Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Santo Plagio: Come la Chiesa ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere
Il Santo Plagio: Come la Chiesa ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere
Il Santo Plagio: Come la Chiesa ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere
E-book271 pagine4 ore

Il Santo Plagio: Come la Chiesa ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere

Valutazione: 2 su 5 stelle

2/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una nuova avvincente indagine sui segreti della Chiesa
e su come ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere.

Il cristianesimo non è una religione unica e originale, ma un mosaico composto da innumerevoli tessere rubate a tradizioni precedenti.

A partire dal IV secolo, soprattutto dopo che l’editto di Tessalonica glielo consentì legalmente, la Chiesa cristiana si diede da fare per annientare la concorrenza, ma presto si accorse come invece di distruggere semplicemente e rischiare di destabilizzare il popolo, fosse più saggio giocare la carta della sostituzione.

Così i santi sostituirono gli dèi, venne costruita a tavolino una figura femminile da sovrapporre alla Dea Madre, le reliquie presero il posto di amuleti e talismani, i templi vennero riconvertiti in chiese, ma fu mantenuta l’usanza delle offerte per ingraziarsi la divinità e i pellegrinaggi poterono continuare cambiando solo etichetta.

L’opera di sostituzione proseguì nel tempo, coinvolgendo le feste, i riti, i sacramenti, i gadget e tutto ciò che fu possibile riadattare per segnare il territorio.

In tal modo il cristianesimo e i suoi simboli invasero poco per volta ogni spazio, consentendo alla Chiesa di costruire il proprio potere: le residue sacche di resistenza vennero annegate nel sangue.

La sottile strategia iniziata nel IV secolo continua ancora oggi.

In questo libro scoprirai:
  • Madri vergini e figli divini
  • La Sindone: un falso d’autore
  • Le feste cristiane hanno origini pagane
  • E molto altro ancora.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita4 gen 2022
ISBN9788833802671
Il Santo Plagio: Come la Chiesa ha saccheggiato il paganesimo per costruire il proprio potere

Leggi altro di Laura Fezia

Correlato a Il Santo Plagio

Ebook correlati

Religione e spiritualità per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il Santo Plagio

Valutazione: 2 su 5 stelle
2/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Santo Plagio - Laura Fezia

    Prefazione

    La storia ci insegna come, nel corso dei secoli, l’evangelizzazione cristiana non sia stata esente da momenti oscuri e ombre che ancora oggi si cerca di nascondere agli occhi della gente. Laura Fezia, nel corso degli anni, ha documentato in maniera estremamente accurata e meticolosa non solo le numerose anomalie che soggiacciono dietro a questa confessione religiosa, ma anche efferati gesti compiuti per trasformarla in religione di stato in ogni territorio in cui si insediò, utilizzando ogni mezzo e trasgredendo all’agostiniano precetto di non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. In questo suo nuovo volume, l’autrice ci conduce a scoprire una nuova realtà, per quanto nota, mai realmente approfondita fino ad oggi, in cui si mostra come la Chiesa cristiana saccheggiò letteralmente il paganesimo per attestarsi come nuovo culto e quindi, sulle ceneri dei precedenti, ergersi a nuovo intermediario tra il mondo spirituale e quello terreno.

    Nella sua analisi, Laura Fezia definisce questa abile operazione il Santo Plagio dimostrando, dati alla mano, come le alte gerarchie ecclesiastiche del passato si operarono per costruire de facto un’autorità e una supremazia tali da garantire un potere che avrebbe permesso loro di regnare per interi secoli. Se il messaggio di Gesù era stato rivolto ad una riforma dell’ebraismo e ad un popolo specifico, la nuova visione paolina aveva esteso questo stesso messaggio a tutti i coloro che non appartenevano al Popolo Eletto, realizzando una delle più durature e persistenti operazioni politiche della storia. Prima di allora, e forse mai dopo di essa, nessun’altra istituzione sarebbe riuscita a realizzare una tale opera.

    Uno dei capitoli meno conosciuti della storia dell’evangelizzazione cristiana riguarda l’Oriente e le sue multiformi confessioni religiose. Poco è stato detto e ancor meno indagato su quelli che furono gli strumenti e i metodi usati dalla Chiesa cattolica per convertire, più o meno forzatamente, popoli che da millenni vivevano nelle loro fedi e nei loro culti. All’interno degli elementi che Laura Fezia solleva all’interno di questo libro, così come nella sua intera opera di analisi storica sul cristianesimo, questo breve accenno può farci capire quanto poco sappiamo della religione in cui siamo nati e soprattutto dei metodi che utilizzò lontano da occhi indiscreti. Questo elemento ci porta a tornare all’evangelizzazione attuata in ogni parte del pianeta, ma focalizzando la nostra attenzione verso una realtà che studiamo ormai da innumerevoli anni e a cui abbiamo dedicato molti libri, conferenze e seminari. Stiamo parlando dell’India, della sua millenaria storia e degli eventi che la videro protagonista soprattutto in quella che è nota come l’Inquisizione di Goa. Prima di addentrarci all’interno di questa esecrabile pagina della storia cristiana dobbiamo fare però un passo indietro e vedere quando il cristianesimo iniziò a manifestarsi in queste terre.

    Le prime notizie certe di una presenza cristiana in India le possiamo trovare dal vi secolo d.C. con alcune comunità stabili che utilizzavano la lingua siriaca per le loro liturgie, ma esistono forti indizi che già dal i secolo d.C. esistessero delle piccole comunità cristiane¹. Numerose tradizioni narrano che San Bartolomeo avesse evangelizzato l’India Citerior, spostandosi dalla Persia fino ai suoi confini occidentali. Ce ne rende testimonianza il padre della Chiesa Eusebio di Cesarea agli inizi del iv secolo e anche san Girolamo alla fine del iv secolo². Si ritiene che la regione dell’odierna Mumbai possa essere riconosciuta come l’antica città di Kalyan fino a dove si spinse Bartolomeo.

    Altre tradizioni riportano invece come l’apostolo Tommaso fosse giunto a Kodungallur presso il popolo Tamil, nell’odierno stato del Kerala, e vi avesse fondato sette chiese per coloro che saranno successivamente chiamati cristiani di san Tommaso. La sua opera evangelizzatrice avrebbe riguardato anche ampi territori del Tamil Nadu. Testimonianze di una presenza ebraica in India sono documentate con la comunità di Cochin che si presume sia giunta in queste terre verso il 562 a.C. dopo la distruzione del Tempio di Salomone³. Molti di questi ebrei verosimilmente parlavano l’aramaico, così come San Tommaso che era ebreo di nascita. Si può presumere quindi che nel i secolo d.C. i primi a convertirsi al cristianesimo siano stati proprio gli appartenenti a questa comunità.

    A Thiruvithankodu, nel distretto di Kanyakumari, possiamo trovare ancora oggi la più antica struttura esistente al mondo di una chiesa, che si crede essere stata costruita da San Tommaso nel 57 d.C.⁴ e chiamata Thiruvithamcode Arappally (o Thomaiyar Kovil). Tralasciamo, per il momento, le tradizioni che vorrebbero Gesù in India per quella parte della sua vita di cui non abbiamo nessun dettaglio, ma ci preme sottolineare come davanti a palesi mistificazioni e falsificazioni operate già dal xix secolo, non tutto sia da rigettare e tale ipotesi possegga degli elementi concreti a suo favore.

    Nei secoli, l’India divenne quindi un importante ponte commerciale non solo verso l’Estremo Oriente ma soprattutto per quelle nazioni che volevano estendere i propri domini e le proprie aree di influenza.

    Ciò che non viene mai raccontato è però cosa successe quando le prime potenze europee si insediarono in India e iniziarono ad evangelizzare quei territori.

    Tra gli eventi più drammatici che la storia ricordi troviamo la cosiddetta Inquisizione di Goa, uno strumento religioso che operò dal 1560 al 1820 come ramo dell’Inquisizione portoghese per fermare le eresie che secondo le gerarchie cattoliche operavano in quei territori.

    Lo stesso Voltaire, commentando qualche secolo dopo gli eventi che andremo a raccontare, ebbe modo di scrivere Sfortunatamente, Goa è famosa per la sua Inquisizione, che è contraria all’umanità e al commercio. I monaci portoghesi ci hanno fatto credere che la popolazione adorasse il diavolo, ma sono loro ad averlo servito⁵. Dalla sua fondazione al 1774, questo Istituto portò a processo non meno di 16.202 persone appartenenti all’induismo, all’Islam, al buddismo e i cosiddetti cristiani di San Tommaso, o Nasrani, un insieme di comunità che si rifacevano all’evangelizzazione di San Tommaso ai primordi del cristianesimo.

    Resoconti dell’epoca ci dicono che solo a Goa furono distrutti 160 templi e altri 300 nelle zone limitrofe. Tra le situazioni più grottesche che la storia documenta troviamo anche quella del sacerdote italiano Roberto de’ Nobili da Montepulciano che fabbricò falsi testi religiosi induisti per evidenziarne lo spirito eretico e barbaro, arrivando persino a travestirsi da bramino e predicare in lingua indiana. L’unica colpa di coloro che andarono sotto processo fu quella di non essersi convertiti al cristianesimo o di aver continuato a professare la loro antica religione segretamente. Molti di loro erano induisti delle classi più povere, fedeli alla loro tradizione e ad una religione millenaria che era stata dei loro padri e dei loro antenati. In nome di Dio furono compiuti massacri, torture, gesti esecrabili. Tutto perché gli indiani dovevano convertirsi, dovevano piegarsi al volere della Chiesa apportatrice, a suo dire, di un messaggio di pace e amore per l’umanità.

    Si potrà certamente obiettare che furono gli uomini e non la volontà divina ad aver compiuto determinati atti e gesti, ma perché nessuno fermò questo abominio? Perché più di sedicimila individui, secondo le stime ufficiali visto che molti registri furono bruciati, dovettero subire atroci supplizi per convertirsi ad una religione e ad una cultura che non era la loro? Questa è la nostra storia e la religione che abbiamo voluto esportare, ieri come oggi, entro culture e civiltà estremamente distanti e diverse dalla nostra.

    Il lavoro di Laura Fezia si amplia con il libro che avete tra le mani di una nuova tessera fondamentale e ci permette di approfondire ulteriormente il nostro bagaglio di conoscenze sul cristianesimo così come di svelare quei dettagli che, non di rado, si nascondono nelle pieghe della storia e del tempo e che non sempre è facile recuperare. Svelare il nostro passato ci permette non solo di ampliare il nostro bagaglio di conoscenze, ma ancor più di evitare di commettere nuovamente gli errori di chi ci ha preceduto.

    Enrico Baccarini


    1 Stephen Andrew Missick, Mar Thoma: The Apostolic Foundation of the Assyrian Church and the Christians of St. Thomas in India, «Journal of Assyrian Academic Studies»,

    vol. xiv

    , n° 2, 2000.

    2 San Girolamo, De Viris Illustribus, capitolo III.

    3 Orpa Slapak, The Jews of India: A Story of Three Communities, The Israel Museum, Jerusalem 2003, p. 27.

    4 Dr. Issac Arul Dhas G, Kumari Mannil Christhavam (Tamil), Scott Christian College, Nagercoil 2010.

    5 Voltaire, Fragments historiques sur l’Inde, in Œuvres completes de Voltaire, avec des notes et une notice historique sur la vie de Voltaire, 1836, p. 786.

    Introduzione

    Tanto per andare subito al nocciolo della questione, la Chiesa cristiana ha inventato se stessa scopiazzando qua e là da tradizioni ben più antiche, creando falsi documenti, imponendosi attraverso la violenza e segnando in modo ossessivo il territorio, vezzo che non ha ancora abbandonato.

    Ripercorrerò velocemente le tappe salienti di questa costruzione artificiosa, ricordando ai lettori che, come in tutti i miei precedenti libri, nel farlo mi baso sulle versioni ufficiali propinate da santaromanachiesa, smontandone l’impianto un pezzo dopo l’altro; desidero altresì ribadire per l’ennesima volta che non mi occupo di fede – sentimento del tutto legittimo finché rimane personale e non pretende di insinuarsi proditoriamente nelle vite altrui – ma di Chiesa cattolica, offrendo gli strumenti attraverso i quali comprendere come queste due realtà non abbiano alcunché a vedere l’una con l’altra, contrariamente a quanto comunemente ritenuto. Tutto iniziò con un’esecuzione, quella di un rabbi messianico condannato a morte come malfattore dal procuratore Ponzio Pilato: «Ἤγοντο δὲ καὶ ἕτεροι κακοῦργοι δύο σὺν αὐτῷ ἀναιρεθῆναι» /«Ducebantur autem et alii duo nequam cum eo, ut interficerentur» (Lc 23, 32), versetto che nella traduzione cei è diventato: «Insieme a lui venivano condotti a morte anche due malfattori», sorvolando allegramente sul fatto che il greco «καὶ ἕτεροι κακοῦργοι δύο» e il latino «et alii duo nequam» significano «e altri due malfattori».

    Saltiamo a piè pari resurrezione e ascensione al Cielo, la prima descritta dai quattro vangeli canonici, la seconda solo da Marco (Mc 16, 19), Luca (Lc 24, 50-53) e dagli Atti degli Apostoli (At 1, 6-11) e andiamo al dopo, dove vediamo i seguaci del rabbi – illuminati dalla discesa su di loro dello Spirito Santo durante la Pentecoste, episodio narrato nei dettagli solo dagli Atti degli apostoli (At 2, 1-11), ricordato sommariamente da Luca (Lc 24, 49) e Giovanni (Gv 14, 16-17; 15, 26; 16, 7), ma ignorato da Paolo, Marco e Matteo – riuniti in una comunità chiusa, simile a una setta, che – fedele agli insegnamenti del Maestro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10, 5)/«Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24) – non aveva intenzione alcuna di uscire dal recinto ebraico. Trascorsero dai venti ai venticinque anni circa e un certo Saulo/Paolo di Tarso – caduto da cavallo in seguito a una folgorazione sulla via di Damasco, dove si stava recando a dare la caccia ai discepoli del rabbi per ordine del Sommo sacerdote (At 9, 1-22) – si appropriò della vicenda, vi cacciò dentro manciate di elementi spirituali del tutto assenti nell’originale, confezionò un prodotto appetibile per i gentili e iniziò a pubblicizzarlo allargando il target. Nel farlo, però, entrò in conflitto con i capi della setta, ostinatamente aggrappati alla Legge mosaica. Il Maestro, infatti, aveva affermato: «Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5, 17). Quel «compimento» non significava mondare l’umanità dal peccato originale, artifizio creato di sana pianta da Paolo per vendere il proprio prodotto al di fuori dell’ambito ebraico⁶, ma realizzare la promessa fatta da Yahweh a Mosè e liberare il popolo eletto dalla schiavitù, in quel momento rappresentata dall’occupazione romana. Lo scontro tra la comunità gerosolimitana capitanata da «Giacomo, Cefa⁷ e Giovanni ritenuti le colonne» (Gal 2, 9) e l’Apostolo delle genti fu talmente aspro che quest’ultimo dovette ricorrere a un escamotage per salvaguardare la propria credibilità. Così nella prima lettera ai Galati tuonò: «Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 11-12), attribuendo a se stesso una patente di attendibilità che nessuno avrebbe potuto disconoscergli, poiché proveniente dall’Alto. Nella stessa lettera, non poté esimersi dall’accennare a Pietro, la cui autorità come testimone diretto dei fatti rischiava di minare tutto il castello che andava pazientemente costruendo, ma non ritenendo prudente andare allo scontro aperto, dal quale sarebbe certamente uscito malconcio, trovò un’ulteriore scappatoia e – dopo aver assicurato di essere stato autorizzato a predicare la Buona Novella «subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me» (Gal 1, 16-17) – nella seconda lettera indirizzata alla comunità della Galazia⁸ affermò: «A me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi, poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani» (Gal 2, 7-8). Paolo, presumibilmente, scrisse queste parole tra il 54 e il 57, in un clima che fin dall’inizio dell’occupazione romana, avvenuta ben sessantatré anni prima della (presunta) nascita di Cristo, si presentava politicamente incandescente. Il mondo ebraico era diviso in numerose fazioni, alcune favorevoli agli occupanti, con i quali addirittura facevano affari, altre indifferenti alle questioni politiche e concentrate sull’aspetto religioso, altre ancora decisamente ostili a Roma, contro la quale organizzavano rivolte locali. Tra queste, la più arrabbiata era la setta degli zeloti, cui forse appartenevano il rabbi Yehoshua, i suoi dodici bodyguard e molti dei loro seguaci, diversamente non si comprenderebbe il motivo che aveva spinto i Romani a inviare una coorte di uomini armati (circa seicento unità) per arrestare un pacifico predicatore, come attestano i quattro vangeli canonici⁹. Il calderone esplose solo quando ormai l’Apostolo delle genti era morto (forse¹⁰) da un paio di anni: nel 66, infatti, scoppiò la prima guerra giudaica, che tra alterne vicende si concluse definitivamente solo nel 70, quando le truppe del futuro imperatore Tito distrussero il Tempio di Gerusalemme.

    È probabilmente sul finire di questo periodo che iniziò la compilazione dei vangeli¹¹, dove venivano narrati vita, morte (con annessa resurrezione) e miracoli del rabbi. Nello scriverli, però, gli evangelisti (o presunti tali) non dimenticarono di strizzare l’occhio all’Antico Testamento per dare al Nuovo quella continuità che avrebbe potuto procurare clienti tra gli ebrei o almeno parte di essi. Rispolverarono, così, alcune fumose profezie, le interpretarono, le adattarono in modo da dimostrare come nelle antiche Scritture esistesse l’annuncio del Salvatore. Forse sfuggì loro l’evidente contraddizione tra il sanguinario Yahweh e il Dio d’amore che andavano costruendo e soprattutto la sua conclamata schizofrenia: non era stato forse lui stesso a marchiare l’umanità tutta con quella colpa per redimere la quale aveva inviato il suo unigenito figlio a farsi massacrare? Citerò solo due tra le profezie utilizzate: la prima è quella relativa a Isaia 7, 14, cui ricorre Matteo (Mt 1, 23): «Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele», ridimensionata nel 2016 dalla Conferenza Episcopale Tedesca, la quale si è finalmente decisa a dichiarare che le parole di Isaia sono sempre state tradotte erroneamente, che il termine ebraico halmah significa giovane donna e non vergine, che l’azione non è proiettata nel futuro, ma si riferisce al presente, che il soggetto non è Maria, bensì Abijah, moglie del re Acaz, cui il profeta si rivolge e che la frase, correttamente tradotta, afferma «La giovane donna è incinta»; Luca (Lc 2, 1-14) invece, tira in ballo la profezia di Michea (Mi 5, 1): «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele», per giustificare la nascita di Gesù a Betlemme. Il racconto (appena accennato nel vangelo di Matteo ma del tutto ignorato da Marco e Giovanni) è inverosimile per due motivi: nell’impero romano i censimenti (per obbedire al quale Giuseppe e Maria avrebbero intrapreso il viaggio¹²) avvenivano per motivi fiscali o militari, per conoscere il numero e lo stato patrimoniale dei sudditi che avrebbero dovuto pagare le tasse o valutare la potenza militare sulla quale contare (in questo secondo caso, riguardavano quasi esclusivamente i cittadini romani); nessun imperatore ne organizzò uno imponendo alla popolazione di trasferirsi nei rispettivi luoghi di provenienza, per tornare poi nei posti dove aveva preso residenza o domicilio, ma era sufficiente che i singoli rilasciassero una dichiarazione a un incaricato locale circa la propria situazione patrimoniale e famigliare. Inoltre: cosa poteva importare ai Romani che Giuseppe appartenesse alla Casa di Davide, una classificazione che interessava strettamente il mondo ebraico? Infine, il censimento di Quirino fu di tipo fiscale, riguardò, cioè, non le persone, ma i loro beni: Giuseppe possedeva forse delle proprietà a Betlemme che era necessario censire? In tal caso, ossia se fosse stato un ricco possidente, avrebbe forse avuto la possibilità di viaggiare e alloggiare più comodamente, soprattutto con una moglie alle soglie del parto ed è anche curioso che la coppia avesse intrapreso il lungo cammino da sola, senza aggregarsi a una carovana, come era consuetudine dei viaggiatori per evitare gli assalti dei predoni. A Luca, però, serviva affermare che Gesù fosse nato a Betlemme, città della Casa di Davide, eccellente escamotage per cementare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento e dimostrare come quel bambinello fosse il Messia tanto atteso.

    I vangeli, quindi, rappresentano il materiale pubblicitario che avrebbe dovuto dare continuità e credibilità al lavoro di Paolo: è ragionevole ritenere che dopo la distruzione del Tempio, constatata la difficoltà di battere Roma con le armi, un qualche potente gruppo-ombra decise di cambiare strategia e basandosi su un prodotto che aveva ottenuto un certo successo, ne amplificò i contenuti e fabbricò (o almeno iniziò a fabbricare) i documenti che attestassero la reale esistenza del Figlio di Dio fatto uomo. La fiction fu talmente convincente, andò a toccare così nel profondo le paure umane, sfruttò tanto abilmente il senso di colpa naturalmente insito nell’animo delle masse che la nuova religione dilagò, facendo proseliti non solo negli strati bassi della società, ma conquistando anche i ceti alti. La strategia si rivelò vincente e il cristianesimo contribuì nell’arco di quattro secoli a disgregare l’Impero romano, titolare di una gloriosa storia millenaria¹³. Contemporaneamente crebbe non solo numericamente, ma soprattutto economicamente, la potenza della Chiesa cristiana: questo è uno dei motivi per cui nel 64, con Nerone, assistiamo all’inizio delle cosiddette persecuzioni che la letteratura e Hollywood hanno attribuito all’incrollabile fede degli adepti e al loro rifiuto di abiurare. È uno dei tanti falsi storici cucinati dalla corposa agiografia: nessun cristiano fu mandato a morte per motivi di fede, della quale a Roma importava un bel niente; l’Urbe si era sempre dimostrata estremamente tollerante nei confronti delle religioni dei popoli conquistati, preoccupandosi solo che questi riconoscessero la divinità dell’imperatore, pagassero le tasse e prestassero – se e quando richiesto – il servizio militare: in seguito al rifiuto di aderire a queste imprescindibili condizioni, un certo numero di cristiani fu condannato a morte per alto tradimento. Anche le persecuzioni successive, in particolare quella passata alla Storia come la più feroce, lanciata da Diocleziano nel 303, ebbero motivazioni politiche. L’imperatore – impegnato a districare una matassa alquanto ingarbugliata – non impiegò molto tempo a rivolgere le proprie attenzioni alla comunità dei cristiani, che nel frattempo aveva ulteriormente aumentato le proprie ricchezze ed era riuscita a intrufolarsi sempre più profondamente nella società, raggiungendo perfino la corte imperiale e avanzando con sempre maggiore arroganza la pretesa di essere la sola depositaria della Verità in materia di fede, criticando aspramente tutte le altre religioni, a partire da quella che vedeva nell’imperatore una figura divina; allo scopo di cementare il proprio potere mise mano a una serie di riforme, uniformando

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1