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L'Essenza Ritrovata. Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane: Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane
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L'Essenza Ritrovata. Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane: Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane
E-book127 pagine3 ore

L'Essenza Ritrovata. Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane: Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane

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Info su questo ebook

Ciascuno di noi, in un modo o nell'altro, è impegnato in un percorso di autorealizzazione, eppure tutti sappiamo che stare bene, stare molto bene, è difficile.Nell'esperienza pratica ci sono molte zavorre che lo rendono difficile. Sicuramente una di queste è la conflittualità nelle relazioni interpersonali.Per quanto capiamo che c'è una diversità di percezione, nella quotidianità accade che continuiamo a litigare, a giudicare, continuiamo a essere diffidenti, a lottare, a competere fra sessi, nel lavoro, nei rapporti familiari, con gli amici.Siamo convinti di capire, di conoscerci, però in realtà non capiamo l'altro e ci illudiamo di conoscere noi stessi. Razionalizziamo e interpretiamo i comportamenti per darci ragione, tuttavia le motivazioni sottostanti ci sono nascoste; persone diverse posso agire nello stesso identico modo, ma avere motivi completamente diversi.Questo libro ci accompagna in un viaggio alla conoscenza di noi stessi e ci aiuta ad uscire dal recinto delle nostre convinzioni personali, che ci limitano e ci impediscono di essere liberi.
LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2021
ISBN9791220372749
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    L'Essenza Ritrovata. Viaggio andata-ritorno nell'iceberg delle relazioni umane - Angelo Cilli

    Le relazioni interpersonali iniziano con un CIAO

    Non ho mai molto gradito la definizione di Aristotele quando ci definisce animali razionali e sociali. Era urticante sentirci definire animali, ma ahimè, dopo tante esperienze vissute, posso asserire che ci è andata bene che non ci abbia definiti bestie.

    Le relazioni interpersonali sono lo strumento e l’espressione del nostro essere sociali. Sono parte costitutiva della nostra umanità. Dovrebbero essere semplici come bere un sorso d’acqua, come mangiare un sandwich oppure come fare una pennichella pomeridiana.

    Il problema sta appunto qui! Le relazioni interpersonali sembrano semplici ma in realtà sono difficili. Sembrano facili perché le sperimentiamo già a livello prenatale, nel ventre materno ma, non appena usciamo dallo stato simbiotico, diventano complesse.

    Se conosciamo qualcosa e lo utilizziamo perché mai dovremmo studiare l’argomento?

    Ho scoperto che le persone hanno tanti problemi nelle relazioni intime perché credono di non avere nulla da imparare. Le vivono, non è sufficiente?!

    «Caspita! Ho un problemino con mia mamma: è asfissiante!». «Mio padre è insopportabile, mi prevarica!». «Mia sorella è una vipera». «Le donne sono tutte s...». «Gli uomini sono tutti m...». Ogni giorno sentiamo queste voci al bar, in ufficio, al parco, al supermercato, ovunque.

    Le relazioni interpersonali sono così naturali che viviamo in un realismo ingenuo e crediamo che non ci sia nulla da scoprire di nuovo. Invece urge un’alfabetizzazione delle relazioni interpersonali, per migliorare il ben-essere della nostra vita e della società, in cui viviamo.

    Negli ultimi decenni è stato fatto un grande lavoro di divulgazione relativamente all’Intelligenza Emotiva³, che ha dato un grande contributo ai rapporti umani.

    Sulla stessa scia, vorrei dare il mio contributo al miglioramento delle relazioni interpersonali e in modo più specifico delle relazioni intime.

    Innanzitutto, abbiamo bisogno di una bussola: dove il Nord? Il Sud? L’Est? L’Ovest? Come iniziano le relazioni?

    Con un CIAO.

    Ecco, C-I-A-O sarà la nostra bussola, per orientarci nei vasti oceani della nostra esistenza. A Nord poniamo la C, a Ovest la I, a Sud la A e a Est la O.

    Figura 1

    Con C intendo COMUNICAZIONE.

    La comunicazione umana, com’è noto, è caratterizzata da tre componenti: 1) il linguaggio del corpo; 2) la dimensione paraverbale; 3) la componente verbale.

    Il linguaggio corporeo sottintende, per esempio, l’espressione del volto, lo sguardo, la postura, il contatto corporeo, la distanza fra due persone, i gesti e i movimenti del corpo, l’abito, il fisico e l’aspetto esteriore. La dimensione para-verbale comporta, per esempio, il tono della voce, il ritmo, le pause, il timbro della voce. La componente verbale riguarda le parole che utilizziamo nell’interazione.

    Comunicare sottintende sempre mettere in comune con altri qualcosa.

    In senso lato possiamo dire che le parole rappresentano il cosa comunichiamo, mentre la dimensione non-verbale e paraverbale hanno a che fare col come.

    Tutti ormai sappiamo che la comunicazione non verbale riveste un ruolo determinante nei rapporti umani.

    Un mio studente non sapeva spiegarsi come mai incutesse timore reverenziale quando parlava a sua figlia, fintanto che altri suoi compagni di corso gli hanno fatto notare che il timbro della sua voce era assordante e incuteva paura. Semplicemente non era consapevole degli effetti del suo timbro di voce.

    Quando incontriamo un amico che ci dice che è felice ma ha le spalle curve, il tono della voce basso e l’espressione del volto triste, non crediamo alle sue

    Come altri hanno già detto: «Non si può non comunicare»⁴ .

    Nel corso della storia evolutiva della nostra specie abbiamo sviluppato una quantità incredibile di strumenti logici e analogici per comunicare e sembra incredibile che facciamo ancora fatica a intenderci. Essendo così dotati, come mai facciamo fatica ad avere buoni rapporti interpersonali? Boh!

    Forse perché non ci limitiamo a percepire oggettivamente quanto ci viene comunicato ma attribuiamo ai contenuti un significato che è soggettivo? Darò una risposta più avanti.

    Non mi dilungherei ulteriormente sulla C, anche perché ci sono degli ottimi libri in circolazione, che hanno approfondito la comunicazione nei suoi aspetti corporei, para-verbali e verbali.

    Volgiamo la nostra attenzione a ovest, verso la I.

    Con I sottintendo l’INTENZIONE RELAZIONALE.

    Troppo spesso si dà per scontato che le persone, dal momento che condividono la stessa organizzazione aziendale, pubblica o privata, la stessa famiglia, la stessa associazione, la stessa comunità, intendano avere una relazione interpersonale.

    Non è assolutamente certo! Anzi è proprio vero il contrario. La prima domanda che dovremmo porre a una persona dovrebbe essere: «Ma tu vuoi interagire con Caio? con Sempronio?».

    Una cliente, dopo un corso, mi confidò che non funzionava molto bene la relazione di aiuto con un’assistente sociale. Quest’ultima con tutto il suo cuore desiderava che Alberta, la mia cliente, tornasse a vivere con suo marito, col quale aveva due figli. Erano due anni che, fra un tira e molla, la consulenza non dava i suoi frutti e dato che Alberta era disorientata, le ho chiesto: «Scusami, ho capito che la tua consulente desidera che tu ti rimetta insieme a tuo marito, ma tu cosa desideri realmente?».

    «Voglio stare da sola con i miei due figli, senza mio marito».

    Sembra banale, ma dopo questa risposta Alberta stette subito meglio e seppe che cosa fare.

    Condizionati dall’ambiente familiare, scolastico, sociale non riflettiamo a sufficienza se intendiamo davvero relazionarci con altre persone. L’intenzione relazionale è un atto di volontà, riguarda la nostra pancia e quando essa manca, mettiamo l’automatico.

    Qualsiasi relazione umana può cominciare bene ma nel corso del tempo l’intenzione può affievolirsi. In molte aziende in crisi, in cui ho fatto consulenza di direzione, caratterizzate da problemi e conflitti interni, i vertici manageriali davano la colpa al mercato, alle resistenze al cambiamento, alla qualità dei prodotti, ecc., per poi scoprire che al vertice i fratelli soci non si sopportavano più.

    L’intenzione relazionale va ravvivata continuamente, forse ogni giorno, e laddove si affievolisce allora le relazioni interpersonali si fanno abitudinarie, scontate. Il fuoco si spegne e si sta insieme per abitudine, per comodità, per convenienza.

    Non c’è alcuna colpa nello spegnersi, ma se desideriamo che le relazioni interpersonali siano vivaci, creative ed entusiaste, dobbiamo cambiare marcia, mettere in folle, oppure spegnere il motore e accendere nuovamente le candele dell’intenzione relazionale.

    Non puoi dare per scontate le relazioni interpersonali, perché esse prosperano solamente se noi vogliamo che siano vive e belle.

    Quanti conflitti ho visto nelle famiglie, tra fratelli e sorelle, soltanto perché la volontà di relazionarsi si era spenta.

    Nessuna relazione interpersonale può prosperare quando l’intenzione manca. È ovvio! Ma talvolta ce lo scordiamo.

    Volgiamo ora lo sguardo a sud, verso la A.

    Con A intendo l’AFFINITÀ.

    Se l’intenzione ha a che fare con l’intelligenza viscerale, con la nostra pancia, l’affinità riguarda la nostra intelligenza emozionale, sentimentale.

    L’affinità può essere messa in relazione alla distanza fisica fra due persone. Più Tizio è affine a Caio e più desidera occuparne lo stesso spazio.

    L’affinità riguarda il feeling, la somiglianza di idee, di vedute, di valori, ed è fortemente correlata al carattere delle persone.

    O forse ha a che fare con gli astri? Beh, questo non l’ho studiato a sufficienza per poterne parlare.

    Sicuramente potrei asserire che l’affinità è comunemente vissuta dalle persone come un dato alquanto inamovibile, incontrovertibile, ovvero mi sei affine, simpatico oppure no e quindi antipatico. In realtà l’affinità è davvero malleabile, una risorsa alquanto elastica.

    L’affinità è migliorabile sviluppando l’empatia, l’intelligenza politica e la cooperazione. Più sviluppiamo il nostro repertorio emozionale e più incrementiamo l’affinità verso i nostri simili.

    Il già citato Daniel Goleman ha mostrato come lo sviluppo delle nostre competenze relative all’Intelligenza Emotiva, può incrementare l’affinità verso i nostri simili.

    Forse non arriveremo mai a raggiungere il vertice delle affinità elettive descritte da Goethe⁵ nel suo famoso romanzo, ma possiamo certamente avvicinarci. D’altro canto, l’affinità che proviamo verso gli altri è il risultato di una molteplicità di fattori, quali il condizionamento culturale, i nostri valori, le nostre credenze e soprattutto la diversità delle nostre personalità.

    Di fatto è impossibile rendere intelligibili le cause della nostra affinità senza rivolgerci a oriente, là dove troviamo la O.

    Come sapete a est sorge il sole, e a oriente della nostra bussola troviamo la O, l’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA. Così come il sole sostiene la nostra vita fornendoci la luce e facendo risaltare le forme e i colori, allo stesso modo l’organizzazione percettiva illumina le nostre relazioni interpersonali e in particolare quelle intime.

    Cosa significa questo termine un po’ ostico?

    Percepire non significa solamente cogliere un qualcosa di oggettivo, di esterno, ma vuol dire conferire a esso un significato soggettivo. Percepire vuol dire quindi interpretare e l’interpretazione avviene attraverso le nostre conoscenze passate.

    I pionieri della scuola della Gestalt⁶ agli inizi del XX secolo in Germania e poi negli USA sono stati fra i primi a studiare la percezione. Qualsiasi scuola terapeutica e psicologica è stata influenzata dalla Gestalt. Dopo questo sfoggio di cultura, torniamo al nostro seminato.

    Noi spesso vediamo ciò che vogliamo vedere e siamo convinti di cogliere la verità oggettiva delle cose. In realtà, di rado percepiamo oggettivamente gli eventi esterni; più che altro li interpretiamo dando a essi un significato soggettivo, che si trova nella nostra mente. Possiamo dire che le relazioni interpersonali assomigliano alla Torre di Babele, non perché parliamo lingue differenti, bensì perché le interpretazioni soggettive sono estremamente diverse. Noi non cogliamo l’oggettività in quanto tale, ma attribuiamo agli eventi esterni un significato che è soggettivo e ovviamente, alimentati da una personalità narcisistica, noi abbiamo sempre ragione e gli altri torto.

    Fondamentalmente la realtà oggettiva è inconoscibile e riempiamo questo vuoto con le nostre interpretazioni.

    In India, molto tempo fa, un re riunì in una piazza diversi suoi sudditi, nati ciechi. Poi chiese loro a cosa assomigliasse ciò che avevano davanti. Gli uomini tastarono quel che si trovava davanti a loro. Uno diceva che era una caldaia, un altro un mantice, un altro un ramo d’albero, per altri un aratro, un granaio; toccando le zampe qualcuno le scambiò per colonne di un tempio, la coda era la fune di una barca. Inutile dire che ciascuno era convinto di essere l’unico a conoscere la verità. In realtà la cosa davanti a loro era un animale: un elefante!

    Spesso nelle relazioni interpersonali siamo ciechi ma pretendiamo di avere ragione. Ciò che percepiamo soggettivamente è indubbiamente la verità oggettiva, concreta.

    Dobbiamo pur orientarci, no?

    Questo libro affronta il tema dell’organizzazione percettiva e dell’estrema complessità delle relazioni interpersonali. Queste ultime sono conflittuali proprio perché le lenti con le quali vediamo il mondo sono differenti.

    A dire il vero, il problema non sta neanche nella diversità, ma nella inconsapevolezza della diversità e nella pretesa che il mio modo di vedere sia l’unico o comunque quello più giusto in assoluto. In fondo, siamo ancora bimbi che credono alla semplicità dei rapporti quando invece dovremmo crescere, diventare adulti e affrontare la complessità delle relazioni interpersonali. E questo è possibile soltanto con un atto di volontà!

    Come dicevamo, le relazioni interpersonali iniziano con un C-I-A-O. Abbiamo esaminato fin qui, in modo succinto, la comunicazione verbale e non verbale, l’intenzione relazionale, l’affinità e l’organizzazione percettiva, la quale è in relazione alla nostra intelligenza cognitiva.

    Se vogliamo restare alla superficie dei nostri rapporti, è già sufficiente quanto è stato detto. Anzi è troppo! Se invece vogliamo approfondire, allora dobbiamo immergerci nell’iceberg delle relazioni umane e occuparci della diversità.

    Che tipo di occhiali usiamo? Come sono fatte le lenti attraverso le quali vediamo il mondo?

    ___________________

    ³ Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva, 1995.

    ⁴ Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, 1971.

    ⁵ J.W. Goethe, Le Affinità Elettive, 1809.

    ⁶ Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Kohler

    Livello 1 - La diversità culturale e di genere

    Come sapete, noi esseri umani siamo sempre dominati da tutto ciò che non conosciamo. I rapporti umani, in superficie, sembrano semplici, ma ciò che li rende complessi è nascosto alla nostra vista.

    La relazione interpersonale è simile a un iceberg: ciò che dominiamo è solo la punta che emerge dalla superficie dell’acqua, mentre ciò che ci disturba o ciò che ci crea conflitti è nascosto sotto il mare.

    Millenni di storia ci hanno aiutati a essere meno miopi anche se, come vedremo, non hanno risolto la nostra presbiopia. In altre parole, sappiamo vedere bene in lontananza ma facciamo fatica a vedere da vicino.

    Che cosa intendo?

    La psicologia e l’antropologia culturale hanno dato un grande contributo nel mostrarci la nostra diversità culturale e i suoi effetti nelle relazioni umane. Siamo tutti coscienti che i popoli hanno coordinate valoriali e comportamentali differenti: «Moglie e buoi dei paesi tuoi» esplicita con chiarezza questa consapevolezza. Come non parlare della diversità di genere: «Gli uomini vengono da Marte e le donne vengono da Venere». Io, personalmente, ho ancora molto da imparare sull’altro sesso, ma mi domando se oggi valga ancora l’asserzione che le donne provengono da Venere...

    L’antropologia ci ha già spiegato che la diversità culturale dei popoli, delle nazioni, delle regioni e delle città ha a che fare con la loro storia, i loro costumi, il loro territorio e le loro abitudini. La linguistica ci ha mostrato che la lingua stessa di un popolo è il risultato di una visione particolare della realtà. Diversi filosofi affermano che la realtà oggettiva, in sé, è inconoscibile eppure dobbiamo vivere in questo mondo.

    E allora che cosa possiamo fare? Come O-rientarci?

    Orientarci deriva etimologicamente da oriente e a oriente, nella nostra bussola CIAO, se ricordate, abbiamo posto l’organizzazione percettiva.

    Non potendo conoscere, in sé e per sé, la realtà oggettiva, popoli e individui si orientano utilizzando delle metafore⁷, che via via la scienza sostituisce con conoscenze più esatte. I filosofi greci classici dicevano: «Dalla doxa alla episteme⁸». Possiamo dire che conosciamo per tentativi ed errori mediante delle metafore.

    Spesso ci viene detto che dobbiamo aprirci all’altro, al diverso da noi, ma cosa significa esattamente questo monito? Come mettere in pratica questa esortazione?

    Prima di tutto aprendoci alla diversità culturale, non imponendo la nostra cultura ritenendola superiore alle altre; in aggiunta rispettando la diversità di genere e non prevaricando le donne, come è avvenuto negli ultimi millenni nella società patriarcale.

    Non cito ovviamente il colore della pelle perché mi sembra una grande cretinata; che italiani, cinesi, arabi, africani, francesi e americani siano diversi culturalmente per la loro storia va bene, ma parlare di pelle nel III millennio mi sembra di tornare al paleolitico.

    Un libro che potete leggere e che illumina la diversità culturale è quello di Giuseppe Mantovani, L’elefante invisibile, Giunti Editore, 1998.

    Molti sono i contributi della psicologia alla diversità di genere e negli ultimi decenni sono stati approfonditi molti temi: la diversità sessuale, gli orientamenti culturali, le differenze percettive, cognitive, fisiche, eccetera.

    Come accennavo, siamo sicuramente meno miopi riguardo la diversità culturale e quella di genere. Nel corso della storia umana abbiamo fatto passi da gigante, ma ciò non significa che dobbiamo fermarci alle conoscenze acquisite, al contrario, non dobbiamo abbassare la guardia: ottiche reazionarie, patriarcali e razziste non

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