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H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I
H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I
H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I
E-book66 pagine1 ora

H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I

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Info su questo ebook

La paura, l'occulto, la fantascienza. Storie di mostri e creature, dalle profondità del mare e della terra, che agiscono in una realtà parallela alla nostra, così vicina da sfiorarsi e fondersi. E se quello che più ci spaventa, il mostro sotto il letto, non fosse così irreale come crediamo?Elementi fantastici e di horror classico si mescolano per dare vita a un universo incredibile, oscuro e ammaliante. In questa raccolta sono presenti tutti i simboli, le ambientazioni, le tematiche e i personaggi che hanno reso H.P. Lovecraft uno degli autori dell'orrore più amati della letteratura mondiale.In questo primo di sei volumi troverete cinque storie: "La città senza nome", "La visione del caos", "La rovina di Sarnath", "Il divoratore di spettri" e "L'orrore di Martin's Beach".-
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2021
ISBN9788726886856
Autore

H. P. Lovecraft

H. P. Lovecraft (1890-1937) was an American author of science fiction and horror stories. Born in Providence, Rhode Island to a wealthy family, he suffered the loss of his father at a young age. Raised with his mother’s family, he was doted upon throughout his youth and found a paternal figure in his grandfather Whipple, who encouraged his literary interests. He began writing stories and poems inspired by the classics and by Whipple’s spirited retellings of Gothic tales of terror. In 1902, he began publishing a periodical on astronomy, a source of intellectual fascination for the young Lovecraft. Over the next several years, he would suffer from a series of illnesses that made it nearly impossible to attend school. Exacerbated by the decline of his family’s financial stability, this decade would prove formative to Lovecraft’s worldview and writing style, both of which depict humanity as cosmologically insignificant. Supported by his mother Susie in his attempts to study organic chemistry, Lovecraft eventually devoted himself to writing poems and stories for such pulp and weird-fiction magazines as Argosy, where he gained a cult following of readers. Early stories of note include “The Alchemist” (1916), “The Tomb” (1917), and “Beyond the Wall of Sleep” (1919). “The Call of Cthulu,” originally published in pulp magazine Weird Tales in 1928, is considered by many scholars and fellow writers to be his finest, most complex work of fiction. Inspired by the works of Edgar Allan Poe, Arthur Machen, Algernon Blackwood, and Lord Dunsany, Lovecraft became one of the century’s leading horror writers whose influence remains essential to the genre.

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    H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I - H. P. Lovecraft

    H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I

    Translated by Librinpillole

    Original title: H. P. Lovecraft – Storie di Paura vol I

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © -, 2021 H. P. Lovecraft and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9,7887268869e+12

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com

    La città senza nome

    Quando mi avvicinai alla città senza nome capii che era maledetta. Viaggiavo, sotto la luna, per una valle terribile e riarsa, e la vidi affiorare sinistramente dalle sabbie, come i pezzi di un cadavere potrebbero affiorare da un sepolcro inadeguato. Le pietre corrose di quella veneranda superstite del diluvio, di quella bisnonna della più vecchia piramide, parlavano di paura, e un'aura invisibile mi respinse, mi ordinò di ritirarmi da quel luogo di segreti che nessun uomo dovrebbe vedere, e nessuno infatti aveva visto.

    Remota nel deserto d'Arabia giace la città senza nome, rovinosa e caotica, le basse mura quasi sepolte dalle sabbie di età infinite. Dev'essere stata così già prima che l'uomo ponesse le prime pietre di Menfi, già prima che venissero cotti i mattoni di Babilonia. Nessuna leggenda è così antica da risalire fino ad essa per darle un nome, o per ricordare che fu mai viva un giorno; ma se ne parla in sussurri attorno ai fuochi di campo, e le vecchie ne mormorano nelle tende degli sceicchi, così che tutte le tribù la evitano senza sapere perché. Di questo luogo sognò il poeta pazzo Abdul Alhazred la notte prima di cantare il distico inesplicabile: Non è morto ciò che in eterno può attendere E col passar di strani eoni anche la morte può morire.

    Avrei dovuto sapere che gli arabi avevano buone ragioni per evitare la città senza nome, la città di cui si parla in strani racconti ma che nessun uomo vivo ha mai veduto, eppure non ne tenni conto e proseguii col mio cammello per quella distesa inviolata. Solo io l'ho vista, e questa è la ragione per cui nessun volto reca i segni orribili della paura che porta il mio, e nessun altro uomo trema come me quando il vento notturno batte sui vetri delle finestre. Quando la trovai, nella spettrale immobilità del suo sonno infinito, essa mi guardò, fredda sotto i raggi della luna in mezzo al calore del deserto. E quando le restituii lo sguardo dimenticai il trionfo della scoperta e fermai il mio cammello, deciso a non proseguire prima dell'alba.

    Aspettai per ore, finché a oriente il cielo divenne grigio e le stelle impallidirono, e il grigio si mutò in luce rosata dalle sfumature d'oro. Udii un gemito e vidi un vortice di sabbia aggirarsi fra le antiche pietre: ma il cielo era limpido e le vaste distese del deserto immobili. Improvvisamente all'orizzonte spuntò l'orlo infuocato del sole, che io vedevo attraverso il velo della sabbia vorticante, e nello stato febbrile in cui mi trovavo immaginai di udire da profondità remote un inno musicale e metallico rivolto all'astro in segno di saluto, simile a quello che Memnone gli indirizza dalle sponde del Nilo. Le orecche mi rintronavano e la mia immaginazione ribolliva mentre guidavo lentamente il cammello verso quel luogo quieto, quel luogo che solo io fra tutti i viventi ho veduto.

    Vagai dentro e fuori le fondamenta informi di case e edifici, ma non trovai un solo rilievo, una sola iscrizione che parlasse degli uomini (se di uomini si trattava) che avevano costruito la città e ci avevano vissuto in un tempo così remoto. L'antichità del luogo era malsana, e io mi augurai d'incontrare un segno o uno strumento che rivelassero l'umanità dei costruttori; ma c'erano proporzioni e dimensioni, in quelle rovine, che non mi piacevano. Avevo con me attrezzi d'ogni genere, e con essi scavai nei muri degli edifici dimenticati, ma i progressi erano lenti e non scoprii nulla di significativo. Quando venne la notte e tornò la luna si levò una brezza fredda che mi riempì di paura, sicché non osai rimanere nella città. E quando mi lasciai alle spalle le antiche mura per andare a dormire un piccolo vortice di sabbia si levò gemendo dietro di me, soffiando sulle pietre grigie, sebbene la luna fosse limpida e il resto del deserto immobile.

    Mi svegliai all'alba da un groviglio di sogni mostruosi, le orecchie riem- pite da una specie di concerto metallico. Vidi il sole occhieggiare attraverso gli ultimi vortici della piccola tempesta di sabbia che s'era levata sulla città senza nome, e la luce rossa dell'astro rivelò che il resto del paesaggio era del tutto tranquillo. Di nuovo mi avventurai fra le rovine che giacevano sulla sabbia simili a un orco sotto un mantello, e di nuovo

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