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Il diritto internazionale e il problema della pace
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Il diritto internazionale e il problema della pace
E-book137 pagine1 ora

Il diritto internazionale e il problema della pace

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Info su questo ebook

Dalla prefazione di Francesco D'Agostino
«Per quanto pubblicato più di sessant’anni fa (ma pensato ed elaborato già da diversi decenni) Il diritto internazionale e il problema della pace non ha perso nulla in completezza di informazione, immediatezza e freschezza espositiva e lucidità di argomentazione. Quando venne per la prima volta dato alle stampe, questo libro apparve a molti come un testo agile sì, gradevole certamente, ma essenzialmente destinato alla scuola e meritevole quindi di essere letto e meditato soltanto da studenti di giurisprudenza. Mai giudizio fu più grossolano di questo. I lettori più attenti, infatti, non esitarono a ritenerlo e ben a ragione un piccolo capolavoro: una di quelle opere che si possono anche scrivere in pochi giorni, ma che richiedono anni di letture e di studio per essere pensate e successivamente redatte»
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2018
ISBN9788838246531
Il diritto internazionale e il problema della pace

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    Anteprima del libro

    Il diritto internazionale e il problema della pace - Francesco D'Agostino

    Giorgio Del Vecchio

    Il diritto internazionale e il problema della pace

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4653-1

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246531

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    I. Il diritto internazionale. Suoi caratteri e suoi problemi

    II. Cenni storici sullo svolgimento delle relazioni internazionali

    III. L’idea della pace secondo varie concezioni (ascetica, imperialistica, empirico-politica, giuridica)

    IV. La guerra; suo significato e sue cause

    V. Il concetto di «guerra giusta». Teorie DI S. Tommaso, F. De Vitoria, A. Gentili, F. Suarez, ecc.

    VI . Il problema della pace e della guerra nell'età moderna. Tentativi dottrinali e pratici. Difficoltà ancora insolute

    VII. Conclusione

    Bibliografia

    UNIVERSALE

    Studium

    89.

    Nuova serie

    GIORGIO DEL VECCHIO

    IL DIRITTO INTERNAZIONALE

    E IL PROBLEMA DELLA PACE

    Prefazione di Francesco D’Agostino

    Prefazione

    Francesco D’Agostino

    Per quanto pubblicato più di sessant’anni fa (ma pensato ed elaborato già da diversi decenni) Il diritto internazionale e il problema della pace non ha perso nulla in completezza di informazione, immediatezza e freschezza espositiva e lucidità di argomentazione. Quando venne per la prima volta dato alle stampe, questo libro apparve a molti come un testo agile sì, gradevole certamente, ma essenzialmente destinato alla scuola e meritevole quindi di essere letto e meditato soltanto da studenti di giurisprudenza. Mai giudizio fu più grossolano di questo. I lettori più attenti, infatti, non esitarono a ritenerlo e ben a ragione un piccolo capolavoro: una di quelle opere che si possono anche scrivere in pochi giorni, ma che richiedono anni di letture e di studio per essere pensate e successivamente redatte. E infatti questo testo può essere definito piccolo solo per quel che concerne le sue dimensioni, non certo per le sue valenze teoretiche, che sono alte e rigorose. È, questa, un’opera della vecchiaia di Giorgio Del Vecchio, che, maestro di generazioni e generazioni di filosofi del diritto italiani e stranieri, caposcuola del neokantismo italiano e successivamente di un severo giusnaturalismo, ampiamente nutrito dai classici del pensiero cristiano, aveva quasi ottant’anni, quando, nel 1956, licenziava queste pagine; opera di una vecchiaia feconda, mite e nello stesso tempo rigorosa, sintesi di una vita tutta vissuta nell’Università e per l’Università, una vita contrassegnata da fama ed onori, ma anche da umiliazioni immeritate e sofferenze inaspettate. È notevole rilevare come proprio in queste pagine egli si sia misurato, senza alcuna soggezione, con Hans Kelsen, il più grande giurista del Novecento, sapendo di poter uscire da questo confronto vittorioso, sia sul piano teoretico che su quello stilistico: diversamente da Kelsen, autore lucido sì, ma freddo, di grande, ma anche di astrusa intelligenza, Del Vecchio sapeva offrire ai suoi lettori pagine fluide e talmente convincenti, da poter addirittura apparire intuitive ai più ingenui, a coloro cioè non in grado di comprendere come dietro la loro amabilità si dovevano percepire anni intensi e rigorosi di quel lavoro filosofico che Kant (autore prediletto da Del Vecchio, anche dopo la sua conversione al cristianesimo) definiva, non a torto, erculeo.

    Come dobbiamo accostarci oggi a questo libro? Possiamo fare diverse scelte. La prima, non la più significativa, ma certo opportuna e per nulla insulsa, è quella di utilizzarlo come un piccolo manuale propedeutico allo studio del diritto internazionale, un testo da cui è possibile ancora imparare moltissimo. Possiamo però operare anche altre scelte, più sottili: ad es. potremmo rileggere Il diritto internazionale e il problema della pace in prospettiva storico-culturale, per percepire quanto ci sia vicina e nello stesso tempo lontana la filosofia del diritto del secondo dopoguerra ed anche (perché no?) la didattica e la manualistica degli anni del secondo dopoguerra. I problemi di fondo con i quali si misurava Del Vecchio sono ancora i nostri e il titolo del libro li riassume alla perfezione, legando indissolubilmente il problema, tutto giuridico, del fondamento del diritto internazionale col problema, ben più antropologico che giuridico, della pace. Il lettore che adotti questa seconda prospettiva avvertirà subito come sia ancora nostro lo scenario di fondo della filosofia internazionalistica delvecchiana, quello costituito da una doppia presenza: da una parte, quella, ingombrante e nel contempo rasserenante (almeno in prospettiva) dell’ONU e dall’altra quella delle nuove, definitive istanze di democraticità, che vanno ormai ritenute come un connotato essenziale e irrinunciabile della forma Stato contemporanea. Ma anche questo secondo approccio al libro di Del Vecchio, tutto rivolto a dar credito alla storicità del pensiero filosofico e giuridico, per quanto più che corretto, sarebbe però riduttivo. Da Il diritto internazionale e il problema della pace ci provengono infatti insegnamenti e ammonimenti che sfondano l’orizzonte della storiografia filosofico-giuridica e giungono fino a noi con una carica di provocatorietà teoretica a dir poco imbarazzante. L’opera di Del Vecchio ci impone di guardare al nostro presente (che non corrisponde, malgrado le analogie sopra rilevate, al presente del suo autore) facendo uno sforzo non irrilevante: ci impone di tornare a pensare alle grandi parole (diritto, giustizia, pace, guerra, fraternità, violenza) sulle quali si scaricava il sarcasmo di un Nietzsche, bonificandole , accettando cioè la loro ineliminabile risonanza emotiva e al limite sentimentale, per verificarne piuttosto la perdurante (e, dopo Nietzsche, enigmatica) consistenza teoretico-filosofica. In un’epoca, come la nostra, nella quale la filosofia sembra doversi e volersi nascondere, lasciando così la scena al realismo politico ed economico, al conflitto etnico-religioso, al relativismo valoriale, questo progetto di bonifica non è cosa da poco e dobbiamo essere profondamente grati a tutti gli autori che, come Del Vecchio, ci aiutano ad operare in questa direzione.

    Osserviamo lo scenario del mondo in cui oggi viviamo. È un mondo che esalta la pace e pratica la guerra. Una contraddizione? Certamente, un’immensa contraddizione, che si manifesta non solo sul piano della prassi, ma perfino sul piano linguistico-categoriale. La guerra, nel senso strettamente giuridico del termine, sembra scomparsa. E sono nel contempo e conseguentemente scomparsi i trattati di pace. Ma non si è ridotto l’uso delle armi e degli eserciti, né è scomparsa la violenza, nemmeno quella più efferata, che esplode nel genocidio. Le Nazioni Unite e le ulteriori grandi Organizzazioni internazionali che sono sorte negli ultimi decenni (tra le quali, ovviamente, l’Unione Europea ha un ruolo essenziale), istituzioni che sono sorte col compito primario di proclamare i diritti umani ed operare per la pace, continuano a godere di un rilievo assoluto, a produrre risoluzioni, a dare fondamento all’attività, quasi instancabile, dei molteplici Tribunali e delle molteplici Corti che nel nome dei diritti umani perorano, giudicano, condannano Stati e individui e soprattutto creano opinione pubblica. Nello stesso tempo, però, le sofferenze delle persone e dei popoli, in particolare in alcuni contesti, sembrano essersi dilatate, in forme molte volte inedite, come nel caso delle grandi migrazioni che stanno scuotendo le fondamenta dei paesi europei più affluenti. Il modello politico democratico appare senza rivali nel mondo attuale, ma mai come oggi se ne discutono non solo il fondamento e la plausibilità, ma la stessa esportabilità in paesi non contrassegnati storicamente dall’esperienza della laicità cristiana. La stessa dottrina dei diritti dell’uomo, che enfaticamente venne da alcuni qualificata come il portento della modernità, appare oggi in una prospettiva ambigua, perché l’oggetto stesso della sua tematica, cioè né più né meno che l’ idea di uomo, sembra farsi oggi di giorno in giorno più evanescente, aggredita come è da ideologie anti-umanistiche o para-umanistiche, portatrici di paradigmi e di valori storicamente mai pensati in precedenza. L’ideologia del gender scardina il referente naturalistico della persona umana, come persona sessuata, le diverse nuove forme di fondamentalismo religioso propongono un teocentrismo che rende pressoché impossibile parlare dell’uomo se non a partire da una visione religiosa settoriale ed escludente; l’animalismo accusa la dottrina dei diritti umani di specismo, le nuove forme di ricerca biomedica stanno alterando radicalmente il principio dell’eguaglianza alla nascita delle persone umane, anticipando al periodo di vita prenatale (e in particolare al periodo di cultura in vitro degli embrioni umani) il costituirsi intenzionale, ad opera di tecnologie raffinate, costose e quindi classiste ed elitarie, di differenze biologico-genetiche non più poi superabili nella vita post-natale. L’insieme di questi scenari e di altri ancora, che sarebbe fin troppo lungo descrivere analiticamente, sta facendo fare un salto semantico alla stessa categoria della pace e la sta sottraendo all’attenzione del giurista, che non riesce più a leggerla come una categoria anche giuridica. L’esigenza di un nuovo impegno dottrinale, che riformuli la teoria della guerra e della pace, a partire da una rifondazione della teoria dei diritti umani fondamentali, è avvertita da tutti; ma si tratta di un’esigenza che non riesce ancora a trasformarsi in un impegno fattivo, in un orizzonte culturale capace di sconfiggere quello oggi dominante, caratterizzato da una sfiducia profonda nella forza del pensiero.

    E valga il vero. È opinione diffusa che la questione antropologica si imponga come primaria nell’epoca in cui viviamo: ma mentre per alcuni il rilievo della domanda sull’uomo è ontologico, per altri non può che avere una rilevanza meramente sociologico-culturale. Per questi ultimi, la questione antropologica non è riducibile infatti a tematizzazione teoretica univoca, per una molteplicità di fattori, tra i quali la pressione che essa subisce da parte di paradigmi riduzionistici ed emotivistici, il suo intrecciarsi con la questione religiosa e, last but non least, il carattere eurocentrico del suo stesso porsi. L’uomo che interroga se stesso sarebbe infatti essenzialmente ed esclusivamente l’uomo occidentale. E poiché complessità si aggiunge a complessità, per i critici della dimensione ontologica della questione antropologica, lo stesso uomo occidentale porterebbe sulle proprie spalle due immense responsabilità: quella di aver arbitrariamente identificato la categoria dell’uomo col sesso maschile e quella di aver considerato la sessualità umana secondo un riduttivo paradigma eterosessuale e procreativo. L’esito di queste

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