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Delitto alla Cattolica
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E-book189 pagine2 ore

Delitto alla Cattolica

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Info su questo ebook

Eleonora Vui, direttrice editoriale di una prestigiosa casa editrice milanese, viene accusata di aver aggredito e sfregiato Patrizia Simoncini, la nuova compagna del suo ultimo ex, introducendosi nell’appartamento di quest’ultima mascherata per non essere riconoscibile. La storia è talmente bizzarra da sembrare una farsa, ma attraverso meticolose indagini gli inquirenti arrivano ad un’inquietante scoperta. Forti indizi collegano la stessa Vui a un delitto orribile, accaduto più di quarant’anni prima, rimasto impunito: il delitto dell’Università Cattolica di Milano. Sarà Francesco Losanto, un editor in pensione appassionato di noir, a sciogliere l’intricata matassa. L’autore, in questo modo, prende spunto per ripercorrere gli atti processuali di uno dei più grandi delitti della storia d’Italia e coglie anche l’occasione per criticare sagacemente le dinamiche dell’odierno sistema editoriale.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mar 2017
ISBN9788869431869
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    Anteprima del libro

    Delitto alla Cattolica - Gianni Marilotti

    Prologo

    Milano 24 luglio 1971

    La ragazza dai capelli composti, la borsetta a tracolla e gli occhi sereni benché avidi di sogni, si difende dalla canicola milanese con la leggerezza della sua camicetta a fiori blu portata sopra la gonnellina svasata che, discretamente, scopre appena le sue belle gambe rivelando giusto le ginocchia. È tranquilla anche se il rumore trafelato dei suoi sandali tradisce una certa fretta.

    Tra poche ore partirà per le vacanze estive, mancano giusto alcune commissioni. Il viaggio l’hanno organizzato i suoi genitori: tutto è stato fatto a puntino ma l’imprevisto ha sempre una doppia faccia. All’apparenza la sua vita è perfetta: lavoro, famiglia, casa, chiesa, sport, volontariato. Nessuna intemperanza, nessuna trasgressione, nessun vezzo o vizio. Ma forse qualcosa sfugge al controllo; forse la ragazza troppo seria, dalla gonna non troppo corta, certe passioni le tiene per sé.

    Mentre percorre corso Magenta ha un’aria assorta, sembra ripensare alle fatiche degli ultimi anni sempre coronate dai successi: la laurea, l’inserimento lavorativo, un certo prestigio sociale. Soddisfazioni! Sempre e solo professionali però. Eppure, nell’ampiezza elegante di quella via assolata, le sue piccole solitudini s’ingigantiscono sino a ingoiarla, mentre costeggia Santa Maria delle Grazie, consapevole dei suoi desideri inappagati.

    Davanti a quelle linee architettoniche rinascimentali, rese ancor più suggestive dai riflessi dorati e dal baluginio di luci che giocano a rincorrersi fra gli archi e le vetrate ambrate, forse, se avesse il tempo, non le dispiacerebbe entrare nel santuario per ammirare l’effetto dei raggi del sole che squarciano le tenebre ma soprattutto per invocare Dio in un’innocente, o forse scandalosa, preghiera. Ma le gambe, allenate a prendere l’iniziativa per le vie di Milano, vanno più veloci del pensiero. Ha ancora tante cose da fare prima della partenza.

    Superata la Basilica di Sant’Ambrogio è ora in largo Gemelli a due passi dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, la sua università. Indugia. Un turbinio di pensieri sembra impadronirsi di lei e questa volta, quasi per presentimento, le gambe rallentano il passo fino a fermarsi di fronte al secentesco portico tripartito detto cortile d’onore che, maestoso, introduce ai chiostri quattrocenteschi del Bramante, in quei locali che un tempo costituivano il Monastero di Sant’Ambrogio. Quale bisogno impellente la trascina entro i cancelli che affacciano sul chiostro? Il suo passo ora è incerto, lo sguardo si acciglia. Entrare nelle atmosfere desolate e assolate di quei giardini contemplativi o proseguire verso via Luini per l’ultima commissione. La ragazza fissa il cancello come se lo vedesse per la prima volta, o forse per l’ultima.

    Il chiostro è irresistibile; la sua altezza magnificente, contrappuntata dalla fuga delle volte a crociera, la avvolge in uno scenario verdeggiante e meditativo. Così silenzioso e puro, privo del vociferìo assordante dei soliti studenti, pregno di quel vuoto che solo l’afa di luglio può creare; è quello per lei il luogo più mistico di Milano.

    Davanti a quell’eleganza di stile, tante volte ammirata da studentessa ma altrettante volte ignorata, tutta presa dall’ansia dello studio, sembra ora volersi soffermare per osservare il tutto con occhi nuovi, come condotta da una forza misteriosa.

    Il chiostro, due chiostri, l’unità essenziale del progetto! Chissà perché l’artista ha voluto rappresentare la dualità, icasticamente raffigurata dall’ordine ionico e dorico, pur nella linearità della reductio ad unum! Che sia la metafora della vita, della sua vita? Perché la ragazza coi sandali, pur vivendo una vita ordinata, ha attraversato anche lei il flusso di quei sommovimenti generazionali potenzialmente antagonisti. Ha conosciuto i fermenti sessantotteschi che non hanno risparmiato nemmeno quel sancta sanctorum della cultura meneghina. Forse pensa ai suoi compagni di studio di cui perlopiù ha perso le tracce. Sembra passato un secolo e sono trascorsi solo due anni. E lei, aveva fatto bene a tenersi fuori da quelle proteste? E perché lo aveva fatto? Per convinzione o vigliaccheria? Quale parte avevano avuto in questo suo percorso formativo i professori di quell’università? Quei muri? Quei marmi? Il chiostro del Bramante?

    In questo garbuglio di pensieri la ragazza accelera il passo, sembra quasi che abbia un appuntamento. Forse solo col destino. D’impeto giunge nel secondo chiostro. Distrattamente nota un uomo, seduto su una panchina che, nonostante il caldo, si gusta il sole intrappolato nel suo doppio petto grigio e cravatta. Strano individuo! Prosegue. I passi sono decisi, come il suo spirito; rimbombano sui soffitti alti e il suono le ritorna pulsante nelle tempie. Dove sta andando? Da chi?

    Imboccata la scala G, il rumore assordante e molesto di un martello pneumatico, interrompe le sue elucubrazioni. Alcuni muratori, mentre sale le scale, sbirciano sotto la sua gonna. La ragazza disprezza quegli sguardi indegni di lei. Altre sono le sue aspirazioni amorose; un uomo colto, elegante, di successo, che forse ha già un volto, un nome, un ufficio in quell’ammezzato… un professore appena maturo, un giovane ricercatore, qualcuno a cui fare una sorpresa, qualcuno da salutare prima delle vacanze. Ma chi conosce davvero i tumulti del suo cuore, i suoi sogni, le sue speranze? Cosa si cela oltre la corazza rigida e precisa che ostenta con quel suo incedere altezzoso?

    Mentre si reca in quei fatidici bagni al primo piano di quella università, la sua università, fa appena in tempo a scorgere, affisso sulla bacheca, un avviso di un seminario su Seneca di qualche mese prima e una frase che suona in quel momento sibillina: Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.

    Parte Prima

    I

    Milano, 2010

    Quella mattina, fredda e umida, era una di quelle stupide giornate in cui non si vorrebbe far nulla. Dalla terrazza del suo attico Lucrezia Vui seguiva in lontananza il profilo delle nubi che avvolgevano Milano chiedendosi se anche a Recco facesse brutto. Da giorni meditava di tornare nel buen retiro ligure, ma il lavoro non glielo consentiva e adesso anche il tempo sembrava mettersi di traverso. Aveva bisogno di sentire il profumo del mare per smaltire la rabbia e ritrovarsi. L’ultima volta, ricordava sospesa tra il rancore e la nostalgia, ci era andata con Alfio per un week end di passione. Si era allora riproposta di dare alla villetta una bella sistemata, ma travolta dai piaceri della carne aveva rinviato ad altra occasione. Tristemente libera da impegni sentimentali, nulla ora le impediva di dedicarsi ai suoi roseti. Invece, non riusciva a non pensare che a lui! A quel bamboccio sfigato! All’uomo al quale nell’ultimo anno aveva dedicato le migliori energie, intellettuali ed affettive. Lo aveva tirato su, incoraggiato, lo aveva fatto diventare uno scrittore e lui la piantava sul più bello per una sciacquetta arrivista? Per una ragazza già rifatta a venticinque anni? Era sempre la stessa storia… gli uomini… pancia soltanto come diceva il poeta latino, alla costante ricerca del proprio ego-narciso; cosa era cambiato dall’epoca di D’Annunzio? Di Oscar Wilde? Di Guy de Maupassant?

    Certo, i suoi anni non più verdi le giocavano contro, ma si sentiva ancora una donna piacente e piena di energia, quanto bastava per vincere la sfida con quella cutrettola volgare e sciapida.

    Davanti allo specchio scrutava la sua immagine, soppesava fianchi stretti e seni abbondanti, si compiaceva della sua altezza notevole e del suo corpo atletico e ben proporzionato. Si liberò della matita che le raccoglieva la chioma e scosse la testa per ammirare i suoi riccioli color nocciola illuminati dalle mèche. Da bambina odiava i suoi sempre troppo gonfi capelli per colpa dei quali, sin dal liceo, era stata soprannominata cespuglio; ma col tempo aveva imparato a domarli e forse era stato quello il suo primo esercizio di potere su qualcosa. Lo sguardo indagatore, attraverso gli intensi occhi grigio gatto, non sembrava scorgere nel suo corpo segni di decadenza che preludessero a un’inevitabile sconfitta. Giusto la pelle, doveva ammetterlo, non era più quella dei vent’anni; ma a questo Lucrezia non dava gran peso. Ciò che le donne perdono in freschezza lo acquistano in esperienza, charme, sensualità era solita ripetersi. Alfio si complimentava sempre per quei piaceri mai prima provati. Orgasmi cosmici! Li aveva definiti quel bastardo. Con rabbia ripensava alle carte false prodotte per portarlo a Il Miraggio; aveva usato tutto il suo potere perché la casa editrice investisse su di lui: un rockettaro con velleità da letterato; lei, non certo altri, con i suoi opportuni consigli, aveva contribuito a trasformare una storia banale e scritta da cani in un testo passabile, almeno commercialmente, e ora lui si era montato la testa e credeva di poterla scaricare. Finita era finita, non c’erano dubbi, ma doveva trovare il modo di fargliela pagare.

    Era proprio un venerdì nero corvino per Lucrezia.

    Quel pomeriggio ci sarebbe stata la presentazione del capolavoro dell’ex amante e se avesse potuto risparmiarsi quella commedia, la donna lo avrebbe fatto ben volentieri.

    Intanto i suoi pensieri molesti ancora la corrodevano.

    Dopo pranzo, se si poteva definire pranzo una tazza di tè con del pancarré spalmato col miele, era ancora indecisa se andare alla presentazione del libro o crogiolarsi nei caldi cuscini del salotto. Alla fine il senso del dovere ebbe la meglio su quel vago ed incerto desiderio di rifugio domestico.

    Alle quattro del pomeriggio, con addosso un elegantissimo tailleur grigio che esaltava il colore dei suoi occhi, era già per strada.

    La libreria Il Miraggio era a due passi da piazza San Babila, in pieno centro. Era sempre abbastanza affollata ma quel pomeriggio sembrava esserlo più del solito. Si potevano contare almeno trecento invitati alla presentazione di Lucidi delitti, l’opera d’esordio di Alfio Speranza, tra cui scrittori, lettori, curiosi. Diverse persone avevano un look più adatto a una discoteca che all’occasione. Il personale a fatica riusciva a trovare lo spazio per sistemare altre sedie pieghevoli; molti stavano in piedi, dietro banconi di libri, addossati agli scaffali e qualcuno si era persino seduto sul pavimento.

    Alfio Speranza, noto da chi bene lo conosceva come Alfio il Tronfio, per via del suo portamento impettito che ricordava quello di un pollo ripieno, fece il suo ingresso trionfale, o meglio tronfiale, intorno alle sedici e trenta. Da buon rocchettaro, dalla sua zazzera nera spiccava un ciuffo color mais che ben si abbinava alla giacca verde sgargiante che indossava con gran disinvoltura. Al suo fianco Patrizia Simoncini, la sua compagna: una bellissima ragazza bruna che passando tra la folla lasciò una scia persistente di profumo al sandalo. I tratti del suo viso avrebbero potuto definirsi orientali se non fosse stato chiaro a tutti che quegli occhi all’insù non erano opera di madre natura ma del chirurgo plastico. Al loro arrivo strette di mano, sorrisi larghi e pacche sulle spalle dalle prime file. Un signore premuroso si alzò per offrire il posto a Patrizia. Lo scrittore, giunto a ridosso del tavolo dei relatori, salutò caldamente il collega che aveva l’onore e l’onere di presentare il libro. Esitò un attimo davanti a Lucrezia Vui, direttore editoriale della casa editrice, sua amante fino a tre mesi prima, e si limitò a tenderle una gelida stretta di mano.

    I relatori presero posto dietro al tavolo. Lucrezia Vui ringraziò i presenti, disse due parole sulla collana che ospitava Lucidi delitti, poi introdusse lo scrittore. Sia pur con un certo disagio che non sfuggì al pubblico, lo presentò come un autore che, nonostante l’età non più verdissima, non aveva ancora raggiunto la maturità; una speranza, sottolineò sarcasticamente, per la casa editrice che credeva in lui e sperava appunto in un futuro successo. Affermò con falsa ironia che il capolavoro, Alfio doveva ancora scriverlo e che finora aveva dimostrato di essere più bravo con la chitarra che con la penna; poi, soprassedendo al brusio della gente, diede la parola al relatore ufficiale. Lo scrittore tirò invece un sospiro di sollievo. Evidentemente temeva peggio.

    Verso la metà del secondo intervento, Lucrezia appariva alquanto infastidita dalle lodi sperticate con cui Alfio veniva gratificato; involontariamente contraeva i muscoli del collo e, di tanto in tanto, storceva la bocca. Dunque, si alzò e si avviò verso il fondo della sala. Non sentì nemmeno la voce stentorea di Alfio quando, a domanda, si lanciò in un’appassionata difesa del proprio lavoro. O meglio, la sentì, confusa tra il vociare dei clienti, e ne provò fastidio e tedio.

    Quando tornò al tavolo dei relatori, il dibattito era agli sgoccioli, tutte le parole più mielose erano state utilizzate, gli elogi sprecati, i panegirici già celebrati. Fece appena in tempo a ringraziare i presenti e a invitarli al piano di sopra per il rinfresco.

    Seduto al tavolo Alfio, penna in mano, si cimentava nel rito delle dediche. Davanti a lui una fila di lettori, aspiranti scrittori, ragazzi con cresta e piercing e amici vari aspettavano il proprio turno. Erano volti soddisfatti, si scambiavano impressioni sulla serata È stato un successone!, Lui è bravissimo!, Sì, ma anche la presentazione è stata brillante! e altre ovvietà simili. A piccoli gruppi si avviarono verso il buffet.

    Lucrezia parlava con un giovanotto alto, vestito casual; si stavano dando un generico appuntamento per la settimana seguente in casa editrice quando le si avvicinò il relatore della serata.

    – Dov’eri finita? Pensavo non

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