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È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo
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È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo
E-book305 pagine4 ore

È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo

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Info su questo ebook

Può un problema trasformarsi in un’occasione?

Quante volte nel bel mezzo di una discussione in famiglia o sul lavoro vorremmo scappare lontano, evadere da tutte le difficoltà che si creano nella comunicazione con gli altri? Perché non ci si capisce? Perché è così complicato far passare le proprie istanze? I maggiori affanni quotidiani ce li creano proprio le relazioni con il prossimo, spesso più croce che delizia. Il nodo sta nel fatto che ognuno di noi vuole sempre la ragione, ci troviamo in difficoltà ad ammettere un errore o a chiedere semplicemente scusa. Molti scontri sono il frutto non solo di visioni della vita diverse, ma anche di carattere e temperamento poco affini. Per agevolare le relazioni occorre immettersi sulla strada della lealtà e del buon senso. È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo offre al lettore una galleria di strumenti indispensabili per tutti, per pianificare e rendere possibile una serena convivenza nelle relazioni con gli altri e con noi stessi.

Una guida indispensabile per gestire al meglio il rapporto con noi stessi e con gli altri

Alcuni dei temi trattati:

• Come trovare la connessione con l’altro
• Avviamento alla capacità di fare accordi con gli altri
• Potenziare se stessi, automotivarsi
• Resistere e non spezzarsi
• Genitori: l’ascolto attivo serve a gestire la negatività
• Lavoro: apprezzamento e critica costruttiva al collega e al capo

Pino De Sario
è uno specialista in facilitazione, psicologo dei gruppi, lavora quotidianamente negli apprendimenti delle competenze collettive (al gruppo e alle emozioni), presso leader, medici, infermieri, educatori, insegnanti, operatori pubblici e dirigenti. Approfondisce gli strumenti utili per unire le persone, ben conoscendo le mille forze che dividono. Docente all’Università di Pisa. Direttore della Scuola Facilitatori, su questi argomenti è autore di svariati volumi.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2014
ISBN9788854166189
È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo

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    Anteprima del libro

    È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo - Pino De Sario

    logo-collana

    184

    Prima edizione in ebook: marzo 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6618-9

    www.newtoncompton.com

    Pino De Sario

    È facile affrontare i problemi della vita se sai come farlo

    Newton Compton editori

    OMINO-OTTIMO.tif

    Ad Alice, Lorenzo e Francesca

    e a tutti i ragazzi perché imparino due cose:

    la convivenza con gli altri e la concretezza delle cose

    Prefazione

    La nostra felicità, per un gioco di parole, è nella nostra facilità. La vita è infatti molto facile se impariamo a prenderla. Ma nel prenderla siamo un po’ come le piante giovani, che se non hanno un supporto possono venir su anche molto storte. Perché? È difficile saperlo a tutto tondo, forse i due bisogni più forti che ognuno di noi ha, quello di sopravvivenza fisica e quello di convivenza sociale, ci espongono a voler fare poca fatica, a spremerci poco, a delegare, a non impegnarci come invece potremmo. Per cui, saper prendere la vita, da storti o da dritti che siamo, il punto cruciale per star bene è voler imparare costantemente da problemi, conflitti, insuccessi ed errori. E questo non è facile. Abbiamo bisogno di un altro modo di agire, di pensare, di sentire, di stare con gli altri. E anche questo non è facile, ma questo libro ti può accompagnare un po’ in tutta questa complessità che c’è.

    1. Un punto importante di questo libro: nel difficile e complicato c’è il germe della crescita e della facilitazione di sé. Qui provo a indicare un percorso di educazione, un polmone educativo allo stare con gli altri e per la gestione delle proprie e altrui negatività, i due fulcri centrali per l’arte della facilità. Credo che la forza distruttiva di una situazione non agisca da sola, che essa abbia bisogno di un concorso della persona. Possiamo bonificare la tossicità di quel negativo, che ci capita un po’ tutti i giorni, mettendoci più educazione, un’educazione tuttavia meno moralista e più centrata su metodi concreti, strumenti e pratiche applicative che sappiano farci stare nelle situazioni quotidiane reali, non tanto quelle idealizzate e immaginate. Immaginate per fare meno fatica.

    2. Da formatore quale sono, docente all’università e nei gruppi in diversissimi contesti, molte volte mi sento dire da allievi quanto sia vista con favore l’offerta di un po’ di metodo, di buoni concetti e buone applicazioni, in quelle che restano le nostre attività più complicate, le relazioni con gli altri, così imprevedibili e mutevoli, così sfaccettate e contraddittorie. Siamo presi da stanchezza e pigrizia conservatrice, dalla paura di sbilanciarci, e rinunciamo così a ogni capacità di evolverci, crescere. Questo libro, a differenza di altri, parte proprio dalle difficoltà e dalle negatività, così frequenti, di tutti e dappertutto. Gli esseri umani sono infatti creature ambivalenti, la generosità ci viene spontanea, ma anche la crudeltà e l’aggressività non ci mancano.

    3. Non ci hanno poi raccontato abbastanza che l’altro ci costruisce (non c’è soggettività senza l’altro), che incontro e scontro sono facce della stessa medaglia e possono coesistere. Da questo impasto nasce l’unione, l’insieme, il gruppo e, come scrive Schopenhauer, noi siamo come i porcospini: se stiamo troppo vicini ci pungiamo, se stiamo troppo lontani abbiamo freddo. Della serie, non siamo quasi mai contenti, troppo vicini non va bene e troppo distanti neanche. Possiamo imparare, impegnarci sentendoci e sentendo gli altri. Il contatto con le persone è il nostro olio nel motore, la volontà individuale in questa metafora motoristica è invece la benzina.

    4. Possiamo e dobbiamo diventare adulti competenti nelle emozioni e nelle negatività, possiamo studiare per diventare un facilitatore pratico, colui cioè che aumenta le proprie capacità comunicative ed emotive ed evita, dei propri problemi e difficoltà, di dare sempre le colpe ad altri.

    5. Molti studi ci dicono che quello che ci succede internamente in fatto di funzionamenti neurobiologici, la qualità dei nostri pensieri e sentimenti, le interazioni con gli altri sono tre piani fortemente collegati, da cui dipende la nostra qualità di azione. Cervello, mente e relazioni sono da sintonizzare, mettere su una frequenza simile, e questo libro partendo dagli ultimi studi scientifici indica un’ampia galleria di strumenti da mettere in pratica, metodi che concretizzano quello che nelle università si è studiato, per capire di più perché siamo incostanti, irritati, litigiosi e stanchi.

    6. Dopo le premesse scientifiche (prima parte), i metodi pratici per vivere più facile (seconda parte), la terza parte sarà dedicata alle vive applicazioni in sei contesti: la coppia, i genitori, il lavoro, i gruppi, gli adulti e il benessere. Qui proverò con esempi più che reali a tradurre ancora più nel vivo le basi esposte nelle altre due parti. Il facilitatore pratico è infatti un coniuge o un partner, un genitore, un lavoratore (capo e collaboratore), un vicino di casa o un membro del volontariato, una persona adulta proiettata verso il massimo del suo benessere, verso emozioni positive, verso una maggiore connessione tra dire e fare.

    7. Facilitare sé e gli altri, è un verbo (facilitare), è un sostantivo (facilitazione), è un aggettivo (facile), ma qui lo vediamo come un’alta competenza relazionale ed emotiva. Per facilitazione esperta si intende infatti quell’insieme di capacità da mettere in atto in forma intenzionale, con atteggiamento attento, con l’obiettivo possibilissimo di aumentare le risorse in gioco. Quattro le capacità da mettere nel proprio cantiere: integrare le parti (F1), connettersi con gli altri (F2), gestire la negatività e trasformarla in positività (F3), allenare la mente (F4). Facile è quindi crescere nella complessità e riuscire a farne sintesi di qualità, salute e benessere. La sintesi viene chiamata integrazione e un buon metodo per perseguirla è la facilitazione: l’arte di comporre gli insiemi, una nuova arte di unire.

    8. Hai nelle mani un libro, forse un po’ enciclopedico, forse a un primo impatto non facile, ma ricco di indirizzi e orientamenti pratici per sintonizzare cervello, mente e relazioni, in una modalità che considero naturale, non finta, che valorizzi le tue qualità e potenzialità umane e persone e cose che ti circondano. Ricorda, la facilità è nell’abbracciare la complessità e nell’ammettere le difficoltà che ti appaiono davanti. In queste pagine puoi trovare dunque una miriade di buoni criteri su come stare in famiglia, come aumentare il tuo smalto nel lavoro, come imparare a stare meglio con te stesso/a, come stare nei gruppi, i più diversi tra quelli che frequenti. Il segreto è unire. Unisciti con te e unisciti con altri.

    PARTE PRIMA

    Premesse, trappole e opportunità: un nuovo polmone educativo

    Siamo naturalmente differenti e conflittuali

    Da vent’anni ho intrapreso la professione di formatore e facilitatore nel campo delle risorse umane, frequentando contesti di ogni genere: le amministrazioni pubbliche, la sanità, le aziende private, le scuole, i gruppi di cittadini.

    E dire che da piccolo ero vergognoso e timido! Mi ricordo, alle medie seduto al penultimo banco, arrossire quando mi chiamava la professoressa di inglese o non proferire parola alle feste con parenti che conoscevo appena. Ripensandoci bene, mi viene in mente che la nostra personalità è come una rosa che sta per sbocciare: prima spuntano certe sfumature e sembianze, poi, subito, si trasforma in altri colori ed altre forme; così è stato per me: a vent’anni, in discontinuità con la fanciullezza, mi sono trasformato in estroverso e burlone, rivolto agli altri e alle compagnie. In quell’epoca della mia vita ho esperito e consolidato l’amicizia tra maschi: con l’amico del cuore di turno, ricordo ancora quel solido legame composto da affetto, intesa, confidenza, interessi comuni, passioni, che tutti insieme andavano a formare corpi unici. Una sensazione così intensa e profonda che, una volta adulto, non credo di aver più provato. Le amicizie di quella stagione hanno toccato così profondamente i miei pensieri, che se oggi facessi una tac, penso che potrei ritrovarne tracce fisiche nelle immagini, quasi grumi di emozione intensa per le ore trascorse, segni lasciati da quei lunghi pomeriggi insieme.

    In confronto a quell’epoca la vita adulta di relazione è più complessa, più varia, tuttavia spesso deludente. Stare con gli altri ci stimola e ci crea problemi, è un’attività che ci coinvolge dalla mattina alla sera: in casa in famiglia e fuori al lavoro, non facciamo che relazionarci con altre persone, una fatica e anche un’opportunità. Questo è il focus di questa Parte prima del libro, in cui provo a spiegare perché siamo così difficili, incostanti e perché le pieghe negative molto spesso invadono tutto, sembrando di gran lunga maggiori di quelle positive. Vorrei raccontarvi quali fattori concorrano allo stare insieme con gli altri e i motivi per cui siamo più conflittuali che conciliatori. È pur vero che le relazioni non le possiamo standardizzare e programmare mai, che nel loro sali e scendi ci faranno tribolare comunque, passando – come è per molti di noi – da buoni momenti ad atmosfere critiche e insulse. Credo che a tutti noi serva un polmone educativo, dove recuperare nuovo ossigeno per:

    - imparare a rispettare le differenze;

    - mettere nel conto le divergenze;

    - ascoltare con più attenzione;

    - controllare ed esprimere le emozioni;

    - domare la nostra aggressività (fredda o calda che sia);

    - scendere a patti con le proprie forme passive più disdicevoli;

    - capire come accordarsi e negoziare;

    - provare a rimotivarci via via riponendo nuova fiducia in noi;

    - avere strumenti per attivarci, inventare nuove risorse, nuove qualità umane, nuovi modi per rinnovare il senso alle cose e alle relazioni.

    È già il programma completo di questo libro che hai in mano: evidenziare i fattori difficili e oppositivi delle situazioni, non raccontarci favole o storie a lieto fine, imparare alcuni concetti e metodi all’interno del polmone educativo.

    L’altro giorno ero in aula con un gruppo di medici e alla conclusione del corso uno di loro ha giustamente rimarcato quanto «le relazioni siano variabili imprevedibili e quanto ci manchi un metodo, delle abilità per orientarcisi». Questo è esattamente un obiettivo primario del libro.

    Tra geni e cultura

    Perché ci prendono certe paure improvvise? Perché aggrediamo e ci attraversano spesso reazioni repulsive verso gli altri che non sappiamo come tenere a bada? Perché dobbiamo ricucire una ferita relazionale molto spesso raccontandoci storie camuffate però utili alla ricongiunzione con gli altri? Siamo conflittuali e imprevedibili innanzitutto per una memoria antica che i nostri geni ci imprimono, un file nascosto che abita all’interno di ognuno di noi, provocando comportamenti che sono tutti riflessi tipici e per tutti uguali a causa della nostra appartenenza alla nostra grande famiglia, Homo sapiens, nata circa 200.000 anni fa in una remota valle dell’Etiopia, da cui la nostra specie ha mosso i primi passi. Della nostra lunga storia come umanità abbiamo zone chiare e zone ancora scure, ma certamente siamo passati da forme primitive di aggregazione ad altre più sofisticate e artefatte, pur tuttavia certi comportamenti forse un po’ grossolani, automatici, quelli di attrazione e repulsione verso gli altri, restano ancora oggi i medesimi dei nostri antenati passati.

    Nei geni abbiamo i nostri antenati. Gli studi ci dicono che l’altruismo ha rafforzato le nostre capacità di convivenza sociale e che nei confronti della solitudine nutriamo solitamente diffidenza e disapprovazione. Abbiamo nelle cellule una memoria antica che ci istiga a stare in gruppo perché ciò ci aiuta a sopravvivere: così fu per i nostri antenati che erano costretti a combattere ogni giorno sul campo per la loro sopravvivenza¹. Come umani, così nel passato e così oggi, per mangiare avremo sempre bisogno di comunicazione e scambio, siamo infatti appartenenti a una specie a forte connotazione relazionale, una specie denominata ultrasociale. Ma a occhio nudo non passa giorno in cui le ostilità nel mondo assomigliano a un gioco di tutti contro tutti, non dando certamente parvenza di una grande famiglia, che tenta di annodare il senso di una convivenza, forse occasionale, ma pur sempre comune.

    Le nostre differenze, paure e conflitti provengono, quindi, in parte dal nostro impianto naturale, di cui al centro c’è la dimensione di specie, la nostra matrice di fabbrica, geneticamente² e biologicamente rilevante. Se vediamo quindi un comportamento non bello negli altri, oltre che stigmatizzarlo, occorre considerarlo tipico della nostra famiglia più allargata: molti nostri modi di fare provengono dall’appartenenza a questa specie sapiens sapiens ultrasociale!

    Da un altro punto di vista, sappiamo che all’interno della grande famiglia umana agiscono categorie fondate su differenze etniche, religiose, sessuali, in una parola culturali. La cultura e l’apprendimento sono l’altra fonte – insieme ai geni – da cui provengono discriminazione e disapprovazione verso gli altri, in un formidabile guazzabuglio di ingredienti distanzianti e difese razionalizzanti che spesso si traducono in frasi come: Con quelli là non parliamo, Loro non li capiamo proprio, Delle loro attenzioni c’è solo da diffidare. Si può osservare come le norme di convivenza, i valori, le credenze, spingano le nostre interazioni verso complicazioni e rigidità. Affermazioni come non è che odio i colleghi dell’amministrazione, sono loro che sono scorretti con noi, oppure le mogli stanno col fiato sul collo e mostrano una dipendenza da noi mariti, o ancora le lauree scientifiche sono asettiche rispetto a noi umanisti sono l’espressione di categorie mentali da cui sgorgano varie forme di barriere tra gruppi e tra persone.

    La nostra esperienza nelle famiglie e nei luoghi sociali è tutta percorsa dalla dimensione dell’ostilità verso l’altro. Combattere, odiare, essere estranei creando gruppi di affinità e amicizia che lottano contro i nemici di turno. Sembra che noi umani non riusciamo a vivere senza conflitto e neanche senza nemici. Con questa mentalità operiamo una netta distinzione tra amico e nemico, evidenziando anche arbitrariamente i gradi di intensità di un’unione o di una separazione. Il germe della differenza e del conflitto è sempre vivo, inventiamo il nemico in casa, il nemico al lavoro, il nemico esterno in genere, che crea scompiglio spesso inutile, ma rende almeno rinforzata la nostra identità e garantisce il compattamento dei legami preferenziali.

    Ognuno è un mondo a parte

    Siamo davvero mondi a sé stanti! I nostri riverberi mentali, emotivi, affettivi sono molto speciali e particolari, di essi ci accorgiamo veramente quando sostiamo vicini al sistema dell’altro (relazione, lavoro, vacanza). Sì, sistema, la parola lo rende bene, proprio perché ognuno è un teatro di comportamenti e caratteristiche proprie che, quando vogliamo offendere, chiamiamo pazzie, stranezze, storture, aberrazioni.

    Uno è troppo preso da sé e vede gli altri come sfondo; un altro prova soggezione rispetto a chi è più aggressivo o semplicemente parla in maniera diretta dicendo ciò che pensa; un altro ancora razionalizza tutto e fatica a stare nei sentimenti; un’altra tende a caricarsi dei problemi di figli, colleghi e vicini di casa: poi ancora c’è chi è puntuale, chi un ritardatario di professione, chi assilla e chi lascia vivere eccessivamente, chi introverso e chi starebbe sempre a parlare.

    Da giovane ho fatto parte di gruppi e associazioni in cui si pensava di cambiare il mondo, un febbrile desiderio di aggregazione si percepiva in quelle stagioni tumultuose ma, nonostante la patina ideologica, già da lì mi andavo accorgendo che una cosa erano i discorsi e un’altra i fatti e che molti malintesi emergevano proprio nella difficoltà di rappresentare quelle idee.

    Trovo che ci siano persone-fatti tutte protese all’agire e persone-parole molto disquisitive e ragionatrici; come anche persone-gruppo che hanno un dono naturale alla moltitudine e persone-singole con la qualità del protagonismo in prima persona; e ancora persone metà-vuoto che guardano solo a ciò che manca e persone metà-pieno ottimiste, volte anche in eccesso.

    Nelle relazioni sono stato prima figlio, con papà e mamma, un fratello e una nonna, un gruppo in cui c’era un buon attaccamento reciproco, ma anche alcune nubi: per esempio papà non parlava con la nonna e la cosa durò anni; tra loro c’era il gelo e la mamma faceva un po’ da cuscinetto, in una triangolazione che a me ha provocato freddezza interpersonale e disorientamento. Ma tra genero e suocera i rapporti sono per forza così? Dopo sono divenuto a mia volta genitore e ho formato famiglia, con tre figli e una moglie, nonostante le mie mire giovanili – un flop – di fondare una comune. Ho relazioni con amici, cugini, cognati, colleghi, allievi, studenti e noto, almeno per me, quanto nella fase adulta sia difficile alimentare una relazione senza poter poggiare su agganci produttivi in cui il lavoro diventa il totem onnivoro. Senza progetti non ci si vuole bene? Non lo so, ma qualcosa mi ronza nella testa.

    Noto solitamente più cose negli altri, le facce, i gesti e le distrazioni, la stronzaggine e la benevolenza, perché più visibili al mio occhio, ma ho imparato anche un po’ a osservarmi, e di fatto su molte cose le somiglianze positive e negative con gli altri sono alte, più di quello che una volta pensavo. Per esempio quando una relazione si allenta, vedo in me (vedo negli altri) aumentare la superficialità, si disinveste per sfilarsi gradualmente dall’impegno, in questi casi trovare contromisure al lento declino è difficile. Oppure quando si accende lo scontro per una qualsiasi cosa quotidiana (bollette, figli, lavori, fatture, ritardi), è davvero critico stare in quella chimica pesante e rancorosa, sembra davvero che tutto scivoli e frani come lava dal cartere di un vulcano. O ancora, quando sono stressato e affaticato, mi rintano mentalmente nelle mie fissazioni e paure come «non mi considerano», «non ce la potrò fare», «mi tendono una trappola».

    Stesse dinamiche in famiglia e stesse dinamiche al lavoro, tra le due sfere ci sono grosse differenze, ma anche molte similitudini. Ecco, nel corso del volume vorrei provare a instaurare una forma di colloquio con te lettore, immaginando una modalità di scrittura spero propizia, per riflettere sia sul nostro comportamento individuale che sulle relazioni con gli altri.

    Stare con gli altri è difficile

    Ho già scritto che stare con gli altri è difficile, perché siamo naturalmente differenti e inclini alla discriminazione e al conflitto. Ma cos’è che complica la dinamica con l’altro? Gli interessi diversi? Il carattere? Le abitudini apprese in famiglia? Nessuna e tutte queste cose e altre ancora. Vediamole in sintesi, sono quattro le fonti di differenza e divergenza³.

    Un primo fattore è dato dalla comunicazione, nella forma di messaggi che ci scambiamo, che tra le fonti è quella più visibile: «Cosa sta dicendo Marco? Non lo capisco proprio». La seconda fonte è l’emozione, paura, irritazione, protesta, entusiasmo, che sono parzialmente visibili attraverso l’espressione verbale e non verbale, ma anche parzialmente invisibili, essendo cioè vissuti interni che non si manifestano nitidamente all’esterno. La terza fonte è la storia familiare, che gioca il suo ruolo dietro il vissuto di ognuno; la storia include le personalità dei membri della famiglia di provenienza, la loro cultura in termini di modi mentali e valori, mappa del mondo, come siamo stati allevati ad affrontare gli eventi della vita e le avversità. La quarta e ultima fonte è il modo di relazionarsi, le tendenze tipiche e le inclinazioni personali con gli altri (fiducia, sospetto, coinvolgimento, indifferenza, onestà, menzogna).

    Le quattro fonti di complicazione dei rapporti possiamo individuarle rispettivamente nella comunicazione, le emozioni, la storia familiare, il modo di relazionarsi. L’invisibilità di questi quattro fattori, nel senso che tendiamo ad agirli come giusti e universali senza metterli troppo in discussione, ci porta con frequenza a percezioni sbagliate su come avvertiamo gli altri e come ci sembra che gli altri avvertano noi.

    Queste quattro fonti forse ci possono aiutare a comprendere il perché delle nostre difficoltà con gli altri, nella sfera privata e in quella lavorativa. Il punto saliente è infatti non dare sempre tutte le responsabilità negative agli altri, ma imparare a vederci anche noi negativi e cercare di porvi qualche piccolo rimedio.

    Ma avere conoscenza di queste quattro fonti di complicazione può essere di grande aiuto anche quando la comunicazione procede senza grande conflitti, almeno in apparenza. Talvolta ci passano nella mente domande più o meno assillanti, del tipo «chi è lei oltre quello che mi sembra di percepire?», «posso contare su di lui?», «è una furba che mi sta usando?», «sono in grado di aiutarla?». Acquisire un po’ di coscienza delle differenze non offre all’istante una chiave di risoluzione al senso di incertezza che ci prende, ma ci può dare almeno una base per organizzare le nostre riflessioni e può anche suggerire i passi da fare per parlarne con l’interessato/a, per esempio «si innervosisce

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