Il Silenzio degli Invisibili
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L’Autore: Giampietro De Angelis è membro fondatore di Omnibus Omnes, associazione che si occupa di tematiche legate ai diritti umani, problematiche sociali, la salvaguardia culturale dei popoli indigeni. Si interessa d’arte, da appassionato e hobbista. In particolare le arti figurative e letterarie. Ha al suo attivo la raccolta “All’ombra del punto”, selezione di brevi racconti e novelle. Per l’editore Mauna Kea ha l’edizione per Easy Reader, collana ad alta leggibilità di Mauna Kea, di “Le avventure di Pinocchio” di Collodi, “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, “La novella del buon vecchio e della bella fanciulla e altri racconti” di Italo Svevo.
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Anteprima del libro
Il Silenzio degli Invisibili - Giampietro De Angelis
Il Silenzio degli Invisibili
Giampietro De Angelis
Giampietro De Angelis
Il Silenzio degli Invisibili
Prima edizione
© 2021 MAUNA LOA EDIZIONI
ISBN 979-12-80456-05-2
" … poiché le occasioni della vita sono infinite
e le loro armonie si schiudono ogni tanto
a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare
per sentieri che non conosciamo".
Pier Vittorio Tondelli (Pao Pao)
1 Prologo
Dallo scoglio il mare assume una prospettiva diversa.
La spiaggia sfila nella sua lunghezza, mentre l’acqua spumeggia senza fretta, penetrando nell’arenile.
Dopo aver camminato a lungo sulla sabbia, osservando l’osservabile e l’immaginabile, pensando e divagando, mi sono seduto proprio lì, sul grande masso che avevo intravisto da lontano e che mi aveva incuriosito per la sua forma insolita, quasi a ricordare un levriero nel suo riposo.
È uno di quei momenti che hanno il dono dell’unicità e che, per gli insondabili giochi della mente, sembrano quasi epici nella loro essenzialità, in una sorta di fermo immagine cinematografico: ho un libro in mano, il sole sul viso, la sensazione d’un leggerissimo garbino che mi porta, di tanto in tanto, a sollevare gli occhi.
A nord, dietro una timida foschia romanticamente alta, c’è la sagoma austera del rilievo del Conero che, nonostante non arrivi ai 600 metri di altezza, ha un bell’impatto sul panorama, con il suo rapido degradare nella riviera sottostante.
A ovest, il gioco carducciano delle onde collinari. Si rincorrono, sfumano, si ritrovano e infine si perdono a ridosso del massiccio dei monti Sibillini, come a scusarsi d’averne intralciato il percorso. Non sanno, le colline, che con le loro rocche e i borghi medievali molto han dato all’immagine di quei monti, alle loro leggende, alla storia del tempo, all’orgoglio dei nonni. Al piacere degli artisti e degli ultimi artigiani.
Metto giù il libro. Sono tornato alla narrativa contemporanea e la lettura è piacevole, sorprendentemente piacevole, quasi inaspettatamente. Sono distratto da un cane che, come fosse l’unica sua ragione di vita, rincorre veloce la palla che il suo padrone calcia in direzione della battigia e oltre. Il cane non esita a saltellare nell’acqua, recupera la palla, la riconsegna, attende nuova rincorsa e nuovo recupero.
E così via, per un po’, con poche varianti. Il cane è giovane, di razza non identificabile, probabilmente un incrocio di poco conto, casuale, anonimo, irrilevante.
Ma è la gioia che conta, che sa esprimere con i suoi salti, le corse, con quella palla sgonfia tra i denti, la coda che scodinzola. L’insulso padrone, invece, è assorto al telefono, e scalcia a caso la palla recuperata, non degnando d’uno sguardo lo spettacolo che ha davanti. Non c’è amore nei suoi gesti, direi che non c’è vita, perlomeno non il tipo di vita che avrebbe senso in quel momento. È meccanico e approssimato, mentre la bestiola dà il massimo di sé, convinta di raccogliere, oltre alla palla, le attenzioni di lui.
Era prevista questa sequenza? Questa scena di un film che ha un solo spettatore, che appartiene al reale, mentre leggo un libro su uno scoglio che non sapevo esistesse fintanto non sono capitato lì per caso? Scena che alleggerisce il momento, che mi riporta all’infanzia, viaggio sempre piacevole, al ricordo del mio incrocio volpino, un piccolo cane di nome Jack che tanto avevo desiderato e che mio padre mi regalò in un giorno apparentemente come tanti, in realtà un giorno piuttosto diverso, di quelli che cambiano il corso delle cose. Un cane che, inconsapevolmente, insegnò a me, taciturno ragazzo di campagna, timido e introverso, la forza del sentimento.
La vita è senza trama. E lo è questo libro, riconoscendo alla mancanza di trama la dignità del ruolo dominante. Raccolgo ricordi, esplorazioni dell’Io e dell’anima. Mentalmente, oniricamente, scendo giù, vado nel fondo di quella cantina semibuia che facciamo fatica a raggiungere con le sue scale impervie, poco visibili, scomode, spesso inaccessibili. La cantina che, una volta raggiunta, esita ad accoglierci, vorrebbe non aprire i suoi passaggi, ma infine cede, così pare. Cerchiamo un punto dove rannicchiarci per capire qualcosa di quel guazzabuglio interiore che portiamo appresso. Non trovo niente di meglio di questa similitudine per parlare del nostro profondo
.
Lì c’è tutto, dicono.
Qualche volta mi sembra di percepirlo, quel tutto
, riesco a starci insieme. E mi piace.
Eppure, all’esterno di quell’interrato interiore, quanto è bello il cielo, quando riusciamo a guardarlo! Non avremmo bisogno di cantine junghiane se lo vedessimo per davvero. Com’è sensuale la foglia del platano che, dopo aver volteggiato zigzagando seguendo traiettorie invisibili, va a fermarsi proprio vicino a noi, con i suoi messaggi in codice e con i suoi colori dorati, come se fosse la testimone di tutto il sole assorbito nell’estate ormai finita, proiettandoci in un flash tutte le atmosfere che non abbiamo contemplato. E come è dolce il ricordo di quel bacio, il primo, atteso e sperato, nel timore che non si realizzasse. Momenti, solo momenti. Frammenti che raccontano tutto, in ordine sparso, di una vita senza trama.
Certo, nutriamo desideri, pianifichiamo progetti, magari con molta meticolosità. Magari siamo anche bravi, sappiamo portare a termine obiettivi, sappiamo realizzare un programma, riusciamo a negoziare seguendo un percorso designato. Magari sì, magari otteniamo anche riconoscimenti, e allora ci sembra che tutto stia andando come ideato e pensato, e che l’impegno e la tenacia vengano finalmente ricompensati.
Ma la vita, nel suo complesso, non ha trama. E questo libro vi si ispira, non ha trama, o sembra non averne.
Forse esiste un folcloristico destino, tra lo sbarazzino e il cinico, forse no. Se ci fosse, che c’entreremmo noi? Sarebbe la trama concepita da Altri. Saremmo solo gli attori di una interpretazione inconsapevole. Non sarebbe il nostro programma. Ma forse siamo in qualche modo responsabili, dell’istante, quello sì. Siamo padroni del singolo momento che riusciamo a sentire e a percepire. Siamo padroni di quella intuizione che arriva dal nulla e porta una luce del tutto nuova; non siamo artefici della sua nascita, ma del suo riconoscimento.
Siamo i depositari. Siamo protagonisti nel gioco di complicità con una certa intuizione, nel sentirci parte e nel metterla a frutto. La vita si snocciola lì, nella falegnameria mentale, nel saper prendere i giusti ceselli, senza fretta, con armonia e con studiata lentezza, perché il gesto richiede compiacenza, amore, gratitudine. Il gesto richiama, ha in sé la storia.
La dignità è un sorriso benevolo e incoraggiante.
Questo libro racconta i legni raccolti, cercati in assoluto ordine sparso, con umiltà e riconoscenza. I legni che il mare in burrasca ha ricevuto dai fiumi e restituisce alla terra, spingendoli fin sulla battigia. Legni cullati e mutati dalle onde, levigati al punto da trasformarsi in forme insolite, suggestive e artistiche, belle da vedere.
Che ne sa il mare di aver fatto piccole opere d’arte?
Che ne sa?
La vita è senza trama ed io ci sto dentro. E la racconto. Come racconterei all’amico ritrovato dopo vent’anni di assenza, nella geometrica accoglienza di un qualche gazebo in giardino, un qualsiasi giardino, all’ombra del pino, a ruota libera, nella lunga onda dei ricordi, mentre sul tavolo d’acacia invecchiato c’è un piccolo libro dalla copertina sobria. Piccolo? E’ enorme nel contenuto, pur con poche pagine. E’ un saggio di Roland Barthes, Il piacere del testo
, tanto breve quanto denso. Mi aveva tenuto compagnia molti anni prima quando, nella piccola stanza universitaria, avevo bisogno di bucare i limiti di una mente allevata in provincia. Quando leggiamo un libro, non è la storia raccontata che conta, non è la trama, o lo è solo in parte. Contano i vuoti, le virgole, lo spazio tra le righe. Contano i punti, l’andare a capo.
Conta la pausa. E’ in quei vuoti, è nelle pause che il lettore si sofferma, rimugina la parola, torna alla frase, la fa scendere in sé, vi si specchia, confronta il suo mondo, si immedesima, si intercambia con i personaggi: vive. Questa lucida visione di Barthes è alla base del piacere della lettura, invitando a meditarla, lentamente,