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Non si canta con le corde vocali
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Non si canta con le corde vocali
E-book113 pagine1 ora

Non si canta con le corde vocali

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Info su questo ebook

Tutti i giorni parliamo, sussurriamo, urliamo. Insomma usiamo la voce. Ma fare della voce la propria professione è alquanto difficile perché, rispetto ad uno strumento musicale, il proprio organo vocale non si vede.

I cantanti lirici vivono spesso con molti dubbi riguardo agli insegnanti di canto - “mi fido del mio insegnante o lo cambio?” – oppure riguardo alla tecnica di canto - “quale scuola e tecnica di canto è quella giusta per me?”.

Sbagliare un insegnante, una scuola o una tecnica di canto spesso può essere fatale per un cantante lirico che voglia intraprendere una carriera sui palcoscenici dei teatri.

Questo testo non vuole affermare una tecnica piuttosto di un’altra, ogni tecnica non è né positiva né negativa, né migliore né peggiore di un’altra. E’ il cantante lirico che deve acquisire consapevolezza nel capire qual è la giusta strada da intraprendere. Questo libro può contribuire a conseguire questa consapevolezza.

Nel testo vengono presentate tecniche di canto contrapposte e differenti l’una dall’altra, con l’intento di offrire obiettivamente un panorama il più esaustivo possibile. Solo con la giusta informazione il cantante sarà in grado di formarsi un’opinione in merito e soprattutto capire ciò che può essere giusto per lui.

Il libro affronta la spinosa questione del metodo di canto di Arturo Melocchi, un metodo che venne ostracizzato, sia durante gli anni di iniziale insegnamento, sia nei decenni seguenti, forse a causa di quella “bel canto renaissance” e del conseguente alleggerimento delle voci o forse a causa della paura che la tecnica Melocchiana potesse arrivare a spaccare le gole.

Altra tecnica di canto, opposta a quella di Melocchi, è la tecnica di Alfredo Kraus e quindi il libro prende in esame anche questa tecnica confrontando così le due tesi contrapposte, oltre all’inserimento di altre divagazioni sulle tecniche di canto illustrate da Luciano Pavarotti e Mirelli Freni, interviste ad altri grandi cantanti, ed un capitolo relativo ad un’importante intervista con il professor Diego Cossu, specializzato in Audiologia, Foniatria, Fono-chirurgia ed esperto di Vocologia Artistica.
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2020
ISBN9788831677646
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    Anteprima del libro

    Non si canta con le corde vocali - Eddy Lovaglio

    633/1941.

    PREFAZIONE

    Essere o non essere, questo è il dilemma, scriveva William Shakespeare all’inizio del monologo nella prima scena del terzo atto dell’Amleto.

    I cantanti lirici spesso vivono lo stesso dilemma Shakespeariano, talvolta domandandosi sono davvero un baritono o non sono forse un tenore, oppure mi fido del mio insegnante o lo cambio, o ancora quale scuola e tecnica di canto è quella giusta per me? La tecnica dell’affondo del Melocchi? La voce in maschera?. Tanti e tanti dubbi assillano i giovani cantanti di oggi, che faticano a trovare la giusta strada per potersi affermare sui palcoscenici di tutto il mondo come i grandi del passato.

    Questo testo non vuole affermare una tecnica piuttosto di un’altra, ogni tecnica non è né positiva né negativa, né migliore né peggiore di un’altra. Per questo ho deciso di presentare qui tecniche di canto contrapposte e differenti l’una dall’altra, cercando obiettivamente di offrire un panorama il più esaustivo possibile. Certo, ci sono alcuni imprescindibili fondamenti che occorre perseguire per poter diventare un cantante. Ma è certo che ogni giovane cantante, che abbia assimilato, le basi fondamentali del canto, e mi riferisco soprattutto alla respirazione e al diaframma, deve poi trovare la giusta tecnica, adatta soprattutto alla sua voce e al suo temperamento. Non deve sperimentare. Non deve aver fretta di cantare. Non deve essere autodidatta con la presunzione di saperne più dei docenti di canto. Deve attenersi al suo repertorio. Soprattutto deve studiare, e studiare molto. E quando avrà assimilato una solida tecnica vocale, e affronterà il palcoscenico, si accorgerà che per cantare non occorre solo la voce, anzi è una minima parte di ciò che farà l’artista con la A maiuscola.

    Anche tra i grandi cantanti c’è chi fa di mestiere il cantante e chi è un artista. C’è chi è quello che si definisce un animale da palcoscenico, c’è chi è più divo di un altro e c’è chi ha fascino o classe.

    Il fascino vocale in genere appartiene a cantanti di formazione classica che hanno affinato le proprie doti nel repertorio della musica da camera, oppure ad artisti che scelgono di cantare tutta la vita senza essere mai uguali.

    La formazione di tipo classico determina cantanti di livello mondiale che sanno sciogliere il canto in tensioni dolcissime, con fraseggi di bellezza mirabile, in grado di offrire di ogni pagina musicale un’interpretazione brillante tanto da riuscire ad esaltare il pubblico. Anche nel repertorio drammatico il fraseggio, il suono e l’energia luminosa, dettati da uno stilismo imperioso, evidenziano il fascino vocale dell’artista.

    In una sola parola si potrebbe riassumere che il cantante che ha una certa personalità è certamente un passo avanti agli altri.

    Alcuni cantanti hanno una doppia personalità. Nella vita privata puoi incontrarli senza percepirne il tocco, il distacco, una caratteristica che li possa distinguere, tanto sono comuni, qualcuno addirittura scialbo. Poi li metti accanto ad un pianoforte e ti accorgi che la loro musicalità affiora istintivamente. Li ascolti e ti convinci che nel loro stile, nel loro porgere il canto, c’è qualcosa che li distingue immediatamente. Li vedi in palcoscenico e ne subisci il fascino.

    Questi cantanti vengono chiamati animali da palcoscenico. Un tempo si classificavano fra i cantanti di temperamento, oggi potremmo dire che questa definizione è superata; in loro c’è distinzione, un senso quasi carnale di calare le note cantate in qualcosa di magico, che solo questi animali sanno esprimere.

    Un’interpretazione può essere definita splendida quando l’artista risulta tanto aderente con la sua presenza alla manifestazione musicale da lasciare il segno. In questo senso le voci splendide sono pochissime.

    Lo squillo è il fattore primo che determina lo splendore vocale, lo splendore di quelle voci che prevaricano l’orchestra e arrivano prepotenti, come sferzate, procurando un brivido di gioia; voci grandi, non in quanto a volume, già cospicuo, ma per l’emissione che le rende tali. Voci che appartengono più al passato che al melodramma attuale.

    Nel presente vocale poi non c’è più divismo, ci sono voci più o meno buone, ma manca quella personalità che contraddistingue l’artista, o l’animale da palcoscenico, in altre parole manca il divismo. I divi di oggi sono i registi lirici, non più i cantanti. Meccanismo perverso se si pensa che l’opera lirica non si potrebbe mettere in scena senza i cantanti.

    Il divismo è un’istituzione di cui il pubblico ha bisogno.

    Le qualità vocali dei divi possono avere diverse caratteristiche: c’è la voce di velluto, di colore inconfondibile; la voce legata a un filo di seta che evidenzia dunque assoluta eleganza nel canto; la voce dolce che raggiunge vette vertiginose; la voce morbida con perfetta impostazione e dal canto generoso e naturale; la voce intensa e dal volume straripante; la voce agile e brillante; la voce dal fulgido smalto; la voce che corre; la voce costruita con grande intelligenza musicale.

    Ma a volte voci importanti, sebbene possano avere tutte queste caratteristiche qualitative, esprimono ben poco, voci mediocri sanno cantare stupendamente bene, voci comuni emergono per intelligenza e personalità. E’ ciò che fa la differenza, ciò che viene attribuito al divo.

    Luciano Chailly ha affermato: Un cantante può avere la voce migliore del mondo, ma se questa voce è priva di classe non mi interessa. Ciò a dire che è meglio una voce brutta che sappia cantare bene piuttosto che una bella voce che rimane solo tale, senza nulla esprimere. Perciò nel divo la parola classe assume particolare importanza.

    Oggi i cantanti, oltre alla voce, devono curare anche il fisico, anzi sono costretti da un mondo ormai multimediale che ha intaccato anche il teatro lirico dal dopo Callas, non più cantanti lirici affetti da pinguedine ma protagonisti raffinati nel fisico e nello spirito, poiché tutto deve essere in sintonia con la base essenziale: classe ed eleganza.

    I cantanti eleganti contagiano il pubblico con tensioni ed emozioni al di fuori della norma, sanno trasformare questo contagio in interpretazioni esemplari e talvolta preziose. Sarebbe come dire per il pubblico della danza essere coinvolti dall’eleganza di Roberto Bolle piuttosto che di una qualsivoglia altra étoile degna di uguale rispetto. Basta un gesto, dall’apparenza semplice, ma che racchiude in sé quell’eleganza che fa la differenza. Il portamento, la presenza scenica, l’espressione calcolata che si vuole attribuire ad un determinato gesto in accordo con l’espressione canora ed il significato del libretto, in accordo con una determinata nota della partitura musicale, lo sguardo e l’espressività.

    A volte i cantanti sono più preoccupati di sapere come muovere le mani che non della voce, e a volte registi opinabili impongono ai cantanti movenze sceniche che fanno inorridire, o peggio che non hanno nulla a che fare con quanto riportato nel libretto d’opera; questo, appunto, da quando è andato scemando il divismo canoro a vantaggio del divismo registico.

    Un cantante, dunque, specialmente oggi più di ieri, deve conquistarsi un posto di valore preoccupandosi di creare attorno a sé quel feeling che può distinguerlo da tutto il resto.

    Quando parliamo di cantante con personalità, con classe, quando parliamo di cantante di razza e di animale da palcoscenico, quando parliamo di immensa statura di interprete, di eleganza o di divismo… un nome ci affiora subito sulle labbra: Maria Callas. Ed ecco che ci vengono in mente le parole di Chailly.

    C’è una parola che definisce l’artista e che ancora non ho menzionato, ve la propongo in chiusura di questa prefazione da un’affermazione della stessa Maria Callas. Era il 1953. La Callas era a Firenze per la recita di Medea. Per tutto il ciclo delle recite, durante gli intervalli, di solito la Callas si chiudeva in camerino e ripassava lo spartito. Ho imparato una parola italiana bellissima – diceva – carisma. Se è quella cosa che ti insegna ad ammaliare il pubblico, devo trovare il punto chiave. Quando il teatro diventerà un sepolcro di silenzio agghiacciante allora l’avrò trovato.

    Eddy Lovaglio

    PROLOGO

    Come era d'uso in Italia all’epoca in cui esistevano le osterie, chiunque, che fosse intonato oppure no, oltre a mangiare e bere, poteva cimentarsi nei pezzi favoriti del repertorio operistico, con l’opportunità di avere un pianoforte e l'aiuto di pianisti e cantanti professionisti pronti a dispensare consigli. Quello che oggi chiameremmo un happening o un flash mob per ritrovare la dimensione popolare e conviviale del nostro melodramma.

    Nasce così la Tampa Lirica che in molte città ora ha preso piede ma che nacque a Parma

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