Mito e Logos: Ricognizioni tra oriente e occidente
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Mito e Logos - Valentino Bellucci
MITO E LOGOS
Ricognizioni tra oriente e occidente
di Valentino Bellucci
med_0Introduzione
La dottrina dell’India, pur attraverso la sua nube di leggende, appare ancora una religione semplice e grande, come il volto d’una regina visto attraverso un ricco velo. Essa insegna a dire la verità, ad amare gli altri come noi stessi e a disprezzare le sciocchezze. L’Oriente è grande – e fa apparire l’Europa la terra delle sciocchezze.[1] R. W. Emerson
La conoscenza vedica è la fonte di ogni esoterismo. La gnosi, l’ermetismo, il sapere egizio, la kabbalà, sono tutti rami dell’immenso albero dei Veda. Ma studiare questo albero per intero è praticamente, soprattutto oggi, impossibile. In particolare, l’approccio europeo nei confronti della letteratura vedica è stato assai problematico: da un lato vi erano schemi mentali difficilmente superabili per cogliere la visione dei Purāna e delle Upanişad, visione che richiede, socraticamente, l’abbandono di ogni nostro pregiudizio; dall’altro lato vi era la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un sapere e ad una civiltà molto più evoluta e consapevole di quella moderna e tale aspetto minava non poco la presunta superiorità dei colonialisti inglesi. Eppure, molto lavoro è stato svolto. In Italia abbiamo avuto studiosi come Giuseppe Tucci, il quale notava: "Le Upanişad sono naturalmente anonime, in prosa e le più recenti anche in versi. Spesso articolate in dialoghi fra maestri e discepoli, siano essi brahmani o guerrieri, discutono problemi di religione o di simbologia liturgica incentrati tuttavia su quello fondamentale della conoscenza capace di produrre la liberazione"[2]. Il termine stesso Upanişad significa sedere ai piedi del maestro
, infatti questi testi
sono stati messi in forma scritta attorno al VII-VI secolo a. C., ma per millenni si è sempre trattato di una conoscenza orale, confidenziale, che veniva trasmessa appunto da maestro a discepolo. Oggi la modernità si illude di possedere una conoscenza scientifica superiore, dimenticando che Galileo Galilei ha potuto sviluppare il proprio metodo sperimentale utilizzando l’intuizione pitagorica che univa il numero al mondo naturale. Ma Pitagora andò in Egitto ad apprendere tali verità esoteriche. Inoltre, diversi secoli prima della Rivoluzione scientifica europea, grandi astronomi vedici, in India, avevano già calcolato la forza di gravità e la reale struttura del sistema solare. La matematica decimale è infatti un dono che l’Europa ha ricevuto dal sapere orientale: lo zero è vedico. In sanscrito viene denominato cunya. Senza tale cifra l’intera tecnologia occidentale non sarebbe mai esistita. Prima di Copernico, in India erano già esistiti astronomi come Brahmagupta (598-668 d. C.) e Bhaskara acarya (1114-1185 d. C.), essi erano gli eredi della millenaria conoscenza esoterica dei Veda e le loro scoperte matematiche ed astronomiche sono il frutto di questo millenario sapere ancora oggi nascosto all’umanità. Brahmagupta fu il primo matematico a considerare lo zero secondo i canoni moderni e riuscì a risolvere importanti problemi relativi alle equazioni di secondo grado e descrisse la forza di gravità; ancora più straordinari sono gli studi di Bhaskara acarya, infatti egli comprese il calcolo infinitesimale secoli prima di Newton e di Leibniz, approfondì le proprietà dello zero, approfondì il modello eliocentrico del sistema planetario (già esposto nel 499 da Aryabhata) calcolando il tempo di rotazione della terra attorno al sole con lo scarto di un minuto. Molti studiosi eurocentrici hanno tentato, invano, di dimostrare che le scoperte matematiche e astronomiche di Bhaskara erano il frutto dell’influenza occidentale, ma è vero esattamente l’opposto. Ecco un’immagine di Brahmagupta:
Appare evidente che la conoscenza vedica, non solo non è mitologica, ma è del tutto confidenziale. Solo all’interno di una linea millenaria di Maestri (Sampradaya) si può accedere a tale conoscenza materiale e spirituale. In tal senso le Upanişad hanno un posto speciale, poiché rappresentano una suprema sintesi di questo sapere segreto. Leggere i Veda è per noi oggi un’impresa del tutto culturale, ma non iniziatica, poiché abbiamo smarrito la chiave per decodificarne la complessa struttura simbolica, mentre con le Upanişad si propone un’indagine sull’essenza reale, effettiva, dell’universo, a partire da quello che ne costituisce l’intimo nocciolo
[3]. Nell’indagine filosofia delle Upanişad più importanti (poiché ve ne sono moltissime) il nocciolo ultimo della realtà viene indicato nel Brahman, la sostanza divina, eterna, l’aspetto impersonale dell’Assoluto. Ma anche questa lettura è ancora essoterica, superficiale, per chi rimane legato alla speculazione mentale senza la guida dei Maestri realizzati. Per cogliere la verità più intima del Brahman occorre comprendere in particolare la Śrī Ǐśopanişad, che "fa parte dello Yajur-Veda, e contiene informazioni riguardanti la proprietà di tutto ciò che esiste nell’universo"[4]. In soli 18 sloka questa Upanişad ci permette di accedere a ciò che rimane nascosto nelle altre, molto più ampie ed analitiche, poiché in essa abbiamo la chiara asserzione del teismo vedico, un teismo rivolto ad un unico Signore Supremo (Ǐśā di natura personale, di contro alla visione dell’Advaita vedanta che considera l’Assoluto supremo come Brahman impersonale. Il filosofo e yogi Sri Aurobindo notava a tal proposito: "…nel corso dell’esegesi [della Śrī Ǐśopanişad] mi sono trovato a dover confutare i punti di vista del māyāvada. […] La Ǐśopanişad, infatti, non conferma per nulla il māyāvada, come in effetti appare evidente osservando lo sforzo e il senso di difficoltà che traspaiono dal commento dello stesso Śankara, che ne distorce il raffinato pensiero e l’ammirevole espressione riducendoli a qualcosa di incoerente e malamente abborracciato[5]. Ma la scuola teistica di Sri Caitanya Mahaprabhu aveva già, dal sedicesimo secolo, fatto notare che le interpretazioni dei testi vedici date da Śankara erano fallaci e forzate, poiché:
La propaganda di Śrīpād Śankarācārya si opponeva alla filosofia atea di Buddha. L’intenzione di Buddha era quella di far sì che gli atei interrompessero l’uccisione di animali. Poiché gli atei non possono comprendere Dio, Buddha apparve per diffondere la filosofia della non-violenza…[…] Benché fosse una manifestazione di Krishna, Buddha non parlò di Dio perché la gente non era in grado di capire. […] Śrīpād Śankarācārya voleva stabilire la superiorità dell’identità spirituale e per questa ragione volle convertire gli atei mediante un’interpretazione immaginaria delle Scritture vediche. Questi sono i segreti degli ācārya. Talvolta essi celano il vero significato dei Veda spiegandoli in un modo differente"[6]. Si tratta di un immenso Līlā (gioco divino), poiché i maestri stessi conoscono bene il segreto di cui parlano sempre i Sufi: predicare secondo tempo, luogo e circostanza. Il Buddha, considerato dalle scritture vediche un Avatara di Dio, predicò contro
i Veda perché la degenerazione delle persone era giunta ad un tale livello da utilizzare le Scritture come pretesto per uccidere animali indifesi. Poi, successivamente, Śrīpād Śankarācārya (considerato una manifestazione di Shiva) ebbe l’incarico di riavvicinare le persone alle Scritture Vediche, ma per farlo dovette adattare la sua predica alla mentalità atea diffusa, come espediente, dal Buddha e per questo utilizzò una filosofia adatta allo scopo pratico, ma del tutto lontana dalla verità teistica e perciò illusoria. In tal senso la visione vaishnava è sempre inclusiva e vede la perfezione del piano generale delle cose, poiché si tratta di un piano divino. Esiste quindi un pragmatismo superiore a cui le varie visioni spiritualiste appartengono. Ora, secoli dopo la venuta di Sri Caitanya, è il momento opportuno per riscoprire la reale essenza delle scritture vediche, il cui scopo ultimo è affermato da Krishna stesso: "Gatir bhartā prabhu sāksi nivāsah śaranam suhrt / prabhavah pralayah sthānam nidhām bījam avyayam. (Bhagavad-gītā, cap. 9, v. 18): Io sono la meta, il sostegno, il maestro, il testimone, la dimora, il rifugio e l’amico intimo; sono la creazione, la dissoluzione, il fondamento, il riposo, il seme eterno." Anche la Bhagavad-gītā è considerata una di quelle Upanişad che sintetizza l’intero sapere vedico ed è Krishna stesso a rivelarci d’essere il fine ultimo, la meta di ogni anima. Krishna è la sorgente di tutto, anche del Brahman infinito; esso è oltre il paradigma monoteistico del dio statico e giudice; Krishna è il fascino infinito, la dolcezza sempre nuova, la gioia dei divertimenti liberi da ogni condizionamento. In questo senso anche il Bhagavata Purāna rivela: "yathādri-prabhavā nadyah / parjanyāpūritāh prabho / viśanti sarvatah sindhum / tadvat tvām gatayo ‘ntatah. (Canto 10, cap. 40, v. 10): Come dalle montagne i fiumi nati dalla pioggia scorrono tutti verso il mare, così tutti i sentieri alla fine conducono a Te, Maestro". Qui Akrūra si sta riferendo a Krishna, fine ultimo di ogni sentiero materiale e spirituale.
In questi saggi ho confrontato i miti vedici e puranici con quelli greci e biblici; il lettore troverà un’unica sorgente della conoscenza e una tradizione perenne che da sempre si rinnova.
Valentino Bellucci
Note:
[1] R. W. Emerson, H. D. Thoreau, La semplice verità. Diari inediti, Piano B edizioni, Prato 2012, pag. 211.
[2] G. Tucci, Storia della Filosofia indiana, TEA, Milano 1992, pag. 36.
[3] I. Vecchiotti, Introduzione alla storia della filosofia indiana, Quattroventi, Urbino 1995, pag. 29.
[4] A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, Śrī Ǐśopanişad, BBT. Firenze 1994, pag. 16.
[5] Sri Aurobindo, Ǐśa upanişad, Astrolabio, pp. 18-19.
[6] A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, Commento al verso 42, Cap. 25, Caitanya-caritamrita, Madhya-lila, pag. 775.
L’astronomia nell’antica India
Secoli prima di Galilei e di Newton alcuni studiosi avevano già dimostrato il modello eliocentrico e la forza di gravità
Il colonialismo ha distrutto non solo interi popoli, ma anche la verità storica. In India, secoli prima di Copernico, erano già esistiti astronomi che avevano dimostrato, con precisione fisica e matematica, la visione eliocentrica; studiosi come Brahmagupta (598-668 d. C.) e Bhaskara acarya[1] (1114-1185 d. C.) sono gli eredi della millenaria conoscenza esoterica dei Veda e le loro scoperte matematiche ed astronomiche sono il frutto di questo millenario sapere, ancora oggi nascosto all’umanità o mal compreso.
Brahmagupta fu il primo matematico a considerare lo zero secondo i canoni moderni, riuscì a risolvere importanti problemi relativi alle equazioni di secondo grado e descrisse la forza di gravità; ancora più straordinari sono gli studi di Bhaskara acarya, infatti, egli comprese il calcolo infinitesimale secoli prima di Newton e di Leibniz, approfondì le proprietà dello zero, approfondì il modello eliocentrico del sistema planetario (già esposto nel 499 da Aryabhata), calcolando il tempo di rotazione della terra attorno al sole. Molti studiosi eurocentrici hanno tentato, invano, di mostrare che le scoperte matematiche e astronomiche di Bhaskara erano il frutto dell’influenza occidentale, ma è vero esattamente l’opposto.
L’enigma dello zero
Brahmagupta era un grande astronomo e le sue doti in ambito matematico erano straordinarie. Si occupava dell’osservatorio astronomico di Ujjain, città che risale ai tempi del poema storico Mahabharata e che rappresenta per la sapienza vedica il primo meridiano; ciò sta a significare che la perfetta conoscenza astronomica non era scissa da un uso e uno scopo sacro, cioè il calcolo astrologico-karmico. A differenza dell’astronomia contemporanea, che vede il cosmo come un cieco vede i colori, l’astronomia vedica sapeva intendere le corrispondenze e il piano divino manifestato nell’universo. Brahmagupta fu un grande studioso dello zero, che non è un ‘numero arabo’ ma dagli arabi fu portato in Europa; lo zero è un enigma, poiché non rappresenta una quantità determinata ma non è neppure il nulla; il nulla, del resto, è una astrazione della mente moderna, già Parmenide faceva notare che ‘il nulla non esiste’. Nelle lingue antiche vi è il concetto di vuoto; lo zero, cifra indicata nel sanscrito come un piccolo cerchio, da noi diventerà simile ad una ellisse; esso è il simbolo dell’infinito, del Brahman che sta alla base di tutte le cose, come l’energia del vuoto manifesta e sostiene il visibile. Ecco perché lo zero accanto ad ogni numero ne aumenta