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Figli del tempo
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E-book298 pagine4 ore

Figli del tempo

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Info su questo ebook

Francia, un ventennio prima della rivoluzione francese.
Un uomo consegna una bambina ancora in fasce alla madre superiora del monastero di Rouen, imponendole di allevarla e proteggerla dal mondo esterno. Paula, suora devota e obbediente, non può rifiutare il compito affidatole e, ignara delle verità nascoste nell’anima della bambina e del destino che l’attende, seguirà la sua crescita, costantemente osservata da un misterioso Ordine con radici millenarie. Marie, divenuta adulta, cercherà di ricostruire i tasselli mancanti della sua esistenza, in un intricato mosaico del quale Michael Ratempourt costituirà una parte essenziale, accompagnandola in un percorso costellato di ostacoli e pericoli, insiti nei loro nemici quanto in lei stessa.
La ricerca della verità la spingerà ad aprire porte sconosciute, dietro le quali il confine tra l’umano e l’invisibile si confonde inesorabilmente.

Marta Useli è nata in Sardegna, dove tuttora vive con il marito e gestisce la propria agenzia immobiliare. 
La passione per la lettura l’ha accompagnata sin dall’infanzia, amore tradotto nel piacere della scrittura durante l’adolescenza. Solamente in età più adulta decide di dare vita a un romanzo, frutto di un percorso interiore basato sull’interesse per tutto ciò che è definibile come misterioso ed esoterico.  
Figli del Tempo è il primo volume di una trilogia di prossima pubblicazione. 
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2023
ISBN9788830682580
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    Anteprima del libro

    Figli del tempo - Marta Useli

    useli_LQ.jpg

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7834-7

    I edizione aprile 2023

    Finito di stampare nel mese di aprile 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Figli del Tempo

    Marie

    Nuove Voci – Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    A tutti coloro che sanno viaggiare con l’anima, certi che l’assenza di una mèta sia il meraviglioso traguardo da scoprire.

    Ringraziamenti

    A mio marito Marco, forte sostenitore di ogni mio desiderio, capace di comprendermi con il suo amore privo di confini.

    Alle persone che nel tempo mi hanno aiutato a credere nella possibilità di poter raccontare qualcosa attraverso le parole.

    Ai miei genitori, senza di voi il fuoco della mia creatività non avrebbe continuato a danzare libero ed eterno.

    CAPITOLO 1

    Rouen, 1760

    Le lisce pietre che ricoprivano le strade di Rouen riflettevano i raggi della luna, frammentandoli uno ad uno sulla loro superficie. Come un viale d’argento, una miriade di bagliori iridescenti ricopriva in modo surreale le vie del centro, che lentamente scivolava verso la parte più profonda della notte, avvolto dal silenzio delle botteghe chiuse e delle finestre sbarrate sopra di esse.

    Solo il suono di alcuni passi interrompeva quella quiete; risuonavano sulle pietre, nascosti sotto i lembi del mantello di una figura solitaria che percorreva le strette stradine con passo deciso, muovendosi silenziosamente tra i meandri di case e ciottoli; lo sconosciuto attraversò lo stretto arco che conduceva alla piazza principale della città e qui, senza alcuna apparente ragione, si fermò. Chiuse gli occhi per alcuni istanti, inspirando profondamente.

    L’aria era piacevolmente fresca, intrisa dell’umidità tipica dell’arrivo dell’estate sulle terre aspre e selvagge dell’alta Normandia. Quel magico composto di terra rurale e maestose distese di mare scuro, sapeva ammaliarlo ancora, a distanza di molti anni, con la sua bellezza indomabile e antica.

    … Amata terra, figlia della Luce e delle Ombre…

    Egli amava definire così il luogo in cui era nato, e verso il quale provava un primitivo senso di appartenenza e dedizione, percepita oltre ogni umana concezione dell’appartenenza stessa. Ogni tratto della sua vita era scritto tra quelle colline aspre e avvolgenti; un’esistenza, la sua, profondamente densa di tutto ciò che la maggior parte delle persone non avrebbe mai sperimentato. Quel tutto era impresso nella sua anima, come un marchio indelebile, definibile eterno, a tratti, in quella che era la percezione di se stesso e di quei luoghi.

    Osservò le opere d’arte che lo circondavano, lasciandosi incantare dal suono della fontana situata alla base del beffroi, ornata da protagonisti mitologici ed immortali.

    Luigi

    XV

    aveva fatto quello splendido dono alla città di Rouen in segno della sua benevolenza, ed aveva inoltre colto l’occasione per simboleggiare se stesso nelle forme di Cupido in volo sulla ninfa Aretusa ed Alfeo. Il Bìen Aimé, così chiamato nonostante il suo disastroso regno fantasma, possedeva - senza dubbio alcuno - una considerevole passione per la bellezza quanto per le guerre… E gli omicidi di innocenti, inevitabile conseguenza di ogni guerra di conquista...

    Un improvviso suono metallico colpì l’aria, distogliendolo dalle lugubri riflessioni nelle quali si era addentrato. Si volse per osservare le lancette del Gros Horloge: era infine giunta l’ora nella quale avrebbe dovuto separarsi dal suo preziosissimo bagaglio, se così poteva definirlo. Aprì un lembo del mantello, per controllare che fosse ben saldo sul suo petto e, dopo essersi accertato che nessuno lo stesse seguendo, si diresse verso l’imponente costruzione il cui profilo si stagliava solitario rispetto alla città sotto di essa.

    Mentre percorreva gli ultimi passi che lo separavano dalla sua mèta, ripensò con soddisfazione agli accadimenti che lo avevano condotto sino a quel luogo. Ogni cosa era andata come progettato. Non vi erano stati né intralci, né pericoli di alcun tipo poiché si era affidato esclusivamente al proprio istinto. Questo era ciò che gli era stato insegnato molto tempo addietro ed egli si era sempre attenuto alla Regola, unica fedele compagna della sua vita.

    Nel frattempo, delle pesanti nubi, che presagivano l’arrivo di un violento temporale, si erano addensate minacciosamente, oscurando la flebile luce della luna. L’uomo affrettò il passo; salì rapidamente gli scalini della struttura sulla quale incombeva l’antica torre che ne dominava l’ingresso, poi, giunto di fronte al portone adorno di figure angeliche, sollevò il pesante maniglione, facendolo risuonare contro il metallo.

    … Una

    … Due

    Tre volte.

    Il suo corpo era teso e pronto all’azione, la sua mente lucida; una mano era stretta sull’elsa della spada ben nascosta sotto le pieghe del mantello, l’altra attorno a ciò che doveva proteggere a costo della propria vita.

    Passarono lunghi secondi di assoluto silenzio, poi, tre suoni sordi provenienti dall’interno ruppero l’attesa: era il segnale di riconoscimento concordato. Una flebile lama di luce si fece spazio nell’ombra della scalinata, rivelando il volto di colei che lo attendeva.

    La donna lo invitò ad entrare con un cenno del capo, richiudendo con attenzione il portone alle loro spalle. L’uomo passò in rassegna con lo sguardo lo spazio attorno a loro e, solo dopo essersi accertato che fossero soli, concentrò la sua attenzione sulla figura esile e minuta che lo fissava con un’espressione colma di timore e aspettativa.

    «Non qui. Seguitemi Paula» ordinò intuendo la silenziosa domanda della donna. Quest’ultima trasalì sentendolo pronunciare il suo nome, ma obbedì senza porre domande. Era ovvio che loro lo conoscessero, loro conoscevano ogni cosa… Ad ogni passo lungo le navate del chiostro, poteva percepire nitidamente il proprio cuore battere furiosamente nel petto. Si sentiva sopraffatta dalla sensazione che provava nel trovarsi così vicino a qualcuno che incarnava tutto ciò in cui aveva sempre creduto, qualcuno le cui origini erano figlie di una leggenda millenaria.

    L’uomo raggiunse l’ampia corte circolare, sedendosi su una spoglia panchina di marmo, defilata rispetto alle altre e con un rapido cenno, invitò la donna a fare lo stesso.

    «Non ho molto tempo da dedicarvi, sorella» la esortò spazientito, notando la sua titubanza. Dopo alcuni istanti di ulteriore esitazione, Paula prese posto accanto a lui, in attesa. Cercò di distrarsi dal crescente senso di inquietudine, concentrandosi sui lineamenti dell’uomo; la scarsa illuminazione non le permise però di avere una visione complessiva del suo volto, ad eccezione di una profonda cicatrice che correva dallo zigomo sinistro fin sotto al mento. Distolse lo sguardo turbata, sentendosi inopportuna, e incrociò così gli occhi dell’uomo, incredibilmente scuri e magnetici, fissi su di lei.

    «Non sono qui per farvi del male». Il tono di voce basso e rassicurante dello sconosciuto ebbe l’effetto di dissipare in parte il suo nervosismo.

    «So che siete a conoscenza del fatto che questa notte avreste ricevuto una visita da parte di un emissario dell’Ordine». Paula annuì, chinando il capo nel sentire pronunciare quella parola.

    «Ciò che ignoravate, è la ragione di questa visita». L’uomo fece una pausa, scrutando la donna con attenzione, poi proseguì: «È necessario che voi custodiate per noi qualcosa di molto prezioso». Paula alzò il viso di colpo, lo sguardo attento.

    «Non esiste posto più sicuro di questo nell’intero territorio di Francia, mia giovane sorella, e non esiste persona più adatta di voi per il compito che vi attende».

    Le aveva parlato lentamente, fissandola diritto negli occhi. La donna chinò nuovamente il capo sotto quello sguardo, ed il pesante velo che indossava le coprì parte del volto. Non comprendeva a quale compito lo straniero si riferisse, tanto più che non aveva mai considerato il proprio monastero al pari di una fortezza inespugnabile. Non ne aveva mai avuto motivo, per lo meno sino a quel momento.

    «Guardatemi, Paula».

    Nonostante l’invito gentile, un’improvvisa paura le ghermì la bocca dello stomaco, come una spiacevole sensazione di attesa verso qualcosa di ignoto e pericoloso. Si fece coraggio, sollevando lo sguardo, e ciò che vide, la lasciò senza parole.

    «Mio Signore!» disse coprendosi la bocca con la mano. Non voleva pronunciare il nome di Dio invano ma le sfuggì dalle labbra non appena vide cosa custodivano le imponenti braccia dello sconosciuto: una bambina dormiva profondamente tra di esse, saldamente legata al petto dell’uomo, una creatura ancora in fasce il cui viso possedeva dei lineamenti così particolari da imprimersi in un solo istante nella mente della donna, come un imprinting inverso da madre a figlio.

    Tese una mano, calamitata verso di lei, per sfiorarne con delicatezza una guancia. Poi, con il viso corrucciato, la ritrasse di colpo, rendendosi conto, con quel semplice contatto, che ciò che aveva di fronte era reale. E questa consapevolezza, al contempo, rivelò ai suoi occhi la natura del compito che le sarebbe stato affidato.

    «Crescerete la bambina in questo luogo di pace, come accade a molti orfani in monasteri simili al vostro. La crescerete nella fede, istruendola e proteggendola attraverso la vita serena che le offrirete». Fece una pausa che a Paula parve lunghissima. «Vi occuperete di lei onorando così il vostro voto di totale obbedienza all’Ordine. Noi vi forniremo il giusto sostegno materiale» precisò, «ma per quanto riguarda la sua crescita interiore, dovrete affidarvi esclusivamente al vostro istinto».

    «Come posso crescere una bambina? Io non ho alcuna esperienza, mio signore, sono una semplice sposa di Cristo che conduce una vita ritirata, dedita alla preghiera e null’altro» obiettò la donna con tono esitante, quasi supplichevole.

    «Sono certo che saprete trovare il modo». Quelle parole, sebbene mitigate dal tono gentile, avevano il suono di un rigoroso ordine.

    «Voi quindi… non mi aiuterete? Con chi potrò condividere tutto questo?» domandò con voce flebile, mentre indicava la bambina. L’uomo stette in silenzio, in apparente riflessione.

    «Per quanto io possa comprendere la vostra necessità di confidarvi con qualcuno, ricordate che nessuno dovrà mai venire a conoscenza del nostro incontro». Lo sguardo dello sconosciuto si fece d’improvviso tagliente: «Per quanto mi riguarda, sarò per voi nient’altro che un fuggevole messaggero, un esprit de la nuit da relegare al passato. Nulla dovrà essere raccontato alla giovane donna che diverrà» ribadì con fermezza.

    Paula era visibilmente scossa. Riusciva a contenere a stento il tremore che si era impadronito delle sue mani fredde, strette attorno al rosario sotto la veste. Avrebbe dovuto mentire, pensò, mentire e ancora mentire. E se questo già le creava dei dissidi interiori, ancor di più gliene creava la presenza di quella bambina.

    Erano stati molteplici i pensieri che l’avevano accompagnata non appena ricevuto l’avviso, circa due settimane prima.

    Quella semplice lettera, recapitata al monastero da un ragazzino appena adolescente, riportava poche sintetiche parole e nessun sigillo di riconoscimento, particolare che identificava la segretezza della missiva e soprattutto, la sua appartenenza. Le tre parole in latino poi, avevano costituito ai suoi occhi la prova fondamentale.

    OCCULTIS PRIMUM LUNAE

    Paula aveva subito compreso che l’incontro sarebbe avvenuto nel primo giorno di luna piena.

    Era sempre stato così. In quegli anni, nei quali aveva servito l’Ordine, le era capitato di dover fornire protezione a degli sconosciuti, stranieri di passaggio, il cui volto - e ruolo all’interno della congrega - non dovevano e non potevano riguardarla. C’era un luogo, dentro le mura del monastero, al quale potevano accedere liberamente e nel quale veniva loro fornito tutto il necessario per una breve permanenza. Quale fosse la ragione di quella necessità, non le era dato saperlo; il suo compito si era sempre limitato a rendere possibile l’accesso, dopo aver ricevuto le comunicazioni. Ciò che le veniva richiesto ora, invece, era assolutamente fuori dalla sua portata.

    Dopo aver letto la missiva e averne tradotto il significato, aveva trascorso i giorni successivi domandandosi come sarebbe avvenuto l’incontro; l’unica certezza era che il luogo sarebbe stato, come sempre, il monastero. Aveva atteso pazientemente tutto il giorno, e solo quando ormai credeva si fosse trattato di un errore di interpretazione, aveva udito quei tre suoni…

    Improvvisamente l’uomo le porse la bambina, interrompendo lo scorrere delle sue riflessioni.

    Paula la accolse meccanicamente, seppure in modo riluttante, tra le braccia. La sua mente era in subbuglio, preda di un caos irrazionale, diviso tra l’istinto di protezione che già provava per la creatura, e il desiderio di preservare la sua vita così come la conosceva. Infinite domande si accavallavano l’una dietro l’altra, insistenti sul fatto che il suo concetto di esistenza, come l’aveva desiderata e scelta coscientemente molti anni prima dinanzi ad un altare, sarebbe cambiato ineluttabilmente.

    «Non vi è altro che necessitiate conoscere Paula, se non ciò che provate in questo momento». L’uomo le posò entrambe le mani sulle spalle, facendola sentire ancora più minuta e schiacciata sotto il peso di quella nuova responsabilità.

    «Non ci è mai dato di vivere qualcosa che non sia proporzionale alla nostra capacità di sopportarlo, sorella. Il vostro cuore conosce l’amore e sa donarlo con verità e dedizione. La vostra fede è incrollabile ed è l’unica cosa di cui avrete davvero necessità». Quelle parole suonarono a Paula come un’irrevocabile sentenza di mutamento, necessario per un bene superiore. Se l’Ordine aveva deciso che lei era la persona adatta per crescere quella misteriosa bambina, così sarebbe stato. Si fece forza, raccogliendo tutto il coraggio che sentiva di possedere.

    «Sono onorata di servire la Regola, mio signore». Pronunciò quelle parole cercando di imprimergli la convinzione che doveva necessariamente trovare in se stessa.

    L’uomo annuì, sorridendo impercettibilmente.

    «La nostra fiducia è ben riposta in voi».

    Si soffermò per un lungo istante ad osservarla, poi si allontanò , sparendo tra le colonne del chiostro.

    Paula si sentì pervadere da una sensazione di benessere, come se il tocco e il profondo sguardo di quello sconosciuto, avessero in parte dipanato la profonda nebbia dei suoi dubbi.

    «Aspettate!».

    Corse per raggiungere l’ingresso, spalancando con foga il portone, ma ciò che vide fu solo una pioggia incessante e fredda. Non c’era alcuna traccia dell’uomo; era come se fosse improvvisamente sparito, esattamente come si era definito… uno spirito nella notte, dissolto tra le ombre della città, e nelle misteriose vie del destino.

    «Grazie… maestro» bisbigliò, mentre richiudeva il portone. La consapevolezza che non l’avrebbe più rivisto fu l’unica certezza che portò con sé, incamminandosi verso le proprie stanze, con la bambina salda sul cuore.

    ***

    Poco distante una carrozza attendeva il suo arrivo. «Parti! Subito!». Impartì l’ordine al giovane soldato, utilizzando più veemenza del necessario. Quest’ultimo, dopo alcuni istanti di esitazione, obbedì prendendo posto sulla pedana del cocchiere. L’uomo aprì la stretta porta dell’abitacolo, sistemandosi al suo interno.

    Chiuse gli occhi, sentendosi esausto per la prima volta dopo molto tempo, poi accese un sigaro, accomodandosi meglio nel soffice sedile di velluto. Aveva portato a termine la missione ed ogni cosa sembrava essere al proprio posto, pronta a lasciare spazio alla mossa successiva. Sapeva che era necessario attendere il trascorrere di lunghissimi anni. Egli possedeva di certo lungimiranza e costanza, ma non poteva sapere se il tempo avrebbe portato le giuste risposte e soprattutto se lui avrebbe vissuto così a lungo da poter vedere i frutti di quanto seminato. Sorrise stoicamente di se stesso, pensando alla certezza che, anche se non avesse avuto la possibilità di una vita longeva, qualcun’altro avrebbe preso il suo posto, e dopo di lui ancora, e ancora dopo, così come avveniva da secoli. E allora perché provava quella sgradevole sensazione? Rivide nella propria mente lo sguardo fiero e deciso della suora ed il volto della bambina, così sereno e ignaro dello spietato mondo oltre le mura in cui l’aveva condotta. Tutto era esattamente come doveva essere. E lui non aveva alcun motivo di sentirsi svuotato e colmo di ira al contempo.

    Afferrò d’impulso il piccolo contenitore cilindrico che custodiva sotto la giacca. Tolse il coperchio ed estrasse con estrema cura il dipinto contenuto al suo interno. Lo srotolò con riverenza, beandosi della precisione del ritratto. Con delicatezza tratteggiò i contorni di un viso, venerandolo con le dita.

    «Ho fatto la cosa giusta» mormorò.

    Trascorse alcuni istanti perso nei ricordi, poi richiuse il dipinto dentro il cilindro, riponendolo al suo posto, vicino al cuore. Si appoggiò allo schienale, dopo aver gettato il sigaro tra i rivoli di acqua che scorrevano veloci tra i ciottoli sotto le ruote. Osservò il buio attorno alla carrozza, mentre percorreva la strada che lo avrebbe riportato a casa, ripromettendosi, in nome di quanto aveva perso, di lasciarsi il passato alle spalle per poter vedere presto il compiersi del nuovo giorno.

    ***

    Un fastidioso brivido di freddo percorse il corpo di Paula, mentre saliva furtivamente le scale che conducevano al piano superiore.

    Il monastero era avvolto nel più totale silenzio ed ogni minimo rumore avrebbe potuto attirare attenzioni oltremodo indesiderate in quel momento.

    Non appena entrò nella sua camera, accese le candele del vecchio candelabro posto vicino alla finestra e adagiò la bambina sul letto, piena di una premurosa attenzione del tutto nuova.

    Il suo cuore non aveva cessato di battere all’impazzata durante quella lunghissima ora appena trascorsa. Erano troppo forti le emozioni che le serravano il petto e il solo guardare quella creatura continuava ad accrescere in lei uno stato di tensione che non sapeva se, e quando, sarebbe riuscita a dominare.

    Cosa avrebbe detto alle consorelle? Di certo la sua posizione di madre superiora le concedeva la possibilità di agire come meglio riteneva opportuno, anche se questo non escludeva eventuali problematiche legate ad un possibile malcontento. Di certo la presenza della bambina avrebbe modificato dei delicati equilibri di convivenza che negli anni lei stessa aveva faticato a creare. Paula non aveva mai accettato la presenza di bambini dentro quelle mura ed il convento di Rouen era conosciuto per la sua operosità cristiana all’interno della comunità cittadina, per il supporto spirituale alla stessa e per la presenza di una biblioteca dedita alla conservazione e allo studio di

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