Chiarezza: La bellezza interiore riscoperta tra i propri armadi
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Info su questo ebook
Federica Ceron, l’autrice, a un certo punto della propria esistenza perde l’autentico contatto con se stessa e sente il bisogno di portare leggerezza e chiarezza in ambito personale e professionale. Ma come?
Cassetti, armadi, ripostigli sono spesso colmi di oggetti e accessori che non fanno più parte della nostra vita, anzi, ci soffocano. Eppure, fatichiamo a liberarcene. Così come di relazioni poco sane o attività che non ci rispecchiano.
Questo libro ci racconta e ci insegna un percorso di alleggerimento non solo fisico ma anche mentale e spirituale.
Pagina dopo pagina scopriamo suggerimenti, ispirazioni, esercizi per attuare quella che pare una semplice pulizia, ma è in realtà una nuova riscoperta di noi stessi e delle più profonde emozioni.
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Anteprima del libro
Chiarezza - Federica Ceron
© Copyright 2021
EIFIS EDITORE srl
Chiarezza - Federica Ceron
I Edizione
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in nessuna forma senza il permesso scritto dell’Editore.
Testo: Federica Ceron
Editing: Alessandra Perotti
Art Director: Davide Cortesi
Fotografia di copertina: Nicola Boris Dov Serafini www.nicolaserafini.com
Impaginazione: Golden.Brand Communication
Produzione digitale: Davide Rosati by Marmellata Comunica
ISBN 978 88 7517 305 0
© 2021 Giugno – Edizione Digitale
Viale Malva Nord, 28
48015 Cervia (RA) – Italia
www.eifis.it - segreteria@eifis.it
L’Editore non si assume alcuna responsabilità per l’utilizzo delle informazioni contenute in questo libro.
Indice
prefazione 9
La mia storia 13
Il metodo Clarity Cycle 23
L’armadio delle relazioni familiari 37
L’armadio delle relazioni di amicizia 63
L’armadio delle relazioni di lavoro 89
L’armadio della relazione con se stessi 115
L’armadio del futuro 139
Consigli di stile e felicità: fai spazio e porta luce 167
Consigli di stile 177
Il mio augurio 231
Ringraziamenti 233
A mia madre Anna Maria,
a zia Cecilia e a zia Renata,
a nonna Angela e nonna Milena,
a tutte le donne della mia famiglia.
A tutte le donne del mondo
che hanno la forza e il coraggio
di portare in luce la propria essenza.
Donne, Figlie, Sorelle, Mogli, Madri, Amiche
sia per loro ogni benedizione.
prefazione
Lo spazio ci avvolge, ci compenetra, ci dà il luogo in cui esistere.
Lo spazio è un tema vitale, ognuno di noi può relazionarsi, lavorare, vivere solo se ha spazio a disposizione, sia questo un luogo fisico o psichico. Ciò nonostante, molto spesso, lo spazio vitale viene dato per scontato. Troppe volte ci dimentichiamo che lo spazio è qualcosa che non è parte di noi da sempre. Durante i nove mesi di gestazione, infatti, ne eravamo privi, eravamo beatamente immersi in un liquido che ci sosteneva e avvolgeva senza darci la possibilità di percepire uno spazio reale intorno a noi: ci sentivamo protetti.
Lo spazio è un concetto ampio e in continua evoluzione, all’interno dello spazio gli oggetti e le cose trovano il loro posto e in qualche modo lo occupano
, tolgono spazio al resto creando spesso una sensazione di saturazione.
Come esseri umani viviamo la nostra vita con poca consapevolezza sulla nostra reale natura, spesso inconsapevoli di come siamo fatti, tendiamo a percepirci solo come esseri materiali, composti da un corpo e poco altro. Però se ci fermiamo un attimo a riflettere sulle nostre giornate, spesso ci accorgeremo di essere letteralmente scossi da una o più emozioni, di essere invasi da pensieri molteplici o sorpresi dall’ansia o dall’inquietudine. Che spazio occupano, quindi, tutte queste sensazioni? Non certo lo spazio fisico. Che relazione c’è fra lo spazio esterno e lo spazio interiore?
La sistemazione degli oggetti esterni sembra avere un collegamento molto stretto con tutto quello che avviene dentro di noi.
È importante poi trovare dentro di noi un nuovo rapporto con la sistemazione degli spazi, questo perché molti di noi hanno vissuto il tema del mettere a posto
come qualcosa di obbligato e spesso impartito dai genitori in forma di rimprovero o addirittura di punizione.
Chiarezza, il libro di Federica Ceron, tocca punti fondamentali che ognuno di noi dovrebbe prendere in considerazione per godersi il benessere che merita e che solo l’equilibrio degli spazi può portare.
Il tempo dedicato al self care, all’organizzazione dei propri spazi, come al riordino degli armadi è un tempo di valore, è un tempo in tutti i sensi nutriente, che riempie la nostra vita di nuove energie e di nuova focalizzazione e speranza verso il futuro.
Forse, come troppo spesso succede, è un tempo che non ci è stato mai insegnato; nessuno ci ha mai detto: Prenditi del tempo, accudisciti, rilassati, dedicati delle cure e delle attenzioni
e noi abbiamo vagato anni alla ricerca di qualcuno che si prendesse cura di noi.
Difficile però trovare qualcuno che possa esaudire i nostri bisogni se noi per primi, non ci siamo mai fermati a farlo.
Federica, con il suo metodo Clarity Cycle, ti accompagna nel sentiero dello spazio organizzato che dà chiarezza, che fa luce e che ti alleggerisce dai molti pesi della vita.
La pulizia degli armadi è una bellissima metafora del bisogno di cura dei nostri spazi interiori. Ogni armadio, in totale Federica ne descrive cinque, rappresenta un aspetto importante della nostra vita su cui fare chiarezza: l’armadio delle relazioni familiari, dell’amicizia, del lavoro, della relazione con se stessi e l’armadio del futuro.
Chiarezza è un libro utile e necessario a tutte quelle persone che si sentono un po’ strette e che vogliono fare spazio nella loro vita per poter evolvere e crescere.
Elena Benvenuti
"La pace e la libertà
nascono dall’ordine
che significa mettere ogni cosa al proprio posto.
Su questo si regge l’equilibrio dell’Universo."
Alice Blink
La mia storia
L’esistenza è un viaggio che va affrontato con bagaglio leggero
Sono all’aeroporto. È il tramonto, adoro vedere il cielo da qui e gli aerei che s’innalzano e si perdono tra i colori accesi della sera.
Sto lasciando l’Italia per andare in Thailandia dove terrò un seminario. Da sempre è stato uno dei miei sogni e ora eccomi, ci sono. Con lo sguardo puntato in alto e un sorriso che non riesco più a spegnere. Che non voglio spegnere.
Provo una grande gioia: non quella che ti toglie il fiato, ti fa esultare. Si tratta di una gioia radicata, ormai parte di me, del mio vivere quotidiano. Ci ho messo così tanto a conquistarla e ora ho scelto che fosse parte della mia esistenza, come il respiro.
Come questo cielo intenso.
Non ti chiedi mai se il cielo ci sarà anche domani. Lo sai. Così è il mio stato d’animo. Certo, subentrano momenti di stanchezza fisica e mentale, ogni tanto mi confronto con i miei dubbi, insomma, alti e bassi, come tutte le persone che vivono in questo mondo. Sarebbe ingenuo pensare che la vita possa mantenersi sempre e in modo costante sulla stessa lunghezza d’onda. Siamo esseri umani, diversi gli uni dagli altri, che interagiscono con l’ambiente, le situazioni, le persone. La differenza? So quello che voglio e so dove sto andando: quando acquisiamo consapevolezza siamo come navi che non temono di affrontare il mare agitato perché sanno che raggiungeranno l’approdo. La differenza sta tutta qui.
Oltre che nel volersi bene e nel non scendere a compromessi nella manifestazione di ciò che siamo.
Assaporo quello che vivo e guardo con serenità al passo successivo; l’esistenza è un viaggio che va affrontato con bagaglio leggero, da ogni punto di vista.
Gli aeroporti mi sono familiari. Ci sono stati anni nella mia vita in cui passavo più tempo qui che a casa mia, con la mia famiglia. Viaggiavo per lavoro a un ritmo serrato, mi fermavo al massimo un paio di settimane, per fermarsi intendo che almeno tornavo a dormire nel mio letto, la sera.
Sembrava che andasse bene così. Anzi, ero convinta che mi entusiasmasse quella vita. La mia, in realtà, era una corsa affannosa senza reali obiettivi di crescita personale, interiore. Eppure, al momento era la mia vita e devo dire che, come ogni esperienza, mi ha arricchita. Se non altro ho compreso chi non voglio essere. Dovremmo pensare che le esperienze - anche quelle difficili che definiamo negative - impattano su di noi, abbiamo sempre qualcosa da imparare. Guai se liquidassimo ogni avvenimento etichettandolo come negativo e via. No, dobbiamo comprendere: proprio quello che per molto tempo io non feci mai.
La botta - sai, di quelle secche che si manifestano all’improvviso - arrivò nel 2009, avevo ventiquattro anni. Gli esami parlavano chiaro: cancro al seno, operabile ma in fretta. Non c’era tempo da perdere. Non fu un dramma, almeno all’apparenza. Il mio obiettivo era gestire questo intoppo e poi ripartire.
Così affrontai l’intervento con un atteggiamento di chi pensava che, dopotutto, fosse una tappa, un pit-stop, poi avrei ripreso la mia ardita corsa. Già. Sono di quelle a cui una botta sola non basta, bisogna insistere. A volte diamo agli avvenimenti una lettura superficiale e di comodo ma stiamo pur certi che l’Universo, nel quale siamo immersi e di cui siamo parte, troverà altre strade per comunicare con noi e farci comprendere ciò che è necessario.
Durante la degenza in ospedale, mi feci portare il computer perché dovevo prenotare i voli dei miei prossimi appuntamenti di lavoro, non avevo tempo da perdere.
La diagnosi era stata inizialmente di un nodulo al seno, in realtà me ne tolsero quattro e tutto sommato andò bene, devo dire che nella mia stanza ero la più fortunata perché non avevo subito l’asportazione totale del seno. La mia mente era proiettata a quello che avrei fatto uscita di lì.
Fu sicuramente un bene anche se, nello stesso tempo, non ascoltavo il messaggio che l’Universo cercava di inviarmi. Prenotare i voli mi dava l’idea di un veloce ritorno alla vita normale. Quale normalità? Ebbi modo di farmela questa domanda. Tempo dopo.
Infatti, mi resi conto solo più avanti di ciò che avevo vissuto: in quel periodo mi sdoppiai. Forse per non soffrire, forse per non guardare in faccia la realtà. Ecco, se puoi, non sdoppiarti, non è mai una buona soluzione. Del resto, è già così complicato gestire la nostra individualità che gestirne due è un’impresa fallimentare. Mi sentivo sola, le visite erano controllate e centellinate; molte persone sparirono dalla mia vita, molti amici non si rivelarono tali. Anche questo aspetto così importante lo lasciai scivolare via, non mi fermai a riflettere sul valore delle relazioni che avevo intessuto fino a quel momento, eppure era tutto così evidente se lo guardo ora, dal punto di questa conquistata consapevolezza da cui osservo la mia vita.
C’era anche una verità più profonda: non volevo accettare la malattia. Ero sempre stata bene, un treno in corsa, potente e inarrestabile. Energica e giovane. Quella défaillance proprio non mi andava giù, così la mascherai, le misi il turbo, cercai distrazioni per non riflettere, per non guardare la verità di ciò che accadeva nella mia esistenza.
A dire il vero la mia salute non era poi del tutto inattaccabile e cominciò a vacillare. A un certo punto infatti avevano iniziato a manifestarsi nel mio corpo una serie di dolori indefiniti ma acuti.
Avvertivo dolore a tutte le articolazioni, come se il mio corpo, a poco a poco, si disgregasse faticando per rimanere connesso e funzionale. Per me, in certi giorni, si rivelava una fatica impari collocare un raccoglitore sullo scaffale. I normali movimenti, quelli che compi senza pensarci, erano una vera e propria sfida. Mi visitarono tutti i medici possibili ma la diagnosi e soprattutto la cura non arrivavano.
Intanto viaggiavo. E viaggiavo. Una valigia dopo l’altra.
Oggi so che quando non ci fermiamo, quando non riconosciamo le nostre emozioni e non ci liberiamo dei pesi superflui, ecco, il corpo presenta il conto. Il mio era bello salato.
Non volevo mollare nulla, dovevo sempre dimostrare qualcosa.
I miei titolari erano maschi, esigenti e pretenziosi, e io volevo che non avessero dubbi nel ritenermi all’altezza dei compiti che mi erano stati affidati. Noi donne dobbiamo sempre dimostrare il doppio - come minimo - di quello che viene richiesto a un uomo. E dobbiamo anche avere la scocciatura, per usare un eufemismo, di subire le avances di chi non riesce a considerarci una sua pari. Abbiamo fatto molta strada nel campo della realizzazione femminile ma, soprattutto nel mondo del lavoro, ci sono ancora tante conquiste da mettere in atto e saranno tanto più efficaci quanto più la nostra autostima non vacillerà.
Se vuoi immaginarmi, ecco, devi vedere una persona sempre in attività, sempre sul pezzo. Pronta ed efficiente. Se ci penso adesso, mi metto ansia da sola per quello che sono stata.
In quegli anni ho viaggiato tanto ma non avevo il tempo di visitare i Paesi in cui mi recavo: arrivavo, lavoravo, ripartivo. Ricordo ancora la notte in cui giunsi a Oslo, era buio e faceva freddo. Tu dirai, certo era Oslo, non poteva far caldo. Già. Ma a dirti il vero non badavo mai molto alle temperature. Nella mia valigia c’era di tutto: per questo pesava molto. Ero sola. Arrivai in hotel intorno all’una e alle sei del mattino ero già in piedi per recarmi ai padiglioni dell’evento che avrei presenziato.
In tutto questo andirivieni, avevo un compagno che proprio in quel periodo mi chiese di sposarlo. Eh, le disavventure non arrivano mai da sole, se vogliamo fare della facile retorica. Ma non ero forse una super woman? Avrei incastrato anche il matrimonio nella mia agenda.
C’è un altro fatto che se ci penso ora mi sorprende: non avevo amici. O meglio, i colleghi di lavoro erano anche amici: non uscivo mai da quel cerchio. Restavo sempre immersa nell’ambiente lavorativo come se ci fosse solo quello.
Nella mia vita mancava un aspetto che ora per me è irrinunciabile, è un mio punto fermo, il perno su cui ruota la consapevolezza di me stessa: la chiarezza. Non vedevo, mi lasciavo irretire, soffocare da ciò che in realtà non mi serviva.
Avevo bisogno di alleggerire il bagaglio sia fisico che mentale.
Fisico, senza dubbio, perché a forza di tirare su la valigia con tutti i suoi chili il mio braccio destro era dolorante; mentale, perché c’erano polveri e nebbie che dovevano essere spazzate via. Ma anche e soprattutto spirituale. La mia anima aveva l’impellente necessità di respirare, di uscire alla luce, di librarsi leggera nell’esistenza e di goderne a pieno.
A quel punto l’Universo - che in fatto di astuzia è imbattibile - cambiò tattica. Basta botte dirette, aveva capito che potevo resistere, fare persino finta di nulla e andare avanti. Scelse la modalità di insinuarsi come un disagio all’inizio sottile e poi, via via, più profondo. Sai, il sassolino nella scarpa, la spallina del reggiseno che stringe, un peso allo stomaco o il pensiero che ti mette inquietudine ma non sai definire? Ecco, quelle sensazioni lì.
Dovevo fare qualcosa anche se non sapevo bene che direzione prendere. Decisi di seguire un corso con una società di formazione svizzera: il programma era dedicato a imprenditori italiani e si proponeva di illustrare un nuovo modello di business, un