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Lo zen e l'arte dell'intuizione
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Lo zen e l'arte dell'intuizione
E-book222 pagine3 ore

Lo zen e l'arte dell'intuizione

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Info su questo ebook

I Prajñāpāramitā Sūtra, o sutra della “perfezione della saggezza”, costituiscono uno dei lasciti del Buddhismo Mahayana e danno un’espressione eloquente a uno dei principali interessi del Grande Veicolo: la percezione della śūnyatā,la vacuità essenziale di tutti i fenomeni.
La letteratura Prajñāpāramitā consiste di un numero di testi composti nell’India buddhista tra il 100 a.C. e il 100 d.C. Scritti originariamente in lingua sanscrita, ma sopravvissuti fino a oggi principalmente nelle loro traduzioni cinesi, questi testi si occupano dell’esperienza dell’intuizione profonda che non può essere trasmessa mediante concetti o termini intellettuali. Tale corpus letterario mantiene la sua importanza all’interno del Buddhismo Mahayana in generale e dello Zen in particolare.
Questo libro presenta una selezione di testi appartenenti alla letteratura Prajñāpāramitā, tratti da fonti differenti e corredati dagli illuminanti commentari di Thomas Cleary, allo scopo di dimostrare i limiti intrinseci del pensiero discorsivo e di rivelare la profonda saggezza nascosta dentro di essi.

I testi selezionati derivano dalle seguenti fonti scritturali:
Scrittura sulla perfetta intuizione.
Risvegliarsi all’essenza
Fondamenti della Grande scrittura sulla perfetta intuizione
Trattato sulla Grande scrittura sulla perfetta intuizione
Scrittura sulla perfetta intuizione per governanti benevoli
Insegnamenti principali della Grande scrittura sulla perfetta intuizione
Le domande di Suvikrāntavikrāmin
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2019
ISBN9788827229187
Lo zen e l'arte dell'intuizione
Autore

Thomas Cleary

Thomas Cleary è uno dei più famosi ed esperti traduttori della sapienza dell'Asia. Ha conseguito un dottorato in Lingue e Civiltà dell'Asia presso l'Università di Harvard. Cleary ha tradotto L'arte della guerra, Il libro dei cinque anelli e più di 70 altri testi sulla filosofia delle arti marziali, sul buddhismo, sul taoismo e su altre religioni. Le Edizioni Mediterranee hanno pubblicato i seguenti libri da lui curati: Comprendere la realtà, I:Ching taoista, L'anima del samurai, La saggezza dei samurai, Le vie dei guerrieri - i codici dei re, Bushido per principianti e Kensho - il cuore dello Zen.

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    Anteprima del libro

    Lo zen e l'arte dell'intuizione - Thomas Cleary

    Introduzione

    Tu come lo sai?.

    Che significa questa domanda per te? Significa "Tu come lo sai? o Tu come lo sai?. Oppure significa Tu come lo sai?".

    In genere questa è solamente una domanda retorica, usata spesso come replica. Tuttavia, le sue implicazioni sono più profonde di una frase fatta qualunque. Uno dei grandi maestri zen ha scritto: Le massime e le espressioni comuni si accordano con il cammino dei saggi; dovresti rivolgerti a esse per una ricerca attenta. Da questo punto di vista, la domanda Tu come lo sai? apre la porta a un mondo di sorprese. Esistono fonti attendibili di conoscenza? Di cosa possiamo essere certi? Come facciamo a saperlo? La mentalità influisce materialmente sulle questioni della conoscenza? Esiste un legame tra opinione e conoscenza? Che tipi di conoscenza abbiamo a disposizione? In che modo ciò che pensiamo di sapere influenza la nostra vita quotidiana?

    Se ci prendiamo del tempo per chiederci Tu come lo sai? – come domanda, come replica, come sfida – potremmo raggiungere il punto centrale delle nostre relazioni coi nostri stessi pensieri e sensazioni, con gli esseri umani nostri fratelli, e con il mondo intero. Presa per ciò che può fornirci in questi ruoli, tale domanda contiene dentro di sé una sfida alla radice di ogni ignoranza e autocompiacimento.

    La domanda di come sappiamo ciò che sappiamo, e di come sappiamo di saperlo, può essere una delle domande più destabilizzanti da porci, perché ci costringe a riconsiderare i nostri assunti più basilari riguardo noi stessi, il nostro mondo e il nostro essere nel mondo. Ma può anche rivelarsi come una delle domande più intriganti e importanti, perché rappresenta un primo passo nella più ampia realtà che si trova al di là della barriera dei pregiudizi nascosti e dei presupposti inconsci.

    Come sappiamo per certo che le nostre percezioni e credenze sono valide? Se utilizziamo la nostra conoscenza per verificare la nostra stessa conoscenza, come facciamo a sapere che non stiamo solamente girando in tondo su noi stessi? Se, invece, utilizziamo la conoscenza altrui per verificare la nostra, la conoscenza di quale persona dovremmo usare, come facciamo a sapere che è conoscenza, e come possiamo sapere se o come gli altri sanno quel che sanno, quando noi stessi non sappiamo se sappiamo ciò che sappiamo?

    Se seguiamo troppo a lungo questa catena di pensieri, possiamo finire per paralizzarci e perdere il nostro senso di significato; eppure, se non ci poniamo queste domande, non possiamo sapere cosa stiamo perdendo, o fraintendendo, a causa di presupposti inconsci.

    All’interno del nostro contesto occidentale, una delle difficoltà per affrontare la questione di come sapere è legata al fatto che noi abbiamo imparato a disarmarla a livello esistenziale, attribuendole termini come epistemologia e affrontandola intellettualmente.

    Tale abitudine non è peculiare dell’Occidente, come molti scritti orientali dimostrano, e non costituisce una barriera insormontabile per l’intuizione esperienziale, a patto che non persista alcun presupposto inconscio per cui il noto approccio concettuale o intellettuale sia l’unico metodo per capire o conoscere le cose.

    Quando esaminiamo la religione in termini di credenza e fede, il problema della conoscenza non è in questione. Nella religione dogmatica, la conoscenza è identificata con il dogma, e la questione della sua validità non può emergere senza generare un senso di violazione o di minaccia alla religione stessa.

    Per evitare la questione, il dogma può essere definito rivelazione divina o tradizione sacra, ma potrebbe accadere che qualunque razionalizzazione per evitare il vaglio di credenze finisca per soddisfare il desiderio inconscio di rimanere al livello di credenza e fede.

    Se da una parte tale atteggiamento potrebbe essere di conforto, entro certi limiti, ai confusi, il desiderio di tale conforto potrebbe anche essere sfruttato per manipolare le persone, portandole persino a mettersi le une contro le altre in nome della loro fede, e distogliendole a tutti gli effetti dai loro stessi interessi in nome della salvezza finale.

    Per noi occidentali, che abbiamo sofferto alcune delle peggiori persecuzioni religiose della storia umana, e che ancora oggi sentiamo parlare delle violenze religiose in giro per il mondo, potrebbe essere emotivamente e intellettualmente difficile persino concepire una religione che non sia fondata sui dogmi, sulle credenze o sulla fede. Eppure è proprio ciò che troviamo all’interno del Buddhismo, che punta a una percezione diretta della verità e della realtà, e non alla difesa di una dottrina o alla distruzione degli infedeli.

    Non c’è alcun dubbio che anche il Buddhismo di tanto in tanto, come altre religioni, abbia impiegato diversi complessi di credenze e precetti per la protezione e lo sviluppo di individui e comunità spiritualmente immaturi. Ed è indubitabile anche il fatto che, in diverse fasi della loro storia, tali complessi di credenze e precetti siano stati impiegati a scopi diversi da quelli per cui erano stati originariamente concepiti. Questo è storicamente vero per tutte le religioni istituzionalizzate, Buddhismo incluso, come è documentato negli scritti dei loro saggi e maestri spirituali.

    Gli insegnamenti buddhisti sulla perfezione¹ dell’intuizione indicano, a coloro che hanno raggiunto un determinato livello di maturità e per i quali è arrivato il momento opportuno, come uscire dal guscio delle credenze coltivate e spiegare le ali della visione indipendente per spiccare il volo nel cielo della libertà. Questi insegnamenti mostrano la via per uscire dalla stanza degli specchi disorientanti dell’auto-proiezione ed entrare nell’immensa luminosità dello spazio aperto dell’intuizione profonda.

    Per gli individui che si trovano ancora nella fase in cui si ha bisogno di strutture di credenze e pratiche imposte dall’esterno per modificare i propri vizi, abitudini e istinti ribelli, l’intuizione gnostica non-dogmatica e non-settaria del Buddhismo appare impercettibile ed effettivamente irraggiungibile. Questo vale anche per gli individui che rimangono attaccati a complessi di dottrine e precetti, imponendoli agli altri per assumerne il controllo, o commercializzandoli a scopo di lucro. Secondo gli insegnamenti buddhisti su questo tema, in entrambi i casi, per tali individui può essere dannoso persino sentir parlare della perfetta intuizione, e quindi la apparentemente inafferrabile sottigliezza di tali insegnamenti è in realtà una forma di compassione per il mondo.

    Questo è uno degli evidenti paradossi degli insegnamenti sulla perfetta intuizione; malgrado siano destinati al bene dell’intera umanità, non sono adatti a tutti. L’effetto è paragonato a quello di una potente medicina che può curare una malattia ma, allo stesso tempo, può anche arrecare danno a una costituzione debole. L’intuizione può essere un’esperienza sconvolgente, che va al di là della capacità di una mente immatura, o non equilibrata, di sopportare la compostezza e il distacco.

    Inoltre, gli insegnamenti buddhisti sull’intuizione possiedono una natura tale che alcuni tipi di mentalità sono portati a fraintenderli in maniera deleteria. Gli individui bigotti, per di più, hanno istintivamente paura di questi insegnamenti, e quindi tendono deliberatamente a di­stor­cerli alle orecchie di coloro che sono interessati ad apprenderli. La storia ci dice che i primi due grandi maestri dello Zen in Cina, ad esempio, vennero assassinati da alcuni tradizionalisti che temevano che gli insegnamenti zen sull’intuizione potessero minare la loro autorità.

    Le stesse scritture classiche buddhiste includono una serie di avvertenze associate alle loro prescrizioni, proprio come accade nella medicina moderna. I testi forniscono insegnamenti e pratiche terapeutici per co­lo­ro che non sono ancora capaci di trarre beneficio dagli esercizi di intuizione profonda, e anche materiali di livello avanzato per coloro che sono in grado di risvegliare tale intuizione.

    Nella lingua italiana non esiste un termine che corrisponda pienamente al termine buddhista per perfetta intuizione. Nel sanscrito canonico del Buddhismo, viene impiegato il termine prajñāpāramitā. Questo termine non può essere tradotto con una o due parole, e quindi richiede un ampliamento dei suoi elementi per poter essere compreso usando la ragione ordinaria e il senso comune.

    La radice jñā significa conoscenza, ed è affine alla radice gno della parola italiana gnosi e alla radice kno della parola inglese knowledge [conoscenza, N.d.T.]. Si tratta di una categoria di funzione mentale piuttosto generica in lingua sanscrita, che è a sua volta soggetta a un’ulteriore definizione tramite l’ausilio di prefissi.

    Il prefisso sanscrito pra è in un certo senso affine ai prefissi italiani pre e pro (che significano prima e davanti), ma il suo spettro di significati è più ampio. Quando viene impiegato con i nomi, il prefisso pra può esprimere i seguenti significati: potere, intensità, fonte, compiutezza, perfezione, separazione, eccellenza, purezza e cessazione.

    Mentre il significato esatto di un qualunque prefisso multi-senso può cambiare a seconda del verbo cui viene apposto, quando il prefisso pra viene apposto alla radice verbale jñā, nel contesto buddhista della relatività del conoscitore, del conoscente e del conosciuto, tutti questi significati del prefisso vengono inclusi nel termine prajñā per indicare la perfetta intuizione.

    Per questo motivo, il quadro complesso che viene delineato dalla radice jñā e dal prefisso pra non può essere descritto con un solo termine, come ad esempio intuizione, saggezza o conoscenza perfetta. Ciononostante, quando esempi concreti vengono tradotti nel contesto, l’effetto dell’impiego è quello di arricchire di significati quelle parole o termini della lingua ospitante che vengono impiegati come opportune approssimazioni. E così, parole come intuizione, saggezza e conoscenza finiscono per assumere significati particolari quando vengono utilizzate nel contesto del relativismo e trascendentalismo buddhista.

    La letteratura buddhista sull’intuizione avverte i lettori di non prendere troppo alla lettera i termini secondo i loro significati tradizionali. Questo è uno dei motivi per cui molti dei testi buddhisti sono estremamente metaforici.

    La ricchezza di significato della parola prajñā può essere apprezzata considerandola alla luce dei vari significati del prefisso pra associati alle descrizioni scritturali di ciò che è e di ciò che può fare la perfetta intuizione.

    La perfetta intuizione è conoscenza potente in quanto può rimuovere qualunque illusione e confusione, mentre nulla può rimuoverla.

    La perfetta intuizione è conoscenza originaria in quanto è la fonte dell’illuminazione, ed è la fonte dell’illuminazione perché è penetrazione nella sorgente di ogni cosa.

    La perfetta intuizione è conoscenza completa in quanto non vi è nulla che non può essere compreso tramite la penetrazione intuitiva.

    La perfetta intuizione è conoscenza separata in quanto è distac­cata, e diversa, da tutti i pensieri e invenzioni, eppure è in grado di separare le cose distinguendole le une dalle altre.

    La perfetta intuizione è conoscenza eccellente in quanto è più oggettiva della concettualizzazione, e più realistica delle versioni della realtà costruite mentalmente.

    La perfetta intuizione è conoscenza pura perché non viene influenzata dagli stati interiori o dagli oggetti esterni.

    La perfetta intuizione è cessazione, o conoscenza terminale, in quanto emerge attraverso la cessazione di tutti i punti di vista e perché il suo risveglio pone termine alle abitudini mentali compulsive e alle false idee.

    Le scritture buddhiste specializzate negli insegnamenti sulla perfetta intuizione seguono, di norma, un modello di ragionamento che serve a illustrare i limiti intrinseci del pensiero discorsivo. Si tratta di un esercizio di attenzione, e non di concettualizzazione, inteso a generare uno spostamento dell’attenzione dal modo di pensiero concettuale a quello intuitivo. L’intuizione istintiva non può essere descritta in maniera diretta, perciò il passaggio dalla logica lineare alla percezione diretta viene attuato attraverso la decostruzione delle concettualizzazioni. Da qui l’uso dell’aggettivo pāramitā, o perfetto, che letteralmente significa andato oltre.

    A volte questo metodo viene usato erroneamente per razionalizzare l’irrazionalità o la dissociazione, che non sono strumenti efficaci per risvegliare l’intuizione. Altre volte viene interpretato in termini di lo­gica concettuale in quanto tale, e non viene praticato da coloro che non riescono a notare la sua relazione con l’intuizione pragmatica profonda.

    L’irrazionalismo, la dissociazione, il nichilismo, sono già stati identificati nelle scritture buddhiste e nei commentari e trattati degli antichi maestri, e di generazione in generazione sono stati dati numerosi avvertimenti contro di essi. Ciò vale in particolar modo nella tradizione zen, che è fortemente associata alla specializzazione nella perfezione dell’intuizione. Nel 1898, Shaku Soen, uno dei più eminenti maestri zen del Giappone moderno, scrisse:

    Oggigiorno accade spesso che coloro che scambiano per comprensione zen l’illuminazione silenziosa della realizzazione nell’oscurità, tendono a odiare le scritture come se fossero dei serpenti velenosi, e temono gli scritti, i trattati e le antologie di aforismi come se fossero delle bestie feroci, sostenendo che la trasmissione speciale al di fuori della dottrina non insiste sulle scritture. Tale modo di pensare non è forse troppo limitato e di basso valore? Un antico illuminato disse: Se ciò che è al di là della dottrina è lucido, come può essere offuscato da ciò che si trova negli insegnamenti? Se ciò che è al di là della dottrina non ammette gli insegnamenti, allora nemmeno ciò che è al di là della dottrina è vero. Perché? Se uno specchio è perfettamente lucido, non sceglie le immagini delle cose che riflette. Tu non fai altro che rifiutare le immagini delle cose a causa della polvere e della sporcizia che ricoprono lo specchio. Se ti trovi sulla Grande Via, non crei tali percezioni visive. Queste possono essere definite parole sagge².

    Gli esercizi contenuti negli insegnamenti scritti sulla perfetta intuizione sono destinati ai cosiddetti bodhisattva, ossia a quegli individui completamente devoti al bodhi, o illuminazione, e in special modo ai mahasattva, o individui maturi. Tali termini non fanno riferimento alla devozione religiosa o all’età cronologica di per sé, ma alla mentalità e alla spiritualità di tali individui. L’illuminazione silenziosa della realizzazione nell’oscurità, citata dal maestro zen, si riferisce a un’intuizione contraffatta che è in realtà una forma di auto-illusione ricercata dai sognatori, dai nichilisti e da quegli individui tradizionalmente considerati immaturi o indecisi, e quindi incapaci di trarre beneficio dagli insegnamenti sulla perfezione dell’intuizione.

    Queste scritture rivolgono i propri insegnamenti sia agli uomini che alle donne laici, senza alcuna discriminazione associata al genere sessuale o alla condizione sociale. Ciononostante, è vero che nelle tradizioni del Buddhismo zen e del Buddhismo tantrico, l’intuizione viene personificata come una dea, e che nella tradizione letteraria zen-taoista sull’intuizione trascendente è scritto che, rispetto agli uomini, le donne hanno una maggiore facilità ad accedere alle proprie capacità intuitive.

    Alcuni attribuiscono tale vantaggio agli effetti specifici dei diversi modi in cui uomini e donne vengono addestrati; altri lo attribuiscono a determinate differenze di abitudini nell’attenzione e nella percezione, causate da differenze biologiche tra uomini e donne. Qualunque sia la spiegazione esatta, questa è una delle ragioni per cui il Buddhismo tantrico rappresenta il simbolo dell’illuminazione come un uomo e una donna che si abbracciano.

    Questo libro contiene esercizi della perfezione dell’intuizione, estratti da

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