiti razionali e critici che precedono l’insorgere della gratitudine sono sostanzialmente due. Il primo è la valutazione analitica del gesto altrui che innesca la gratitudine: è davvero genuino e di portata tale da farmi spalancare il cuore, aprendomi a un comportamento grato e riconoscente, conseguentemente senza difese? Il secondo è un’analisi attenta di quanto quel gesto sia risultato davvero utile e vantaggioso per se stessi. Una bella perizia cognitiva, quindi, prima di lasciarsi andare all’emozione!
La gratitudine aumenta la nostra resilienza, cioè la capacità di resistere allo stress. Questo termine viene usato sovente nella quotidianità con un’accezione abitualmente negativa. Tuttavia, lo stress è quella reazione positiva e salvavita che consente a noi di scappare dai pericoli e di ricostruire un equilibrio biologico e psichico quando ci siano delle perturbazioni ambientali. Il problema insorge quando il meccanismo dello stress venga stimolato di frequente – come accade nei nostri ritmi forsennati giornalieri – perché in tali casi la sua attivazione diventa cronica e fuori controllo. Una persona che affronti ogni giorno il traffico congestionato per recarsi al lavoro e magari lì riceva vessazioni dal proprio responsabile o si trovi subissata da un infinito numero di pratiche, innescherà inconsapevolmente la reazione da stress (cuore e respiro che accelerano, muscoli che si contraggono, pupille che si dilatano ecc.) anche per piccole vicende insignificanti, come una piccola marachella di un figlio. La resilienza è la corazza che protegge dallo stress, paragonabile a una sorta di intercapedine interposta tra ciò che l’ambiente ci comunica e la nostra reazione riflessa. La resilienza, favorita dal sentimento di gratitudine, fa sì che noi affrontiamo meno di petto le situazioni.