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Bagh-i-muattar: Profumi dal giardino di Abdullah
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Bagh-i-muattar: Profumi dal giardino di Abdullah
E-book214 pagine2 ore

Bagh-i-muattar: Profumi dal giardino di Abdullah

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Bagh-i-muattar (“Giardino profumato” in persiano) è un libro esoterico misto di prosa e poesia inventato di sana pianta da Aleister Crowley e spacciato come traduzione di un inedito persiano.
Nel libro si canta l’amore per un ragazzo, un tema molto in voga fra certi mistici islamici, come Hafez, dove l’amore per il divino viene mascherato con l’amore, anche eroticamente spinto, per un giovane.
Al testo Crowley antepose sue considerazioni personali e annotazioni di magia pratica, con un gran numero di note, ma sempre mascherando il tutto come prosa altrui. Il libro infatti uscì anonimo a Parigi nel 1910 in sole 210 copie.

Indice Libro
Presentazione
Introduzione
Sulla pederastia
La base materiale della sensazione spirituale
La base spirituale della sensazione materiale
L'innocente reputazione dell'uomo
Del compiacimento di Dio per l'Uomo
Il formalismo religioso consegna l'uomo al fato
Dell'incapacità del pensiero di percepire la realtà
Dell'unicità di Dio
Dell'infedeltà e ingratitudine umana
Le conseguenze del peccato
I rimproveri di Dio
Della slealtà del cristiano
Le ricompense del peccato
Del dolore della penitenza
La vergogna del prodigo
Dolori e piaceri della redenzione
La prima gioia dell'unione
L'origine del male
Della pace, della gelosia e dell'estasi di Dio
Il bacio della coscienza, umana e divina
Il libero arbitrio è la ricompensa dell'unione
Il costante affetto di Dio
Il mistico è più felice dei suoi seguaci
Il mistico, vero piedistallo di ogni religione
L'estasi supera l'individualità
L'ateo
L'estasi, più forte dell'opera umana o dell'ira divina
L'estasi è più forte della morte
Origine della religione
L'estasi è padrona della circostanza
L'estasi appaga il mistico senza indagine scientifica della sua natura. Panteismo
Venalità di chi si oppone al misticismo
Il disprezzo del mistico per l'opinione
L'ipocrisia dell'ortodosso
Concentrazione
La devozione è migliore dell'erudizione
Vanità della metafisica
La passione dominante è forte nella morte
La soddisfazione non abbisogna di meditazione
Estasi a tutti i costi, ma data da lui
Le relazioni tra i gemelli dell'estasi
La fama dell'estasi redime il mondo
L'estasi è nell'estasi

Appendice
Varie su Aleister Crowley
Segnalazione
Ritorno dall'Himalaya
Un morto tra gli ascensionisti dell'Himalaya
L'Inghilterra ha una religione in più, una religione non da poco, da aggiungere alle cent'altre e alla sola salsa di cui è fiera Albione
Segnalazione
Propaganda tedesca: appello al buon senso francese
Un perfezionamento del Bridge, il "Bridge-pirata"
In mezzo a noi
Mago? Spia? Il volto misterioso di Aleister Crowley, "cacciato" dalla Francia
Aleister Crowley, mago, poeta e, si dice, spia. Lo strano personaggio è stato espulso dalla Francia
Mago, poeta, forse spia. Quella volta che lo incontrai a Montparnasse
Rifugiato a Bruxelles Sir Aleister Crowley spera di poter tornare in Francia. Il grande capo della Kabbalah moderna è in procinto di sposarsi
La recente scomparsa di un noto agente
Sir Aleister Edward Crowley
Necrologio
Un autore di racconti licenziosi e inni alla Vergine Maria
Prima visita del diavolo al K2
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2019
ISBN9788876926372
Bagh-i-muattar: Profumi dal giardino di Abdullah
Autore

Aleister Crowley

Edward Alexander Crowley, in arte Aleister Crowley (1875-1947), passato alla storia come “l’uomo più perverso del mondo” – secondo il giudizio che ne dette un magistrato inglese – fu un praticante di magia, uno scrittore, un poeta, un alpinista e un agente segreto al servizio di Sua Maestà Britannica. I suoi scritti sono ancora quasi tutti sconosciuti al grande pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Bagh-i-muattar - Aleister Crowley

    Presentazione

    Nessun vasaio ti ha formato, o uomo!

    Sei tu che hai fatto il vasaio.

    (A. Crowley)

    L’edizione originale di questo misto di poesia e prosa, con­ce­pi­to in India nel 1905, fu stampata a Parigi, clandestinamente, nel 1910 in sole 200 copie numerate. Il suo autore, Edward Alexander Crowley (1875-1947), in arte Aleister Crowley, usò il nome di un mai esistito scrittore persiano di Shiraz, Abdullah El Haji, cioè Abdullah il verseggiatore. Avvalendosi di doppi sensi sessuali presenti in tutta l’opera, lo definisce «satirist», scrittore di satire, confondibile con satyr, satiro; Abdullah è anche definito «El Qahar», pseudonimo che significa il Conquistatore, ma anche in questo caso ha un doppio senso sessuale; in realtà è la sedicesima ipostasi divina secondo l’Islam (Al-Qahhār). Infatti «l’utilizzo di multipli strati di pseudonimi per dare vita a un libro apparentemente plausibile è l’espediente favorito da Crowley per le sue pubblicazioni erotiche private»¹.

    Il motivo dell’edizione clandestina è da ricercarsi infatti nell’argomento scandaloso e blasfemo del componimento, che mai avrebbe potuto ottenere il nulla-osta della censura britannica, specie dopo la promulgazione dell’Obscene Publications Act del 1857 (tuttora in vigore seppure emendato) da parte del par­la­mento britannico. È vero che Crowley afferma nel­l’In­troduzione che il testo ha una sua chiave di lettura e «lo studio intelligente del Bagh-i-muattar conferirà una più profonda conoscenza – della buccia per lo studioso, del nocciolo per l’eletto – rispetto a ogni altro poema conosciuto», che è «un completo sistema filosofico», una scrittura in linea con testi come Il Cantico dei Cantici, in cui l’amore per Dio viene presentato in forma di un amore erotico tra un uomo e una donna. Soltanto che qui è questione di un amore sodomitico, a carattere marcatamente priapico e scatologico, per un quindicenne di nome Habib. Nonostante l’affermazione che «nei riti sodomitici debitamente compiuti, ancor più che in quelli della passione eterosessuale, si cela il più grande segreto dell’universo, l’accesso ai giardini di Dio», e che «è la chiave della magia pratica», non vi è traccia della rivelazione di questo asserito segreto.

    Per di più Crowley, figura speciale ma dalla personalità fortemente nevrotica, non nasconde il suo disprezzo per le donne, in forma fin troppo esplicita, forse perché ufficialmente il suo nome non compare: «La soluzione al problema sessuale è in un proverbio arabo, La donna per i ragazzi, e i ragazzi per il piacere. Io sostengo fortemente di mettere le donne nel loro ambito di appartenenza; loro dovrebbero allevare, allattare, educare e adempiere quelle mansioni fisiche verso cui il loro sistema nervoso più grossolano e il deficit intellettivo le rende più adatte. Nessuna donna è una compagnia adatta per un uomo; costei lo abbrutisce necessariamente. Per fortuna, nel caso degli uomini migliori, la donna prova per loro solo repulsione. Quante sono le donne che hanno lasciato un segno nella storia, a parte l’eccesso di impudicizia e prostituzione? Dovremmo escluderle dal salire al trono. Di una soltanto posso concepire un esempio di opposta anormalità, la frigida Giovanna d’Arco».

    Naturalmente il celebrato Habib di questi versi non è mai esistito. Si tratta di una persona di fantasia che maschera una vera e propria passione che Crowley ebbe per un giovane uomo: Herbert Charles Pollitt (1871-1942), detto Jêrome, un medico mancato che riuscì meglio come attore di personaggi femminili. Crowley scrisse di lui: «Ho vissuto con Pollitt facendogli da moglie per circa sei mesi e lui ha fatto di me un poeta»; ma per amore, conoscendo Crowley, dobbiamo intendere una pura concupiscenza carnale². Abile miscelatore di verità e menzogne, Crowley mente spacciandosi per «moglie» di Pollitt; in realtà, come dimostrano tutto il corso della sua vita e queste sue poesie, fu proprio il contrario. Nel penultimo capitolo, Crowley metterà nascostamente nome e cognome del suo amasio facendo comparire ogni singola sua lettera al primo posto di ogni strofa. Nell’ultimo, invece, con lo stesso sistema, ma andando dal basso verso l’alto, metterà il proprio nome e cognome. Una «firma» intelligibile solo per coloro che erano informati di persona.

    Crowley dileggia qualsiasi tipo di monoteismo, anche il più insospettabile: «Ho riso a lungo di Platone, e mi sono fatto beffe di Aristotele» scrive il nostro autore; se la prende con la religione puritana anglosassone, cui appartennero i suoi genitori, e soprattutto col monoteismo islamico, data la connotazione persiana del libro; egli comincia subito con una empietà nel primo capitolo, dove dice che El Qahar preferisce all’universo l’ano del suo amasio. Sempre all’inizio dei suoi versi, Crowley facendo finta di immergersi nella contemplazione delle cose divine lascia il lettore esterrefatto, poiché spiega, prima nel testo stesso, poi in nota, che ha voluto usare una metafora sodomitica. Ma è nel capitolo XXXIX che abbiamo un esempio fin troppo esplicito: «Il desiderio del fanatico è quello di gettare la sua vita ai piedi del paradiso; ma per il tuo culo sia vita che paradiso si possono pure ributtare giù di sotto; tutte le perfezioni di Allah non valgono una singola perfezione del tuo culo».

    Nel capitolo XXIII, in nota, si paragona l’Islam a qualcosa che il lettore scoprirà personalmente. Per tutto il corso dei suoi ghazal o sonetti, Crowley si atteggia a redattore di raffinati problemi teologici quando in realtà dileggia atrocemente la religione, poiché subito dopo l’enunciato teologico parla sfacciatamente, e con incredibile iattanza, di sodomia.

    Ora, anche in una città come Parigi, che circa 20 anni dopo avreb­be ospitato le «messe sessuali» di Maria de Naglowska, la sfacciataggine omoerotica non godeva affatto di consenso. Questa è la ragione per cui il libro non venne più ristampato e quasi ogni copia fu sequestrata e distrutta dalle dogane di Sua Maestà Britannica. Stranamente, questo testo non è quasi mai citato dai cultori di Crowley e, stante la limitata riedizione di Chicago³, non se ne parla «in giro» o non se ne vuole parlare. Ciò denota una vera e propria forma di vigliaccheria intellettuale, dal momento che in questa opera, a parte il contenuto francamente indecente, c’è già tutto Crowley.

    Per esempio, nel capitolo dedicato alla giustificazione ideologica della pederastia, Crowley, ben sapendo quanto fosse rischioso un simile enunciato, si limita a mettere come titolo: «Un saggio del reverendo P.D. Carey». A questo asettico e vago enunciato, antepone il titolo vero, ma lo inserisce in greco antico, con le lettere di quell’alfabeto, che non solo è decisamente esplicito: «Sulla pederastia», ma è anche velatamente satanico. Infatti l’equivoco accostamento di due diverse citazioni bibliche è niente affatto coerente e possiede un significato nascosto se lo si interpreta come un richiamo al dio Seth: «Il nostro Signore, il crocifisso, che fu crocifisso come Cristo». Infatti l’inizio del sottotitolo è la continuazione della frase biblica dove si parla del trionfo della Bestia, dove la pederastia non c’entra per nulla. Inoltre la parte finale della prima citazione, ovvero l’aggettivo «crocifisso», fa da circonferenza a una croce. Ora, è noto che il dio Seth fu raffigurato crocifisso in forma d’asino. Ci sembra che, senza volerlo far notare proprio a tutti, Crowley abbia inserito un messaggio riservato a pochissimi. Questo capitolo, messo subito dopo l’Introduzione e il cui lungo titolo noi abbiamo tradotto dal greco, è infatti il più importante del libro, poiché svela il Crowley-pensiero sull’argomento. Sta di fatto che rispetto all’Introduzione, scritta in tono garbato, il saggio sulla pederastia è invece una violenta invettiva contro i persecutori degli omosessuali, o dei pederasti agli occhi di Crowley.

    Crowley fa credere al lettore di essersi istruito nella letteratura arabo-persiana; di essersi avvalso della consulenza di un presunto erudito indostano, Munshi Mahbud Tantra; di avere dimorato in Persia, mentre in realtà si limitò a soggiornare in una cittadina dell’India del Nord, Hariharpur; di aver letto le poesie del famoso poeta persiano di Shiraz, Hafez (1315-1390). In realtà lesse Hafez in una delle traduzioni parziali inglesi circolanti ai suoi tempi, probabilmente quella della famosa viaggiatrice Gertrude Bell⁴. Curiosamente infatti, le poesie tradotte dalla Bell furono 42, e quelle composte da Crowley 42, a fronte di un canzoniere originale di oltre 500 componimenti.

    Hafez è il modello di Crowley. Si tratta di un verseggiatore e forse di un mistico gnosticheggiante, che scrisse un Canzoniere in cui si celebravano Dio e l’eros, spesso omoerotico, uniti da uno stile sarcastico se non dileggiatorio, che certamente dovette riscuotere la simpatia di Crowley e ispirarlo. Hafez compose il suo Canzoniere in ghazal, sonetti costituiti da alcuni distici, che Crow­ley riprende, anche se in realtà il suo libro spesso non rispetta le regole di questo tipo di metrica poetica, poiché vi inserisce ampi spazi di prosa. Molti europei hanno tentato di scrivere ghazal nelle loro lingue, dopo che von Hammer-Purgstall li tradusse in tedesco e Goethe ne rimase entusiasta, ma tra essi non si è tramandato il nome di Crowley. Anche il «Saggio del Reverendo P.D. Carey», scritto sempre da Crowley, è ispirato a Burton, precisamente al suo Pederastia, che sta in Appendice alla traduzione di Le mille e una notte⁵.

    Tuttavia in alcuni versi Crowley è davvero poeta, laddove esprime evidentemente delle sensazioni interiori, che riesce a trasfondere con forza poetica, pur trattando argomenti osceni. Meno poeta è quando cerca di imitare alla lettera lo stile dei ghazal inserendo delle ripetizioni che uccidono l’ars poetandi, come nel capitolo XL. Curiosamente, nella generale sconcezza dei versi, Crowley non si smentisce neanche in questa occasione e dà prova di grande affettazione, poiché un paio di termini del suo lessico sessuale li traduce con innocue parole proprio dove nell’esplicitezza del testo andrebbero tradotte nella loro intera oscenità. Ci riferiamo alle parole «membro» e «podice» che stonano moltissimo con l’economia dei versi e che noi abbiamo preferito tradurre talvolta in modo più concreto. «A un traduttore» scrisse farsescamente in nota a un capitolo «dev’essere lasciato sia il senso lato che il pudore». In fondo, qui Crowley non ha fatto altro che tentare di scrivere dei «Priapeia» sub specie orientalis. Anche un pizzico di Giovenale può trovarsi nella prosa del nostro autore. Crowley è un campione di quella che i napoletani chiamerebbero l’arte dello sfottò. Inizia con parole di trepidante poesia e termina con un’oscenità che al suo tempo sarebbe forse stata in grado di far cadere di mano la tazza da tè a qualche signora della Società Teosofica accorsa incautamente a sentir recitare simili poesie (XVI):

    Guarda, come fioriscono le rose! Come brillano le perle!

    I tulipani in boccio, quanto son belli!

    Mentre laggiù al buio, il tuo ano sprigiona

    la fragranza di molti gelsomini in vasi di porcellana.

    Per dare maggiore apparenza di serietà scientifica, Crowley ha accompagnato il testo delle sue «odi», come le chiama lui, con un gran numero di note, dove finge che sia il falso traduttore (Alain Lutiy) che il falso editore dell’opera (definito nel frontespizio «un altro») disquisiscano dottamente su argomenti a volte pedantescamente letterari a volte puramente pornografici. Si tratta di un’esca a cui il lettore contemporaneo non abbocca più; ma diverso era il caso quando nel 1910 il libro fu diffuso.

    Il testo non è privo di riferimenti esoterici. La sua particolarità è che in esso si contiene una affermazione esplicita – cui i seguaci non hanno voluto dare molta pubblicità – secondo la quale il rapporto sodomitico con un giovanotto è la chiave della magia sessuale e dell’accesso ai mondi superiori: «Lui saprà che nei riti sodomitici debitamente compiuti, ancor più che in quelli della passione eterosessuale, si cela il più grande segreto dell’universo, l’accesso ai giardini di Dio… Giardino di delizie, cui si può accedere solo dalla stretta porta posta sul retro». L’autore spiegherà più tardi nelle sue Confessioni⁶ di aver «farcito il libro con ogni sorta di dottrina mistica e magica». Soltanto che nel libro non si parla tanto di mistica, quanto di vera e propria magia pratica, poiché nel secondo capitolo, intitolato «La visione del Jinn», viene dato l’elenco di 49 «servitori di Belzebù», «risultato della chiaroveggenza di una ben nota signora irlandese», come spiega poi in nota, riferendosi probabilmente alla sua alcoolizzata moglie, Rose Edith Kelly (1874-1932) da lui ribattezzata «Ouarda la Veggente».

    Nel terz’ultimo capitolo Crowley svela una pratica tantrica sessuale, praticamente sconosciuta in Occidente: il Vajroli mudra, che sarebbe in grado di conferire il Bindu-Siddhi, il controllo del seme, con tutti i poteri che ne deriverebbero. La descrizione di tal pratica viene dalla prima traduzione inglese di un testo classico dello Yoga, lo Shiva Samhita, quella del 1884 fatta a Lahore da Shri Chandra Vasu (cap. 53-75). Tuttavia la pratica è tutt’altro che intellegibile già nell’originale sanscrito e Crowley l’ha chiaramente inserita nel mezzo delle sue oscenità solo per dare maggiore attenzione scandalistica al testo. Noi abbiamo infatti cercato di rendere più chiara la sua traduzione appoggiandoci a quello che ormai si conosce della pratica esatta di Vajroli mudra, ma dev’essere chiaro che come

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