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Donne e crimine: Antologia del giallo ligure femminile
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E-book204 pagine3 ore

Donne e crimine: Antologia del giallo ligure femminile

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Tredici autrici liguri, d’origine, d’adozione o solo per vocazione letteraria, per un’antologia che dà voce, anche nei territori del delitto, all’altra metà del cielo: le donne. Le più belle firme del giallo e del noir femminile di casa nostra.
I racconti:
Maria Masella – Rolfo
Erika Furci – Angelo
Annamaria Fassio - Mammina cara
Paola Mordiglia - Anzi, Jimbo
Paola Pettinotti - Cuore di mamma
Loredana Squeri - La peggior cosa è la speranza
Rosa Cerrato - Soluzioni personalizzate
Anna Parodi - Nella notte
Raffaella Ferrari - L’uomo con le stampelle
Marina Crescenti - L’inferno dell’angelo
Tiziana Fresia – Stellare
Anna Castagnoli - Il giorno del compleanno
Cristina Rava - L’uomo nero
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2014
ISBN9788875639600
Donne e crimine: Antologia del giallo ligure femminile

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    Anteprima del libro

    Donne e crimine - Anselmo Roveda

    Introduzione

    Due anni fa, in occasione della Fiera del Libro di Torino, usciva Liguria in giallo e nero, un’antologia che aveva due finalità. Una era una finalità alta, ovvero l’antologia cercava di fare il punto sulla produzione di narrativa poliziesca e del mistero nella nostra regione nel momento di massima espansione e fortuna del genere (si consolidava il successo di autori come Bruno Morchio, Maria Masella e Antonio Caron – solo per stare in casa Frilli – mentre si affacciavano nuovi scrittori e i Tascabili Noir di questa casa editrice raggiungevano il ragguardevole traguardo dei 100 titoli in collana); l’altra finalità era bassa ma non per questo meno nobile, ovvero offrire ai lettori una lettura da ombrellone. Racconti brevi, penne diverse, così per il piacere del leggere e magari per orientarsi su l’uno o l’altro autore in occasione dell’acquisto di un romanzo.

    La presenza femminile in quel libro era affidata – oltre che al personaggio del commissario Simona Ottonello creato da Andrea Casazza e Max Mauceri – ai racconti dell’affermata Maria Masella e dell’esordiente Erika Furci. C’era poi, quale cameo, un’intervista sul mestiere dello scrittore di gialli ad Annamaria Fassio, vincitrice del Premio Alberto Tedeschi nel 1999 e autrice di una fortunata serie di romanzi pubblicati ne Il Giallo Mondadori, alcuni dei quali tradotti in Germania.

    L’estate dell’uscita del libro, mentre si girava per presentarlo e la tiratura si esauriva, si iniziò a pensare ad un seguito. Del resto lo auspicavamo già nell’introduzione di quel volume. Il buon esito in libreria e la curiosità – anche degli autori – intorno all’iniziativa fecero il resto. E vista la scarsa presenza di autrici in quella prima uscita si pensò di indagare le scritture delle donne. Quello che avete in mano è l’esito del processo di invito e selezione. Troverete tredici racconti e tredici scrittrici a comporre un’antologia del giallo ligure al femminile (più o meno, vedremo dopo perché).

    Insomma, donne e delitti. Donne e delitti in letteratura, procedendo per libere associazioni viene in mente... Agatha Christie. Facile, pure troppo.

    Donne, delitti e Liguria in letteratura... riproviamo con le associazioni... beh, oltre alle già citate Fassio e Masella, può venire in mente Claudia Salvatori e poi... ah, ecco: Magda A. Cocchia, antesignana del giallo al femminile.

    Magda A. (sta per Adami) Cocchia, il mistero s’infittisce, non ne so abbastanza. Indagherò. So solo che l’autrice nacque a Genova e fu ospitata nella prima storica collana mondadoriana del giallo. Correvano gli anni ‘30 del Novecento ovvero la nascita del giallo italiano. Anche come colore, la solita storia che da noi la narrativa d’indagine ha il colore del limone, della banana e del sole perché l’editore Mondadori scelse quella tinta per le copertine della sua collana di polizieschi, inaugurata nel 1929. Ma torniamo a Magda Adami Cocchia, la scrittrice ligure pubblicò tra il 1934 e il 1939 sei racconti (alcuni dei quali a puntate) e due romanzi – Il furgone fantasma (1936) e Il pilota del Martino Tromp (1939) – nei Gialli Economici Mondadori. Amici bibliofili non sanno dirmi di più.

    Ancora qualche considerazione. Molto in questi anni si è detto sul giallo e sul noir – e delle infinite sfumature tra e dei due – fino a togliere quasi la voglia di parlarne. Non lo faremo allora qui, ma una cosa va detta: nonostante il titolo dell’antologia – e i comuni trascorsi nel genere delle autrici invitate – non tutti i racconti qui raccolti sono etichettabili come narrativa d’indagine. L’indagine c’è, c’è anche il mistero, qualche volte pure il sangue. Tranquilli. Compaiono investigatori, ma anche no. Compaiono vittime e carnefici, ma pure no. (A proposito di vittime e carnefici: sarà un caso che il primo suoni femminile e il secondo maschile, anche se in grammatica sono nomi di genere comune?).

    Insomma non siamo di fronte a gialli tout court. C’è in questi racconti piuttosto (e lo scoprirete leggendo) la narrazione di porzioni di realtà – vera, verosimile o solo fantastica – che investono il femminile nel suo complesso. Non è un caso che madri e amori, senza per questo scivolare in psicologismi o nel rosa, la facciano da padrone (qui può valere anche come femminile plurale). Tredici autrici, tredici punti di vista, tredici stili narrativi, tredici escamotage per declinare esperienza in letteratura; troverete un po’ di tutto: dal racconto d’indagine vero e proprio al divertissement, dal noir al racconto introspettivo.

    Troverete i nomi noti di Annamaria Fassio e Maria Masella, ritroverete quello di Paola Mordiglia per qualche tempo lontana dalla narrativa; troverete quello delle gialliste Frilli degli ultimi anni – Rosa Cerrato, Marina Crescenti, Tiziana Fresia, Paola Pettinotti, Cristina Rava – e ritroverete quello di Anna Parodi, qui in giallo e non in rosa. Troverete i nomi della spezzina Raffaella Ferrari, della ligure-emiliana Loredana Squeri e troverete di nuovo quello di Erika Furci. Troverete infine il nome di Anna Castagnoli, un’autrice che solitamente frequenta i territori della poesia e del libro illustrato ma che in questa occasione veste i panni del mistero.

    Non mi resta che augurarvi buona lettura.

    Anselmo Roveda

    Maria Masella

    Rolfo

    Ieri erano due anni, ci sono state manifestazioni autorizzate e qualche polemica. Diventerà una ricorrenza da festeggiare con un po’ di folclore, ma passando vedo ancora i segni di quello che è accaduto; fra le scritte compare POLIZIA ASSASSINA: la doppia esse qualche volta è una svastica.

    Mi fa sempre un certo effetto, perché sono un poliziotto e do la caccia agli assassini; così, quando passo in zona, distolgo lo sguardo.

    Vigliacco.

    Anche oggi, dopo due anni e un giorno, fermo al semaforo, distolgo lo sguardo e mi concentro sull’altro marciapiede.

    La donna sta uscendo dal fruttivendolo con una borsa di plastica. Il cane al guinzaglio ha la stazza di un vitello: tutto bianco e nero a chiazze; sulla schiena ha una macchia color cioccolata.

    Mi rendo conto che il semaforo è diventato verde perché quelli dietro di me protestano a colpi di clacson.

    Subito dopo l’incrocio, accosto e mi fermo, incurante del divieto di sosta. Sono o non sono un commissario di polizia? Abuso di potere. Lo so.

    Ma quel cane ha innescato un’esplosione di ricordi e di dubbi messi a tacere.

    Esco dall’auto e torno indietro.

    Da anni non abbiamo avuto un’estate così calda, la gente cammina nelle zone in ombra e la mancanza di pioggia ha essiccato la scarsa vegetazione sopravvissuta all’asfalto e alla civiltà. Ma lei cammina al sole. Non sento le parole, ma da come muove le labbra, tenendo la testa un po’ china, capisco che sta parlando al cane.

    Attraverso di slancio e la scontro mentre arriva dalla direzione opposta; mi scuso e, chinandomi, raccolgo frutta e verdura dal marciapiede polveroso.

    La sua frutta... Mi scusi, signora, non so dove ho la testa... Questo caldo....

    La scusa standard di questi ultimi mesi: il caldo è l’attenuante generica che non si nega a nessuno.

    Non me la nega. Ma non si preoccupi. Accenna un sorriso.

    Due anni fa non sorrideva. Invece ha un bel sorriso, anche se non è più giovane. Faccio un conto semplice: aveva fatto da poco i sessanta, l’aveva ripetuto più volte, allora ne avrà sessantadue.

    Ora li porta bene. Rialzandomi con l’ultimo pezzo di frutta in mano, manovro in modo da ritrovarci a faccia a faccia. Signora.... Spero che la mia esitazione sembri vera. Signora Amalia....

    Le leggo sul viso un momento di stupore, come di vuoto, poi il segno del riconoscimento: si ricompone senza sorriso. Commissario... Mi scusi, non ricordo il suo nome.

    Mariani. Nel raccogliere la frutta ho raccolto anche la borsa di plastica e dopo averla riempita l’ho tenuta ancora in mano, senza rendergliela. Se va a casa la accompagno, per farmi perdonare. Allungo una mano e faccio una carezza al cane, ottenendo una leccata, come due anni fa.

    Ma....

    Nessun disturbo, signora. La accompagno volentieri.

    Camminiamo uno accanto all’altro, preceduti dal cane che lei tiene al guinzaglio.

    È cresciuto tanto.

    Eh, sì!. Un sospiro compiaciuto. È un cuor contento, con due carezze lo si vende e lo si compra, ma mi vuole un bene!.

    Siamo al portone: ci sono ancora segni anneriti nelle scanalature del marmo, ma il quadro con i campanelli è nuovo. Lei incrocia la mia occhiata. Non funzionavano più, abbiamo dovuto rifarlo nuovo. L’assicurazione non ha pagato le spese, così ci siamo rivolti al Comune.

    Come tanti altri cittadini.

    Posso offrirle qualcosa di fresco?.

    Accetto senza esitare.

    L’appartamento è al terzo piano, come si contano qui a Genova, dove non si conta il piano strada. Apre la porta di casa e mi precede.

    Ricordo un appartamento grande, di un certo tono, ma con tende logore e mobili incrostati di polvere e smog.

    No, non dipendeva da quello che stava accadendo: cassonetti incendiati, lacrimogeni e tutte le solite conseguenze della guerriglia urbana! No, era sporco vecchio e incuria d’annata, come nella casa di chi tira avanti con la pensione stenta e ha energie solo per mettere un giorno dopo l’altro.

    Ora la casa è pulita, qualche mobile nuovo ha sostituito i vecchi.

    Il salotto è piacevole. Le piante verdi nel bovindo sono ben tenute. Quando lei torna con due tè alla menta, nota la mia occhiata. Mi sono sempre piaciute le piante verdi.

    Amore ricambiato: stanno venendo su bene. Bevo un sorso anche se non amo il tè.

    Lei ha bevuto il suo con visibile soddisfazione e mi guarda, aspettando la prossima mossa.

    Si è ripresa bene.

    Si passa una mano sulla fronte, scostando i capelli; non ha fatto la sciocchezza di tingerli e quel sale e pepe, come lo chiama mia madre, invece di invecchiarla la ringiovanisce. Non è stato facile, ma la vita continua. Tutti i vicini mi hanno aiutata molto. Pausa. E Rolfo anche.

    Come attirato dal nome, il cane arriva e si accuccia ai suoi piedi. Allora era poco più di un cucciolo. Fino a pochi minuti fa temevo di aver buttato una mezz’ora, ora ho un punto da cui partire.

    Finisco il mio tè, mi alzo. Mi ha fatto piacere rivederla.

    Anche a me. Di cortesia. Mi accompagna alla porta, ancora un saluto e sono fuori.

    Il colpo di caldo è una mazzata. Il portone è sotto sole. Nel salotto con il bovindo caldo non c’era: Amalia ha il condizionatore.

    Rolfo, strano nome da dare a un cane.

    Ma quel Rolfo non mi è nuovo, eppure due anni fa il cuccioletto non è mai stato chiamato per nome. Dovrei andare a casa, ma ritornerò in Questura e mi cercherò la pratica Rebolia Amanda vedova Parodi.

    Entro nell’auto, un forno, avvio il motore.

    Anche due anni fa sudavo, peggio di oggi. Maledetto giorno in cui tutti abbiamo perso.

    Due anni prima

    Il sottoscritto, commissario Mariani Antonio, è impegnato a ristabilire l’ordine, prigioniero di direttive non sempre chiare, non sempre condivise.

    Ho una paura boia, non per me, ma per mia moglie Fran, per nostra figlia Manu e per mia madre non più giovane, ma se glielo dico mi toglie il saluto. Perché le mie tre donne sono dall’altra parte, fra i manifestanti, spero pacifici.

    Ma i manifestanti pacifici mi fanno paura perché sono ingenui, e in mezzo a loro ci può essere chiunque.

    Vorrei essere con loro, dall’altra parte.

    Le notizie stanno arrivando a frammenti, loro tre non dovrebbero essere nella zona dove gli scontri sono più violenti. Però ho paura.

    Se almeno avessero accettato di tenere il cellulare acceso... No, solidali e decise.

    Provo ugualmente a comporre i loro numeri, ma mi risponde la voce Telecom.

    Mariani, una chiamata.

    Salto su come una scheggia. A una delle tre è capitato qualcosa e hanno avuto il buon senso di chiamarmi... Invece è solo una chiamata di servizio. Un morto, non lontano dalla piazza trasformata in campo di battaglia, ma sembra che non abbia niente a che fare con la guerra in corso. Hanno chiamato il 113, la chiamata è stata inoltrata a me: in questo caos tutto è possibile.

    Per una questione così da poco in una giornata simile, Iachino e il sottoscritto siamo già a sufficienza.

    Niente giubbotto antiproiettile, Iachino mi ha imitato. Un collega ghigna dicendo: Se vi beccano vi prendono per fottute spie.

    Arriviamo in zona. Il morto importante, quello su cui tutti cominciano a sgolarsi, è stato ucciso da poche ore, a pochi metri da qui.

    Non so se potrò raggiungere il palazzo in questione. Proprio lì manifestanti e forze dell’ordine si stanno scontrando: da un’oretta il confine si è assestato, la mia destinazione è però dall’altra parte.

    I segni della battaglia ci sono tutti.

    Cosa facciamo?.

    Iachino ha messo in parole la mia domanda. Vorrei avere anch’io qualcuno che mi dia istruzioni, ma sono il capo cordata. Si va. Abbiamo questurino scritto in fronte?.

    È perplesso per un attimo, poi capisce e fa segno di no. In giubbotto e pantaloni di jeans non siamo diversi dai manifestanti pacifici che hanno invaso la città, lievitando come l’impasto di un pandolce, ma all’interno c’è l’uvetta pericolosa.

    Stammi dietro ordino a Iachino. Fai come me.

    Iachino è giovane, prima di entrare in polizia era solo un ragazzo di paese. Io, queste manifestazioni, le conosco per dritto e per storto. Adesso di qua, da questurino, ma da ragazzo, me ne sono fatta più d’una dall’altra parte.

    Ci vuole velocità e sangue freddo per fare quello che ho in mente, ma io devo passare: hanno chiesto la presenza della polizia perché c’è un morto? Bene, l’avranno.

    Tengo d’occhio i due schieramenti, al primo contrasto ravvicinato, mi volto appena verso Iachino. Ora.

    È un attimo e siamo dall’altra parte, manifestanti fra i manifestanti. Il fazzoletto legato al collo e sollevato a coprire bocca e naso mi protegge abbastanza bene dai lacrimogeni. Però l’effetto nausea non tarderà.

    Iachino mi ha imitato, ma ha la faccia verde e gialla. Anche un po’ grigia. Forse paura, oltre alla nausea. Una mano mi batte sulla spalla. Salto su, ma è solo un ragazzo che mi porge mezzo limone, dicendo: Fottuti bastardi.

    Un cenno, prendo e porgo a Iachino. Riacquista un colorito quasi normale. Ma di normale ormai non c’è nulla. Piano, piano, ci allontaniamo dalla linea del fuoco, il palazzo è lì, il portone è a pochi metri, annerito dal fumo, con il vetro sfondato ed imbrattato di vernice. La pulsantiera dei campanelli è strappata, ma, anche se funzionasse, nessuno aprirebbe.

    Con una spallata finisco di aprire il portone e sono dentro.

    Il muro di schiene si apre, il corpo è a terra. Sono più spaventati per quel morto lì, a gambe e braccia spalancate, o per l’improvvisa presenza di noi due che siamo entrati sfondando il portone?

    Polizia. Porgo all’uomo più vicino il mio documento di riconoscimento e mi qualifico: Commissario Mariani Antonio.

    È un sospiro di sollievo collettivo.

    L’uomo è il portavoce del gruppo. Abbiamo chiamato voi, non un’ambulanza... Sono medico, ho capito subito che non c’era niente da fare.

    Mi avvicino al corpo: è una donna anziana e molto mal messa. Cosa è successo?.

    Noi e l’uomo lancia un’occhiata intorno, si era tutti chiusi in casa, ben chiusi. Poi abbiamo sentito un grido e lei indica la donna seduta sul primo gradino delle scale, che chiamava aiuto! Con mia moglie ci siamo fatti coraggio e abbiamo aperto la porta di casa.

    Avevo riconosciuto la voce di Amalia è la donna accanto a lui a continuare, deve essere la moglie. Due donne sole, in momenti simili, senza un uomo a difenderle. Io glielo avevo detto di venire da noi, che in quattro è meglio che in due. Ma non hanno voluto. Prende appena fiato e continua con lo stesso ritmo. "Amalia, poverina, sarebbe anche venuta, ma lei... Amanda

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