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Dirty Prince
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E-book167 pagine2 ore

Dirty Prince

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Info su questo ebook

Fynn
Ho intravisto l'ombra di una donna con la coda dell'occhio durante l'esecuzione di una pena di morte.
Avrebbe potuto essere una spia, quindi non ho avuto scelta se non seguirla.
Ho saputo subito che sarebbe diventata mia. 


Anya
Sto solamente cercando di sopravvivere a questa maledetta guerra.
Quando ho sentito delle voci di uomini dall'altra parte del recinto, non ho potuto fare a meno di esserne incuriosita.
Il suono di spari mi ha fatto tornare di corsa al mio campo. Non mi sarei mai aspettata di essere seguita.
Ora questo meraviglioso estraneo mi sta ordinando di andare con lui. Dice che l'unico modo per salvarmi è mettermi incinta. Non sono mai stata con un uomo, ma quando mi guarda con quegli occhi famelici, è difficile dire di no. E non aiuta il fatto che sia un principe stupendo.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita17 gen 2019
ISBN9781547565535
Dirty Prince

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    Anteprima del libro

    Dirty Prince - Sky Corgan

    CAPITOLO UNO

    ANYA

    ––––––––

    La guerra è un inferno. Specialmente quando si è dalla parte dei perdenti.

    Guardo i miseri avanzi dentro alla mia borsa di pelle consunta ed emetto un lamento tra me e me. Due barattoli di fagioli fritti a basso contenuto di sodio, una scatola aperta di popcorn al formaggio scaduti con solamente due buste rimanenti, un barattolo di sardine ed una scatola aperta di barrette di granola stantie e scadute. Avrei potuto finire nei guai per aver rubato dalla borsa se non fosse già stata aperta. È anche vero che, immagino, molti di noi aprono le borse che possono essere aperte anche se non sono già aperte per ricevere del cibo extra per i nostri sforzi. Cerco di non farlo, sapendo che non sono l’unica affamata del campo. So che ogni boccone che faccio significa negare a qualcuno la propria porzione per sopravvivere.

    Per quanto io sia riuscita a mettere le mani su poco cibo, le sardine saranno ambite. Il cibo è scarso, ma le proteine lo sono ancora di più. Forse essere riuscita a reperirle mi risparmierà la ramanzina.

    Non è colpa mia se il nostro settore è per la maggior parte privo di risorse. Non siamo stati i primi ad arrivarci. Lo capisco dagli armadietti aperte dentro alle case che abbiamo visitato. A volte ti viene affidato un lotto di merda quando ti comporti male.

    Forse sto esagerando, penso con un sospiro fissando un’altra credenza vuota. Sono tornata al campo a mani vuote per due giorni di fila, e nessuno ha detto nulla. Eppure, mi sento come se non stessi facendo abbastanza. Gli altri ricercatori sembrano sempre recuperare più di me, anche solamente di un barattolo o due. Mi chiedo se alla fine al campo penseranno mai di cacciarmi. Non posso permettere che ciò accada.

    Sento le lacrime bruciarmi gli occhi mentre chiudo l’anta della credenza e mi ci appoggio, osservando il caos intorno a me. un tempo questa casa deve essere stata bellissima. La cucina ha i ripiani in marmo e le piastrelle. Le credenze sono tutte di acciaio inossidabile. Rovisto tra gli utensili sparpagliati sul pavimento della cucina, poi evito il vetro rotto nel soggiorno, gettando un’occhiata ai graffiti sul muro e ai mobili fatti a brandelli prima di dirigermi verso l’uscita.

    Sapevo che non ci sarebbe stato nulla qui dentro quando sono entrata, ma il mio obiettivo sono sempre le case che sono ovviamente vuote. Non sai mai chi potrebbe esserci dall’altra parte di una porta chiusa a chiave. Potrebbe esserci un ribelle, un soldato, potrebbe esserci qualcuno che cerca di sopravvivere come me. E sebbene io non possieda alcunché di valore, ho ancora la mia vita. Mi piacerebbe tenerla, se potessi, il più a lungo possibile.

    Probabilmente è questo il motivo per il quale gli altri ricercatori riescono sempre a reperire più cibo di me. Capiscono la gravità della nostra situazione. Sono... altruisti. Sono anche per la maggior parte uomini, quindi buttare giù le porte non è un grosso problema per loro. E non devono fare i conti con la paura di essere stuprati.

    Mi fermo in piedi sull’uscio e guardo il cielo. Il sole sta calando all’orizzonte, sebbene mi rimangano ancora un’ora o due di luce. Guardo alla mia sinistra e poi alla mia destra. Questo quartiere è una discarica. La maggior parte delle persone sono fuggite quando le truppe straniere ci hanno invasi. Coloro che sono rimasti si sono uniti alla ribellione oppure sono andati in un campo profughi come il mio. Se è rimasto qualcuno in questo quartiere, si tratta di coloro che sono rimasti indietro – lupi solitari che cercando di farcela da soli. Non sono il tipo di persone che vorresti incontrare. Sono molto inclini alla sopravvivenza e ucciderebbero senza pensarci due volte per proteggere ciò che appartiene loro. Ecco perché rimangono in vita.

    Devo decidere se continuare a cercare o tornare al campo. Sospiro guardando in fondo alla strada. Ho visitato abbastanza case in questo quartiere per sapere che qui non c’è nulla. Ce n’è una in cui non sono riuscita ad entrare poiché era chiusa con delle assi di legno. Si trova due isolati indietro. Ce ne sono altre tre che sono bloccate. In una riuscivo a sentire dei rumori provenire dall’interno. Me ne sono andata il più in fretta possibile. Nelle altre due non si sentivano rumori, ma non significa affatto che non avrebbe potuto esserci qualcuno all’interno. Se è rimasto del cibo in questo quartiere, sicuramente è in una di quelle tre case. Quella occupata è assolutamente fuori questione, ma le altre tre...

    Alzo il cappuccio della mia giacca nera consunta per proteggermi dal freddo e nascondere il viso. Poi sistemo la tracolla della mia borsa per sentirmi più comoda prima di immettermi nella strada, rimanendo il più vicino possibile ai recinti delle case. Se i militari dovessero passare, mi prenderebbero sicuramente.

    L’ultima casa bloccata in cui sono incappata si trovava alla fine della strada. Mi avvicino guardinga alla porta della casa ancora una volta e agito un po’ la maniglia prima di poggiare l’orecchio alla porta per sentire se dall’interno provengano dei segni di vita. Ho precedentemente controllato la porta sul retro, quindi so che anche quella è chiusa a chiave. A volte se la porta principale è chiusa quella sul retro è aperta.

    Non sento nulla.

    La me stessa prima della guerra pensa di bussare. Ma a cosa servirebbe se non a mettere in allerta le persone all’interno facendo loro prendere le armi e prepararsi a difendere le loro risorse? O forse, se fossi fortunata, si sparpaglierebbero per andare a nascondersi – uscendo dalla porta sul retro o andando nell’attico pregando di non essere scoperti.

    Scendo gli scalini e prendo una delle decorazioni che adorna un letto di fiori. Si tratta di un sasso in ceramica dipinto con dei piccoli fiori gialli e rosa. Sul davanti campeggia la scritta Sia Benedetta la Nostra Casa. Probabilmente non si sentono così benedetti ad essere scappati dalla propria casa, penso sentendo il peso della decorazione nella mia mano. Sinceramente, non so quale delle due cose si romperà per prima, il sasso o la finestra.

    Mi piego in avanti e cerco di sbirciare dentro la casa. Le tende sono tirate, quindi non riesco a capire chi o cosa c’è all’interno. Ciò rende le cose un po’ più rischiose. Il cuore mi batte all’impazzata al pensiero di dovermi battere con qualcuno.

    Faccio qualche passo indietro e piego il braccio. Se ci fosse qualcuno attorno, il rumore della finestra rotta potrebbe attirarlo qui. Anche questo è un rischio.

    Sento il cuore battermi nelle orecchie. Tamburi di guerra. Lo sparo ritmico di un fucile. Riesco a sentire il sangue pompare in ogni fibra del mio corpo. Il mio subconscio mi sta dicendo che si tratta di una cattiva idea. Qualcuno uscirà dalla casa per attaccarmi. Oppure, qualcuno uscirà fuori da un nascondiglio per catturarmi. Si tratta di pensieri selvaggi scaturiti dalla paura. Non è che non l’ho mai fatto prima. Ma prima, ero insieme ad un gruppo che insegnava come fare i ricercatori. Ero un’ombra. Mi sentivo più sicura con qualcun altro accanto. Ora che sono sola...

    Il sasso non abbandona la mia mano. Il braccio non ne vuole sapere di fare il movimento necessario per lanciare la pietra. Rimango congelata nel tempo per quelli che mi sembrano essere cinque minuti ma che probabilmente sono soltanto una manciata di secondi, poi abbasso il braccio e ammetto la sconfitta, guardando un’ultima volta la decorazione che ho in mano prima di farla scivolare dalle dita.

    Colpisce il terreno con un rumore sordo ed io la fisso delusa. Delusa da me stessa. Sono una delusione. Due barattoli, una scatola, e una borsa di cibo. Non è abbastanza per nutrire un campo di venti persone. E aumentiamo di numero ogni settimana.

    Così non va. Scuoto la testa parlando con me stessa. Devo pensare a qualcos’altro.

    Mi allontano dalla casa, sebbene io non sia del tutto certa di dove andare. Non al campo. Non con così poco da mostrare.

    Forse dovrei scappare, prendere ciò che ho nella borsa e cercare di sopravvivere con esso il più a lungo possibile. Diventare un lupo solitario. Aspettare che la guerra finisca.

    Ma chi voglio prendere in giro? Non durerei una settimana da sola. Potrei essere in grado di reperire del cibo, ma l’acqua è una risorsa ancora più scarsa. Almeno quella è presente nel campo, per ora, grazie ad uno dei ragazzi che ha a disposizione l’attrezzo necessario per aprire un idrante.

    No, devo tornare indietro. Però non voglio.

    Decisa di fare di meglio, vado oltre al settore assegnatomi. I quartieri però non vanno bene. Sono stanca di fare dentro e fuori dalle case, di camminare in mezzo ai vetri rotti solamente per vedere le ante delle credenze distrutte e sentire quella sensazione di peso allo stomaco sapendo che la casa è già stata saccheggiata. Avrei una maggior fortuna se trovassi un centro commerciale, un supermercato, qualunque cosa che abbia a disposizione una grossa quantità di cibo. O almeno credo. Mi immagino tornare al campo con una borsa piena zeppa di prodotti a lunga scadenza e un rapporto circa il luogo dove reperire cibo per un mese. Sarei un eroe.

    Un eroe. Penso in tono di scherno. Un eroe ha mai avuto meno direzioni di me in questo momento? Non conosco molto questa zona. Non ci sono mai stata molto prima della guerra. Ma so che se continuo a camminare dritta tra i quartieri, alla fine dovrei trovare la strada principale dove si trovano dei negozi. Solamente non so quanto tempo ci vorrà. Non so nemmeno se riuscirò a raggiungerla per quando farà buio. Ma so che non tornerò indietro prima di allora.

    Dovrò accamparmi da qualche parte al buio. Il pensiero mi spaventa. Non è tanto il buio quanto l’essere da sola. È strano a pensarci. Essendo orfana sono sempre stata da sola. Anche dopo essere stata adottata mi sono sempre sentita sola. Essendo la minore di sei, fui trattata come un giocattolo per circa un mese prima di mischiarmi nel gruppo. Non do la colpa ai miei genitori adottivi. Non esattamente. Cercavano di essere delle brave persone. Avevano già adottato due ragazzi disabili molto prima di me, uno affetto da sindrome di Down e uno tetraplegico. Non capirò mai perché adottassero persone con una tale responsabilità. Una volta la mia madre adottiva mi disse che è perché avevano molto amore da dare. Forse è vero, ma certamente non avevano abbastanza tempo. Noialtri eravamo per la maggior parte ignorati a favore dei due fratelli più sfortunati. Ci veniva dato poco più di un tetto sopra la testa e del cibo per tenerci in vita. Quando uno di noi compì diciotto anni e lasciò il nido familiare, i nostri genitori adottarono un altro bambino. A casa era un ciclo continuo di reietti. Si potrebbe pensare che, provenendo tutti da background simili, tra noi fratelli si sarebbe dovuto creare un forte legame. Non era così. Eravamo più simili a dei compagni di stanza che occupavano lo stesso spazio senza mai farsi gli affari degli altri. Non posso nemmeno dire di essere stata amica di qualcuno di loro.

    Quando compii sedici anni, trovai lavoro in un fast food della zona avendo in mente di risparmiare dei soldi per trasferirmi una volta compiuti diciotto anni. I miei voti risentivano del mio impegno nel lavoro. All’ultimo anno di liceo, passai più tempo al lavoro che a scuola e, alla fine, la abbandonai. Quando compii diciotto anni, non ci fu alcun saluto strappalacrime quando me ne andai di casa e lasciai indietro i miei fratelli. Essendo sempre stata poco a casa, ero praticamente un’estranea per i miei nuovi fratelli. I miei genitori sorrisero, orgogliosi più di loro stessi che di me per il fatto di essere riusciti a mandare un altro figlio in società. Non cercarono nemmeno di rimanere in contatto con me una volta che me ne andai.

    Ho praticamente sempre avuto compagni di stanza, quindi è stata quella la scelta ovvia una volta andatamene finalmente via di casa. Mi trasferii in un bilocale con una delle mie colleghe di lavoro. Quando non era al lavoro faceva delle grandi feste in salotto, così mi chiudevo in camera mia per cercare di evitarle. Le droghe mi erano sempre sembrate uno spreco di soldi. Mettevo da parte la maggior parte di quello che guadagnavo, anche se non sapevo nemmeno per cosa lo facessi.

    Guardando indietro, ero perfettamente felice della mia vita di merda. Lavorare costantemente mi dava qualcosa da fare. Potevo ascoltare la mia coinquilina la notte attraverso le pareti come intrattenimento. Andavo a dormire sapendo che nella stanza accanto si trovava un corpo caldo. Mi sentivo

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