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Egittologia Proibita: La scienza misteriosa e la tecnologia sofisticata dei Faraoni
Egittologia Proibita: La scienza misteriosa e la tecnologia sofisticata dei Faraoni
Egittologia Proibita: La scienza misteriosa e la tecnologia sofisticata dei Faraoni
E-book471 pagine5 ore

Egittologia Proibita: La scienza misteriosa e la tecnologia sofisticata dei Faraoni

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Info su questo ebook

Come hanno fatto i faraoni 5000 anni fa a prevedere la tecnologia del 21° secolo?

a migliaia di anni i Sacerdoti Egizi conoscono i fondamenti della scienza moderna – dall’ingegneria genetica alla costruzione di reattori nucleari.

In questo saggio il giornalista scientifico Erdogan Ercivan intende dimostrare non solo quanto è considerato come inammissibile, ma anche rendere il lettore consapevole della reiterata falsificazione della storia!

In questo libro scoprirai:
  • I messaggi segreti dell’archeologia egizia
  • I segni degli Dei e i legami cosmici dell’Impero Egizio
  • Che cos’è il disco di Atlantide
  • E molto altro…
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2021
ISBN9788833802251
Egittologia Proibita: La scienza misteriosa e la tecnologia sofisticata dei Faraoni

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    Anteprima del libro

    Egittologia Proibita - Erdogan Ercivan

    1.

    La conoscenza degli antichi

    Quando gli storici oggi guardano a un Paese come culla della civiltà occidentale, di solito si rivolgono con stupore verso l’antica Grecia. Da parte loro, gli antichi greci guardarono altrettanto stupiti gli antichi egizi, la cui conoscenza primordiale, secondo le loro cronache, avrebbe avuto inizio più di 23.000 anni fa.

    A quel tempo vivevano in Egitto persone altamente istruite, chiamate dèi e alle quali erano riconosciuti periodi di regno straordinari. Così, il popolo degli antichi egizi è depositario della più antica civiltà umana in assoluto e ci ha lasciato, della sua straordinaria conoscenza, anche costruzioni in pietra sotto forma di templi e piramidi, oltre ad alcuni papiri.

    Sembra che i greci fossero informati di questi fatti già molto presto, cosicché cercarono costantemente di approfondire queste misteriose origini. La curiosità spinse i ricercatori e gli storici greci in Egitto più di 3000 anni fa e quello che vi trovarono superò le loro capacità di immaginazione. Omero, Solone, Erodoto, Platone e Pitagora, per citarne solo alcuni, visitarono l’Egitto alla ricerca dell’origine della conoscenza. Ma già negli anni dal 391 al 404 d.C., sotto il cristiano Teodosio I, la Chiesa proibì l’antico patrimonio culturale e lo dichiarò eretico.

    Il percorso per riottenere accesso al mondo degli antichi egizi è stato lungo non solo per questo.

    Nel 1638 il professore inglese John Greaves (1605-1652), un matematico e astronomo trentatreenne che aveva studiato a Oxford e, successivamente, insegnato matematica a Londra, decise di recarsi in Egitto. Non era spinto dalla semplice curiosità, ma dall’obiettivo di trovare un punto di riferimento per il calcolo concreto della dimensione della Terra, soprattutto negli edifici egizi. Gli aveva dato questo suggerimento il medico e matematico milanese Girolamo Cardano, che all’inizio del XVI secolo era amico del genio universale Leonardo da Vinci. A quel tempo Cardano sapeva che c’erano state notevoli scoperte scientifiche anche prima dei greci, che la conoscenza degli antichi ricomprendeva il concetto di grado di latitudine già migliaia di anni prima degli studiosi di Alessandria e ne aveva calcolato l’ampiezza più precisamente di Eratostene o Tolomeo.

    Greaves lesse dapprima la letteratura disponibile all’epoca, quindi si recò in Egitto per studiare la Grande Piramide di Giza. Rifiutò tutte le chiacchiere secondo le quali le Piramidi di Giza sarebbero state costruite da figure bibliche o da re leggendari. Concluse, sulla base di fonti classiche, che gli antichi re egizi Cheope, Chefren e Micerino avrebbero costruito le piramidi come sepolcro sicuro per il loro involucro corporeo, perché, secondo l’antica credenza egizia, questo garantiva la sopravvivenza dell’anima.

    John Greaves iniziò la misurazione precisa delle piramidi con i migliori strumenti disponibili, seguendo una metodologia rigorosamente scientifica. Salendo la Grande Piramide contò 208 gradini e stimò l’altezza verticale della struttura in 152 metri (in realtà sono 146,59 metri). Greaves calcolò l’altezza dei triangoli che formano i lati a 211,23 metri, sbagliando di 19,15 metri. Questo non era dovuto alla mancanza di completezza del sistema di Greaves, ma al fatto che gli arabi avevano rimosso un numero non trascurabile di blocchi di pietra nel corso del tempo per costruire le proprie abitazioni. Senza attrezzature moderne, la restante piattaforma di fondazione di 212,48 metri non permise al ricercatore una ricostruzione esatta.

    Greaves descrisse anche come raggiunse l’ingresso originale all’altezza del 16° strato di pietra, passando su un cumulo di macerie e sbagliò altresì la superficie della base della piramide, ottenendo 44.615 metri quadrati (in realtà sono 54.300 m²), a causa dei dati errati sulle fondamenta. Tuttavia, le conclusioni tratte dal prof. John Greaves portarono all’epoca a una vivace controversia in Inghilterra, dove rifiuto e approvazione si equilibravano a vicenda. Anche il dott. William Harvey, lo scopritore della circolazione sanguigna, partecipò alla discussione e si disse stupito che Greaves non avesse individuato e descritto i pozzi di ventilazione, tramite i quali avrebbe dovuto essere possibile fornire, durante la fase di costruzione, aria esterna alle camere all’interno della piramide. Secondo Harvey, tali pozzi dovevano esserci, ipotesi che spiegò come segue:

    «… come ora sappiamo, non possiamo inalare la stessa aria due volte. Abbiamo sempre bisogno di aria fresca!».

    Greaves aveva infatti notato due rientranze sulle pareti sud e nord della Camera del Re, che egli, basandosi su tracce di fuliggine, motivava come nicchie per collocare lampade a olio. Probabilmente la fuliggine non era dovuta ai costruttori della piramide, ma a successivi intrusi, che si erano creati un accesso alla costruzione nel IX secolo.

    Ora sappiamo che la congettura architettonica del dott. Harvey era giustificata. Duecento anni dopo Greaves, i ricercatori britannici Richard William Howard Vyse (1784-1853) e il suo collaboratore John Shea Perring (1813-1869) scoprirono sulle pareti esterne della piramide le uscite dei pozzi di ventilazione verso la Camera del Re. Dapprima sospettarono che i pozzi portassero in un’altra stanza. Tuttavia, i ricercatori abbandonarono di nuovo questa teoria quando sgomberarono il pozzo meridionale di macerie e improvvisamente l’aria iniziò a fluire nella Camera del Re. Da ciò trassero l’errata conclusione che i pozzi servissero alla ventilazione e coniarono così il termine pozzi di ventilazione, usato da allora.

    Sorprendentemente, questa spiegazione fu rifiutata già allora da emeriti scienziati del XIX secolo nel Mitteilungen des Instituts für Orientforschung (Comunicazioni dell’Istituto per la ricerca dell’Oriente).

    Prima che John Greaves ritornasse in Inghilterra, consegnò i suoi strumenti a un giovane veneziano di nome Tito Livio Burattini, che lo aveva accompagnato alla Piramide. Questi non era meno ansioso degli inglesi di determinare le esatte dimensioni della Grande Piramide e, soprattutto, di scoprire l’unità di lunghezza cubito, piede o palmo, su cui si basava la pianta originaria dell’edificio. Il viaggio in Egitto dell’italiano fu sostenuto finanziariamente dal gesuita tedesco padre Athanasius Kircher (1602-1680), che si era appena trasferito a Roma per discutere con Galileo Galilei (1564-1642) la questione di un’unità di lunghezza universalmente valida e del suo collegamento egiziano.

    Già lo studioso greco Pitagora di Samo (580-501 a.C.) riteneva che le misure dell’antichità fossero derivate da modelli egizi e si basassero su uno standard immutabile. Ma a tutt’oggi rimane un mistero come le importanti conquiste scientifiche degli antichi egizi possano essere rimaste nell’oblio per secoli!

    C’era forse in gioco anche l’intenzionalità?

    Gli uomini della Rivoluzione Americana sembrano aver conosciuto in dettaglio le antiche tradizioni egiziane. Sulla base dei risultati della ricerca del prof. Greaves, l’allora presidente George Washington e il suo ministro della Difesa Peyton Randolph si erano impegnati, nel Novembre 1777, a raffigurare il simbolo massone della Piramide sul retro del Grande Sigillo degli Stati Uniti. Come i greci, avevano visto in esso un antico legame con i loro antenati.

    Anche quando, nel 1789, i francesi si accinsero a rimodellare stato e società, secondo la loro idea rivoluzionaria, influenzata anch’essa dalla Massoneria, abolirono la settimana biblica di sette giorni e la sostituirono con la cadenza decadica degli antichi egizi. Napoleone Bonaparte I (1769-1821) si ispirò ai modelli storici delle processioni egizie di Alessandro Magno e Giulio Cesare. Il corso sapeva che non si trattava solo di una conquista militare e politica, ma della rianimazione di un vecchio tesoro di antiche conoscenze nel corso dell’Illuminismo.

    Il 12 agosto 1799 Napoleone visitò la Camera Reale della Grande Piramide insieme all’Imam Muhammad e a dodici dei suoi accompagnatori e, come Alessandro Magno, chiese di essere lasciato solo. Quando, il giorno dopo, a Napoleone fu chiesto se avesse sperimentato qualcosa di misterioso nella camera, egli rispose al suo aiutante Las Cases: «È inutile, non mi crederesti mai!».

    I francesi Sanculotti abolirono anche le tradizionali feste ecclesiastiche, per festeggiare invece solo in onore della natura e dell’essere più elevato dell’umanità.

    Per sostituire l’antica unità di misura del braccio, l’Accademia di Francia fece addirittura misurare l’arco di meridiano tra Dunkerque a Perpignan e scelse il metro come unità di longitudine basata sull’antico sistema decimale, che, secondo il suo calcolo, costituiva esattamente la decimilionesima parte della longitudine di Parigi dal polo all’equatore.

    Nel XVIII secolo i francesi erano partiti per l’Egitto con le loro 328 navi solo perché volevano superare gli inglesi, riconquistando l’accesso all’antica conoscenza. Quando finalmente arrivarono in Egitto il 19 maggio 1798, furono accompagnati da un esercito di 35.000 soldati e da un gruppo di 500 civili, tra cui alcuni studiosi dell’Accademia di Francia. Dopo aver raggiunto le piramidi di Giza il 21 luglio 1798, tuttavia, la situazione divenne preoccupante: il califfo Murad Bey e 10.000 dei suoi cavalieri mamelucchi attaccarono gli europei. Ma ogni volta che i francesi venivano attaccati, i soldati formavano il famoso quadrato, curando di far risuonare la chiamata: «Studiosi e asini al centro!».

    Il successivo massacro, tuttavia, avvenne esclusivamente tra le file degli intrepidi Mamelucchi. In due ore, più di 2000 loro morti coprivano il campo di battaglia, mentre i francesi avevano perso solo 40 uomini.

    Solo un mese dopo, tuttavia, le sorti per l’esercito francese volsero decisamente al peggio. L’esercito britannico, guidato dall’ammiraglio Lord Horatio Nelson, alto solo 1,57 metri, intervenne e, ad Abukir, non solo affondò 13 delle 17 navi francesi, ma catturò anche tutti i soldati. I francesi subirono 3105 feriti e 1700 morti nelle due battaglie. Il 4 giugno 1999, il ricercatore marino parigino Franck Goddio dell’Istituto europeo di archeologia marina (Europäisches Institut für Meeresarchäologie) riuscì a localizzare i relitti dell’Armada francese in uno strato sedimentario fangoso alla profondità di undici metri. I pezzi dei relitti si trovavano a circa 20 chilometri a nord dell’odierna Alessandria d’Egitto e furono recuperati, in parte, nell’estate del 2000. L’impresa di Napoleone si rivelò un fiasco militare, ma allo stesso tempo questa campagna portò alla nascita della nuova scienza, l’Egittologia.

    Sebbene i caratteri della scrittura degli antichi egizi rappresentassero ancora un limite apparentemente insormontabile, ebbe iniziò un graduale avvicinamento alla cultura dell’antico Egitto. Uno dei partecipanti più acuti della spedizione fu Edme François Jomard, che raccontò quanto fosse stato faticoso per i francesi farsi strada stando piegati e strisciando nelle strette gallerie delle costruzioni egizie. Bruciacchiato dal calore delle torce e mezzo soffocato per mancanza d’aria, egli strisciò più volte attraverso i corridoi sepolti. Tra l’altro, il colonnello Jean-Marie Coutelle lo accompagnò nelle ricerche su un pozzo della piramide. Jomard racconta che furono ripetutamente tormentati da sciami di pipistrelli spaventati, che graffiarono i loro volti e tolsero loro il respiro con il loro odore pungente.

    Anche quando Edme F. Jomard esaminò la Grande Piramide si lamentò dei detriti e della sabbia che, nel tempo, si erano accumulati su tutti i lati. Con 150 collaboratori riuscì infine a liberare gli angoli nord-est e nord-ovest della costruzione. Fecero così una scoperta significativa: trovarono il troncone della piramide, non visto dal prof. John Greaves, su cui era stato costruito l’enorme impianto.

    Direttamente sulla piattaforma di fondazione, furono liberate dalla sabbia due cavità rettangolari di 3,05 x 3,66 metri, scavate nella roccia di fondazione per un’altezza corrispondente di circa 50 centimetri. Ma per cosa?

    La costruzione doveva essere misurata con precisione per scoprire il vero significato di questi elementi architettonici. Per determinare l’altezza della piramide, Jomard misurò ogni singolo gradino e giunse a un valore di 144 metri. Secondo semplici calcoli trigonometrici, l’angolo di inclinazione, determinato per i 184,722 metri di altezza laterale, era 51° 19’ 14’’.

    Jomard era fuori di sé e andò a consultare gli scritti classici che gli studiosi francesi avevano portato con loro in Egitto. Scoprì che lo stadio dei greci alessandrini aveva una lunghezza di 185,5 metri. Il sospetto di un possibile collegamento con l’altezza laterale della piramide calcolata da Jomard fu successivamente confermato dai risultati del rilevamento di Napoleone. Egli scoprì che alcune distanze tra le antiche città egiziane e questa unità di misura corrispondevano, supponendo che lo stadio avesse una lunghezza di 185 metri. Al francese sembrava che gli antichi Egizi possedessero un sistema universale di misure e pesi, uno dei modelli più avanzati di misurazione del tempo e della lunghezza. Jomard non aveva torto su questa ipotesi. Questo antico sistema egizio si basa sull’apparente rotazione del cielo attorno al prolungamento dell’asse esteso della Terra e rappresenta un modello, che fu presentato per la prima volta 150 anni fa nel mondo occidentale dall’astronomo britannico Sir John Herschel (1792-1871). È molto probabile che gli antichi architetti egizi sapessero non solo della lunghezza media dell’orbita terrestre, ma anche che fossero ben consapevoli della densità specifica del nostro pianeta e del ciclo di 25.826,6 anni, la cosiddetta precessione (rotazione della Terra intorno al proprio asse), nonché dell’accelerazione della gravità e della velocità della luce.

    Eratostene, Ipparco di Alessandria, Pitagora e altri greci, considerati dalla nostra dottrina i fondatori della matematica, devono aver raccolto solo i frammenti di una scienza antica fondata migliaia di anni prima dei greci, dagli egizi o addirittura da predecessori sconosciuti. Il teorema di Pitagora non è nato fino al V secolo a.C., probabilmente perché lo studioso greco aveva trascorso 22 anni della sua vita in Egitto. Egli fondò la sua accademia nell’antica Grecia solo dopo essere stato imprigionato dai babilonesi e poi liberato!

    Come proseguiamo da qui?

    La più importante università del mondo era nell’antica città egizia di "Iwnw (I pilastri del cielo), che i greci chiamavano Heliopolis e che gli autori della Bibbia chiamavano On".

    Ai tempi del faraone Ramses III (1191-1159 a.C.) vi avrebbero lavorato 13.000 sacerdoti. Queste testimonianze degli antichi studiosi di Eliopoli che, nel frattempo, si possono rileggere, ci mostrano che la geografia, in realtà, non è stata scoperta dai pionieri greci, come si supponeva da tempo. Di fatto essi si affidarono, invece, alle grandi conquiste scientifiche degli antichi egizi, che essi, come i moderni egittologi (!), compresero solo in parte.

    Gli studiosi di oggi, ad esempio, attribuiscono il calcolo della circonferenza della Terra allo studioso greco Eratostene, che tutto d’un tratto, ad Alessandria, avrebbe misurato l’angolo di incidenza dei raggi solari durante un solstizio d’estate. Nel frattempo, tuttavia, è stato dimostrato che egli aveva ottenuto le sue conoscenze sull’estensione della Terra da fonti egizie antiche e che non comprese veramente il significato dei dati mutuati dagli egizi. Sebbene 50 stadi costituissero la base per l’estensione di un grado di latitudine, Eratostene affermò che erano 700.

    Nel 1997, lo storico dell’arte dott. Florian Huber riprese la tesi dei 700 stadi e dimostrò, sulla base di dati antichi, che in realtà questa era la misura della circonferenza della Terra.

    Lo studioso greco rivendicò anche la paternità della scoperta secondo cui il Sole proietta un’ombra di 7° 12’ sopra Alessandria quando non produce un’ombra al confine meridionale dell’Egitto. In realtà egli aveva anche qui attinto ad antiche note egizie, che il Tropico del Cancro si trovava a una longitudine di 23° 51’ e che il Sole a Elefantina¹ non proiettava ombra. Ciò che Eratostene non sapeva, e non poteva determinare con le misurazioni, era il fatto che il Tropico si era spostato a 23° 45’ a causa della rotazione dell’asse terrestre. Allo stesso modo, non era consapevole di dover correggere i suoi valori numerici in base al raggio del Sole. Eratostene credeva anche che le città di Alessandria ed Elefantina fossero sullo stesso meridiano (il reticolo geografico terrestre), anche se distanti tra loro poco più di 300 chilometri.

    Come facevano gli antichi egizi a saperlo?

    Chiunque oggi creda che la storia di Cenerentola sia stata un’invenzione di Walter Elias Disney o dei fratelli Grimm si sbaglia. Infatti sembra che la storia originale di Cenerentola abbia avuto origine nell’Egitto della quarta dinastia (2505-2348 a.C.) e che racconti la storia vecchia di 4500 anni della principessa egizia Nitokris. Il geografo e storico greco Strabone (63 a.C. – 27 d.C.) ha conservato questa storia, legata alla costruzione della più piccola piramide di Giza, nel suo 17° libro Geographica, I, 33:

    «Quando una volta Rhodopis (Nitokris) fece il bagno, un’aquila portò via una delle sue scarpe alla sua serva. La portò a Menfi, dove il faraone era seduto all’aperto e amministrava la giustizia. L’aquila si fermò sopra di lui, galleggiando nell’aria, gli lasciò cadere la scarpa in grembo. Il faraone si eccitò sia per l’armonia delle proporzioni della scarpa che per l’evento miracoloso, mandando a cercare in tutto il Paese colei che la indossava».

    La principessa fu trovata dopo una ricerca su larga scala nella zona del delta e in seguito sposò il faraone. Se il re fosse Micerino (2389-2364 a.C.) non è del tutto comprensibile dai frammenti di questa storia. In ogni caso, dopo la sua morte la principessa fu sepolta a Giza e, secondo Strabone, dovrebbe trovarsi nella piccola piramide attribuita dagli egittologi a Micerino. Strabone scrive in merito: «Si dice che sia la tomba di un’etera, eretta per lei dai suoi amanti…».

    Distruggere la conoscenza proibita e qualsiasi supporto che avrebbe potuto trasmetterla sembra essere stato un compito ambito dai responsabili in tutta la storia dell’umanità. Per questo motivo strada facendo è stato intenzionalmente abbandonato un prezioso patrimonio di pensiero già sviluppato, che ha potuto giungere al nostro tempo solo in modo decisamente incompleto. Papa Gregorio I il Grande, che ricoprì la sua carica per quattordici anni a partire dal 590 d.C., fece, ad esempio, bruciare sul Palatino l’intera biblioteca del Tempio di Apollo.

    Il più antico crimine documentato di questo tipo fu commesso da Shih Huang-ti, il primo imperatore della Cina, che regnò col pungo di ferro tra il 246 e il 221 a.C. Nell’anno 213 a.C., il ministro Li Szu convinse il suo imperatore a bruciare tutti i libri, esistenti nei singoli Stati soggiogati, che non avevano un uso pratico secondo la prospettiva del governo centrale. L’imperatore fece persino giustiziare 460 studiosi perché volevano disobbedire all’ordine. Ma anche il XX secolo appena terminato è stato caratterizzato da distruzioni deliberate delle eredità storiche, come dimostrano le azioni di Mao, Stalin o Hitler. Anche se Heinrich Himmler organizzò le sue SS secondo il modello degli ordini cavallereschi medievali, furono gli aiutanti di Hitler come Joseph Goebbels che, nel 1933, parteciparono al grande rogo di libri a Berlino, solo per distruggere parti dell’antichità documentata. Poiché i leader nazisti della prima ora avevano un’inclinazione verso l’occultismo, l’ordine mondiale cristiano del Terzo Reich doveva essere trasformato in un nuovo senso germanico. In altri casi (individuali), furono gli eredi a falsificare i lasciti o i ricercatori isolati che cercarono di piegare i risultati a beneficio della propria scienza. Pertanto, non dovrebbe sorprendere oggi che molte delle idee descritte come occidentali abbiano in realtà le loro origini presso gli antichi Egizi. Così oggi non dovrebbe esserci alcun dubbio, che la tradizione della conoscenza egizia fece emergere personaggi sapienti famosi, che raggiunsero grandi risultati già durante la loro vita. Ad esempio, il sapiente egizio Hesyra (Irj), che apparteneva alla terza dinastia egizia e praticamente sconosciuto in tempi moderni, fu benedetto con titoli arcaici molto tempo dopo la sua morte perché, nella storia dell’antico Egitto, compì atti particolarmente degni di nota, così come miracoli medici. Nella lotta contro le emorroidi, ad esempio, questo sacerdote preparò per la prima volta la medicina bm, che fu elevata a guardiano dell’ano

    Il nome dell’antico egizio significa il doppiamente benedetto.

    Secondo i suoi titoli, Hesyra era al servizio di Mehit, un’antica dea leone che come Sechmet presiedeva l’antica casta dei sacerdoti egizi. Il suo titolo Grande dei Dieci dell’Alto Egitto si riferiva probabilmente ai Dieci Giudici, che costituivano la più alta corte di giustizia dell’antico Egitto (paragonabile alla corte costituzionale tedesca di Karlsruhe) sotto il patrocinio della dea Maat.

    Come si può capire da una stele scoperta dal prof. Hermann Junker a Giza nel 1926, Hesyra era evidentemente prete, dott.e, giudice e molto di più. La casta sacerdotale a cui apparteneva era chiamata "hemu-Netjer (servitori degli dèi), che rappresentavano nientemeno che i diretti mediatori" del faraone rispetto alle loro misteriose divinità. Come ci dice il Papiro Abusir, questa antica casta sacerdotale egizia era organizzata in una struttura piramidale secondo una speciale gerarchia, presieduta dal sommo sacerdote.

    Il sommo sacerdote di Ptah a Menfi divenne nondimeno che Grande Capo degli Artigiani.

    Il sommo sacerdote di Atum era chiamato invece Colui cui è permesso di vedere il Grande Dio, e il sommo sacerdote di Ra era chiamato Colui che è grande nel vedere.

    Il livello inferiore all’interno di questa struttura di potere era formata dai sacerdoti wab, che venivano chiamati coloro che sono adatti.

    Ai ranghi più alti culminavano nel ruolo del Cheri-heb, che erano i proprietari dei libri di Thot. I Cheri-heb erano chiamati anche sacerdoti lettori, mentre gli antichi greci li chiamavano semplicemente alati ("Pteroforoi). Gli egittologi attribuiscono l’origine di questo nome greco alle due piume che i sommi sacerdoti egizi portavano sul copricapo. Probabilmente anche la rappresentazione della divinità romana Mercurio" poggia su questa antica tradizione egizia. Il Cheri-heb era l’archetipo del sacerdote egizio, avvolto in una pelle di leopardo e con il capo rasato. Questi sacerdoti svolsero un ruolo centrale in tutte le cerimonie statali e nei Misteri². Venivano iniziati nella casa della vita come custodi e guardiani della conoscenza sacerdotale, a differenza dei sacerdoti di grado inferiore, che adempivano semplicemente a compiti liturgici.

    Il sapiente Pet-Osiride, di cui sentiremo parlare più avanti in questo libro, era un sommo sacerdote di Toth. Fu addirittura venerato durante la sua vita, e, dopo la sua morte, la sua tomba attirò anche folle di pellegrini come quella di Hesyra.

    Altri sacerdoti specialisti erano gli Horuskopoi da cui deriva il nostro termine oroscopo, che conoscevano il calendario mitologico degli egizi. C’erano, inoltre, i sacerdoti Sem, che eseguivano la cerimonia di apertura della bocca durante il rito funebre.

    Tuttavia, il sommo sacerdote egizio non era un teologo, ma un esperto nel suo campo. C’erano architetti sacerdoti, astronomi sacerdoti e medici sacerdoti, mentre non ci aspetteremmo che i nostri sacerdoti, oggi teologicamente preparati, possano esercitare una qualsiasi di queste professioni. A differenza di altri incarichi, il sacerdozio non era ereditario, come era invece il caso della nomina dell’erede al trono dei re.

    Il lungo cammino da wab, il grado sacerdotale più basso, a sommo sacerdote è mostrato nel curriculum vitae del sacerdote Bek-Nechon, che ci è stato tramandato dal XIII secolo a.C. Bek-Nechon fu addestrato dai cinque ai sedici anni come cavaliere per l’esercito del faraone Sethos I (1303-1292 a.C.). Si distinse per un’intelligenza superiore alla media, e quando aveva diciassette anni fu convocato come wab nel tempio di Amon a Tebe. Già dopo quattro anni Bek-Nechon salì al rango più alto nella gerarchia dei sacerdoti Amon. Il servizio al secondo livello durò dodici anni, prima che Bek-Nechon potesse salire al terzo livello sacerdotale. Ci vollero altri quindici anni perché diventasse il secondo sacerdote di Tebe. Dopo altri dodici anni, nel sessantesimo anno di vita di Bek-Nechon, il famoso faraone Ramses II (1292-1225 a.C.) lo nominò sommo sacerdote di Amon. Riuscì a mantenere questa posizione fino all’età di ottantasette anni.

    Come sommo sacerdote, Bek-Nechon era allo stesso tempo a capo di una sorta di università. Perché, come a Eliopoli, anche al tempio di Tebe c’era un’accademia di artisti, un collegio di musica e una università tecnica. Il sommo sacerdote Pentu, medico personale del re Amenophis IV (1370-1350 a.C.), non solo era il confidente più vicino al faraone, ma anche il primo servitore di Aton. Questi maghi erano uomini potenti, sempre corteggiati dai faraoni, perché avevano conoscenze scientifiche che nessun altro possedeva. Erano una casta affiatata di iniziati di una antica conoscenza che non condividevano con nessuno. Le loro conoscenze occulte, scientifiche e mediche furono documentate su rotoli di papiro e consultate se necessario. A parte le conoscenze sul papiro, la casta sacerdotale egizia padroneggiava la geometria astronomica, che introdusse nelle costruzioni. Proprio questa antica conoscenza egizia esisteva non solo tra i popoli più recenti del Vicino Oriente, ma anche tra gli europei del Medioevo. Durante il Rinascimento, perfino gli studiosi cristiani adottarono questa conoscenza degli antichi egizi e la applicarono, incompresa, nelle nuove costruzioni.

    Ma per quale motivo?

    Le ragioni sono sempre state di natura religiosa e strettamente legate allo sviluppo dell’uomo. Già nei monasteri del Medioevo i monaci salvarono gran parte della letteratura antica con una diligente copiatura. Sebbene gli scritti fossero riprodotti e conservati in una selezione ampiamente cristiana e spesso con una devota rielaborazione dei passaggi di testo, dopo che i passaggi ritenuti troppo eretici erano stati corretti, essi avevano ancora, superficialmente, una certa corrispondenza con la fonte antica originaria. Questo è l’unico motivo per cui la parrocchia tradizionale partecipa ancora oggi devotamente quando un sacerdote versa qualche goccia di acqua santa sulla fronte di un neonato. Segue una cerimonia quasi identica in ogni ambiente cristiano: «Ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…», dice solennemente il parroco. Dopo questa azione, il bambino viene accettato nella Chiesa dei credenti con effetto immediato. Tuttavia, il battesimo è un culto cristiano che si basa in gran parte sul Nuovo Testamento. Numerosi popoli usano pratiche molto diverse nelle loro cerimonie, alcune delle quali ci sembrano addirittura strane.

    La parola culto deriva dal termine latino "cultus e significa tanto culto quanto adorazione o cura".

    Si tratta sempre di atti solenni definiti precisamente, che hanno a che fare con l’adorazione di Dio o di un essere superiore al di sopra dell’uomo. Il modo in cui il culto deve procedere è di nuovo determinato dal rito, che contiene le istruzioni per l’azione.

    Dove si trova l’origine di queste azioni diverse?

    Il Berliner Museum für Völkerkunde Dahlem (Museo etnografico di Berlino-Dahlem) espone una divinità di pietra delle Hawaii con il numero di catalogo VI 7287, che indossa una tipica gorgiera europea e una parrucca del XVIII secolo. Questa divinità con il nome Kii Akua Pohaku è chiamata dagli archeologi Spagnolo delle Hawaii e, secondo l’etnologo dott. Karl Wernhart, non è altro che un ecclesiastico e contemporaneo del marinaio britannico James Cook (1728-1779), sbarcato alle Hawaii nel 1779. Gli hawaiani devono aver identificato l’uomo bianco così incontrato con qualche altra divinità, che, ovviamente, aspettavano da molto tempo. Ma, né i conquistatori spagnoli né James Cook e il suo entourage, avrebbero potuto essere gli dèi originari degli indigeni, che questi avevano venerato per millenni. Ciononostante, in questo caso un popolo europeo tecnicamente più sviluppato è stato elevato a divinità.

    La civiltà occidentale ha mai avuto un incontro simile?

    Se doveste visitare Roma, non mancate di visitare anche la Piazza della Minerva, nella parte vecchia della città. Di fronte all’antica chiesa di Santa Maria c’è un monumento progettato dal grande Bernini, che mostra un elefante barocco che regge sul dorso un obelisco. Di fatto, l’obelisco è un originale egizio, realizzato durante il regno del re Psammetichos I (664-610 a.C.). La cosa sorprendente di questo obelisco è la sua iscrizione in latino, scritta da studiosi italiani, che recita:

    «Chiunque qui vede i segni della Sapienza d’Egitto scolpiti sull’obelisco, sorretto dall’elefante, la più forte delle bestie, intenda questo come prova che è necessaria una mente robusta per sostenere una solida sapienza».

    Quando Papa Alessandro VII fece erigere questo monumento in Piazza della Minerva, a metà del XVII secolo, nessuno nel mondo occidentale era in grado di tradurre gli strani segni incisi su tutti e quattro i lati dell’obelisco egizio. Com’è noto, fu solo nel 1822, che il grande francese François Champollion (1790-1832) riuscì a decifrare i geroglifici egizi, grazie alla sua geniale dote delle capacità combinatorie.

    Come facevano gli autori dell’iscrizione latina a sapere che questi testi geroglifici riguardavano la sapienza?

    Prima che l’Egittologia fosse fondata in collaborazione tra francesi, inglesi e tedeschi, lo studioso greco Horapollon introdusse, già 1500 anni prima, il termine "ta hieroglyphica" per indicare i caratteri egizi antichi, sui quali pubblicò anche due libri. Tuttavia, non riuscì mai a decifrare la scrittura geroglifica egizia. Un altro greco, che conosciamo con il nome di Erodoto (485-430 a.C.), ha lasciato le corrispondenti informazioni di base nella sua opera in nove volumi Storie (II, 142) sulla lunga tradizione egizia predominante di sapienza:

    «Mi hanno dimostrato che tra il primo re d’Egitto e l’ultimo sacerdote di Efesto c’è un periodo di trecentoquaranta vite umane. Perché ci sono stati così tanti sommi sacerdoti e re nel corso di questo tempo. Ma ora trecento generazioni costituiscono un periodo di diecimila anni. Perché tre persone hanno cento anni. Ai trecento si aggiungono i milletrecentoquaranta anni. Cioè: in un periodo di 11.540 anni solo re umani, e non dèi in forma umana, hanno governato l’Egitto».

    Stando a questo, gli egizi fecero fiorire il loro Paese per oltre 11.500 anni (!) prima della visita di Erodoto, cosicché possiamo supporre che abbia potuto svilupparsi anche una scienza matura. A parte la relazione di Erodoto, esiste anche un elenco del sacerdote egiziano Maneto di Sebenito (325-245 a.C.) con numeri simili nell’opera Aigyptiaka, di cui si conservano solo frammenti, e a cui gli egittologi odierni amano fare riferimento. Anche se l’inizio della monarchia egizia è indicato dagli studiosi odierni nel 3000 a.C., già grandi esperti egittologi del XVIII secolo sostennero l’ipotesi di un inizio decisamente precedente della I dinastia…

    François Champollion: 5867 a.C.;

    August Böckh: 5702 a.C.;

    William Flinders Petrie: 5546 a.C.

    È grazie a William Flinders Petrie (1853-1942) che poté essere datata l’esistenza

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