Maneskin. Italian Rock 2.0: Fenomenologia del gruppo rock che ha conquistato il mondo. Momenti racconti e immagini
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Anteprima del libro
Maneskin. Italian Rock 2.0 - Patrizia De Rossi
Patrizia De Rossi
Måneskin
Italian rock 2.0
Fenomenologia del gruppo che ha conquistato il mondo
Introduzione
Måneskin 2.0
La storia dei Måneskin sembra uscita da un romanzo, uno di quelli talmente fantasiosi che la prima cosa che pensi è: «Ma dai su, non può essere vero». E invece quello che è successo a questi quattro ragazzi è tutto vero, anche se ha dell’incredibile.
Victoria De Angelis e Thomas Raggi si conoscono fin da bambini, vanno a scuola insieme fin dalle medie e trovano subito una grandissima sintonia. Amano la musica, quella rock, quella dura, quella che ti travolge. La amano talmente tanto che imparano a suonare: Thomas imbraccia la chitarra, Victoria invece preferisce il basso, uno strumento pesante da portare al collo ma che scandisce e detta i ritmi alla musica, proprio come farà di lì a breve con la sua band.
A Thomas e Vic ben presto si aggiunge Damiano David, uno che il carisma, la passione e la presenza scenica ce li ha impressi nel dna, ed Ethan Torchio, che ha la faccia da indiano d’America ma è nato e cresciuto a Roma, sui set cinematografici dove ha sempre lavorato suo padre. Damiano è un po’ più grande di Victoria e di Thomas e non suona alcuno strumento, ma la sua voce è particolare, sensuale e potente al tempo stesso, ti cattura all’istante.
I quattro iniziano a suonare a scuola, nelle piccole sale prove che a Roma spuntano un po’ ovunque, ma nessuno poi ti dà la possibilità di suonare su un palco, di metterti alla prova davanti a un pubblico un po’ più vasto di quello dei tuoi amici e dei tuoi parenti.
Ci vorrebbe qualcuno che si mettesse in gioco e che avesse qualcosa dove far suonare i ragazzi. Quel qualcosa è il Pulse Contest e quel qualcuno Matteo Caffarelli, un giovane imprenditore romano. È lui infatti il primo a pensare a una competizione interamente dedicata alle scuole, non solo quelle di musica, ma anche gli istituti tradizionali. È lui che inventa dal nulla il Pulse, che si pone esattamente come vetrina per tutti quei ragazzi che sognano di suonare e di trasformare la passione per la musica in un lavoro.
Il Pulse Contest nasce per dare la possibilità a band di adolescenti di misurarsi con un palco, con un pubblico, con la musica, per spingerle a uscire fuori dalle sale prove e farle suonare dal vivo. Ci sono state quattro edizioni (all’inizio si chiamava Maxsi Factor), con ventiquattro gruppi che si sfidavano sul palco in diverse serate, di fronte a una folla di 100-150 persone e una giuria di esperti del settore, come promoter, discografici di piccole etichette indipendenti e giornalisti.
Tra questi ci sono anche Fabrizio Galassi, esperto di marketing e comunicazione digitale per la musica, Davide Dose, ideatore di Spaghetti Unplugged, a detta di molti l’evento underground più importante della scena musicale romana, e Saro Poppy
Ianucara, allora direttore artistico del Mei, il Meeting delle etichette indipendenti che ogni anno si teneva (e ancora oggi va avanti) a Faenza.
I Måneskin partecipano al Pulse contest nel 2016 e lo stesso Matteo Caffarelli ha raccontato:
Fui proprio io, che giravo per le scuole a presentare il progetto ai ragazzi, a convincere Ethan a partecipare. L’idea alla base del Pulse Contest era proprio quella di dare una possibilità a band che non si erano mai esibite dal vivo. Ethan mi colpì subito per la sua riservatezza e per la sua serietà, ma anche per la sua profondità. Era giovanissimo ma si capiva subito che aveva uno spessore diverso da quello degli altri ragazzi della sua età. S’interessò subito molto al progetto trovandolo molto interessante, poi però mi telefonò qualche giorno dopo dicendo che lui e la sua band non erano pronti per suonare davanti a un pubblico, che avrebbero fatto una figuraccia e quindi mi disse che non volevano più iscriversi. Dovetti insistere ma poi alla fine lo convinsi e si sono iscritti. Era lui, Ethan, che scriveva la musica. Victoria era molto frizzante e gioiosa, anche frivola se vogliamo, ma nel senso buono del termine, la classica adolescente. Poi c’era Thomas, il chitarrista, che era un po’ anonimo a dire il vero e infine c’era Damiano il cantante che già allora era una forza della natura. Si muoveva molto bene sul palco, era molto fico e un bellissimo ragazzo, un bravo ragazzo anche lui che mi pare non avesse mai studiato musica come invece avevano fatto gli altri però aveva questo talento innato sia per il canto sia per come si sta sul palco. Aveva solo diciassette anni ma sembrava già uno più grande, di venti-ventuno anni almeno.
I Måneskin si giocano subito i quarti di finale nel mese di aprile 2016 e arrivano primi. Un mese dopo si esibiscono nella semifinale, vincendo anche quelle e poi a settembre la finale. Per i Måneskin è un trionfo, il primo della loro breve ma intensa carriera.
Fabrizio Galassi è in giuria e nota subito che quei ragazzi hanno qualcosa di speciale:
Con tutti i miliardi di concerti che ho visto nella mia vita, non è che si torna a casa sempre con una sensazione come questa, ovvero quella di aver assistito a qualcosa di bizzarro. Ma anche dal punto di vista chimico della sala. Suonavano gruppi di liceali, che non si erano mai esibiti in pubblico in precedenza, quindi con una platea formata per lo più dai compagni di classe e da qualche parente, e infatti il locale era spesso semivuoto quando suonavano… e poi c’eravamo noi della giuria. A un cambio palco Caffarelli annuncia i Måneskin e noi – che avevamo il pubblico alle spalle – avvertiamo una sorta di onda di calore, come quando si riempie un locale di gente. E infatti ci siamo girati e abbiamo visto la sala piena di ragazzini, ma soprattutto di ragazzine. C’era tutta la scuola in quella sala ma anche ragazzi che erano venuti da altri istituti. E quando sono usciti i Måneskin il pubblico è esploso, soprattutto per Damiano. A quel punto mi sono incuriosito e mi sono detto: Mo’ voglio vedere proprio chi sono questi
. E quando sono partiti non c’è stato più niente per nessuno. Damiano da solo reggeva il palco come se fosse uno di trenta o quarant’anni, l’inglese lo masticava già bene, aveva un timbro riconoscibile, era intonato e aveva l’interpretazione. E poi era anche un gran fico
già all’epoca. La band non riusciva a stargli dietro, non avevano quel talento nella musica che invece aveva