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Creepy Hollow: La Guerra
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E-book378 pagine5 ore

Creepy Hollow: La Guerra

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Info su questo ebook

Violet Fairdale si trova in grossi guai.

Casa sua non c’è più, la sua amata foresta giace in rovina, il ragazzo a cui ha donato il suo cuore l’ha abbandonata e lei... non ha memoria di tutto ciò.
Lord Draven ha convinto i Guardiani a combattere per lui e sta diventando sempre più potente.
A causa del male che si propaga nel mondo fatato, nessuno è più al sicuro.
E, mentre i Fae ancora liberi stringono alleanze, Vi lotta per rivendicare la sua identità e capire quale sia il suo ruolo in questo nuovo equilibrio. Le cose per lei si complicano, quando qualcuno del suo passato si rifà vivo, portando con sé un’arma oramai da tempo dimenticata e parlando di un’antica profezia, che pone Vi al centro della lotta contro Draven.
Con il futuro del mondo fatato in gioco, Vi sarà in grado di portare a compimento la profezia, prima che sia troppo tardi?
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2021
ISBN9788855312646
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    Anteprima del libro

    Creepy Hollow - Rachel Morgan

    Parte I

    Violet

    Capitolo 1

    La foresta è morta. Un profondo silenzio grava nell’aria. Nessun movimento sotto le foglie annerite e i ramoscelli che ricoprono il suolo. Gli alberi rimasti in piedi sono spogli. Anche la luce del sole che filtra attraverso i rami scheletrici è spenta e debole.

    Vorrei poter ricordare com’era prima.

    È passato un mese dalla Distruzione, ma la foresta di Creepy Hollow non mostra alcun segno di guarigione. Tutti dicono che è per via del fuoco: non era naturale, ma guidato dalla magia. Il tipo di magia che non semina altro che devastazione.

    Faccio un passo avanti, il mio stivale solleva una piccola nube di cenere dai detriti. Non sono qui a piangere la rovina di Creepy Hollow. Non sapevo nemmeno il nome di questo posto finché qualcuno non me l’ha detto. Sono qui nella speranza di trovare qualcosa che faccia scattare un ricordo. Qualsiasi ricordo. Qualsiasi cosa che possa dirmi chi sono o cosa è successo per farmi dimenticare tutto.

    Continuo ad andare avanti, consapevole dei passi dietro di me. Il mio compagno non lascia che mi allontani dalla sua vista. In lontananza, vedo una specie di cumulo, che sembra più di rami strappati e cespugli mozzati. Man mano che mi avvicino, mi rendo conto di cosa sto guardando. Questo ammasso di mobili scheggiati e oggetti rotti era una casa un tempo. Un’intera casa nascosta dentro un albero grazie a una potente magia, almeno finché un fuoco più potente non ha travolto e frantumato gli incantesimi che mantenevano la casa intatta.

    Una mano mi tocca il braccio. «Non possiamo andare più lontano» mi comunica il mio compagno.

    Allontano il braccio e mi giro verso il cupo giovane che mi sta accanto. Come tutti i rettiliani, gli occhi di Jamon sono neri, e il suo corpo è ricoperto di sottili scaglie blu-verde che brillano dove la luce le sfiora. I suoi capelli, scuri come la mezzanotte, gli sfiorano le spalle.

    «Ma non ho ancora visto nulla che mi ricordi qualcosa. Non siamo andati abbastanza lontano.»

    «Non importa» afferma lui, rivelando incisivi simili a piccoli coltelli. «Non mi fido di te. Non ti porterò più vicino alla Corporazione.»

    Jamon è stato il primo a cercare di uccidermi dopo che mi sono svegliata sottoterra in casa di Farah, ma non l’ultimo. I rettiliani non sono molto gentili con i guardiani, e a quanto pare è ciò che sono io. Sembra un po’ ingiusto odiarmi per essere qualcuno che nemmeno ricordo, ma Jamon non la vedeva così. Dieci minuti dopo essermi svegliata e resa conto che non ricordavo nulla di me, è entrato nella stanza, ha dato un’occhiata agli strani segni sui miei polsi e ha cercato di aprirmi la testa con un candeliere. Per fortuna, Farah è intervenuta prima che potesse fare danni.

    Incrocio le braccia sul petto. «Non l’hai ancora capito? Non sono una fae a cui è stato fatto il lavaggio del cervello e che cerca disperatamente di eseguire gli ordini di Draven. Non ho intenzione di scappare e dirgli tutto quello che so sulla comunità locale dei rettiliani.»

    Jamon inclina la testa di lato e mi guarda con attenzione. «Ad ogni altro fae sopravvissuto è stato fatto il lavaggio del cervello. Perché dovrei credere che tu sia diversa?»

    Mi avvicino a lui, assicurandomi di essere faccia a faccia. «Ti sembro una a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, idiota?»

    I suoi occhi sfrecciano verso il basso. Seguo il suo sguardo e vedo scintille viola sfrigolare dai miei pugni serrati e scomparire nell’aria. Alzo gli occhi e incontro i suoi. Lui non si allontana da me. «Non c’è bisogno di perdere la calma, Violet. Sai che mi preoccupo solo della sicurezza della mia gente.»

    «E perché a Draven dovrebbe fregare un fico secco di trovarvi?»

    «Non si fermerà finché non avrà il controllo di ogni razza. Questo include anche noi.»

    «E io non mi fermerò finché non avrò recuperato i miei ricordi.» Lo guardo male fino a quando non diventa evidente che non cederà. Faccio un respiro profondo e alzo gli occhi al cielo. Fisso ciuffi di nuvole grigie tra i rami nudi. Forse se sono sincera su quanto mi sento smarrita e confusa, Jamon si ammorbidirà un po’. «Non sai cosa vuol dire,» dico dolcemente «guardare indietro alla tua vita e non vedere nient’altro che un buco spalancato e alcuni pezzi di informazioni casuali e poco importanti.»

    «No, non so come ci si sente. Non so nemmeno cosa significhi fidarsi di un guardiano.» Avvolge le sue dita attorno al mio braccio. «Ecco perché ce ne andiamo adesso.»

    Fantastico. Tentare di aprirmi con lui è stato ovviamente un’idea stupida. Torniamo alla polemica e arrabbiata Violet. Mi sta bene; nascondere i miei veri sentimenti mi sembra comunque più facile.

    Jamon cerca di riportarmi indietro da dove siamo venuti, ma invece di andare con lui, mi aggrappo a un ramo basso con la mano libera e mi rifiuto di muovermi. «Smettila» lo avviso. «Smettila di trattarmi come una criminale. Posso camminare senza il tuo aiuto, quindi smettila di spingermi.»

    Lentamente rilassa le dita. «Bene. Ma se fai una sola mossa per...»

    «Non ho intenzione di...»

    «Stai giù!» sibila, tirandomi a terra prima che abbia la possibilità di discutere. «Qualcosa si è mosso.»

    Con le nostre spalle l’una di fianco all’altra e le schiene contro l’albero, restiamo in ascolto. Dopo quasi un minuto di silenzio, comincio a chiedermi se Jamon abbia mentito. Ma poi sento qualcosa. Dei passi che si avvicinano. Più di un paio.

    «Il sensore è stato attivato da qualche parte qui vicino» dice la voce di un uomo.

    «Da qualche parte qui vicino?» ripete una donna, la frustrazione evidente nella voce. «Puoi essere un po’ più specifico di così?»

    «No. Non riesco a ricordare esattamente dove si trova il sensore. Qui fuori sembra tutto uguale, ora.»

    Abbasso lo sguardo sulla mano che ho stretto intorno all’albero. La fuliggine nera mi segna il palmo. La strofino lentamente contro i pantaloni, pulendola mentre ascolto.

    «Non possiamo tornare a mani vuote» afferma la donna. Solo i fae non segnati fanno scattare l’allarme. Questo significa una potenziale minaccia per Lord Draven.»

    «Lo so» ringhia l’uomo.

    Jamon fa un suono simile. Posso indovinare a cosa sta pensando: qualcosa sul fatto che è colpa mia se siamo in pericolo. Naturalmente, se prendesse in considerazione l’idea di perdermi di vista per qualche secondo, potremmo facilmente sfuggire a questa situazione. Lui potrebbe usare la sua magia da rettiliano per scomparire in meno tempo di quello che serve per spezzare un ramoscello a metà, e io aprire un portale magico ai miei piedi e caderci dentro. Se solo Jamon non mi avesse confiscato lo stilo.

    I passi diventano più rumorosi quando l’uomo e la donna si avvicinano all’albero dietro il quale ci nascondiamo. Jamon mette la mano sulla mia e sussurra: «Non muoverti.» Senza preavviso, i miei vestiti cominciano a cambiare colore. I miei stivali e i miei pantaloni si confondono con le foglie e la terra. La mia canotta assume il colore e la consistenza della corteccia ruvida dell’albero a cui sono appoggiata. Il mimetismo si diffonde sul mio corpo e lungo le braccia. La stessa cosa accade a Jamon.

    Quando l’uomo e la donna in uniforme entrano nella nostra visuale, siamo praticamente trasparenti. O meglio, non esattamente – se guardo attentamente, riesco a vedere il contorno dei nostri corpi –, ma ci va abbastanza vicino. I due fae indossano uniformi blu scuro, con un simbolo che non riesco a distinguere, cucito sulla parte superiore della manica destra. Esaminano l’ambiente circostante mentre camminano, fermandosi a malapena quando i loro occhi sfiorano la zona in cui siamo seduti. Guardano in alto, intorno, dietro, ma mai verso di noi. Siamo invisibili per loro.

    «Stai ferma» sussurra Jamon. Sembra che ci voglia un tempo estremamente lungo prima che le guardie di Draven siano fuori dalla nostra vista, dirette verso il luogo in cui dovrebbe esserci la Corporazione. Quando alla fine Jamon toglie la mano dalla mia, la mimetizzazione svanisce. «Andiamocene da qui in fretta» ordina. Mi spinge in avanti, poi mi lascia andare il braccio. Almeno ha imparato che non c’è bisogno di trascinarmi.

    Gli corro accanto. «Magia di mimetizzazione» dico mentre le mie braccia si muovono avanti e indietro. «Che figata! Possono farlo tutti i rettiliani?»

    «Sì.» Lancia un rapido sguardo sopra la spalla, poi guarda avanti e mi ignora.

    Bene. Posso anche fare il giochino del silenzio.

    Corriamo per almeno mezz’ora. Jamon respira con la stessa facilità con cui lo facciamo noi quando camminiamo, ma i suoni che escono dalla mia bocca iniziano a sembrare più simili a dei rantoli. La mia mancanza di forma fisica è uno stato che attribuisco all’essere rinchiusa sottoterra da un mese. Ho girato per i tunnel con Farah, naturalmente, ma Jamon non mi ha permesso di andare in superficie fino ad oggi.

    All’improvviso, il mio compagno rallenta e io quasi lo supero. Riconosco questo posto. È dove prima mi ha tolto la benda e ho visto il sole per la prima volta dopo settimane. Mi sentivo così stupida a inciampare nei tunnel sotterranei con quel panno puzzolente legato intorno agli occhi. C’erano sicuramente delle persone che ridevano di me mentre ci dirigevamo verso la superficie. Con un po’ di fortuna, Jamon non si preoccuperà di bendarmi di nuovo per il viaggio di ritorno.

    «È ora della benda» dice.

    Niente fortuna. «Ma dai, sul serio? È ridicolo, Jamon. Non dirò a nessuno dove vivete.»

    «Smettila di discutere con me.» Tira fuori lo straccio offensivo dalla tasca. Mi afferra il braccio e cerca di tirarmi in avanti – di nuovo – ed è allora che alla fine perdo la pazienza.

    «Sono così stufa di tutto questo.» Libero il braccio dalla sua presa. «Sono io quella a cui è stato fatto un torto. Qualcuno mi ha rubato i ricordi e mi ha lasciato a morire nella foresta, eppure ogni singolo giorno devo sopportare te che mi guardi come se tutto il male che è successo nella tua vita fosse colpa mia.»

    «Violet, non essere così...»

    «No!» Le mie mani scattano in avanti e spingono forte contro il suo petto. «Non vi ho mai mentito. Tu e tuo padre mi avete interrogato, e io non vi ho mai detto altro che la verità. Se mi odiate semplicemente perché sono quello che sono, allora lasciatemi andare. Altrimenti inizia a trattarmi con un minimo di decenza.»

    Increspature rosse lampeggiano sulla pelle squamosa di Jamon. «Un guardiano non merita decenza» ringhia. «Pensate di essere migliori di tutti gli altri. Fate quello che diavolo volete. Be’, ora non più.» Mi spinge tanto forte quanto io ho spinto lui e per poco non cado. «Ora sei sotto la mia sorveglianza, e io posso mostrarti esattamente quello che penso di...»

    «Stai zitto!» Senza fermarmi a pensare, agendo d’istinto, lo prendo a calci più forte che posso. Prima che possa riportare indietro la gamba, lui la afferra e mi tira giù con lui. Colpisco il terreno, gli do una gomitata allo stomaco, poi rotolo e mi alzo in posizione accovacciata. Tutto avviene in modo così fluido che non sono del tutto sicura di come abbia fatto. Non ho tempo di chiedermelo, però, perché Jamon mi si butta addosso. Mi tolgo di mezzo e rotolo per terra. I rami mi graffiano le braccia. L’odore di cenere mi riempie le narici.

    Salto in piedi proprio mentre Jamon mi sbatte contro un albero. Con entrambe le mani mi blocca le braccia ai lati. «Ecco perché mi hai fatto venire qui con te» dice. «Per potermi attaccare.»

    «Ridicolo» sussulto alzando il ginocchio per colpire da qualche parte nella regione del suo stomaco – possibilmente un po’ più in basso. Lui geme ma non mi lascia andare, così lo faccio di nuovo e la sua presa si allenta. Lo spingo via, poi alzo il pugno fino a incontrare il suo mento. La testa gli scatta all’indietro. Lo faccio voltare, gli blocco un braccio intorno alle spalle e... a quanto pare gli sto puntando un coltello al collo, uno di cui, fino a un attimo fa, non ero nemmeno in possesso. Un coltello che luccica e brilla come se fosse di mille piccole stelle d’oro.

    In preda alla paura, faccio un passo indietro, apro le dita e il coltello sparisce. «Io... Io...» Jamon si volta contro di me e io alzo le mani in segno di resa. «Mi dispiace.» Faccio un altro passo indietro. «Non volevo che accadesse tutto questo. Non sapevo nemmeno di poter combattere in quel modo. E da dove è venuto quel coltello?»

    Jamon mi guarda come se fossi stupida. «Pronto? Sei un guardiano. Da dove pensi che sia venuto?»

    Lo fisso di nuovo, con la bocca aperta prima di riuscire a dire: «Non lo so. Possono... possono farlo tutti i guardiani?»

    Scuote la testa mentre cammina verso di me. «Sei davvero incasinata.»

    Resto ferma mentre mi mette la benda sugli occhi e me la lega dietro la testa. Un capello si incastra nel nodo mentre lo stringe forte, ma non riesco a concentrarmi abbastanza sul dolore per esserne infastidita. Il mio cervello sembra essersi bloccato a ripetere con le parole quello che è appena successo, riproducendolo più e più volte.

    «Mi attaccherai se ti prendo per il braccio?» chiede Jamon. «Perché camminare sarà molto difficile per te se non posso guidarti.»

    Scuoto la testa. Probabilmente gli piacerebbe vedermi inciampare, ma non gli darò questa soddisfazione. Mi afferra il braccio e mi guida in avanti. Sento le sue squame contro la mia pelle; sono un po’ scivolose. Non mi fa venire i brividi, ma vorrei comunque mettermi la giacca. Non mi piace che mi tocchi, invadendo il mio spazio.

    «Attenta all’albero» sbotta. Muovo le mani per aria e sento la trama ruvida della corteccia accanto a me. Un altro passo in avanti mi porta le ginocchia contro qualcosa di duro. Scavalco l’enorme radice, pensando a quanto debba essere gigantesco quest’albero.

    «L’ingresso è davanti a te.»

    Faccio scivolare il piede in avanti, sentendo il bordo del buco. Basandomi sul mio viaggio fuori dalle gallerie di questa mattina, so che sto per scendere un ripido passaggio di strette scale ricavate nella terra. Non è la cosa più facile da fare con una benda.

    «Fermi lì!»

    Esito. Non era la voce di Jamon. In effetti, sembrava come...

    Una mano mi colpisce la schiena. Grido, mentre precipito in avanti. Mi aggrappo alle pareti del tunnel, ma mi muovo troppo velocemente per fermare la caduta. Colpisco il terreno con il fianco, ma non riesco a fermare lo slancio che mi porta giù per le scale, togliendomi l’aria dai polmoni ad ogni passo che faccio...

    «Fermi!» urlo, allungo una mano e lancio la magia. Sbatto contro lo scudo invisibile che, per fortuna, non fa male come sbattere a terra. Mi strappo la benda dagli occhi e scatto in piedi. Il mio corpo ammaccato mi urla contro.

    Da qualche parte sopra di me, sento urlare. Senza esitare, mi precipito su per i gradini. Piccoli insetti fosforescenti che si muovono lungo le pareti del tunnel illuminano la strada. Alzando lo sguardo, vedo l’ingresso davanti a me: una forma circolare di luce.

    Faccio gli ultimi gradini due alla volta, scivolo appena prima di arrivare in cima e atterro sulle ginocchia e sui gomiti. Affondando le dita nel terreno, mi arrampico per il resto del percorso e sbircio in cima alla galleria. Sopra le radici giganti dell’albero, ci sono scintille arancioni che ruotano e svolazzano e foglie nere che vorticano in aria. Esco dal tunnel e mi accovaccio dietro una radice per vedere cosa sta succedendo.

    Una delle guardie di Draven, il fae maschio da cui ci siamo nascosti prima, lancia una manciata di foglie a Jamon, che si trasformano in pipistrelli che urlano e si agitano mentre gli sciamano intorno. Lui si abbassa, cade a terra e colpisce le gambe della guardia con un ramo caduto. Il guardiano salta via mentre lancia altra magia in direzione di Jamon. Una fiamma corre sul braccio di Jamon, che grida di dolore. La guardia avanza verso di lui.

    Io mi metto in piedi. Automaticamente, alzo le braccia. Prima di avere il tempo di considerare ciò che sto facendo, nelle mie mani appaiono un arco e una freccia, dorati e scintillanti come il coltello svanito prima. Salto sulla radice dietro la quale mi stavo nascondendo, miro alla guardia e scocco la freccia. Attraversa l’aria e gli trafigge il petto dove c’è il cuore, esattamente dove volevo che andasse.

    Scioccato, il fae mi guarda. Occhi arancioni, caldi e furiosi come un fuoco impetuoso, incontrano i miei. Per un attimo sono sicura che si strapperà la freccia dal cuore e mi ucciderà con essa.

    Invece, vedo Jamon che si alza dietro la guardia, con un tronco tra le mani. Oscilla con forza in avanti, facendo scontrare il tronco con la testa della guardia, che provoca un forte rumore.

    La guardia cade a terra.

    Immobile.

    Capitolo 2

    Gli occhi di Jamon si spostano dalla freccia nel petto della guardia fino al mio viso. «Tu... tu lo hai colpito.»

    L’ho colpito.

    Lascio la presa sull’arco scintillante e quello scompare. «Certo» dico, sembrando molto più calma di quanto non mi senta. «Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che ti uccidesse?»

    Jamon si acciglia. «Avrei potuto farlo fuori da solo.»

    «Ne dubito. Prima di colpirlo, sembrava che lui stesse per far fuori te

    Jamon guarda il fae caduto. «È morto? So che dovrebbe essere difficile uccidere la tua specie.»

    Le sue parole mi danno fastidio, ma cerco di non mostrarlo. «Se lasci la freccia dentro, la magia finirà per svanire dal suo corpo e lui morirà. Ma se la rimuovi entro la prossima ora o giù di lì, la sua magia guarirà il suo cuore e starà bene.» Come faccio a saperlo? mi chiedo. Lo so e basta, a quanto pare. È una conoscenza generale, come sapere che il cielo è blu e che i fae vivono per secoli.

    Jamon stringe gli occhi. «Volevi ucciderlo?»

    «Certo che no. Cosa pensi che io sia, un’assassina a sangue freddo?»

    Jamon alza un sopracciglio. «Be’...»

    «Non sono un’assassina.» Quello che non dico, però, è che sono più che turbata dal fatto di aver appena colpito qualcuno al cuore. L’unica cosa che mi impedisce di dare di matto è la consapevolezza che se agiamo in fretta la guardia non morirà. Mi avvicino a lui e gli sollevo le gambe. «Non sono nemmeno stupida» dico a Jamon. «Se ci sbrighiamo a tirare fuori la freccia, questo tizio sopravviverà. Allora avrai come prigioniero uno degli uomini di Draven e potrai chiedergli quello che vuoi.»

    Jamon mi fissa.

    «Cosa stai aspettando?» domando. «Mi aiuti a trasportarlo o devo spingerlo giù per le scale come hai fatto tu con me?»

    In fondo alla ripida scalinata, una delle guardie rettiliane prende il mio posto e aiuta Jamon a portare lo scagnozzo di Draven ovunque siano tenuti prigionieri. Mi lasciano a vagare attraverso i tunnel per tornare verso casa di Farah, il luogo dove ho vissuto nell’ultimo mese. Jamon non si preoccupa di perdermi di vista quaggiù; sa che le numerose guardie in servizio in fondo alle scale non mi farebbero mai uscire. E se continuassi a percorrere uno dei tunnel nella speranza di trovare un altro passaggio, probabilmente mi imbatterei in qualche altra creatura che odia i guardiani prima di trovare una via d’uscita dal Sottosuolo.

    Il Sottosuolo. Mi sorprende che ricordo delle cose di questo posto, ad esempio che è una rete di tunnel pericolosi, perché molti dei fae che risiedono qui non sono tipi amichevoli. Ci sono vari ingressi nascosti e molte comunità diverse. Alcune si mescolano, mentre altre se ne stanno per conto loro. Ricordo anche di essere già stata qui. I miei ricordi di cosa esattamente ho fatto quaggiù sono assenti, ma mi tornano alla mente lampeggiamenti, luci colorate e stanze nebbiose di fae danzanti.

    Interessante. Non riesco a immaginarmi come un tipo da festa, ma forse lo sono.

    Cammino lungo il margine di una delle ampie gallerie, trascinando la mano lungo il muro roccioso. Dopo essere quasi stata appiattita come una frittella di fae, ho imparato che i carri e gli altri mezzi di trasporto possono viaggiare lungo questi tunnel a velocità notevoli; è meglio stare sempre fuori dai piedi. Grassi insetti fosforescenti della varietà bianco brillante sono attaccati al soffitto a intervalli regolari, assicurando un percorso sempre illuminato, a prescindere da dove qualcuno stia andando. L’odore della terra bagnata, mista a un pizzico di spezie e incenso, mi riempie le narici.

    Sento delle risate dietro di me mentre tre piccoli rettiliani mi passano davanti: uno che si trascina dietro un carretto di giocattoli inseguito da altri due. Scompaiono dietro l’angolo in uno dei tunnel con le case. Alzo lo sguardo mentre supero il tunnel e leggo il cartello appeso sopra l’ingresso. Strada delle pantofole. Me lo ricordo. Farah ha un’amica che vive laggiù, siamo andati a trovarla un pomeriggio per il tè.

    Supero diversi esseri fatati mentre mi dirigo verso il tunnel di Farah. Sono tutti rettiliani, tranne un nano che porta un fagotto grumoso sulla testa. La maggior parte di loro mi ignora, ma due o tre mi guardano con attenzione prima di passare dall’altra parte del tunnel. Solo una persona sorride al mio passaggio: una ragazza della mia età con nastri verdi legati tra i capelli neri. Natesa, credo si chiami così. L’ho vista con Jamon. È l’unico momento in cui lui sorride.

    Il tunnel di Farah emana un calore che il tunnel principale non ha, probabilmente a causa degli insetti arancioni fosforescenti sul soffitto e delle minuscole macchie di luce gialla che brillano all’interno delle pietre che ricoprono il pavimento. Cesti di fiori, che sembrano non appassire mai, sono appesi qua e là tra le porte. A occuparsi dei vari tunnel devono essere persone diverse, perché alcuni sono molto belli mentre altri sono completamente spogli.

    Raggiungo la porta di casa di Farah e la apro. «C’è qualcuno?» chiamo. Nessuna risposta. A quanto pare è uscita. Chiudo la porta alle mie spalle e attraverso la cucina fino alla cameretta che è mia da quando mi ci sono svegliata un mese fa.

    Accendo la lanterna con un colpetto del mio dito – Farah non crede nell’impiego di insetti fosforescenti – prima di lasciarmi cadere sul letto e fissare il soffitto. Come tutte le pareti di questa casa, anche questo è ricoperto da una vernice color crema che, mi ha detto Farah, si riscalda in inverno e raffredda in estate. E come tutte le altre volte che l’ho fissato, il mio cuore inizia a battere per l’impaziente bisogno di stare là fuori, di capire chi sono e di fare la mia parte per distruggere Draven. Ogni giorno che passa è altro tempo sprecato.

    Mi siedo e mi passo una mano tra i capelli. Il biglietto nella tasca anteriore fa un suono stridulo mentre incrocio le gambe. Lo faccio scivolare fuori con attenzione, non voglio che si stropicci troppo o non sarò più in grado di leggere le parole. Non che abbia importanza, suppongo. L’ho letto così tante volte che conosco il contenuto a memoria. Comincio ad aprirlo ancora una volta, dispiegando con attenzione i bordi ammorbiditi della carta, ma vengo interrotta dal suono dell’apertura della porta d’ingresso.

    «Nonna, sei qui?»

    «No, ci sono solo io» rispondo a Jamon, facendo scivolare di nuovo il biglietto nella mia tasca. Scendo dal letto e vado in cucina. «Non so dove sia. Non era qui quando sono tornata poco fa.»

    «In realtà,» dice Jamon, mentre infila le mani in tasca e guarda il pavimento «è con te che volevo parlare.»

    «Oh.» Mi appoggio al tavolo di legno al centro della cucina e cerco di capire perché Jamon non mi stia rivolgendo uno dei suoi sguardi letali.

    «Sì, ehm, ci ho pensato e ho capito che la guardia di Draven probabilmente mi avrebbe sconfitto se tu non l’avessi colpito, quindi... grazie.»

    «Oh» dico ancora. «È... inaspettato.»

    «Sì, ecco, so che pensi che io sia una persona orribile per il modo in cui ti ho trattata, ma questo non mi esime dal ringraziare qualcuno per avermi salvato la vita. Anche se non sono ancora sicuro di potermi fidare di quel qualcuno.»

    Prendo la chiave che indosso attorno al collo e la faccio scivolare avanti e indietro attraverso la sua catenella. «Ehm, okay, certo. Non c’è di che.»

    Jamon alla fine alza gli occhi dal pavimento e mi guarda. «Comunque, il fae di Draven ora è rinchiuso. La freccia è stata rimossa dal suo petto. Appena si sveglia, sono sicuro che mio padre vorrà interrogarlo.»

    Sono sicura che lo farà, considerando che il padre di Jamon è il principale leader della comunità rettiliana che risiede a Creepy Hollow. «Be’, spero che scopra qualcosa di utile.»

    «Già. Comunque, devo andare.» Jamon si gira verso la porta, ma prima di poterla raggiungere, si apre ed entra Farah, con un pesante cesto in braccio.

    «Jamon» esclama lei sorpresa. «Perché non sei alla riunione?»

    «Riunione?»

    «La riunione dei leader.» Farah appoggia il cesto sul tavolo della cucina. I suoi occhi lampeggiano verso di me prima di tornare da suo nipote. «Quella su Violet.»

    Quella su di me? All’improvviso mi sento male, come se stessi sfrecciando attraverso tunnel tortuosi su uno dei trasportatori ad alta velocità dei rettiliani.

    «Cosa?» Le sopracciglia di Jamon sono aggrottate e la sua pelle verde-azzurra appare più chiara e poi più scura. «Pensavo che l’incontro fosse domani.»

    Farah alza le spalle. «Immagino che tu abbia confuso i giorni, caro ragazzo.»

    «Confuso i giorni... non potrei... ugh!» Si precipita fuori dalla porta, sbattendosela alle spalle.

    Farah ridacchia e scuote la testa mentre io allungo la mano sul tavolo e tiro il cesto verso di me. Comincio a disimballare il cibo. «Questo è l’incontro in cui decidono cosa fare di me, giusto?»

    Farah annuisce, tira fuori una sedia e si siede con un sospiro. «Ma sono sicura che non hai nulla di cui preoccuparti, Vi. Sei stata quaggiù abbastanza a lungo da fargli capire che non sei una vera minaccia per nessuno.»

    Giusto. Vorrei poter essere sicura come Farah. «Jamon ha davvero bisogno di essere lì? Non avevi detto che non è ancora un leader?» Spero che la riunione finisca prima del suo arrivo. Probabilmente cercherebbe di convincere tutti a rinchiudermi accanto al fae che l’ho appena aiutato a catturare.

    «Diventerà un leader tra qualche mese, quando compirà vent’anni» chiarisce Farah spostandosi i lunghi capelli grigi dalla spalla. «Ma dopo la Distruzione ha partecipato a tutti gli incontri. Vuole disperatamente fare la sua parte per proteggerci tutti da Draven. Dato che è il figlio del Leader Supremo, nessuno si è opposto alla sua presenza alle riunioni.»

    «Capisco.» Ti prego, ti prego, ti prego, fa’ che la riunione finisca prima del suo arrivo. Voglio disperatamente essere liberata. Sarebbe un po’ spaventoso stare da sola, con la maggior parte dei miei ricordi spariti, ma almeno potrei fare qualcosa di più per scoprire chi sono, che non vagare semplicemente nel Sottosuolo. Se sono onesta con me stessa, però, probabilmente sarei un po’ triste ad andarmene da qui. I

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