Amor fati: Abbraccia il tuo destino
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Anteprima del libro
Amor fati - Kristin Flood
1
CREDI NEL DESTINO?
Credi nel destino? Quante volte, nella vita, avete sentito questa domanda, interpretandola così: Credi che la tua vita sia preordinata? Che tutto sia già pianificato in anticipo? E che, qualsiasi cosa tu faccia, tutto andrà a finire comunque nello stesso modo?
È questo il significato che viene di solito attribuito alla parola ‘destino’ – o ‘fato’. Non sappiamo se questo modo di intendere il destino sia dovuto all’educazione, alla famiglia, agli amici, alla religione o alla cultura. Comunque, in questa prospettiva, il destino diventa una forma di ‘volontà divina’.
Questa interpretazione del destino comporta di solito un approccio passivo verso l’esistenza, una mancanza di dinamismo che contrasta con l’iniziativa, l’attività, la creatività della vita stessa; cioè, con tutto ciò che è nuovo e sorprendente. È come se il destino fosse qualcosa cui arrendersi, rassegnarsi; l’equivalente di una persona, annoiata e stanca, adagiata su una sedia a dondolo, che ha smesso di lottare, che si è arresa all’inerzia, alla comoda convinzione che le cose stiano in un certo modo e non altrimenti.
Ma il concetto di destino può essere anche interpretato diversamente: può avere un significato più profondo, più ricco di sfumature, non passivo. È una parola che può contenere sia noi sia l’universo, può collegare la nostra esistenza al tutto più vasto, a quello che potremmo chiamare il Grande Disegno, a qualcosa che trascende i limiti della nostra umile vita su questo pianeta, e che può unirci a quella rete infinita e pulsante che lega tutti gli esseri viventi. Può riguardare la vita di uno specifico individuo e contemporaneamente quella di innumerevoli altri, di tutti quelli il cui cammino s’interseca con il nostro.
Un giorno, mentre a occhi chiusi praticavo un esercizio di concentrazione, mi è apparsa alla mente un’immagine: una grande rete di fili, intricata e irregolare che ricordava sia la mappa di una città, con strade e stradine che s’incrociano in ogni direzione, sia l’intreccio dei neuroni. Nel bel mezzo della rete un filo sottile e luminoso si faceva strada, ed ebbi una certezza: quel fragile filo ero io… o meglio, la mia vita. Essa era parte integrante di quella rete e ho capito che tutti i fili erano vite, e che tutti avevano un cammino da seguire; un percorso che, per quanto potesse sembrare simile a quello degli altri, in realtà era diverso, unico. Questa rivelazione mi colpì a tal punto che gli occhi mi si riempirono di lacrime: come se avessi compreso qualcosa molto più grande di me, qualcosa che riguardava tutta l’umanità. Rimasi in quello stato, per me nuovo, per un bel po’ di tempo, mentre le lacrime continuavano a scendere sulle guance. E poi tutto svanì. Più tardi, ho capito che questa era stata una delle mie prime esperienze di ‘insight’: una rivelazione intuitiva.
Non c’è alcun motivo per cui ci debba essere qualcosa di passivo nel destino. Al contrario, il destino può implicare un’accettazione attiva, una capacità di accogliere l’inevitabile. Può comportare il dire di sì a ciò che la vita ci offre, capendo per esempio che in alcuni momenti ci troviamo in certe situazioni o in compagnia di certe persone perché hanno qualcosa di prezioso da regalarci – e viceversa.
Attraverso il destino la vita ci prende per mano e ci mette davanti a tutta una serie di situazioni e di incontri. Sta a noi dire di sì o di no. Quello che ci propone è solo una bozza, e a ogni incrocio, grande o piccolo che sia, possiamo scegliere la direzione. Più siamo consapevoli, più appaiono chiare le opportunità che ci vengono offerte. La scelta però rimane sempre nostra.
Ma come scegliere, allora? Quando ci conviene seguire l’istinto? Quando dobbiamo ascoltare la ‘voce’ interiore? E di chi è quella voce? Possiamo fidarci? Perché alcune scelte ci appaiono giuste, anche se non sappiamo spiegarne il motivo?
Capire il destino alla luce delle sensazioni, emozioni e percezioni profonde ci porta a un più stretto contatto con il nostro vero Sé, con i desideri, gli scopi, con ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno. È impossibile scoprire che cosa ci abbia riservato il destino unicamente con la ragione. Le sensazioni, le intuizioni e le emozioni non nascono nel cervello, ma in un’altra parte di noi, che il nostro intelletto non è in grado di comprendere.
Che cosa succede se apriamo il ‘file’ chiamato percezione? Riusciamo a collegarci a qualcosa di originario in noi, rimasto a lungo sopito? C’è un potenziale non sfruttato, nascosto? Forse il medico e filosofo Paracelso² aveva ragione quando, nel Sedicesimo Secolo, sosteneva che l’uomo è dotato di un apparato sensoriale per captare il mondo esteriore e di un altro per il mondo interiore. Il primo, attraverso i cinque sensi – vista, udito, tatto, olfatto e gusto – ci permette di accogliere la realtà esteriore, il secondo ci collega con la realtà interiore.
Quando, a volte, abbiamo la sensazione che quello che ci sta accadendo sia giusto, anche se difficile, stiamo per abbracciare il nostro destino. In quel momento entriamo in contatto con un particolare stato d’animo, che non va scambiato per rassegnazione, sottomissione o accettazione cieca di quanto accade. Significa piuttosto che i nostri orizzonti si sono allargati e comprendiamo che gli opposti possono coesistere, in vari gradi, in situazioni e in momenti diversi: la prospettiva o questo o quello
viene sostituita da sia questo che quello
. La conclusione è che ciò che ci accade è necessario per continuare a progredire e che anche le avversità hanno qualcosa di prezioso da insegnarci.
Non molto tempo fa ho conosciuto Ilse, una sudafricana quarantenne, che aveva lavorato per alcuni anni come avvocato ‘olistico’ (così si definiva). Pur garantendo ai propri clienti un’assistenza legale di tipo tradizionale, li guidava anche a cogliere l’aspetto giuridico del loro caso in una prospettiva più ampia. Li aiutava a capire perché era successo un certo fatto, che cosa dovevano ricavarne per non cadere nella stessa trappola una seconda volta.
Sono rimasta affascinata. Il lavoro di Ilse era proprio questo: un misto tra assistenza giuridica e consulenza spirituale. Il suo scopo era di rendere i suoi clienti più consapevoli di loro stessi, della propria vita, del proprio rapporto con la famiglia e con il prossimo. Man mano che la persona si apriva alla comprensione, arrivava a scoprire altre ragioni per le quali il problema era sorto.
Ilse mi ha detto che quando i suoi clienti riuscivano a vedere i fatti in un contesto più ampio, spesso si assumevano la loro parte di responsabilità e non di rado sceglievano di risolvere il problema in modo nuovo. Riconoscevano che sottoporvisi faceva parte integrante del loro destino: era importante per la loro crescita. Così si sentivano sollevati da gran parte del disagio che il problema comportava. Molti scoprivano anche che ciò che era accaduto era una conseguenza del loro modo di pensare.
Il destino è collegato al nostro modo di pensare? I pensieri, di fatto, lo determinano? Il destino allora è il risultato di ciò che pensiamo e facciamo in un dato momento?
Il karma, ossia il collegamento tra causa ed effetto, è una sorta di legge della natura, che probabilmente è molto più sofisticata di quanto pensiamo. In superficie tutto sembra molto chiaro. Siamo bravi a spiegare le cose e a decidere perché sono accadute, ma è molto più complicato trovare le ragioni più sottili e molto meno ovvie. Svelarle significa metterci a nudo, perché spesso sono profondamente radicate nel nostro modo di pensare, nei nostri modelli di pensiero automatici e inconsapevoli.
Una frase curiosa, che mi è capitato di ascoltare nei primi anni Novanta, mi ha fatto soffermare in modo più profondo su questa questione. "Il destino è uno stato di coscienza" ripeteva Sergio Gonzalez de la Garza³. Lo avevo conosciuto in Messico, dove ero stata invitata per festeggiare una Pasqua decisamente poco convenzionale. Insieme a 600 messicani avevo piantato la mia tenda in una valle ricca di vegetazione, circondata da alte montagne, per assistere a una serie di conferenze su un diverso atteggiamento verso la vita. L’insegnante, Sergio, era un uomo di una certa età, dai modi garbati, capelli grigi, pancetta e una fessura tra i denti incisivi. Aveva le sue basi religiose nella tradizione cattolica ma non era un prete. Alcuni anni prima una crisi personale gli aveva dato una nuova visione della vita, ed era felice di condividerla con tutti quelli interessati. Personalmente ero molto colpita dalla sua capacità di unire il misticismo cristiano con la natura dell’antica saggezza indios, la solennità della Pasqua con l’amore per la musica e la danza.
Oggi la curiosa frase di Sergio ancora mi risuona nella mente: "Il destino è uno stato di coscienza". Che cosa intendeva dire? Perché ripeteva quella frase in continuazione? Era come se sapesse che facevamo fatica a comprenderla. Io stessa non ne capivo bene il significato. Ma avevo la netta sensazione che quella breve frase avesse in sé più saggezza di quanto fossi capace di comprendere in quel particolare momento.
2
LA VITA INTERIORE: PERCHÉ PRENDERCENE CURA?
Mettere al loro posto gli innumerevoli pezzi che compongono il puzzle della nostra vita quotidiana è un compito arduo. Ogni giorno affrontiamo impegni infiniti, grandi e piccoli, ma necessari. A questi si aggiungono le sorprese quotidiane, gli eventi inaspettati. I pezzetti del puzzle si sommano, si sovrappongono senza speranza. Veniamo regolarmente sopraffatti dalla sensazione che è tutto troppo impegnativo, che non possiamo farcela, che non riusciremo mai a fare quello che dovremmo.
Poi ci sono i libri che non abbiamo mai il tempo di leggere, i film che non riusciamo a vedere, i giornali che possiamo solo sfogliare, gli amici che vediamo troppo poco, le passeggiate che non riusciamo a fare.
Perché allora dovremmo occuparci anche della vita interiore? Dove potremmo trovare il tempo e le forze per farlo? In fondo è intorno a noi che la vita si muove davvero, è lì che avvengono i cambiamenti e accadono le cose nuove, è lì che siamo in grado di vedere, toccare, odorare, assaporare, sentire, godere. Perché dunque può essere importante l’invisibile e l’intangibile? Perché ciò che succede dentro di noi determina il ‘come’ noi sperimentiamo e gestiamo la vita esteriore. È proprio da questo incontro tra l’interiore e l’esteriore che la nostra vita si rivela.
È facile dimenticare che c’è un ‘Io’ che abita il nostro corpo. Ed è facile anche dimenticare che il corpo è uno ‘strumento’ fantastico che ci permette di scoprire le cose, di percepire e apprezzare ciò che avviene nel mondo fisico; è il corpo che fornisce le esperienze della nostra esistenza, a condizione che ci occupiamo di lui in modo adeguato.
Questo ‘Io’ che vive racchiuso dentro pochi metri quadrati di pelle osserva, registra, sente, pensa, capta tutto ciò che succede là fuori. E guarda il mondo dal suo osservatorio più importante: gli occhi. È questo Io che decide. È questo Io che sa qual è il mio modo di fare e di essere nelle varie situazioni.
Occupandoci del nostro universo interiore riusciamo ad avere una visione sempre più chiara e una comprensione sempre più profonda di ciò che intendiamo per il mio modo di fare, essere, sentire, amare, pensare ed esprimermi. Comprendiamo che il mio modo ha un posto fra tutti gli altri modi, ma è totalmente diverso perché è solo mio e nessuno può capirlo integralmente.
Abbiamo tutti il diritto di scegliere come condurre la nostra vita: il modo in cui desideriamo o non desideriamo viverla. Eppure è facile rinunciare alla responsabilità della scelta. Per esempio, pensiamo alla nostra famiglia e all’ambiente in cui cresciamo: la convinzione più comune è che ci siamo capitati per caso, che non abbiamo scelto noi. Eppure alcuni affermano che, a un livello più profondo, siamo invece proprio noi a scegliere anche i nostri genitori e la nostra vita, con tutte le sfide che ci offre.
Quando qualcuno mi parlò per la prima volta di questa possibilità, fui molto scettica. L’idea però si insediò nella mia mente e dopo un po’ mi accorsi che aveva un senso. Pensai: "Forse è vero che qualcosa in me ha scelto". Lentamente questa visione mi aiutava ad assumere una maggiore responsabilità nella mia vita, attribuendo meno colpe alla mia famiglia per le cose che non andavano bene. Da allora le conseguenze di questa idea, sono diventate molto più importanti dell’idea stessa.
Il pensiero che qualcosa in noi abbia scelto i nostri genitori ci può aiutare a vedere la vita e il nostro comportamento con maggiore distacco. Quando ci chiediamo perché assumiamo un certo atteggiamento, ci rendiamo conto che molte volte tendiamo a imitare i nostri genitori senza esserne consapevoli. Siamo come delle piccole fotocopiatrici. Con il