Gli oli essenziali... alla vita: Introduzione all’uso terapeutico degli oli essenziali per il corpo, le emozioni e l’anima - Nuova edizione con le “7 ricette per la salute di mente, corpo e spirito”
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Info su questo ebook
Questo libro rappresenta una guida saggia e amorevole ma anche pratica e fruibile per raggiungere il nostro benessere più profondo, “[...] gli oli essenziali, rappresentano un filo conduttore che tesse una trama armonica che ci conduce in una condizione di benessere e di equilibrio rinnovato e ritrovato.
L’essenza si trasforma in un’informazione estremamente raffinata e fondamentale per il benessere e per la nostra realizzazione. [...] Conoscere gli oli essenziali non vuol dire semplicemente capire le loro proprietà o le loro caratteristiche o le loro funzioni. Vuol dire soprattutto essere disposti a intraprendere un viaggio di ascolto, di accoglienza, di sensibilità superiore… dove l’intelligenza emotiva, la creatività mentale e l’intuizione spirituale diventano guide e dove la sensorialità è solo l’espediente, il terreno attraverso cui comprendere meglio se stessi e la vita. È un viaggio attraverso la salute, questo libro, attraverso le pratiche di benessere legate all’elisir dell’immortalità, presente ovunque in questa vita per chi ha la sensibilità di fermarsi, ascoltarlo e farlo fiorire in se stesso.” (Daniel Lumera).
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Anteprima del libro
Gli oli essenziali... alla vita - Monica Di Mauro
1. AUTOBIOGRAFIA
I PRIMI INCIDENTI DI PERCORSO
Quando avevo circa 12 anni, passai un periodo piuttosto critico per la mia salute. Ricordo che avevo ogni giorno dolori addominali molto forti: si presentavano soprattutto verso sera e non si attenuavano in alcun modo. La mia pelle si era ricoperta di foruncoli e a scuola facevo moltissima fatica a concentrarmi perché ero sempre stanca. Mi sentivo spesso in ansia e ciò mi portava ad avere molte manie
, non ero mai tranquilla e provavo molta insofferenza. La notte, il buio e la solitudine mi spaventavano. Certi insegnanti mi provocavano molto turbamento, facevo di tutto per stare a casa da scuola, e le relazioni con i pari andavano malissimo perché mi sentivo fortemente insicura: i loro argomenti di conversazione non erano i miei e mi vergognavo di parlare di ciò che interessava a me. Nel complesso mi sentivo più fragile e più debole, soprattutto fisicamente, rispetto agli altri.
Se provavo a prendere un farmaco per attenuare i dolori o per una banale influenza mi riempivo di eruzioni cutanee, soprattutto nel viso e nel collo, iniziavo a grattarmi dappertutto e spesso arrivava anche il mal di testa a peggiorare il quadro.
Ricordo ancora molto bene quel periodo, perché, a differenza delle solite patologie di routine
dell’età dello sviluppo, tipo influenza o varicella che fosse, qui sembrava che nessuno ci capisse qualcosa.
Persino quando andai in gita scolastica alle superiori presi la febbre alta e passai la gran parte della gita in albergo con la professoressa di matematica. Insistette per darmi un’aspirina, mi dissi: Tentiamo, chissà che per una volta… Invece no, anche in quell’occasione la vidi impallidire davanti al mio viso che si deformava per le bolle sottocutanee sviluppatesi velocissime a pochi minuti dall’assunzione.
Mi sentivo preoccupata, perché vedevo i miei famigliari confusi, disorientati. Un giorno mio padre, avendo compreso che la questione non si sarebbe risolta da sé
, mi portò dal medico che mi curava l’allergia alla polvere (avevo anche una forma asmatica di tipo allergico che mi portava a stare molto male quando entravo a contatto con ambienti impolverati e sporchi, oppure quando dormivo in ambienti in cui fosse presente lana, nelle coperte o nel materasso).
Scoprimmo che ero intollerante a diversi alimenti e a diversi farmaci. Quel dottore mi aveva punto le braccia con delle lancette
che contenevano diversi allergeni
. Se la pelle si gonfiava e prudeva, significava che si era particolarmente sensibili
a quell’elemento. Pertanto, avrei dovuto rinunciarvi per un po’ di tempo, finché il mio corpo non fosse stato nuovamente in grado di tollerarle.
Fu molto chiaro fin da subito che non ero messa bene. Le due file di punti sulle braccia in cui mi aveva fatto una piccola incisione con quelle lancette erano tutte gonfie e pruriginose. Il medico stesso fu colpito da tanta reazione.
Quel giorno segnò decisamente la mia vita.
Uscii dallo studio del dottore con una lunga serie di prescrizioni, ma soprattutto divieti. Ero intossicata e bisognava ripulirmi
. Mi aveva spiegato, e la descrizione su di me ragazzina fu molto efficace, che l’intestino, il posto in cui il cibo si digeriva, non poteva essere estratto, lavato e fatto asciugare al sole. Per ripulirlo servivano pazienza, disciplina e tempo. A quanto pareva, il mio era in acidosi
.
Ero abituata a mangiare senza pormi minimamente il problema di cosa
mangiassi, se non in base a quanto un alimento soddisfacesse il mio gusto. Non avevo la minima idea che un cibo potesse intossicare
e un altro no. Con mia amara sorpresa venni a conoscenza che quanto amavo di più – latte, cioccolata, merendine, biscotti, snack, le mie consolazioni preferite – rientrava nella colonna delle proibizioni.
Mio padre, colpito almeno quanto me dalla situazione, era uscito dallo studio del medico provando due sentimenti evidenti: sollievo per aver avuto una risposta al problema e determinazione assoluta a mettere in riga
la mia alimentazione. Tornammo a casa dopo aver fatto spesa in un’erboristeria indicata dal medico. Gli unici biscotti consentiti li vendevano proprio lì. Erano in due versioni: una al miglio e una all’avena. In entrambi i casi si trattava di due cose
che, per quanto della stessa forma dei biscotti, possedevano una durezza, una mancanza di sapore e una non-scioglievolezza
incredibili. Dovevo tenerli nel tè (rigorosamente deteinato) non so quanti secondi prima che si ammorbidissero. Una volta in bocca andavano gestiti
, perché staccarli dal palato era un’impresa (tra l’altro a quel tempo avevo anche l’apparecchio fisso). Pane abolito, insaccati aboliti, salumi aboliti, formaggi aboliti… tutto abolito. Carne: pochissima e solo bianca. Pesce: solo azzurro e poco. Frutta: solo pere e mele. Nessuna bibita gassata, eliminato lo zucchero bianco e bandita persino la pasta che non fosse integrale. All’epoca (parliamo del 1984) la pasta integrale non era come quella di adesso. Rimaneva sempre molto croccante
e a me non piaceva.
Subito ero stata contenta di aver trovato la soluzione al mio malessere, ma poi, nel tempo, dovetti accettare un’infinità di compromessi. Andare alle feste di compleanno era un incubo. Dovevo portarmi la roba da casa, e rinunciare a tutte le cose ben più saporite che gli altri mangiavano. Inoltre dovevo rispondere a tutti i partecipanti alla festa che a turno mi chiedevano che malattia avessi e spiegarlo non era immediato. Se poi capitava che gli facessi assaggiare i miei dolci
, mi prendevano in giro perché li trovavano schifosi
. Questo non alleggeriva le mie difficoltà relazionali.
Una cara amica di mio padre aveva imparato a farmi un cestino alle mele
con un impasto di farina integrale, patate lesse, un uovo e zucchero di canna. Rispetto ai biscotti miglio e avena mi sembrava divino. Avevo imparato a farmelo anche da sola ma spesso le mele perdevano acqua in cottura e sembrava che l’impasto rimanesse crudo. Mi ero adattata e mi piaceva lo stesso, ma chi lo assaggiava lo sputava disgustato. In estate, poi, rinunciare al gelato fu un lutto vero e proprio. Potevo mangiare solo quello di soia. Nelle gelaterie, quando andava bene, trovavo uno o due gusti. Non era granché, ma sempre meglio dei biscotti miglio e avena. Insomma, un sacrificio costante per mesi e mesi. Il medico allergologo lo aveva promesso: a mano a mano che il miglioramento si fosse manifestato, avremmo reintrodotto pochi alimenti per volta fino a tornare a una pseudo-normalità. Avrei sempre dovuto rinunciare ai latticini, alle fragole, ai crostacei, al tonno e alla cioccolata, cioè ai cibi maggiormente allergizzanti
.
La mia condizione migliorò notevolmente: la pelle ritornò pulita e io mi sentii decisamente meglio. Ero motivata a continuare, ma le tentazioni allo sgarro erano continue. Uno stillicidio incessante. Mi sentivo molto sfortunata. Spesso mi chiedevo perché mai mi fosse capitata una cosa del genere. Faticavo a darmene una ragione. Quando qualche amica mi invitava a pranzo a casa sua o per qualche giorno di vacanza dovevo stare molto attenta e spiegare continuamente a tutti che non potevo
accettare molti cibi offerti. Credo di aver raccontato la faccenda dell’intestino a un milione di persone.
L’INIZIO DELLA MIA PASSIONE PER IL SALUTISMO
Quel periodo cambiò per sempre la mia vita. Appresi che i cibi si dividevano in due grandi categorie: quelli che davano risorse al corpo e quelli che le toglievano. I primi erano i cibi alcalini
e quelli alcalinizzanti
, che contenevano sali minerali, vitamine ed enzimi. Gli altri erano cibi acidi
o acidificanti
ed erano privi di elementi benefici: obbligavano anzi il corpo ad attingere alle proprie riserve per poterli processare e smaltire. Per moltissimo tempo rimasi convinta che i cibi buoni facessero male e quelli non particolarmente buoni
facessero