Specchio doppio
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Anteprima del libro
Specchio doppio - MARCO ONOFRIO
LA LETTERATURA
SPECCHIO DOPPIO
Scompartimento di treno. Carrozza restaurata anni ’90, sedili di velluto blu, non fumatori. Dirimpetto un signore distinto che tira fuori un libro: il mio libro! Tuffo al cuore: e poi divorante curiosità, da parte mia. Ne scruto le espressioni mentre legge. Calcolo quanto tempo ci mette a voltare pagina, sperando sia ragionevolmente giusto: né poco (come a dire scrittura leggera, libro senza segreti, lettura superficiale), né tanto (scrittura complicata, libro contorto, lettura problematica)… Come e quanto scorre il suo occhio sopra il segno? Ma il signore si sente spiato, si accorge che lo osservo.
A un certo punto lo chiude di scatto e mi dice: Salve, le interessa il libro?
.
Faccio lo gnorri. Rispondo con imbarazzo: Quale libro?
.
Oh bella, questo che lei arde dal desiderio di leggere, si vede. È curioso, pensavo, come talvolta la finzione venga poi doppiata dalla vita, dal tempo esistenziale. Leggevo, da ultimo, di un signore che, avendo io tirato fuori un libro e cominciato a leggere – badi bene la coincidenza, in un treno! – era irresistibilmente attratto dalla copertina e mi guardava, mi osservava, mentre io a mia volta lo scrutavo di sottecchi. Poi, forse infastidito, chiudevo il libro e gli dicevo quel che in sostanza le sto dicendo, affermando di averlo appena letto: come in effetti sta accadendo…
Non nego di averla osservata, e mi dispiace se ho potuto darle fastidio
.
Non si preoccupi. Il fastidio forse lo prova il lettore descritto nel libro. Io, piuttosto, curiosità
.
Ma una ragione c’è. Mi legge per cortesia il brano che parla di questa situazione?
.
"Certamente. Dunque… Ecco: Scompartimento di treno. Carrozza restaurata anni ʼ90, sedili di velluto blu, non fumatori…"
E qui ci siamo
.
"Dirimpetto un signore distinto che tira fuori un libro: il mio libro!"
E questo è lei
.
Ma il
mio libro di chi? Suo o mio?
.
Vada avanti, lo scoprirà
.
Comincia a girarmi la testa. E, se suo,
suo nel senso di possesso, o nel senso che ne è l’autore?
.
Vada avanti
.
"Tuffo al cuore: e poi divorante curiosità, da parte mia. Ne scruto le espressioni mentre legge. Calcolo quanto tempo…"
E questo sono io
.
"Ma il signore si sente spiato, si accorge che lo osservo…"
E questo è lei, quel che ha provato
.
"A un certo punto lo chiude di scatto e mi dice: "Salve, le interessa il libro?" Faccio lo gnorri. Rispondo con imbarazzo: "Quale libro? Oh bella, questo che lei arde dal desiderio… Misericordia, non è possibile: è quel che ci siamo detti…
Continui, continui
.
"Poi, forse infastidito, chiudevo il libro e gli dicevo quel che in sostanza le sto dicendo, affermando di averlo appena letto: come in effetti sta accadendo… Non nego di averla osservata… Non si preoccupi. Il fastidio forse lo prova il lettore descritto nel libro. Io, piuttosto…"
Legga, legga fino in fondo. Si raggiunga
.
"… Legga, legga fino in fondo. Si raggiunga… C’è anche questo… Ma come è possibile?".
Sono l’autore del libro. Tutto ciò che ha letto dipende da me. Anche la sua esistenza
.
Ma come…
"Al punto che, se io volessi, paf… potrei farti sparire da un momento all’altro. Vuoi vedere?".
No, la prego… la scongiuro. Ah!
.
Schiocco le dita: il signore sparisce nel nulla. Resta solo il libro sul sedile. Lo raccolgo. Comincio a leggere…
Fantasticherie di un lettore solitario e annoiato. Innescate dal treno in partenza. Identità di luogo: ti basta una parola e te ne vai. La mente, su per la tangente… Ma la fantasia disturba l’attenzione. Quella necessaria a seguire il filo delle cose. Conviene, forse, cominciar daccapo.
Specchio Doppio. Scompartimento di treno. Carrozza restaurata anni ’90…
CAMPARE SCRIVENDO
Carmina non dant panem, anzi: levant. La regola è arcinota. Ti devi comprare un tot di copie, quando ancora non sei nessuno, per garantire l’Editore dal prevedibile flop che lui per primo, del resto, non ha alcun mezzo o modo di scongiurare. Ma è lui stesso, sissignor, che ti assicura (questo, almeno, sì) che con quel piccolo importante sacrificio hai cominciato a scommettere sulla tua carriera – e la cosa ti solletica non poco: stenti infatti a dirti, a confessarti (come pur dovresti) che sono, ma lo sai, solo
speranze… Anche perché ci mette certo del suo, l’abile Mangiafuoco, per invogliarti presto al grande passo, apporre la firmetta al contrattino, promettendo il bel Paese dei Balocchi, lo splendido Bengodi, al burattino: tiratura ottima e abbondante (ne fa circa la metà di quanto deve, e in copie spesso difettate); distribuzione cosmica (sarà reperibile in tre-quattro librerie, se va bene, tenuto sottobanco e non esposto); presentazioni a iosa (te ne organizzerà una, al massimo, e in quella, per riempire un poco la platea, sarai costretto ad invitare i volti noti, i soliti parenti, i vecchi amici); pezzi su periodici e giornali prestigiosi
(come quello del rione dove vivi, che trovi dal fornaio sotto casa); e premi, premi in quantità (arriverai secondo, sì, ma all’Oscar della Fiera o al Parrocchiale)… Quanto alla pubblicità, beh… lì si mostra più ipotetico evasivo: ti dice fin da subito vedremo… Ma i soldi, intanto, quelli devi darli veramente: tanti, maledetti, subito. E in cambio di che cosa?
Sono molti in Italia i cinghiali
che, usurpando il nome di editore, vivono sfruttando i sogni cullati da queste schiere di silenti sprovveduti, di anime belle in cerca di gloria, col romanzo di una vita nel cassetto. Guardateli! Un solo fuoco in cuore li accende: pubblicare, pubblicare, pubblicare. A tutti i costi… per chiudere in volume
, per vedersi stampati… Ignorano, costoro, che pubblicare non significa stampare (per così poco basterebbe rivolgersi a una semplice tipografia…). E così i cinghiali ingrassano, badando unicamente ai loro incassi: prova ne sia che, a dispetto di quel che dicono (per darsi un tono di rispettabilità, quella veste di dignità culturale che sanno benissimo di non avere), sono in realtà disposti ad accettare qualunque cosa, capolavoro o scartafaccio non importa: ciò che solo conta è che si paghi.
L’artista deve disporre di un mecenate che lo finanzi e di un mentore che lo introduca. È un teatrino di maschere: un serraglio di finzioni, di forme, di apparenze e convenzioni. Le leggi non scritte, poi, nessuno te le dice o te le spiega: devi nascere imparato
, devi saperle da te. Bisogna entrare nel giro, frequentare i salotti, sostenere i trucchi e la trafila. Sapersi vendere, promuovere se stessi – e sgomitare un poco, anche, quando occorre.
Giovanni Persichetti ci ha provato. Ma è stato più volte respinto. Come da un muro invisibile di gomma, da una rete occulta e divisoria. È questa la sua storia.
Prima con Brigida Scaramuzzi, attempata storica dell’arte e studiosa di antichità locali. Un contatto di cinque mesi (telefonate quotidiane e appuntamenti, quasi sempre a vuoto), strascicato su promesse, allusioni e mezze verità, per arrivare infine a una proposta di collaborazione, gratuita, con Giovanni chiamato ad aiutarla nelle ricerche su Internet e a rimettere un po’ in ordine i suoi archivi. Sdegnato e deluso, a quel punto dunque aveva chiuso: quando era ormai chiaro che non ne avrebbe tratto nulla, se non perdite di tempo e di denaro…
Poi, introdotto da un Monsignore (contattato apposta dalla madre), era entrato nelle grazie della sessantacinquenne contessa Rosa Tiroldi Bocchi, autrice di notevole successo (si ricordino i suoi romanzi-fiume, di stampo erotico-sentimentale: celebri Il Passo del Mandurio, La settimana dell’aragosta e, soprattutto, Sette pomelli per te – parecchio apribile, quest’ultimo), nonché animatrice di cenacoli e movimenti e premi letterari in quantità. Ma la contessa – viziosa di rinomata fama, in società – gli aveva messo gli occhi addosso non per stima intellettiva o ammirazione (faceva finta di leggere le cose che lui le dava, tremante e speranzoso), bensì unicamente per farselo, per portarselo a letto, l’aitante poderoso giovanotto, il maschio Don Giovanni, il bell’Adone: per aggiungerlo alla lista dei suoi amanti – tanti, ma tutti vecchierelli e vacillanti – e rinverdirsi gli anni al dio piacere. Dinanzi alle sue profferte, sempre più esplicite, Giovanni restava interdetto, taceva imbarazzato, si chiudeva. E avrebbe nondimeno acconsentito (Parigi val bene una messa), se la Signora fosse stata meno orrenda: grassa, col sedere abnorme e i lardelloni; puzzava intensamente di sudore, di sesso non lavato e di sedere; aveva il sebo condensato sulla fronte, in perle luccicanti e goccioline, e il succo delle ascelle a rifiorire, acido e pungente, senza fine; e soprattutto scoreggiava spesso, apertamente. Soffriva di flatulenze croniche: rutti, borborigmi e gran soffioni. Le scappavano a mitraglia, a ripetizione: senza peraltro che lei facesse nulla a trattenerle, il suono pernacchiante e il gran fetore. Tremende le effondeva in ogni dove, sua propria naturale emanazione (era come annunziata
: la sentivi prima ancora di vederla)… e pure in luoghi e vesti ufficiali, anche in cerimonie e premiazioni; laddove le sganciava solo loffe
, per rispetto, col silenziatore… che poi era anche peggio, ché le aveva più incisive e più letali (tipo bomba H): concentrate, broccolose e virulente – di aromi
variegati il gran miscuglio – di