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I Robinson d'America: Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West
I Robinson d'America: Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West
I Robinson d'America: Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West
E-book318 pagine4 ore

I Robinson d'America: Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West

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Info su questo ebook

Volume numero 7 della collana "Classici" a cura di Pierluigi Pietricola.

Pubblicato per la prima volta nel 1853 a Filadelfia, la storia della famiglia Robinson divenne ben presto un bestseller dell'epoca ed eguagliò in popolarità romanzi come Robinson Crusoe, vendendo nel corso degli anni milioni di copie.

Il romanzo narra la storia di Mister Duncan e della sua famiglia e del loro instancabile e avventuroso viaggio attraverso l'ancora instabile West americano. Ricca di colpi di scena, la scoperta della vita nella sconfinata prateria porterà la famiglia Robinson a scampare a terribili cariche di bisonti e ad incontrarsi con gli indiani, e a scoprire gradualmente le antiche reliquie di un popolo affascinante, i nativi d’America, che aveva abitato la terra in un lontano passato.

The American Family Robinson è un viaggio nella cultura americana, una sorta di cavalcata on the road tra scenari mozzafiato ancora inesplorati, costellati da foreste imponenti, montagne selvagge, fiumi e valli immortalate nella loro naturale bellezza.

Oggi pressoché dimenticato dalla critica letteraria statunitense, sebbene sia stato un vero e proprio precursore del romanzo scientifico popolare del ventesimo secolo, I Robinson d’America è una ricognizione a 360° del mito della frontiera, capace di dipingere con pennellate iperreali l’atteggiamento dell’espansione stelle e strisce sul continente e di descrivere, attraverso pagine di lancinante bellezza, la natura e la cultura degli indiani d’America, i loro sentimenti, la loro religiosità, il loro modo di rapportarsi alla vita.

Un gioiello di rara potenza descrittiva che finalmente potrà essere riscoperto.

LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2022
ISBN9788869347733
I Robinson d'America: Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West
Autore

D. W. Belisle

Personaggio dai molteplici interessi, David W. Belisle (Sussex County - New Jersey 1827; Philadelphia 1890) fu scrittore, poeta, giornalista nonché sindaco di Atlantic City dal 1866 al 1867. Pubblicò il Daily Journal Camden a Camden, New Jersey. Oltre a The American Family Robinson, è famoso per History of Independence Hall from the Early Period to the Present Time, pubblicato nel 1959. Ha inoltre scritto diverse guide turistiche e manuali per viaggiatori, come A Hand-Book for the Tourist and Traveller, Over the Philadelphia and Trenton Railroad to New York: With Descriptions of all the Objects of Interest on the Route (1853) e The Parterre: A Collection of Flowers Culled by the Wayside (1849).

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    Anteprima del libro

    I Robinson d'America - D. W. Belisle

    David W. Belisle

    I Robinson d’America

    Ovvero le avventure di una famiglia persa nel gran deserto del West

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    e-Isbn 9788869347733

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione

    scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Direttore della collana Classici Bibliotheka: Pierluigi Pietricola

    Traduzione di Amedeo Ceresa Genet

    Diesegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    David W. Belisle

    David W. Belisle (Sussex County - New Jersey 1827; Philadelphia 1890). Personaggio dai molteplici interessi, fu scrittore, poeta, giornalista nonché sindaco di Atlantic City dal 1866 al 1867.

    Pubblicò il Daily Journal Camden a Camden, New Jersey.

    Oltre a The American Family Robinson, è famoso per History of Independence Hall from the Early Period to the Present Time, pubblicato nel 1959.

    Ha inoltre scritto diverse guide turistiche e manuali per viaggiatori, come A Hand-Book for the Tourist and Traveller, Over the Philadelphia and Trenton Railroad to New York: With Descriptions of all the Objects of Interest on the Route (1853) e The Parterre: A Collection of Flowers Culled by the Wayside (1849).

    Tradotta per la prima volta in Italia, una delle più emozionanti avventure nel cuore dell’entroterra americano. Un romanzo evocativo, che regala al lettore tutta la bellezza del West e della cultura dei nativi USA.

    Prefazione

    Masolino D’Amico

    Uscita nel 1853 e poi bestseller internazionale per svariati decenni, questa epopea di pionieri in un Nordamerica ancora vastamente inesplorato, sembra a leggerlo oggi, una delle tappe principali della creazione del mito della conquista del West - mito iniziato negli anni 1820 dal fondatore J. Fenimore Cooper e nel secolo seguente diventato, grazie al cinema, parte fondamentale dell’immaginario collettivo di tutti i bambini e poi di tutti gli adulti del mondo.

    Il titolo, I Robinson d’America, si rifà all’archetipo di Daniel Defoe. Lì un eroe solitario si trova a dover affrontare, armato quasi unicamente della propria iniziativa e del proprio coraggio, un ambiente del tutto sconosciuto e, se non proprio ostile, perlomeno non privo di minacce, anche da parte di altri esseri umani. Robinson Crusoe è capitato sull’isola tropicale casualmente, in seguito a un naufragio, ma non era un viaggiatore per diporto: la spedizione che stava intraprendendo faceva parte del suo programma di crearsi una nuova esistenza indipendente lontano da casa, in un paese nuovo da colonizzare. Andava, cosa che oggi chi celebra il personaggio tende a non sottolineare troppo, ad acquistare in Africa schiavi per la piantagione che si stava attrezzando in Brasile. La Provvidenza però aveva altri progetti per lui, e lo scaraventò su di uno scoglio dove passato un primo sgomento il reietto imparò lentamente e faticosamente prima a organizzarsi, poi a rispettare Colui che gli aveva imposto quella prova, infine a impossessarsi del territorio e a dargli regole civili. Da vero imperialista, sovrappose all’ambiente la propria civiltà, costruendosi una casa e suppellettili il più possibile simili a quelle con cui era cresciuto in patria, e infine dominando, benevolmente, l’indigeno cui aveva salvato la vita e che poi tenne per sé. Al quale come tutti ricordiamo non domandò se aveva un nome, ma gliene diede uno lui: Ti chiamerò Venerdì. E aggiunse, Io mi chiamo Padrone.

    Anche i Robinson d’America, la famiglia Duncan, sono nel Nuovo Continente per farsi una nuova esistenza in un mondo nuovo. A differenza di Robinson Crusoe, non sono appena arrivati, ma sono già stanziali da almeno una generazione. Non meno di lui sono spinti da voglia di avventure e di affrontare l’ignoto. Benché siano già ragionevolmente ben sistemati, provano insofferenza per la cementificazione già in atto (!) nel loro lembo di paradiso. In quelli che devono essere gli anni 1840 avvertono l’inizio di un procedimento inarrestabile, l’uomo bianco sta rapidamente distruggendo il paesaggio vergine nel quale loro si riconoscono. Pertanto decidono di trasferirsi molto più in là, verso Ovest, malgrado i disagi e i pericoli comportati da un viaggio a piedi con donne, bambini, masserizie e animali da soma, attraverso un territorio largamente sconosciuto e popolato da indigeni spesso infidi quando non violentemente ostili (alcuni sono addirittura cannibali). In compenso i nostri pionieri sono preparati ad affrontare ogni evenienza. Un paio di loro sono cacciatori e guide assai esperti, e tutti, compresi i più piccoli, esibiscono pazienza, abilità nei lavori manuali, resistenza fisica, tenacia.

    Il viaggio dura più di due anni, durante i quali il romanzo si articola in una serie di episodi che ai lettori meno giovani di oggi possono ricordare le peripezie degli eroi dei fumetti della loro infanzia, alle prese con una serie continua di prove da superare. Molto presto i nostri sono costretti a scindersi in due gruppi, uno che presumibilmente procede lungo il percorso stabilito ma tutt’altro che ben definito, l’altro, quello che seguiremo, costretto a cercare le sempre più vaghe tracce del primo, ritardato da contrattempi come il rapimento di due di loro da parte dei pellerossa.

    La storia comporta svolte continue, imprevisti e interruzioni forzate, ma a renderla sempre avvincente è l’amalgama di elementi fantasiosi e convincentemente realistici nella evocazione dei magici luoghi ancora da scoprire.

    Dei primi elementi fa parte l’imbattersi dei nostri amici, più volte, nelle tracce maestose di una qualche civiltà antichissima e ora completamente dimenticata. Emergono talvolta, in luoghi non frequentati, magari scavati sottoterra, resti di edifici di pietra, cadaveri perfettamente conservati di guerrieri giganteschi, pesantissimi oggetti d’oro massiccio; si può pensare che i cosiddetti indiani si siano sovrapposti a una popolazione estremamente più evoluta, estinta non si sa perché. Questo tema, che rimane collaterale alla vicenda, serve a darle un ulteriore elemento fiabesco e a ricordarci che nessuno, nemmeno i presunti abitanti legittimi, possiede l’intero mistero di questi luoghi.

    Dell’elemento realistico fanno parte tanti avvenimenti in cui la perfetta competenza dell’autore quanto alla fauna e alla vegetazione dei luoghi ha una parte fondamentale. Si viene assaliti dai lupi, e subito ci si arrampica sugli alberi; quando una belva maciulla la spalla di un ragazzo, bisogna sapere quali erbe cogliere per curarlo. Il succo di altre erbe e radici, queste note solo agli indigeni, combatte il veleno di un serpente a sonagli. Quando c’è un ferito si deve subito costruire un giaciglio di giunchi munito di appoggi per tenersi sollevato, ben lontano dall’umidità del suolo. Quando quasi all’inizio della traversata i nostri si imbattono in una tomba in mezzo al nulla, il più esperto di loro capisce subito che lì sotto non c’è un vero defunto, si tratta solo di un espediente di qualche viaggiatore per nascondere un piccolo tesoro (nella fattispecie, un barilotto di alcol) onde poterlo recuperare in un secondo tempo. I maschi del gruppo sono esperti cacciatori e pescatori, c’è sempre un cervo da abbattere con arco e frecce, o un pesce da catturare a mani nude.

    C’è, altro elemento fondamentale, la grande, solenne, imprevista, grandiosa bellezza di posti mai visti prima, che Belisle evoca con tutta la meraviglia e l’entusiasmo dei sommi paesaggisti ottocenteschi americani (Thomas Cole, Albert Bierstadt, Winslow Homer...).

    C’è infine, molto interessante, il rapporto con coloro che oggi, in tempi di maggiore correttezza politica, si chiamano nativi americani. L’autore, che non ha di tali scrupoli, li chiama indiani o selvaggi, e li distingue in amichevoli e ostili. I secondi sono pronti ad assalire i nostri amici senza preavviso, ma non sono dei grandi combattenti, perché questi benché in inferiorità numerica ne sterminano regolarmente parecchi. Di uno dei primi, Turbine, il romanzo offre un ritratto a tutto tondo. Si tratta di un capo che si unisce alle sorti dei nostri sin dall’inizio e poi li aiuta validamente, pur senza condividere la loro mentalità. I pionieri spesso ignorano le sue superstizioni, ma non riescono a convincerlo. Turbine mette gli occhi su una fanciulla Duncan e la corteggia a modo suo, riuscendo in qualche modo a turbarla; la sua perizia si rivela particolarmente utile quando nell’emergenza le confeziona in quattro e quattr’otto un paio di mocassini con un capretto catturato per la bisogna. Nella sua imperturbabile dignità e mancanza di umorismo - non che i pionieri ne siano poi così ricchi - questo capo che una volta esaurito il compito che si è assunto vuole tornare dalla sua gente finisce per essere il personaggio più simpatico del libro. Gli consentirà Belisle di conquistarsi una squaw bianca? Per saperlo dovrete arrivare fino in fondo.

    Introduzione

    Le altissime montagne, le possenti foreste, i fiumi e le valli del West, buona parte dei quali a tutt’oggi rimane inesplorata, sono spesso motivo di immensa gratificazione per i nostri valevoli naturalisti, lapidari e archeologi. È pertanto con l’intento di mettere in luce una tale tipologia di fonti che l’autore ha raggruppato in questa piccola opera i numerosi e sconvolgenti avvenimenti della vita nelle praterie, facendo qua e là cenno a resti del passato che inequivocabilmente testimoniano l’esistenza di una misteriosa e progredita civiltà, rispetto alla quale svariate scoperte hanno in seguito provato che le ipotesi da lui propugnate erano corrette.

    Del fatto che questo paese sia stato popolato da una civiltà che ha preceduto le attuali tribù indiane, nonché i loro progenitori, non vi è oramai più dubbio alcuno. Ovunque nel West, e in molti luoghi ad est della valle del Mississippi, prove inconfutabili attestano l’antichità dei cimeli e dei monumenti lasciati da un popolo di cui razza, nome e costumi sono andati perduti nell’oscurità che sempre aleggia su di un passato maestoso. Al fine di richiamare con maggiore efficacia la curiosità del lettore su queste remote testimonianze, e per instillare nelle menti dei giovani la sete per l’indagine scientifica, l’autore ha incidentalmente accennato a queste vestigia mentre seguiva la famiglia di Mr. Duncan nella sua faticosa peregrinazione attraverso il Gran Deserto Americano.

    A coloro che non hanno familiarità con i tratti più arcaici di questo continente, alcuni tra questi riferimenti potrebbero sembrare quantomeno improbabili, e tuttavia nella stesura di questo lavoro sono state consultate autorità competenti a sufficienza per corroborarli con un certo grado di affidabilità. Se pertanto avremo successo nel risvegliare una tale curiosità, ne saremo felici e sentiremo che il nostro lavoro non è stato vano.

    Capitolo 1

    L’insoddisfazione di Mr. Duncan. Partenza per il West.

    Vicino a Cold Springs, nella contea di Lafayette, Missouri, viveva un tale Mr. Duncan, un forzuto boscaiolo emigrato col padre ai tempi in cui la valle del Mississippi era ancora una terra inospitale, abitata da bestie selvatiche e indiani ancor più selvaggi. Il nonno era un uomo dell’Est che si era rimboccato le maniche su diversi campi di battaglia, guadagnandosi in tal modo tanti acri di terreno coltivabile quanti aveva scelto di occuparne. Così almeno aveva raccontato, quando aveva lasciato la sua casa nell’Est, dopo che era stata dichiarata la pace in quello stato che allora si trovava ai confini della civiltà – l’Ohio. Qui il soldato aveva vissuto per vedere il deserto fiorire come una rosa, e quivi era morto, rimpiangendo che la malattia gli avesse impedito di sottrarsi al fragore del maglio e al ronzio della vita meccanizzata.

    Il padre di Mr. Duncan, nel vigore dell’età adulta, aveva attraversato il Mississippi e si era stabilito a Cold Springs, una regione a quei tempi isolata dalla civiltà, com’era l’Ohio molti anni prima che l’uomo bianco mettesse piede ad ovest dei monti Alleghany. Aveva però vissuto abbastanza a lungo per sentire l’eco della prima locomotiva, e vedere il lusso, che con la sua influenza taciturna ma potente snaturava i figli e le figlie dei pionieri, finché l’uno non finiva per squagliarsi alla vista del pericolo e l’altra per sprecare le proprie mattinate fra pantofole e bigodini di carta.

    Il tempo venne a riscuotere i conti e l’uomo morì; e fu così che suo figlio, il Mr. Duncan del nostro racconto, iniziò a volgere la propria attenzione al West, come prima di lui avevano fatto suo nonno e suo padre. Costui vent’anni prima aveva sposato la figlia di un cacciatore di pelli, e ora la sua famiglia era composta da quattro figli e due figlie, un figlio adottivo e suo cognato, Andy Howe, che aveva trascorso la vita a cacciare e far baratti con gli indiani.

    Lewis, il figlio maggiore di diciannove anni, era ormai un uomo fatto in quanto a forza, misura e giudizio; freddo e veloce nelle emergenze, in condizioni ordinarie si curava unicamente del suo cane, della sua pistola e di suo zio, le cui dettagliate conoscenze su tutto ciò che riguardava la foresta lo avevano reso una sorta di oracolo vivente.

    Edward, un ragazzo di diciassette anni, era appassionato e testardo, sebbene intrepido e generoso. Jane, di quindici, onnipresente sostenitrice ed aiutante della madre, era briosa, energica e coraggiosa. Martin, un dodicenne sempre in cerca di svaghi, era amante tanto del divertimento quanto dei guai. Anne, una timida bambina di dieci anni, era da tutti soprannominata Baby tranne che da Lewis, il quale, fra tutti, la capiva di più e la chiamava cerbiatta. Infine c’era il figlio adottivo, Sidney Young, un nobile giovanotto di diciotto anni i cui genitori erano morti affidandolo alla protezione di Mr. Duncan, il quale gli aveva riservato tante tenere attenzioni quante ne aveva riversate sugli altri suoi figli naturali.

    Non dobbiamo dimenticarci di presentare il Piccolo Bennie, o per meglio dire, Benjamin, un ometto di otto anni, che già sapeva maneggiare arco e frecce, amo e canna da pesca, nonché pilotare la canoa con la destrezza di un piccolo indiano.

    Questa era la famiglia di Mr. Duncan al momento in cui aveva deciso di avventurarsi nelle sconosciute regioni del West. Non ho padri ipocondriaci o madri aristocratiche da presentare al lettore, bensì un proprietario terriero robusto ed esuberante che si considerava nel fiore degli anni, benché quasi cinquantenne, e si vantava di non aver mai consultato un dottore o preso medicine in vita sua.

    La signora Duncan, a quarantacinque anni, aveva i capelli lucenti, senza un solo filo argentato in testa, mentre il suo passo era ancora elastico e gli occhi vitali come quando era ragazza. Le guance erano certo meno piene di prima, ma il suo contegno da matrona e la gentilezza di madre ne compensavano ampiamente la mancanza. Si trattava di due esemplari genuini di un uomo e una donna che nessun pericolo o vicissitudine avrebbe potuto scoraggiare, che nessuna prova avrebbe potuto distogliere dal cammino stabilito, o dalla giusta inclinazione. Mr. Duncan sapeva bene che l’impegno che aveva preso non era di quelli da sottoscrivere senza pensarci, o senza una dovuta preparazione. La sua abitudine a trovarsi quotidianamente fra i pericoli della vita di frontiera, fin dalla più tenera età, glielo aveva insegnato molto chiaramente, e gli aveva anche insegnato ad amare la foresta sconfinata, le affascinanti cascate, e l’assoluta quiete che indietreggiava all’avanzare del progresso.

    Questo non è posto per me era solito dire, quando udiva di una qualche novità che nelle vicinanze aveva rimpiazzato le vecchie tradizioni. Ma quando finalmente uno dei suoi luoghi preferiti presso un corso d’acqua fu occupato, gli alberi abbattuti, e il ruscello deviato, per un momento egli sembrò incapace di reagire; il suo sguardo vagò con aria interrogativa da un membro all’altro della famiglia, e alla fine si posò su Howe, come se si aspettasse che fosse proprio lui a suggerire il modo di fronteggiare questo ennesimo cambiamento.

    Non si può fare, Duncan disse il cacciatore, intuendo la domanda inespressa. Siamo in trappola. Non lo vedi che siamo circondati?

    Se solo avessero scelto un altro posto per quest’altro negozio… emporio, o comunque tu lo voglia chiamare, avrei provato a sopportarlo. Ma quel posto no; così è troppo.

    E il buon giorno si vede dal mattino. Gli ispettori edili passeranno qui vicino a tracciare il percorso dei binari, domani disse Lewis.

    Una cosa del genere io non la vedrò mai disse Mr. Duncan. Il mondo è abbastanza grande per tutti. Forse è un bene che ci sia un rinnovamento generale della manifattura e del commercio, ma proprio non riesco ad apprezzarla; sono più che disposto a ritirarmi nelle foreste per lasciare spazio a chi ne è capace.

    Non bisogna dedurre che Mr. Duncan fosse un analfabeta. Al contrario, era sempre bene informato circa tutti i principali eventi, ed era stato istruito su svariati autori, sia antichi che moderni. Aveva attentamente instillato nei suoi figli l’amore per la verità e la virtù, per la gioia e per la nobiltà che essi conferiscono, nonché il disprezzo per il vizio, una cosa troppo contaminante per abbandonarvisi coi pensieri o con l’azione. Questo amore per la vita nella foresta era divenuto parte del suo essere più intimo e ormai non poteva più essere felice in mezzo alla popolazione che rapidamente gli cresceva intorno; non più di quanto lo sarebbe un dandy di Broadway nel fitto della giungla. Del resto era persino stato deprivato del suo personalissimo territorio di pesca, a causa della distruzione degli alberi che un tempo avevano ombreggiato il ruscello con i loro giganteschi rami arcuati, intrecciandosi in modo così compatto da renderlo impenetrabile al sole di mezzogiorno. Si era pertanto stancato della sua casa, e sospirava pensando alle foreste che ancora c’erano ad ovest. Prima che arrivasse la civiltà, aveva avuto tutta la libertà di dedicarsi ai suoi vecchi passatempi venatori; sotto i colpi del suo fucile di fiducia erano caduti tanti cervi, e prede ancor più nobili, che adescate dalla quiete erano venute a dissetarsi al ruscello, inconsapevoli del pericolo al quale si stavano avvicinando. Per lungo tempo Mr. Duncan aveva considerato quel posto come il suo, fino a ritenerlo essenziale alla propria felicità, non per un diritto derivante dall’acquisto, bensì per usufrutto, del quale egli aveva pienamente goduto per così tanti anni.

    Per Mr. Duncan la soluzione era dunque trasferirsi. Assecondato dalla sua famiglia, aveva venduto la fattoria e sistemato gli affari, e il 10 maggio del 1836 si era ritenuto adeguatamente pronto per affrontare l’avventura nei territori selvaggi del West. Tre carri da pioniere contenevano tutti i loro beni trasportabili, trascinati ciascuno da tre gioghi di buoi tenaci. Il primo carro conteneva provviste e verdure, semi e grano da piantare, assieme ad altri strumenti da cucina. Il secondo trasportava i mobili indispensabili alla famiglia, sotto i quali era stata riposta una grande quantità di assi, tela da tenda, teloni di ricambio pronti all’uso, e poi lenzuola, cordame, e così via discorrendo. Il mezzo avrebbe poi anche fatto da casa per Mr. e Mrs. Duncan, e per le ragazze. Il terzo carro era stipato di attrezzi da agricoltore e da carpentiere, conteneva le armi e le munizioni ed era destinato ad Andy Howe e ai ragazzi. Due cavalli sellati, cinque muli e tre vacche da latte, assieme a sei feroci cani da caccia veloci come antilocapre, rappresentavano infine tutto il bestiame a loro disposizione.

    Così preparata, la famiglia disse felicemente addio alla sua vecchia dimora per trovarne una più congeniale. Parlo di un addio felice perché di certo i membri adulti della famiglia se ne andavano di propria volontà, mentre quelli più piccoli, trascinati dalla fretta dei preparativi, non ebbero tempo di pensare e forse neppure sapevano dei pericoli in cui si sarebbero imbattuti. I giovani sono sempre ottimisti, e loro avevano imparato dai più grandi a considerare la foresta liberata dagli indiani come dei Campi Elisi di questo nostro mondo.

    Da allora, l’ondata migratoria continua ad avanzare verso occidente. Tre secoli fa le colonie del Massachusetts e della Virginia erano il West degli europei, tremila miglia al di là dell’Oceano Atlantico. Erano stati coraggiosi d’animo e forti di cuore, coloro che avevano osato andarvi. Un secolo dopo, la Pennsylvania e New York erano la frontiera; l’ondata non si era arrestata. Ancora cento anni più tardi il flusso aveva lambito gli Alleghany e correva giù lungo la valle del Mississippi, dividendosi in migliaia di anonimi rivoletti, serpeggiando e mormorando per i rilievi accidentati e le ondulate pianure. Il peso stesso di quel mormorio era ciò che aveva dato vita al West: il West esisteva ancora. E ora dov’è? Non nella valle del Mississippi, ma nella solidità della Montagne Rocciose. Quella parte che sulle cartine troviamo indicata col termine Sconosciuta. Una valle situata fra le montagne, soleggiata e lussureggiante come quelle dei sogni di un poeta, ma sorvegliata da gente guidata dalla disperazione. Questo è, oggi, il West.

    Capitolo 2

    Il Viaggio. L’accampamento. Caccia ai bisonti. Anne ed Edward si perdono. Scoperta di un antico fortino. Lotta con un lupo. Si rifugiano su un albero. Salvataggio da parte di Howe e Lewis. Ritornano all’accampamento.

    Mr. Duncan scelse la rotta dei commercianti per l’Oregon perché sapeva che era quella che con maggiori probabilità lo avrebbe condotto al paradiso dei suoi sogni. La strada gli era familiare poiché l’aveva percorsa più di una volta, qualche anno prima. Per Andy Howe ogni pietra, albero e fiume era come il viso di un amico, tanto spesso li aveva incontrati. La signora Duncan non aveva avuto alcun timore quando erano entrati nella foresta. Aveva sentito la descrizione di quelle scene e di quei luoghi così spesso da riconoscere i posti che attraversavano e, dalla completa sicurezza del carro, in compagnia del marito e del fratello, l’unica sua preoccupazione era di far sentire la famiglia comoda e protetta, per quanto le circostanze lo permettessero, naturalmente.

    Nessun incidente degno di nota aveva fino a quel punto disturbato il loro viaggio. Non rientrava nella politica di Mr. Duncan stancare fin dall’inizio il suo gruppo con lunghe, faticose marce; ma da generale e marito capace qual era, sapeva mostrare la propria forza in caso di emergenza. La strada era scorrevole e livellata, e si snodava per lo più fra sconfinate praterie che si estendevano a perdita d’occhio.

    Il quinto giorno entrarono nel Kansas, e il territorio iniziò a farsi più impervio. Incrociarono il loro primo bisonte e Lewis ebbe la fortuna di ucciderlo al primo colpo. Con l’aiuto di Howe, l’animale venne tagliato a pezzi e le parti più pregiate furono portate all’accampamento. Quella sera prepararono una cena a dir poco deliziosa. Le bistecche fumanti, accompagnate da tortini di carne, burro, formaggio, latte fresco e thè, vennero distribuite sulla tovaglia bianca come la neve che era stata stesa sul tavolo da campo, e quel banchetto principesco rese i loro primi giorni nella natura selvaggia qualcosa che era decisamente valsa la pena affrontare.

    Per la notte sistemarono l’accampamento sulle rive muschiose di un piccolo corso d’acqua oscurato da larghi alberi di cotone attraverso i quali facevano capolino le stelle, mentre la luna nuova, con la sua falce argentata, brillava delicatamente, e le ombre della sera li circondavano da tutti i lati.

    Al sopraggiungere della sera, l’avvistamento di alcune ombre che parevano essere indiani provocò nel gruppo un certo fermento, ma presto scoprirono che si trattava di un branco di cervi al pascolo. Howe rise di gusto per lo spavento che gli altri si erano presi, quasi che gli indiani per lui fossero dei fratelli. Suo padre, a suo tempo, era stato conosciuto e apprezzato per i suoi molti gesti di cortesia, tanto da potersi fregiare del titolo di Grande Medico¹, e Howe, che lo aveva accompagnato nelle sue escursioni di caccia fin da quando era ragazzo, aveva così avuto modo di trascorrere parecchie notti nelle wigwam² a godere della loro ospitalità, gareggiando con i giovani più valorosi della tribù nei giochi tradizionali e spesso unendosi alle loro battute di caccia sulle montagne. Potevano anche essere ostili e crudeli con gli altri, ma il cacciatore era sicuro che lui e il suo seguito sarebbero stati ricevuti con null’altro che gentilezza.

    Avevano avvistato molti esemplari di antilocapra, e anche tanti bisonti, ma nell’arco degli ultimi due giorni non avevano catturato nulla di grosso. L’alba del venticinquesimo giorno sorse tersa e pura. Howe e Lewis avevano sellato i cavalli, e con Sidney a dorso di un mulo i tre erano partiti per la caccia. Addentratisi nella prateria, erano stati attirati da una massa che si muoveva all’orizzonte e che, da lontano, rassomigliava a un boschetto di alberi ondeggianti al vento. I nostri amici, tuttavia, erano fin troppo esperti per non sapere che si trattava di una mandria di bisonti al pascolo. Simili spettacoli sono soliti generare una peculiare sensazione di magnificenza in chi vi assiste, e tutti e tre sentivano il cuore battere più velocemente man mano che si avvicinavano. La mandria stava pascolando e si teneva perciò in costante movimento. Da diversi punti si alzavano di tanto in tanto delle nuvole di polvere, ciascuna teatro di un qualche ostinato combattimento. Qua e là degli enormi maschi si rotolavano nell’erba: si trattava di una mandria di circa otto o novecento capi. Cavalcando con

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