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La Battaglia per la Costituente: Il contributo dei socialisti nell'elaborazione della Carta Costituzionale
La Battaglia per la Costituente: Il contributo dei socialisti nell'elaborazione della Carta Costituzionale
La Battaglia per la Costituente: Il contributo dei socialisti nell'elaborazione della Carta Costituzionale
E-book190 pagine2 ore

La Battaglia per la Costituente: Il contributo dei socialisti nell'elaborazione della Carta Costituzionale

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Info su questo ebook

Esiste per gli esponenti socialisti all'indomani della guerra, e in particolare per Pietro Nenni che li guida in prima fila, una chiara linea di continuità che salda la lotta per la Liberazione alla di poco successiva fase costituente.
In questo contesto si inserisce il presente studio, che ambisce a dare un contributo alla ricostruzione del legame originale esistente fra socialisti e Costituente.

Pur nella varietà e complessità dell’esperienza costituente è stato possibile ripercorrere come si siano mosse le idee e le posizioni dei socialisti: un’operazione non del tutto agevole, ma non priva di interesse, che non si limita alla sola fase dei lavori dell’Assemblea costituente, ma che cerca di rivolgere l’attenzione anche alle tappe prodromiche che vi conducono, in particolare nel biennio 1945-1946, attraverso quelle battaglie per la Repubblica e per la Costituente che tendono a coincidere
totalmente, in quel momento, con il programma dei socialisti e di Nenni.

LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2021
ISBN9788832104530
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    Anteprima del libro

    La Battaglia per la Costituente - Ludovica Durst

    Biblioteca della Fondazione Pietro Nenni

    © Arcadia edizioni

    I edizione, gennaio 2022

    Isbn 9788832104530

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione

    scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Immagine in copertina:

    Archivio fotografico Fondazione Nenni..

    Tutti i diritti riservati.

    A mia madre

    instancabile esempio di curiosità intellettuale

    Benedetto Attili

    Prefazione

    La storia della nostra Costituzione è fuori di ogni dubbio affascinante. Essa non è da prendere alla leggera, soprattutto perché aprì, in modo tutto originale e diverso rispetto alle altre nazioni, quella che giuristi insigni – Norberto Bobbio e Stefano Rodotà tra i più prestigiosi – chiamano l’epoca dei diritti.

    Si era appena alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia combatté, all’interno di essa, un altro conflitto se si vuole più duro, lacerante e sanguinoso: la Resistenza.

    Fu tale esperienza che consentì alle varie parti politiche di assumere come condotta morale il mettere via, fino a quando necessario, le divisioni ideologiche caratterizzanti ogni partito. Molto più importante, nonché prioritario, il destino della nazione italiana. Un destino tutto da costruire più che ricostruire, creando così una cesura con la storia patria di poco precedente, evitando che medesimi errori o stesse ingenuità potessero ripetersi.

    All’indomani della vittoria del referendum sulla scelta tra monarchia o repubblica, si insediò la Costituente. E lo fece con lo spirito cui si è accennato poc’anzi. Aggiungendo un principio, la cui paternità è ascrivibile a Piero Calamandrei e i cui benefici li stiamo saggiando e verificando proprio nei tempi bui che da un abbondante ventennio stiamo vivendo.

    Vale a dire la presbiopia della Carta Costituzionale.

    Con ciò Calamandrei intendeva che la Costituzione non avrebbe dovuto sciogliere immediate e contingenti questioni fondamentali e spinose; bensì ipotizzare, e in certa misura anche ispirare, una eventuale produzione normativa riguardante alcune questioni forse appartenenti a un imprecisato futuro remoto.

    Fermi restando tali principi di fondo, la Costituente fu un vero crogiuolo di menti e prospettive, tutte diverse e con differenti impostazioni valoriali, culturali e politiche. Ma l’ubi consistam cui si è accennato, era fuori discussione e rappresentava un ipse dixit irrinunciabile.

    Ciò che, tuttavia, non valse a creare un clima di distensione.

    Fu, anzi, quella della Costituente una fase storica – l’unica rivoluzionaria dell’epoca repubblicana, insieme allo Statuto dei lavoratori – durante la quale le posizioni delle varie componenti politiche si accesero e intensificarono. Il perché lo riassunse bene Pietro Scoppola, rimarcando che fu nella Costituente che i partiti politici da elitari si trasformarono in veri partiti di massa. E per tale ragione, per tutti fu importante sancire una rottura sia con il recentissimo passato fascista, come già ricordato, che con il precedente stato liberale nel quale l’esistenza sociale dell’individuo, più che sui diritti, era basata su questioni eminentemente censitarie.

    Il libro di Ludovica Durst si concentra su quello che fu il contributo dei socialisti nella scrittura della Costituzione. Un’istanza fondamentale e imprescindibile, che tuttavia non fu priva di momenti segnati da accesi confronti tutt’altro che distesi. Il lettore li scoprirà da sé.

    Ma questo libro è importante per un’altra questione non trascurabile: la riscoperta di un Partito socialista il cui ruolo non fu di cerniera tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista come banalmente si suole credere. Perché i socialisti, oltre che mediare – pratica diffusa in tutte le fazioni politiche che composero la Costituente – proposero, indicarono, integrarono, arricchirono con idee e prospettive la scrittura della nostra Carta.

    Ludovica Durst, per la prima volta, in modo dettagliato esplicita questo contributo, diversamente destinato a restare, se non occultato, nascosto nelle maglie degli articoli della Costituzione. In tal senso, esso si colloca all’interno di una tradizione di ricerca che intende riscoprire quali fasi di mediazione sottesero la stesura finale della nostra Carta, così facendola apparire ad occhi non specialistici ciò che essa in realtà non è né mai è stata: un documento di facile elaborazione, frutto di accordi agevolmente raggiunti.

    Il polemos che contribuì a ciò che noi conosciamo come Costituzione, è nelle pagine della Durst ben rievocato, e visto dalla prospettiva del Partito socialista. Un percorso la cui qualità, oltre che documentale, è anche di spirito rievocativo. Operazione, quest’ultima, più che mai utile e da prendere come esempio.

    Piero Calamandrei sosteneva che la Costituzione è programmatica, cioè un vero e proprio programma di trasformazione sociale della società, i cui capisaldi sono quelli del diritto al lavoro, dell’effettiva partecipazione dei lavoratori al governo, del diritto al salario.

    Argomenti più che mai attuali, oggi; ma che all’epoca di Calamandrei potevano apparire sfocati. È questa contemporaneità della nostra Carta, tutt’altro che fittizia, che riprende vita – in modo vero, non solo in via teorica – nelle coinvolgenti pagine che il lettore si appresta a leggere.

    Parte I

    Verso l’Assemblea Costituente. La battaglia per la Costituente e la battaglia per la Repubblica: le parole d’ordine dei socialisti

    Capitolo 1

    I Socialisti e l’età costituente

    Esiste per gli esponenti socialisti all’indomani della guerra, e in particolare per Pietro Nenni che li guida in prima fila, una chiara linea di continuità che salda la lotta per la Liberazione alla di poco successiva fase costituente. Non solo per i socialisti, in effetti, ma per tutti i partiti ormai definibili di massa, riunitisi nel Cln, la Costituente rappresenta la possibilità di un momento rivoluzionario e di potenziale rottura con il recente passato fascista e non solo.

    La duplice lettura, anzi, dell’esperienza della Costituente e della fondazione della Repubblica, nel segno della continuità o meno con la tradizione prefascista dello Stato, di matrice liberale, è questione ancor oggi aperta e densamente argomentata da entrambe le prospettive(1).

    L’Italia del secondo dopoguerra, scrive anche Paladin, sia per gli storici che per i giuristi è una sorta di Giano bifronte, in parte con lo sguardo alla continuità con il passato (dagli Alleati ai liberali, oltre che lo stesso De Gasperi) in parte alla rottura (non solo con il regime fascista, ma anche con lo stato liberale dell’ultimo periodo statutario)(2).

    Così, ad esempio, Ridola si riferisce al dilemma di fondo degli anni fra il 1943 e il 1947 come a «due anime che si confrontarono nel processo costituente: quella, risultata minoritaria, disposta a sacrificare intese più larghe ad un’innovazione istituzionale più profonda, e quella, che risultò vincente, secondo la quale la necessità di estendere le basi del consenso sul nuovo ordinamento costituzionale doveva subire il prezzo della rinuncia a soluzioni costituzionali più coraggiose e di una certa continuità con la tradizione del parlamentarismo prefascista»(3). Il primo indirizzo fu in parte sostenuto dal partito socialista.

    Discusso è inoltre il ruolo che abbiano realmente svolto le nuove generazioni di giuristi (Giannini, Jemolo, Crisafulli, Mortati), e quanto siano stati permeabili ai programmi innovativi da questi presentati i deputati seduti in Assemblea costituente. Ugualmente oggetto di discussione è l’obiettiva capacità della nuova Costituzione di incidere nella sostanza dei rapporti istituzionali alla luce dei nuovi principi e delle regole introdotti, come dimostreranno negli anni successivi all’entrata in vigore della Carta i problemi e i ritardi legati alla attuazione costituzionale.

    Note sono al riguardo le divergenti opinioni degli stessi Costituenti: si pensi alla polemica fra Nitti e Ruini, in cui quest’ultimo affermava che nella Commissione dei Settantacinque fosse presente il fiore dei costituzionalisti italiani. Come pure all’intervento di Togliatti, che con chiari intenti politici giudicava, in occasione dell’avvio della discussione generale sul Progetto, che scarso era stato l’aiuto fornito dai giuristi e un errore non includere nella commissione i rappresentanti della vecchia scuola costituzionalistica.

    Altrettanto varie sono anche le valutazioni sull’emarginazione della scienza giuridica dal dibattito costituente elaborate dagli studi storiografici successivi, nonostante circa il 40% degli eletti in Assemblea costituente fosse riconducibile alla categoria dei giuristi, fra magistrati, avvocati, laureati in giurisprudenza(4).

    Il giudizio stesso sull’opera della Costituente non è unanime neanche fra coloro che parteciparono, direttamente o indirettamente, ai suoi lavori: giudizi opposti sconta quel carattere di compromesso che certamente va riconosciuto alla Costituzione repubblicana, fra le tre maggiori anime che ne hanno disegnato l’architrave (democratico-cristiana, marxista, liberale), e il cui senso più nobile era ad esempio richiamato da Saragat: «è molto facile – vedete! – fare delle costituzioni quando le minoranze non hanno voce in capitolo» (intervento in A.C., 6 e 11 marzo ’47)(5).

    Se è vero infatti, come scrive Scoppola, che con la Costituente si marca il momento di contrapposizione e passaggio dalla fase dei partiti elitari a quella dei partiti di massa, non deve stupire più di tanto la diversa prospettiva con cui gli esponenti della vecchia e nuova guardia ne accolsero gli esiti. A fronte della valenza positiva assegnata al raggiunto compromesso dai rappresentanti dei partiti di massa, che vi trovarono il tratto tangibile del raggiungimento di un’intesa comune, basata su un largo appoggio popolare, i giuristi di vecchia scuola, insieme ai liberali e agli azionisti (Orlando, Calamandrei, Croce, Salvemini) si trovarono invece accomunati nella valutazione sostanzialmente negativa di quello stesso compromesso, assunto nel suo significato deteriore(6).

    Sono celebri in proposito le parole con cui sintetizzava Calamandrei il giudizio sull’opera costituente: «per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere una rivoluzione promessa». Così come è da segnalare la visione fallimentare degli anni della Costituente che prevalse nella corrente storiografica successiva, sino almeno alla riscoperta di un’analisi più oggettiva e acritica di quel periodo, che maturerà negli anni Settanta, e rimetterà in discussione l’identificazione di quel momento con la definitiva caduta delle speranze per una democrazia nuova e con lo stigma della Resistenza tradita(7).

    Deluso è anche un giurista impegnato nelle file socialiste come Massimo Severo Giannini, che giudica in ultima analisi ridotto, in definitiva, il contributo che poterono dare i cosiddetti esperti a una Costituzione a suo parere «splendida per la prima parte (diritti-doveri) banale per la seconda (struttura dello Stato), che in effetti è una cattiva applicazione di un modello (lo Stato parlamentare) già noto e ampiamente criticato»(8).

    Tuttavia la Costituente rimase una zona franca, in cui, nonostante le crescenti divergenze politiche e difficoltà, resistette un clima di collaborazione, almeno fino al punto di non ritorno segnato nel 1947, cioè dopo la definitiva rottura avvenuta fra i partiti del Cln già ridotti al così detto tripartito.

    Nel breve volgere di tre anni, dal 1945 al 1948, le premesse da cui la fase costituente aveva preso avvio mutarono sensibilmente, portando tale esperienza ad essere relegata a lungo in una sorta di momento di grazia o iperuranio, avulso dalla realtà storico-politica che vi fece seguito(9).

    Osservando la vicenda sotto una diversa luce, è però da constatare che proprio in virtù di questi presupposti la costituzione ha potuto agire piuttosto come strumento per il recupero di un’identità collettiva, costruita su un terreno comune di valori da cui attingere e in cui è possibile far convivere correnti ideologiche e politiche diverse, assumendo quella funzione di integrazione che rappresenta uno dei paradigmi centrali nelle elaborazioni teoriche sulle Costituzioni delle democrazie pluralistiche(10).

    Oggi, trascorso da poco il settantacinquesimo anniversario dalla prima convocazione dell’Assemblea costituente, è ormai pacifico l’apprezzamento per il testo (al netto di ricorrenti proposte di riforma e modifica) e il valore restituito agli anni della sua elaborazione, in parallelo con l’importanza acquisita dall’interpretazione della Carta – forse difficilmente preconizzabile ai tempi – in virtù dell’opera della Corte costituzionale, mentre crescono gli studi che mettono in luce non solo l’espressione della cultura dei costituenti ma di una vera e propria cultura costituente diffusa e partecipata dall’intero paese(11).

    In questo contesto si inserisce il presente studio, che ambisce a dare un contributo alla ricostruzione del legame originale esistente fra socialisti e Costituente, nonostante il ruolo di partito di cerniera progressivamente rivestito dal partito socialista che lo vide spesso schiacciato fra quello comunista e la democrazia cristiana (per cui si disse che la Costituzione fu scritta metà in russo e metà in latino).

    Pur nella varietà e complessità dell’esperienza costituente, e senza smentire l’adesione frontista e l’allineamento su numerose posizioni comuniste, è possibile tentare dunque di ripercorrere, seppur in modo parziale, come si siano mosse le idee e le posizioni dei socialisti: un’operazione non del tutto agevole, ma non priva di interesse, da non

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