Audizioni per cantanti lirici: Guida pratica alla preparazione con un metodo completo di autovalutazione
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Info su questo ebook
Audizioni per cantanti lirici è una guida pratica, organizzata e completa che fornisce a chiunque voglia fare del canto la propria professione tutti gli strumenti utili e le informazioni necessarie per prepararsi a concorsi e audizioni.
Il volume analizza le diverse tipologie di audizione, facendo luce sul rapporto con la commissione e delineando gli elementi da cui dipende la valutazione dell’artista:
- le scelte fondamentali, dal repertorio all’abbigliamento;
- la scrittura efficace del curriculum;
- la pianificazione dello studio e della preparazione, sotto il profilo fisico e psicologico.
- un metodo di autoanalisi dei propri mezzi vocali, tecnici, attoriali e interpretativi;
- esempi di programmi di audizione, analizzati e commentati;
- un modello di cronoprogramma del cantante, giorno per giorno, a un mese dall’audizione;
- una bibliografia e una sitografia suddivise per sezioni tematiche.
Eleonora Pacetti (Firenze, 1984) è da anni un punto di riferimento per la formazione e l’inserimento professionale dei giovani cantanti lirici. Pianista, con al suo attivo studi di canto e un master in Management per lo Spettacolo, assume giovanissima ruoli di rilievo all’interno della programmazione e del casting management in importanti teatri italiani. Dal 2016 fonda e dirige lo Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma. Parallelamente porta avanti l’attività di coaching, prende parte a numerose giurie di concorsi e tiene masterclass sulla preparazione ad audizioni e concorsi in Italia e all’estero.
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Anteprima del libro
Audizioni per cantanti lirici - Eleonora Pacetti
Capitolo 1
CHE COS’È UN’AUDIZIONE?
Da quando avete deciso di diventare cantanti lirici, vi siete mai soffermati davvero sulle caratteristiche della vostra figura professionale?
1.1 Cantare: una professione artigianale e agonistica
La prima immagine che tutti abbiamo del cantante è quella di un artista che domina il palcoscenico. Ma chiunque conosca un cantante professionista da vicino vedrà che il tempo dell’esecuzione in scena non è che la punta dell’iceberg: la maggior parte dell’impegno e dell’investimento, infatti, si concentra nella fase di studio e nella preparazione della performance. L’esibizione sul palco è, quindi, solo il traguardo alla fine di una lunga maratona. Immaginate le audizioni come le tappe che possono incidere su come un artista si posizionerà sul podio.
Cantare è, per così dire, una professione insieme artigianale e agonistica.
È una professione in quanto lavoro che produce un guadagno. Come ogni professione comporta alcuni sacrifici che le sono specifici (ne abbiamo già parlato nell’introduzione).
È artigianale perché il canto lirico ha una storia, una tradizione e una tecnica che si tramanda di generazione in generazione.
È agonistica perché, come gli sportivi, i cantanti hanno un allenamento vero e proprio, si sottopongono a performance fisiche e mentali e sono giudicati in base ai risultati.
Troppi artisti pensano che le regole del vivere comune e della società non siano loro applicabili, considerandosi appunto come creature speciali, per le quali l’arte è un dono che viene dato dalla natura e che le persone sono tenute a riconoscere. Niente di più sbagliato che adottare questa mentalità. Per poter riuscire in questo mestiere, infatti, dovrete:
entrare nell’ottica di come funziona il mercato;
sapervi muovere all’interno di norme relazionali e di comportamento che regolano il complesso mondo artistico;
pesare ogni conseguenza delle vostre scelte (fare o non fare un concorso, scegliere un determinato repertorio, accettare o meno un ruolo, ecc.);
fare i conti con le regole del gioco
proprie della professione.
1.2 Il cantante: un professionista, un artigiano, uno studioso, un atleta
Vediamo nei prossimi punti a cosa corrisponde il profilo di cantante d’opera confrontato alle sfide del mondo di oggi.
Un professionista. Il cantante che concorre per un ruolo è tenuto a relazionarsi con i teatri, i colleghi, le agenzie o le giurie, operando in un ecosistema assimilabile al mondo lavorativo di ogni professionista, con la sua formazione, i suoi colloqui di lavoro, le sue scelte e le sue frustrazioni.
Un artigiano. Sappiamo tutti che il canto lirico è una disciplina antica, che risente di secoli di storia e tradizioni. Il lavoro artigianale
è, quindi, quella dedizione tutta personale per rendere la performance riconoscibile ed emozionante, capace cioè di coinvolgere l’ascoltatore.
Il contributo interpretativo, però, deve essere incastonato in un saper fare
complesso e stratificato nel tempo, che non è possibile disconoscere: questa tradizione artigianale è sottesa a regole formali (le tecniche compositive e armoniche), a peculiarità stilistiche (spesso impossibili da scrivere come il rubato o direttamente non scritte perché date per scontate dalla prassi esecutiva dell’epoca) e tecniche (l’uso della voce).
È impossibile elencare che cosa rende unica ed emozionante un’interpretazione, ma gli elementi artigianali, e quindi personalissimi, che un cantante non deve tralasciare sono:
l’aderenza emotiva a ogni parola e a ogni sfumatura di testo che possa portare significato o sottolineare un preciso stato dell’anima;
lo studio del personaggio, attraverso l’adozione di un metodo specifico per l’attorialità;
l’interpretazione cosciente dello stile legato a ogni differente repertorio approcciato.
Uno studioso. Comincia a emergere un’immagine del cantante lirico anche come uno studioso che deve acquisire nozioni utili alla resa del proprio atto artistico. Per questo è utile dedicare parte del proprio tempo a:
l’approfondimento della fonetica di una lingua straniera (o anche della lingua madre, visto che moltissimi cantanti fanno errori di dizione anche nella propria);
l’analisi del libretto: conoscere la metrica, comprendere gli eventuali arcaismi, avere contezza della situazione drammaturgica e della trama, memorizzare le didascalie che spesso sono illuminanti della volontà del compositore;
l’analisi delle interpretazioni passate, per prendere coscienza della tradizione e capire cosa è giusto perpetuare e cosa invece è bene riportare a una lettura più filologica. Esiste infatti una vera e propria storia dell’esecuzione
, in cui si sono trasformati nel tempo – oltre, ovviamente, al gusto musicale – l’attribuzione dei cast, l’attenzione per le esecuzioni storicamente informate
, la scelta dei tempi musicali e perfino gli organici orchestrali. Pensate, per esempio, a quanto è cambiata la maniera di eseguire Mozart o Gluck nel corso degli ultimi decenni;
lo studio delle fonti: l’opera è stata tratta da un romanzo o da una pièce teatrale? Qual era il contesto sociale e politico in cui è stata concepita? Che significato aveva agli occhi del pubblico del tempo?
È opportuno conoscere tutto questo per tramandare il valore culturale della stratificata e complessa arte operistica.
Il paragone con uno studioso vale anche per quanto riguarda il metodo. Prendiamo ad esempio la carriera universitaria, che si articola in fasi disciplinate di preparazione a cui si avvicendano momenti di esame e di verifica. Questo paragone vuole illustrare come la maggior parte del tempo deve essere dedicato allo studio, e che le prestazioni intermedie come gli esami universitari (le audizioni) sono come gradini per arrivare alla laurea (una recita a teatro in un ruolo principale).
Un atleta. Come un atleta potenzia i muscoli per vincere le Olimpiadi o per fare sforzi che sarebbero impossibili alle persone comuni, il cantante usa la voce, che tutti abbiamo in dotazione
, per compiere imprese straordinarie. L’artista lirico lavora attraverso il corpo e, come l’atleta, usa alcune parti di esso in maniera estremamente potenziata e quindi non naturale. L’uso che fa di tutti i muscoli respiratori, per esempio, è davvero estremo. Il cantante, inoltre, usa la totalità del proprio corpo sulla scena in un modo così completo che alla fine di una recita l’interprete di un ruolo principale pesa di solito almeno un chilo in meno.
Per un atleta, però, è scontato munirsi di precisi strumenti preparatori fisici e mentali: si fa guidare da un coach che ne cura l’allenamento, si circonda di una serie di figure professionali che potenziano le sue prestazioni e combina una dieta specifica a un training mentale estremamente serrato. Al contrario il cantante non ha un’idea chiara di come curare la dimensione fisica né di come acquisire la disciplina mentale necessaria all’effettivo raggiungimento dell’obiettivo.
Il paragone con l’atleta ci aiuta anche a rispondere a una domanda chiave: perché le audizioni fanno così paura? In teatro, prima di una recita, ci sono settimane di prove, in cui il cantante – come un atleta che si allena – prende le misure con il ruolo, con la propria tenuta, con il luogo, con l’acustica, con l’ingresso in scena...
Perché mai, se per una recita in teatro ci diamo dei tempi di prova, per le audizioni non usiamo lo stesso metodo? Questa assenza di allenamento
, organizzato con un calendario da strutturare come un vero e proprio piano prove, non può che creare insicurezza e, in alcuni casi, tradursi in panico da prestazione. Sbagliando si impara
, quando manca un quadro metodologico di riferimento, è un motto decisamente inefficace. Effettuare invece una preparazione pianificata conferisce non solo la sensazione di aver fatto del proprio meglio, ma anche una maggiore calma al momento della prova, un migliore controllo sui propri stati d’animo e, soprattutto, sulla propria resa. Lo vedremo in dettaglio nell’ultimo capitolo.
Da queste osservazioni inizia a delinearsi un insieme di caratteristiche relative al lavoro del cantante, e nello specifico:
1. prepararsi alle audizioni richiede un impegno a 360°, non meno delle recite in palcoscenico;
2. la natura del lavoro del cantante è articolata in: preparazione tecnico-musicale, preparazione fisico-attoriale e training mentale;
3. quello del cantante è un lavoro che in alcuni aspetti può essere assimilato a quello di altri professionisti (fra cui atleti, studiosi e artigiani);
4. il lavoro del cantante si compone di fasi di studio ed esame che ricorrono ciclicamente e spesso si intrecciano.
La ricerca dell’eccellenza:
conversazione con Eleonora Abbagnato
Fare audizioni è imprescindibile per il cantante, ma lo è anche per un ballerino. Mi racconteresti come funziona l’audizione annuale dell’Opéra de Paris? Con che scopo nasce? È vero che da quando non è più obbligatoria è disertata soprattutto dai giovani?
Fare audizioni è fondamentale per un ballerino, sia per mantenere la forma fisica e mentale sia per accettare nuovi challenge. A questo proposito è esemplificativo il sistema adottato da Nureyev negli anni ’80 all’Opéra de Paris, che prevedeva un concorso che serviva a formare le graduatorie interne alla compagnia e che, indirettamente, aiutava a mantenere efficiente la forma fisica e il livello artistico del corpo di ballo e di tutti i solisti. Ogni anno, quindi, un ballerino dell’Opéra, per essere confermato nel proprio ruolo o per essere promosso e crescere nella carriera, doveva affrontare pezzi d’obbligo (solitamente delle variazioni classiche del repertorio) e una variazione libera a scelta che dimostrasse l’abilità nella tecnica contemporanea. L’audizione era tenuta da una giuria formata di membri interni al teatro e ospiti esterni di fama internazionale, e si svolgeva sempre sulla scena del Palais Garnier, che incute un certo timore anche a chi la frequenta spesso.
è grazie a questo sistema di incentivazione e riconoscimento del talento per mezzo delle audizioni che sono entrata nel corpo di ballo dell’Opéra a 18 anni e sono cresciuta di ruolo – prima Coryphée, poi Sujet e successivamente Première Danseuse – fino a essere nominata Étoile a 35 anni.
Da qualche anno, però, quest’audizione non è più necessaria per venire riconfermati nel ruolo che già si occupa, mentre rimane d’obbligo solo per coloro che aspirano a delle promozioni. Da quando non è obbligatorio, il concorso viene disertato soprattutto dai più giovani, il che è davvero un peccato... Temo che i ragazzi, anche se sognano di affrontare ruoli sempre più importanti, fatichino a entrare nell’ottica di dover dimostrare alla propria direzione di essere sempre pronti e in forma, forse per un disagio nei confronti delle prove, erroneamente vissute come ostacoli. Questa per me è la dimostrazione che nonostante i giovani anelino al successo, non sono sempre pronti a fare i conti con i sacrifici enormi che l’eccellenza richiede – e in campo artistico arriva al successo solo chi eccelle. Ecco, questo è un tema sul quale vorrei che ogni giovane artista che vuole calcare le scene meditasse seriamente.
Parlando dei giovani, qual è il loro rapporto con la concentrazione e con l’eccellenza? E qual è stato, invece, il tuo?
La capacità di attenzione dei singoli ha subito molte variazioni negli ultimi anni, soprattutto a causa dell’attuale stile di vita. Di conseguenza, anche la concentrazione e la disciplina sono state sempre meno valorizzate, sebbene siano due delle leve fondamentali per la costruzione di ogni professione artistica. Tra social media e telefoni cellulari onnipresenti, gli stimoli sono continui e credo che i più giovani siano cresciuti in un quotidiano pieno di frammentazione e di distrazioni. Credo anche che le nuove tecnologie abbiano creato il falso mito del successo facile, quello che si ottiene per caso o per fortuna, tramite like e visualizzazioni. Non è così: questo consenso effimero passa con la stessa velocità con cui arriva, e solo una solidissima determinazione e preparazione può portare a quell’eccellenza che a volte si tramuta anche in visibilità e successo. Il mondo che abbiamo vissuto noi, anche se si parla solo di pochi anni fa era, da questo punto di vista, molto diverso.
Ma sono convinta che la passione, quella vera, può strutturare e motivare a discapito di tutto: la passione bruciante, totale, che ho sempre avuto per la danza, mi ha fornito la concentrazione necessaria per affrontare ogni passo della mia carriera. E sono sicura che, oggi come ieri, non esista una migliore leva della passione, del volere a tutti i costi, per attivare in sé la resistenza che permette di affrontare grandi sfide. Tornando alla mia esperienza, un’altra caratteristica che mi ha permesso di evolvermi sempre è la curiosità – per esempio, interessandomi a tutti gli stili della danza – e l’osservazione attenta dell’altro. Quando arrivava un coreografo subito mi calavo nel suo linguaggio e impiegavo tutto il mio tempo libero da teatro (tutto!) studiando i movimenti dei grandi artisti grazie alle videocassette.
Un’ultima considerazione, per vedere l’argomento anche da un’altra prospettiva, riguarda il ruolo dei maestri. Probabilmente oggi la loro funzione è in parte cambiata, proprio perché docente e discente vengono da generazioni diverse. A loro infatti è richiesto non solo di pretendere risultati, ma anche di stimolare la motivazione degli allievi, facendoli innamorare di quello che stanno studiando, o parlando con loro per prenderne maggiormente in carico l’aspetto emotivo. In qualche modo, il maestro non può dare per scontata concentrazione, disciplina e motivazione, ma deve essere disponibile a stimolarle nell’allievo.
Il danzatore usa parti del corpo che tutti abbiamo in una maniera straordinaria, estrema, magnifica. Anche il cantante usa parti del corpo in maniera iper potenziata, ma questo è un aspetto di cui il mondo del canto non ha preso ancora pienamente coscienza. Come si costruisce una relazione con il proprio corpo, in modo che questo diventi un mezzo di espressione artistica?
Rispetto ai danzatori, i cantanti hanno un rapporto meno stretto col proprio fisico, che li porta a volte ad avere un corpo poco atletico, poco flessibile e che non partecipa appieno alla performance musicale. Vorrei però dire ai cantanti ciò che ripeto sempre anche ai ballerini: esprimersi attraverso il corpo, come diceva la grande Pina Bausch, vuol dire prima di tutto parlare
a partire dai micro-movimenti. Si può risultare espressivi già da come si muove la testa o da come si respira con lo sguardo.
Se il cantante e il ballerino, infatti, usano il movimento con un fine diverso – nel danzatore è il mezzo esclusivo e totale di espressione, mentre nel cantante è solo un supporto per calare una performance sonora nello spazio fisico – non differisce invece l’origine dell’esigenza espressiva. Per entrambi, infatti, il movimento espressivo nasce da dentro, dallo stomaco, e coinvolge ogni facoltà (fisica, intellettuale, emotiva) per creare un risultato personale e unico. Così come per la danza, dove la stessa scena con lo stesso coreografo sarà interpretata diversamente in base al danzatore, anche per la musica tutto ruota attorno a quell’unicità che talento, passione, tecnica e concentrazione estrema possono creare.
Eleonora Abbagnato è una delle più grandi ballerine dei nostri tempi. Già Étoile all’Opéra de Paris, dirige dal 2015 il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.
1.3 Ciò che potete controllare e ciò che non dipende da voi
Cosa posso controllare in un’audizione? Per capire su cosa dobbiamo concentrare energie e attenzioni, partiamo da un ragionamento semplice: in un’audizione esistono fattori ponderabili (che si possono controllare) e imponderabili (che non si possono controllare). I primi sono quelli che dipendono da voi e sui quali potete focalizzarvi; sui secondi invece non potete intervenire in nessun modo, e quindi, strategicamente, è meglio fare finta che non esistano. L’artista non può controllare tutto quel che succede fuori dalla propria sfera d’azione, ma può invece gestire la risposta agli agenti esterni e agli imprevisti. Non è la situazione, ma come si risponde ad essa, che può fare veramente la differenza. Nella carriera il successo dipende da molti fattori, ma la parte più importante dipende da voi: voi avete la responsabilità di dare una forma e una direzione alla vostra vita e al vostro lavoro. Davvero troppo spesso si sente dire che «è sempre colpa di qualcun altro»: l’insegnante era sbagliato, il pianista mi ha dato un repertorio poco interessante, in commissione avevano già deciso chi fare andare avanti, i teatri lavorano sempre con chi pare a loro, ecc.
Con questa mentalità, che allontana da noi le responsabilità, sappiate che avrete pochissime possibilità di affermarvi. Abbiate invece il coraggio di guardarvi allo specchio e di domandarvi se avete davvero fatto tutto il necessario per essere migliori dei vostri concorrenti. Occorre una grande disponibilità a mettersi in discussione per poter superare i propri limiti ed eccellere, non solo nel canto, ma in qualsiasi disciplina competitiva. Se riscontrate delle obiettive ingiustizie, consideratele come parte dei fattori imponderabili, e quindi cercate di non concentrarvi troppo su di esse. Per dirla con le parole di Dante, «non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
Superare la comfort zone e accettare il fallimento. La maggior parte delle persone ha difficoltà a osservarsi dall’esterno in modo obiettivo, e si trincera spesso nella propria zona di comfort. Sebbene sia un meccanismo più che naturale, è importante uscire da questo stato mentale che può portare a reiterare gli errori anziché cercare le soluzioni. Seguendo il percorso proposto vi incoraggerò a uscire dalla comfort zone per immaginare nuove versioni di voi stessi.
Ognuno di noi convive con parti di sé che remano contro
e che portano a veri e propri assalti autosabotanti. Capire quali sono queste parti di sé e come entrano in gioco è un compito fondamentale per l’artista, ma fa parte di un percorso individuale di cui non possiamo occuparci in questo libro¹. Mi limito qui a segnalare alcune convinzioni che si celano dentro ognuno di noi, e dalle quali è bene liberarsi prima di esporsi al giudizio di altri:
non associate il fallimento alla vergogna: ripetetevi che non c’è niente di cui vergognarsi ad aver mancato un obiettivo, e che non state deludendo nessuno. Nella realtà il fallimento può diventare persino uno degli ingredienti del successo (trial and error), a patto di avere un quadro metodologico di riferimento che ci aiuti a contestualizzare il mancato obiettivo per farne una leva di miglioramento;
non associate il fallimento al rifiuto: non assecondate la sensazione di non piacere
, anzitutto perché è irrealistico avere l’aspettativa di piacere a tutti. Inoltre, ogni sconfitta è relativa al contesto, e mai assoluta. Una chiave psicologica che potrà aiutarvi non solo all’inizio ma durante tutta la vostra carriera è la seguente: i critici o i selezionatori stanno giudicando il vostro lavoro, non la vostra persona. Le professioni artistiche, essendo fortemente identitarie, traggono in inganno l’artista che troppo spesso si sente attaccato personalmente, quasi come se una critica fosse una bocciatura alla sua intera persona o alla sua missione nella vita. Non è così;
imparate a gestire il fallimento: questo significa liberarsi dalla visione manichea in cui si pensa solo in termini di vittoria o sconfitta. Ritenere, infatti, che ciò che non è perfetto sia automaticamente sbagliato è una postura mentale schiacciante, che non porta a una lucida percezione di sé stessi e della realtà e che, in ultima istanza, non è costruttiva.
Ciò che non potete controllare. Gli ostacoli sono ciò che vedete quando distogliete lo sguardo dai vostri obiettivi: tutti i fattori imponderabili sono ostacoli. Per questo dirigere lì la propria attenzione significa essere sviati dalla strada del successo.
È inutile, per esempio, polemizzare sui meccanismi che portano all’affermazione di cantanti che non ritenete meritevoli. Può essere utile, se volete, analizzarli per capire come funziona il mercato, anche quando alcune delle sue logiche non vi convincono.
L’ambito dei concorsi e delle audizioni, per esempio, non è certo avulso da scorrettezze (come ogni ambito della vita); tuttavia si tratta di eccezioni, più che della norma. Truccare un concorso andrebbe a detrimento dei giurati stessi: è nell’interesse di ogni membro della commissione non intaccare la propria reputazione raccomandando un candidato non meritevole. A ulteriore rafforzamento di questa norma, inoltre, dovete sapere che la prassi dei concorsi su scala internazionale impedisce di votare al giurato che abbia legami con un candidato.
La dimensione di discrezionalità è in ogni caso sempre presente e può risultare all’apparenza incomprensibile. Questi, tuttavia, sono meccanismi imponderabili che non dipendono dal vostro controllo, ed è quindi inutile perdere tempo a cercare di comprenderli.
In questo stadio è utile però ricordare che la maggior parte delle scelte viene attuata sulla base di bisogni strettamente legati alla programmazione teatrale, le cui logiche sono accessibili solo a chi ci lavora.
Ricordiamoci, inoltre, che chi vi ascolta segue dei parametri il più possibile oggettivi, ma rimane una sana parte di gusto personale che inevitabilmente influenzerà le scelte. Parlando del gusto, possiamo distinguere tra:
il gusto personale di chi vi ascolta, che contribuisce in modo non prevedibile all’esito finale della vostra audizione;
il gusto nazionale, che sarà diverso a seconda che cantiate davanti a una giuria russa, inglese o italiana. Facendo delle estreme generalizzazioni, utili soltanto a farvi capire perché alcune carriere a volte sono fortemente nazionali
rispetto ad altre, possiamo dire che gli italiani, ad esempio, hanno una maggiore predilezione per la bellezza del suono e per la precisione tecnica rispetto ad altre nazioni. Nel Nord Europa tendono a essere inflessibili con le approssimazioni musicali di certi cantanti e danno un peso enorme alla presenza attoriale. I francesi propendono per fare cast più leggeri degli altri Paesi; gli americani, al contrario, anche a causa della grandezza dei loro teatri, tendono a fare cast molto pesanti, con conseguenti diversità nell’attribuzione del repertorio;
il gusto legato alla specificità della professione del giurato: chi vi ascolta cerca cose diverse in voi a seconda del suo ruolo, della sua professione o, eventualmente, del tipo di repertorio in cui è specializzato. Quelle che seguono sono estreme semplificazioni, utili però a chiarire il concetto.
Un regista, ad esempio, cercherà prima di tutto un personaggio da mettere in scena, quindi osserverà il tipo di carattere che il vostro corpo potrebbe delineare (casting type). Cercherà di comprendere inoltre la vostra capacità attoriale e la presenza scenica. Un casting manager o un direttore artistico sono molto concentrati sulle caratteristiche dell’area vocale. Le loro scelte sono influenzate non solo dal gusto personale ma anche dalla dimensione e dall’acustica del proprio teatro, oltre che dalle aspettative del pubblico. Un direttore d’orchestra tenderà invece a capire se siete affidabili e corretti, quindi se siete intonati, se seguite il gesto, se non rallentate continuamente, se siete permeabili alle correzioni e se siete musicali ed espressivi.
In sintesi:
1. esistono fattori ponderabili e imponderabili. Nel primo caso dovrete munirvi di tutti gli strumenti per affrontarli, visto che potete controllarli, nel secondo caso invece dovrete semplicemente imparare a farci i conti;
2. fissate obiettivi realistici sul breve, medio e lungo termine sulla base di un’autoanalisi il più possibile obiettiva, che comprenda anche la minimizzazione degli elementi autosabotanti o non funzionali: inseguire una perfezione irrealistica sarebbe deleterio.
1.4 Che cosa non è un’audizione: i falsi miti
Giorno del giudizio o crescita personale? Analizziamo più in dettaglio i due atteggiamenti mentali che potrebbero essere d’ostacolo al nostro lavoro:
l’intrepido
, ovvero colui che considera le audizioni come un fare esperienza
, una sorta di allenamento alla competizione, cui sottoporsi a prescindere dalla preparazione;
il perfezionista
, ovvero colui che considera l’esito delle audizioni come un aut aut, una sorta di pendolo oscillante fra la vittoria e la sconfitta.
L’audizione come esperienza. Potrà esservi capitato in più di un’occasione di ricevere consigli su quando e come intraprendere un’audizione; più di una volta vi avranno incitato a provare a prescindere, «così fai esperienza», senza particolare considerazione per quanto il ruolo sia giusto per voi, o senza valutare quanto siete realmente pronti a