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Omicidio al chiar di luna (eLit): eLit
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E-book208 pagine3 ore

Omicidio al chiar di luna (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Un viaggio inquietante in un mondo in cui i fantasmi continuano a vivere e l'amore non muore mai...

Lana, dell'agenzia di investigazioni After Moonrise, ha per le mani un caso delicato: la sua amica Harper ha dipinto la scena di un delitto cui forse ha assistito ma che ha rimosso dalla memoria e, dietro suo consiglio, ha chiesto a un vicino di casa, il detective Levi Reid, di aiutarla a trovare l'assassino. Lui ha accettato solo per starle accanto, ma la situazione è più complicata del previsto...
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2018
ISBN9788858995761
Omicidio al chiar di luna (eLit): eLit
Autore

Gena Showalter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Omicidio al chiar di luna (eLit) - Gena Showalter

    Immagine di copertina:

    Floriana / E+ / Getty Images

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Haunted

    HQN Books

    © 2012 Gena Showalter

    Traduzione di Roberta Marasco

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-576-1

    Prologo

    La donna era distesa su una fredda tavola di metallo, nuda, i polsi ammanettati sopra la testa, le gambe divaricate bloccate dai ceppi. L’aria gelida che odorava di sangue e disinfettante aveva trasformato la pelle in uno strato di ghiaccio su muscoli troppo deboli perfino per tremare. La determinazione a fuggire l’aveva abbandonata dopo il centesimo tentativo, ma le lacrime che aveva versato un’eternità prima erano ancora cristallizzate sulle sue guance.

    Era arrivato, pensò. L’ultimo giorno della sua vita. Purtroppo, non ci sarebbe stato nessun cambio di rotta. La nave era già salpata e la tempesta era iniziata.

    Non lo aveva chiesto e di certo non lo aveva desiderato, ma le era toccato. Ora non poteva fare altro che combattere. E lo avrebbe fatto. Avrebbe lottato con ogni briciola della forza rimasta.

    Un lamento soffocato risuonò da qualche parte dietro di lei. Era legata troppo stretta per voltarsi a guardare, ma sapeva che il suo rimpiazzo si era appena svegliato e si era reso conto di essere chiuso in una gabbia per cani, dalla quale poteva vedere solo un tavolo anatomico e la vergogna di un’altra donna. Lo sapeva, perché un tempo era stata rinchiusa anche lei in quella gabbia.

    Era stata costretta a guardare, mentre lo psicopatico che l’aveva stordita e ficcata dentro l’auto finiva l’altra donna che si trovava sulla lastra di metallo. La donna prima di lei, ora morta, uccisa in modo orribile.

    «Fai un favore a te stessa e stai zitta» disse alla ragazza. Non era il momento per le gentilezze. «È meglio restare in silenzio, piuttosto che dargli quello che vuole. E lui vuole che tu pianga. Vuole che tu gridi e supplichi e gli dica quanto fa male.»

    Il piagnucolio aumentò di volume.

    «Oppure continua e fai di lui l’assassino più felice del mondo» aggiunse con un ringhio.

    Il tonfo dei passi negli scarponi all’improvviso riempì la stanza. Il battito cardiaco della donna si impennò a una velocità folle, troppo rapido. Passò un secondo, due, prima che i cardini dell’unica porta della stanza gemessero. La nausea le ribollì nello stomaco.

    Lui era lì.

    Sarebbe successo davvero?

    «Buongiorno, mie adorate.» Quel tono compiaciuto, sotto strati di allegria e intenzioni perverse. «Come ci sentiamo oggi?»

    Sì. Sarebbe successo.

    Dalla gabbia si levò un grido, mentre lei rispondeva: «Mi sento in vena di fare uno scambio di ruoli. Che ne dici? Io al posto tuo e tu sdraiato qui, con un quoziente di intelligenza minimo, un pene minuscolo e... correggimi se sbaglio, grossi problemi con mamma.»

    Un sibilo strisciò nella sua direzione. «Non nominare mai più mia madre, hai capito?» La rabbia aveva preso il posto della soddisfazione. I coltelli e gli altri strumenti cozzarono l’uno contro l’altro con un suono metallico, mentre lui cercava quello che desiderava.

    «Se con non nominare mai più intendi dire non smettere più di parlarne, allora sì, ho sentito. Quindi, perché non fai finta che io sia il tuo analista e che questa sia una seduta gratuita?»

    «Basta!»

    No, non bastava ancora. «Dimmi, mammina cara non ti ha allattato al seno? Oppure lo ha fatto un po’ troppo a lungo?»

    Un silenzio pesante avanzò lento nella piccola stanza.

    Rigira il coltello nella piaga... lui lo farà presto. «Avanti, di me puoi fidarti. Non spiffererò niente, metterò solo i tuoi segreti più oscuri e profondi sul mio blog. Be’, magari anche su Twitter. Ah, e Facebook, naturalmente. Magari potrei farne un video per YouTube. A parte questo, le mie labbra sono sigillate.»

    Il metallo sbatté con maggior forza. Finalmente aveva trovato quello che voleva: una lama seghettata da venti centimetri. La sollevò, in modo che l’argento brillasse nella luce abbacinante sospesa sopra di loro e si voltò a guardarla, un mezzo ghigno e un mezzo cipiglio che gli sollevavano gli angoli delle labbra.

    «Tesoro» disse alla ragazza nella gabbia, fingendo di ignorare lei. Non poteva nascondere il fatto che digrignava i denti. «Stai bene attenta a quello che succederà adesso, perché se non farai quello che voglio, presto toccherà anche a te.»

    Le grida divennero gemiti soffocati e la gabbia si agitò, mentre la donna cercava di intrufolarsi fra le sbarre.

    Non gli darò mai più quella soddisfazione. «Oh, cielo, no» esclamò, facendosi beffe di lui. «Lo psycho killer ha un coltello. Qualcuno metta la musica da film horror e le mie urla terrorizzate.»

    L’uomo la guardò socchiudendo gli occhi. Agitò la lama avanti e indietro, avanti e indietro. «Non hai ancora capito quale bestia stai provocando.»

    «Ehi, certo che l’ho capito. È minuscola, come il resto di te, per questo sogghigno.»

    Lui fece scattare la mascella. Non era un brutto uomo; anzi, in realtà era piuttosto bello, con ricci dorati, occhi del colore del miele più dolce e lineamenti innocenti e privi di malizia di un bambino.

    Una maschera davvero crudele.

    La prima volta che si era risvegliata in quella gabbia aveva pensato che lui fosse lì per salvarla. Un’idea che aveva scartato quasi subito, quando l’aveva trascinata fuori e le aveva tagliato i vestiti, ridendo con un’allegria agghiacciante.

    «Posso renderlo indolore... o terribilmente doloroso. Stai attenta» scattò.

    «Ho ferito i tuoi sentimenti?» chiese lei. «Cattiva prigioniera. Cattiva, cattiva, cattiva.»

    A passi lenti e misurati, lui si avvicinò. «Credi di essere coraggiosa? Bene, vediamo un po’ come posso farti cambiare idea, che ne dici? So che non puoi vederla, ma la ragazza nella gabbia è... rullo di tamburi... la tua unica vera amica. Ti ricordi di lei, vero? Certo che sì. È quella carina.»

    La prima scintilla di calore le divampò nel petto, mentre torceva il collo per cercare di sbirciare nella gabbia. Ma ancora una volta, legata stretta com’era, non riuscì a contorcersi abbastanza. Vide solo le foto alla parete. Le foto scattate alle altre donne torturate.

    L’indomani, la sua immagine sarebbe stata fra quelle.

    «Menti, cerchi di farmi soffrire perché sei un miserabile verme con il cuore marcio e non hai altro modo per arrivare a me.»

    L’odio gli si accese negli occhi, dove creò cupi e profondi abissi di malvagità. «Tu credi? Be’, perché non lo chiedi a lei e non scopri da sola se ho detto la verità?»

    La donna strinse i pugni. Non mentiva. O forse sì? Un bugiardo non avrebbe avuto quell’aria tanto soddisfatta. Oppure sì? «Di’ qualcosa» ordinò alla ragazza.

    Silenzio.

    La risata compiaciuta dell’uomo risuonò fra loro. «Le mie più profonde scuse, ma non dirà un bel niente. Ha una boccaccia, la tua amica, lo sai. Temo di essere stato costretto a tagliarle la lingua.»

    Un’altra scintilla di calore, questa volta percorsa da violente venature di rabbia. E cresceva... cresceva... La sua amica aveva davvero una boccaccia, e quell’uomo era abbastanza spregevole da catturarla, e abbastanza crudele da impedirle di parlare per sempre. Qualunque cosa, pur di accrescere il tormento che aveva scatenato.

    Come aveva osato rapire la sua amica?! Come aveva osato obbligare una ragazza così adorabile a sopportare gli orrori che aveva inflitto a lei!

    «Schifoso, disgustoso... argh!» rantolò, strattonando le manette. Non c’era una descrizione abbastanza terribile. «Ti distruggerò. Non potrai mai più farle del male. Aspetta e vedrai... ti... distruggerò...» Non piangere. Non dargli questa soddisfazione. Ma faticava a prendere fiato, a formulare le parole.

    Con la mano libera, lui le accarezzò la fronte con un gesto delicato, quasi dolce. «Hai sempre pensato di essere più forte di quello che sei. È il tuo difetto peggiore. Mi divertirò a strappartelo via.»

    Lei cercò di morderlo.

    Lui rise. «Non vedo l’ora di mostrare al mio ultimo giocattolo le foto di noi due insieme. Credi che sarà gelosa?»

    La rabbia divampò nel resto del corpo, bruciò, la riempì di vesciche, fece evaporare ogni traccia di lacrime. «Puoi uccidermi, ma io resterò qui, te lo giuro.» Quella era la sua voce, più forte di prima, grondante determinazione.

    Lui inarcò un sopracciglio e finse di essere spaventato. «Oh, mamma, che paura. E come pensi di riuscirci, dimmi?»

    «Troverò un modo. C’è sempre un modo e il bene sconfigge sempre il male.»

    «Quanta sicurezza» la sbeffeggiò lui e schioccò la lingua. «Ho sentito dire che uno spirito forte può vincere contro ogni cosa, anche la morte, ma tesoro, come ho cercato e cercato e ri-cercato di dirti, tu non sei molto forte.»

    «Staremo a vedere.» Una cosa era sicura: c’era davvero una vita dopo la morte. Alcune persone passavano in un posto migliore. Altre in un posto peggiore. Ma lei non sarebbe andata da nessuna parte finché la sua amica non fosse stata al sicuro.

    «Bene, spero che tu abbia ragione. Pensa che bello: se resti qui, sulla terra, staremo di nuovo insieme.» Sollevò la lama, sogghignò, e affondò il metallo in profondità.

    1

    Oklahoma City, Oklahoma

    SIG Sauer: ottocento dollari.

    Confezione di munizioni: trenta dollari.

    Sparare in faccia a un vicino che ha rovistato nella tua spazzatura, dopo che lo avevi avvisato che se ci avesse provato di nuovo ci sarebbero state delle conseguenze: senza prezzo.

    Lo farò, giurò il detective Levi Reid, mentre lucidava l’arma in questione. La mia roba è soltanto mia. Anche la mia spazzatura!

    Si era trasferito nel complesso di appartamenti di King’s Landing tre settimane prima e ancora non sapeva bene perché. O come fosse potuto succedere. D’accordo, quello lo sapeva. Non gli piaceva e non avrebbe mai ammesso la verità con qualcuno a parte se stesso, ma ogni giorno aveva una specie di blackout. Quando finiva, gli mancava un pezzo della sua vita, cinque minuti o cinque ore. O, nel caso di quell’appartamento, sette giorni.

    In tutta onestà, ecco quello che sapeva degli eventi che lo avevano portato lì: aveva seguito un tizio dall’aria sospetta fino all’entrata sul retro dell’edificio. Fine. Dopodiché si era risvegliato in quella stanza, circondato da tutte le sue cose. Non aveva idea di quando avesse fatto gli scatoloni, ceduto a un estraneo l’appartamento in cui aveva vissuto per sei anni o affittato quel buco spazioso ma fatiscente con due stanze da letto, che di certo non si addiceva al re che dava il nome al condominio.

    I colleghi non erano venuti a cercarlo perché in quel periodo era in congedo forzato. Non aveva una fidanzata e aveva già cancellato tutti gli appuntamenti obbligatori con lo psichiatra. Quindi aveva deciso di non muoversi, nel caso fosse arrivato qualche altro blackout e si fosse ritrovato in un posto ancora peggiore.

    All’inizio, quella totale mancanza di controllo lo aveva mandato in bestia. I buchi alle pareti ne erano la testimonianza. Poi era sprofondato in una (virile) depressione. Virile: niente pianti e niente lagne, si limitava a fissare stoico – forse anche sexy – il buio. Ora meditava. Avrebbe dovuto farsi coraggio e trasferirsi in un appartamento migliore, ma una parte di lui aveva finito per farsi piacere quel posto, nonostante tutto.

    La nuova abitazione, che si trovava poco lontano dal centro di Oklahoma City, gli offriva una vista privilegiata e personale sui senzatetto sparsi per la strada, le prostitute a caccia di clienti e gli spacciatori che facevano affari nei vicoli giorno e notte. Si era recato in quella zona migliaia di volte per lavoro e gli aveva sempre messo i brividi (anche questi virili, naturalmente). D’accordo, d’accordo. L’edificio non era tanto male. Qualcuno lo aveva ristrutturato, rendendolo abitabile.

    Neanche i vicini erano poi tanto male. Avevano le loro manie, ma chi non le aveva?

    Il tizio del 211 si aggirava furtivo sbirciando oltre ogni angolo, come se un serial killer avesse il suo numero e quel numero fosse stato estratto alla lotteria della vita. Ogni volta che Levi sentiva un rumore sospetto e decideva di controllare i corridoi, il tizio gli si incollava al fianco, piangendo e supplicandolo di aiutarlo, ma si rifiutava di rispondere a qualunque domanda o di dare informazioni.

    Alla ragazza del 123 piaceva girare in punta di piedi per i corridoi a ogni ora del giorno e della notte, e fermarsi a guardare ogni porta che incontrava come se avesse la vista a raggi X. Quando Levi le passava accanto, lei si voltava di scatto verso di lui e gli diceva qualcosa di raggelante tipo: «Sento la mancanza del mio piccolo. Vuoi essere il mio piccolo?». O la sua preferita: «Che cosa farai quando sarai morto? Morto, morto, morto, sei così morto».

    Il tizio del 409 era il Setacciatore di Cassonetti.

    E la settimana prima, una rossa da capogiro e la sua graziosa coinquilina bionda si erano trasferite lì. Probabilmente erano strampalate come gli altri, ma Levi aveva intenzione di chiedere alla rossa di uscire insieme. Non era un appassionato di appuntamenti, ma un po’ di sesso gli piaceva eccome.

    In quel momento era seduto al tavolo della cucina, la SIG a pezzi, mescolati agli strumenti per la pulizia. Ingrassò le guide, rimise il carrello, lo tolse e pulì le guide di nuovo con gesti automatici. Lo aveva fatto migliaia di volte e aveva scoperto che lo tranquillizzava.

    Tranquillo, ecco come ci si aspettava che fosse. A quanto pareva, se mentre eri in servizio ti aggrediva un presunto serial killer che amava conservare i pezzi dei cadaveri nel congelatore, ti dicevano che avevi problemi comportamentali e che dovevi prenderti del tempo per pensare e riposare.

    Ma quello di cui aveva davvero bisogno era una distrazione. Quindi, okay, non avrebbe più pensato di chiedere alla Rossa di uscire. L’avrebbe fatto e basta. Magari aveva un debole per i detective della Omicidi dall’aria rude, che erano possessivi nei confronti delle proprie cose ma cercavano di imparare a condividerle.

    In realtà, a Levi non interessavano le avventure di una notte e desiderava davvero un legame serio. E qualunque cosa pensassero gli altri, sapeva sorridere.

    Un forte colpo alla porta gli fece alzare la testa di scatto. Probabilmente era un altro vicino che gli chiedeva di nasconderlo dagli sbirri o che gli diceva che la fine era vicina. «Smammate. Non c’è nessuno.»

    Un altro colpo, questa volta più forte, più insistente. «Non mordo» disse una voce femminile. «Almeno non troppo spesso.»

    Gli piacque quella voce. Morbida e dolce, ma determinata. Però una persona intelligente non si offriva di mordicchiare gli estranei.

    Con gesti rapidi, rimise insieme la pistola e la infilò nella cintura dei pantaloncini da corsa, sulla schiena. Il peso li tirava giù, cosa che non era mai un bene, soprattutto quando si è a petto nudo. L’ospite non invitata probabilmente avrebbe dato una sbirciatina ai suoi gioielli, ma una volta che avesse finito con lei, avrebbe avuto preoccupazioni peggiori. Quella tizia doveva imparare le conseguenze di quel genere di comportamento.

    Ma... a quel punto guardò nello spioncino e vide la

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