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Il cammino dell'anima
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E-book210 pagine2 ore

Il cammino dell'anima

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Info su questo ebook

"Ambientato nel 1985, il romanzo è la seconda opera narrativa di Claudio Demurtas. Il protagonista principale è un prete dalla vocazione traballante per una angoscia esistenziale di cui non riesce a trovare il bandolo, complice la scoperta improvvisa della sessualità incarnata in Manuela. Lei è una ragazza molto bella e molto colta, però schiava della droga che si procura prostituendosi. Don Emilio di lei perdutamente s’innamora, ma la loro storia si avvierà a una tragica conclusione, rendendo insopportabile il dolore della sua anima, che proverà a lenire lasciando la sagrestia e cercando altri mondi e altri spazi in America latina. Infatti incontrerà la miseria delle favelas, l’ingiustizia terribile perpetrata dal potere costituito contro le masse dei campesinos e la loro lotta di liberazione, cui parteciperà quasi inconsapevolmente, trascinato dall’afflato cristiano verso gli oppressi e gli ultimi e da rivoluzionario pericoloso sarà trattato dal regime che lo sottoporrà a prove durissime. È in questo contesto che la sua vocazione metterà salde radici rivoluzionando la sua vita."
 
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2020
ISBN9788835819769
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    Il cammino dell'anima - Claudio Demurtas

    Claudio Demurtas

    IL CAMMINO DELL’ANIMA

    -ROMANZO-

    Il cammino dell’anima

    Un romanzo di Claudio Demurtas

    Prima edizione, aprile 2020

    Isbn 978-88-3343-239-7

    Copertina tratta dal dipinto di Lorenzo Mattotti Vampiri 2014.

    Questa è un’Opera di fantasia, ogni riferimento a cosa,

    persone o fatti è puramente casuale.

    LFA Publisher Lello Lucignano Editore Via A. Diaz, 17 -80023-Caivano -Napoli, Italy Partita Iva 06298711216 www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione cartacea Libro Co. Italia -Firenze -

    Vola solo chi osa farlo

    da: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

    di Luis Sepùlveda

    Alla mia compagna di vita che ha dato

    la spinta a sa perda inquaddigada.

    UNO

    Come sempre, nell’ultimo tratto di salita gli veniva il fiatone. Quella sera però i contrafforti calcarei che cintavano la vecchia fortezza incombevano più ingobbiti e cattivi sulla strada dell’Abbondanza e così le avemarie stentavano a farsi largo nella sua mente, come occluse dalla fatica e in sintonia con la Passione e Morte di Cristo.

    Erano anni che don Emilio era solito recitare le sue preghiere in quelle passeggiate pomeridiane dalla mansarda di vico quarto S. Giovanni al colle che, da sud, fronteggiava la città. Una volta lassù, una scriminatura ghiaiosa fra i pini portava alla terrazza del Belvedere e finalmente lo sguardo poteva spaziare e annodarsi nei colori della pianura e del mare lontano. Allora l’affanno passava e il cuore gli si scioglieva, arrivando all’ultima posta del Rosario in via del Cammino Nuovo. Impiegava infatti dieci minuti a recitare i Gaudiosi, per il tratto di via S. Giovanni che arrivava ai piedi del monte. I sette, ottocento metri della salita dell’Abbondanza invece equivalevano al Mistero della Morte di Croce, ed era il tratto meno piacevole dell’escursione, soprattutto perché lo stomaco pieno gli tagliava spesso le gambe e il respiro. Ciononostante si assoggettava volentieri al sacrificio, piccolissimo calvario suo personale che gli dava in godimento l’altezza, poi, e pensieri inaccessibili agli altri, la libertà. Perciò rispettava rigorosamente itinerario e tempo di percorrenza, accelerando o rallentando a seconda dei casi quasi avesse un metronomo, per arrivare puntuale al Cammino Nuovo in sintonia con la Resurrezione di Cristo dal Sepolcro. E a quel traguardo era appena giunto, alle quattro del pomeriggio di quel fine marzo 1985 anno del Signore.

    Si sentiva stanco, stanco… e non riusciva a mantenersi nell’ambito delle sue devozioni, tuffandosi invece nelle forme bianchissime e soffici che s’impastavano col vento, filando chissà dove.

    Poca gente in giro, ma era sempre così, data l’inaccessibilità del viale alle macchine: solo una coppietta – soldatino e domestica in libera uscita: le mani arrossate tradivano povere storie – pomiciava senza pensieri, addossata al parapetto della prima rotonda.

    Don Emilio passò oltre, affrettando il passo per guadagnare l’estremità della collina e la sua panca: un asse lavico piazzato al centro della balaustrata, di fronte al vuoto. Sembrava la tolda d’una nave quello spiazzo calvo in terra battuta e il profilo del dirupo la prua che si sforzava di rompere la lontananza dal mare. Neanche lì c’era anima, e meno male; come sempre, del resto: soltanto alle prime ombre qualche moto da cross popolava i cespugli e dappertutto se ne vedevano gli esiti, afflosciati e spenti d’emozioni furtive, consumate roteando gli sguardi.

    Si sedette a riposare. Il silenzio era totale ibrido freddo. Dopo le litanie, chiuse il Rosario con un Salveregina distratto. Un corvo passò alto gracchiando… Il prete aveva una scarpa allentata e si chinò a stringere i legacci; fu allora che vide i fogli sparsi sotto il pianale, sobbalzando alla vista dei colori e delle foto. Data un’occhiata intorno, li raccolse con gesto da ladro ficcandoseli sotto la giacca. Poi cominciò a sbirciare, allargando un lembo del clergyman, squallide evoluzioni di sessi contorti e sezionati dai riflettori. Gli sembrava d’avere l’occhio appiccicato al buco d’una serratura, con un misto di fregola impotente e di tristezza, vergognandosi molto. La miseria degli uomini! Provò a immaginare l’organizzazione commerciale di quelle scene vendute, le finte espressioni d’estasi davanti all’obiettivo, esibizioni contrattuali sbattute sulla carta platinata per uomini soli… merda. Le stesse cose doveva aver pensato il solitario sognatore proprietario della rivista porno poi dismessa e buttata via, e gli sembrò di vederlo, adolescente e foruncoloso di fronte a quei corpi scannati, perdersi dopo nel disgusto di sé e della vita.

    Sospirò. Non stava cadendo anche lui nella medesima tentazione, nonostante la peluria ispida e inframmezzata di grigio? Piegò i fogliacci e se li mise in tasca arcuando la schiena. L’ombra del seminario si materializzò d’improvviso, maculando di forme e suoni gl’incavi della memoria… "D’in su la vetta della torre antica, passero solitario…ecco ascoltate, spiegava padre Farina, par quasi di sentire il suono della campanella, din din…" Dal primo banco della fiancata attigua al finestrone il sole straripava sopra l’antologia, sbalzandolo all’esterno a cercare belati e pratoline e Marciano diventava il natio borgo selvaggio per lui diciottenne, avido di passeggiate altrettanto disperanti e intense di quelle del poeta.

    Cos’era che lo aveva spinto a farsi prete? Non frustrazioni da scontare, miserie familiari – il padre faceva il segretario comunale e pur senza lusso riusciva a procurarsi un’esistenza dignitosa – e neppure una vocazione cristallina. No. Lo sapeva benissimo che era stata la paura della morte ad avallare la sua rinuncia al mondo: una sensazione fosca totalizzante che l’aveva eroso a dieci anni dopo aver assistito, suo malgrado, alla morte improvvisa del nonno. Prima d’allora la sua infanzia era scivolata spensierata come quella di molti bambini, ma il palloncino pieno d’azzurro era scoppiato tragicamente sopra un paio d’occhi rovesciati all’insù. Ed Emilio aveva sperimentato bruscamente cos’erano le costruzioni degli uomini, gli affetti più tenaci, la vita, lui ch’era attaccato visceralmente a quel vecchio. Nient’altro che un po’ di nulla, precarietà vegetativa defettibile cenere. Non aveva neppure pianto, il giorno, perché non era il dolore a straziarlo, quanto il risveglio brusco impietoso, l’impatto con l’ineluttabilità. Perché l’aveva vista in faccia la morte e mostrava peli bianchi e letti disfatti e risposte tremende dietro le bugie che si raccontavano ai bambini e così le parole dolci dei genitori erano diventate pietra e specchio d’una realtà cui loro anzitutto, padri invincibili e madri caritatevoli, dovevano per forza soggiacere. E non avrebbero potuto più rispedirlo nel paese di Alice, nei giochi e nelle favole. Era diventato di colpo adulto. Quella fine prima o poi l’avrebbe fatta anche lui e niente poteva salvarlo, nessuna forza, grembo di donna, nessuno, Gesù! L’unico che bisognava veramente cercare e seguire verso luoghi della mente lontani… Divenne velocemente indifferente alla compagnia dei coetanei, ai fatti, a tutto, alle cose, introvertendo e opacizzando gli occhi d’una malinconia mortale. Perfino l’oculista aveva osservato ingenuamente, arrecando trafitture ai genitori, che le sue retine sembravano stanche, d’un vecchio, come se non d’un paio di diottrie si trattasse, ma di qualcos’altro. A tredici anni era entrato in seminario: diploma, laurea in lettere, a ventiquattro l’ordinazione sacerdotale.

    Seduto in punta di sedile, gambe accavallate e distese, don Emilio aveva stampato un mezzo sorriso. Quanta acqua era passata sotto i ponti della sua angoscia! Ormai si riduceva a rigagnolo sottile nella piana dei quarantacinque anni, ma per convinzione filosofica, piuttosto che per religiosa speranza d’un Aldilà prossimo venturo. Quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamo noi, si diceva nella lettera a Meneceo e l’assunto sintetizzava bene la sua posizione attuale e non contrastava affatto con la Fede, anzi, accettazione razionale e Promessa l’avevano condotto a una dolce atarassia che lo faceva vivere alla giornata, valorizzando ogni attimo del presente.

    Un merlo, rintanato in qualche anfratto, fischiava e i suoi pensieri correvano come topi di Hamelin dietro a quel suono modulato verso altre campagne e altri spazi. Poi si levò timido il vento, ciurlando fra i muri di sempreverdi e scavando essenze d’anni, impazienze primaverili, brividi dal proprio corpo. Una volta esorcizzata la morte, infatti, gli era cascata addosso la mannaia. L’aveva sentita lucida e dirompente un giorno d’estate a Cala di Vipera, costone irto di pietre aguzze su cui era difficile camminare, per godersi il mare luogo ideale per un prete. Prima d’allora non gli era costato nulla rinunciare all’amore d’una donna, non provava desideri. L’unica tentazione cui cedeva ogni tanto gliela procurava il cioccolato fondente, ma ci pensavano le emorroidi a temperare i suoi eccessi alimentari. Quale fosse il motivo che rendeva il suo sesso cionco se l’era chiesto sempre, non riuscendo a trovare altra risposta che quella dell’angoscia mortale che l’aveva segato, ibernato ab imo, cucendogli addosso una perenne depressione. Come avrebbe potuto percepire la linfa scorrere nel suo tronco se lo sentiva già secco? E un giorno ch’era stato ad Assisi, di fronte al famoso Roseto l’aveva colto una sgradevole sensazione: perfino Francesco s’era rotolato fra le spine per far tacere il richiamo carnale, finché… Guardò l’orologio e i cirri, che cominciavano a rosseggiare dalla parte dei monti. L’aria era muta, serena, si acculava sui fianchi dell’erta in tenere diapositive odorose di genziana…

    … lasciava sempre la macchina oltre il sentiero, nella strada asfaltata e anche quella volta aveva raggiunto la scarpata a piedi sotto il solleone d’agosto, il costume ben tirato sopra l’ombelico, i vestiti e l’asciugamano dentro un bustone dell’Upim. Non si respirava quella mattina e si era catapultato subito nell’acqua fonda delle rocce a disgregarsi fino ai primi brividi, poi aveva fatto il paguro sul renaccione della Costa del Paradiso. Di solito, l’asprezza del luogo evocava la solitudine, perciò neppure badò al vociare discreto, inframmezzato da risatine, che veniva da sopra, immerso com’era nel suo benessere caldo. Un colpo fortissimo alla tempia, però, lo scaraventò fuori dal torpore con un dolore lancinante, schizzi alternati di luce accecanti e neri. Rizzò il busto premendo la mano sulla ferita, sicuro di vederla piena di sangue, ma non lo era. A quel punto, riacquistata lucidità, si accorse delle ragazze. Saltavano come caprette correndo verso di lui.

    «Ci scusi, oh, ci scusi» domandò una.

    «Le abbiamo fatto molto male? Che stupide, mettersi a tirare pietre! Ma non l’abbiamo vista, ci perdoni» aggiunse l’altra.

    Don Emilio rispose con una smorfia, tastando l’arcata sopraccigliare che stava gonfiandosi rapidamente. «Un dito più sotto e ci avrei rimesso l’occhio», mormorò sudando freddo e sentendosi quasi svenire.

    «È stata colpa mia, sono mortificata», si era fatta avanti una brunetta sui vent’anni. «Faccia vedere, le fa molto male?»

    Nonostante il dolore, lui non poté fare a meno di notare quanto fosse riempito bene il suo bikini viola.

    «Poverino!» sfiorò la bozza tumefatta. «È anche pallido, aspetti, si distenda, si metta così».

    La ragazza lo guidò ad appoggiare la testa sul suo grembo. «Vedrà che le passa subito». Poi aveva dato il fazzoletto all’amica perché glielo riportasse bagnato.

    Il prete provò sollievo alla pezzuola fresca e si abbandonò chiudendo gli occhi, grato. Una ragazza…

    Quando il malessere cominciò a seccarsi, colse inaspettato il profumo insinuante delle sue cosce, di cui godeva il contatto con la nuca e un turbamento sottile come nervatura di foglia cominciò a fare formichina in tutto il corpo. Ne rimase sconvolto e s’irrigidì, serrando ancora di più le palpebre per scandagliare meglio il fondo.

    «Oddìo, Laura, non sarà svenuto? Dimmi di no, ti prego. Vero che sei sveglio? Non farmi spaventare!»

    Lui la tranquillizzò con una smorfia, ma quel tu che gli veniva rivolto, dolce e accorato, finì di stordirlo.

    Un interruttore scattò – perentorio improvviso il suo sesso – e perentoria improvvisa riconquistò la posizione verticale schiacciandosi addosso l’asciugamano. Che gli capitava, era la prima volta. «Ora sto meglio, sto bene, grazie. È stata molto gentile», udì se stesso dire, brocca fessa, incrinata.

    «Cos’è questo lei? Tra giovani non ci si dà del tu

    Lui non obiettò, godendo del complimento e guardandosi bene dal rivelare i suoi anni. Si camuffò da insegnante, mentre le ragazze studiavano al Magistero. Parlarono un po’ del più e del meno, quindi si salutarono.

    «Tu stai ancora?» gli domandò Laura guardandolo teneramente.

    «Sì» rispose per inerzia don Emilio, mentre le pietre smosse dal silenzio confricavano una a una sulla ferita facendola ancora dolere. Ma doleva anche l’altra.

    Si sedette sopra uno scoglio i piedi in acqua. Stupefatto. Strambo.

    Davanti a quella ragazza il suo corpo si era comportato come un indotto davanti a un induttore e di colpo s’era dissolta l’inerzia di trent’anni, lo spazio scabro e vuoto della sua condizione di prete che non gli aveva mai procurato rimpianti perché mai

    aveva

    saputo

    conosciuto

    non.

    Aveva vissuto soltanto per predisporre bene la propria morte, infatti, estote parati. Quel colpo invece l’aveva scaraventato d’abord fuori dai suoi involucri granellosi in una piatta pianura. Ne fu atterrito. Dal fondo i massi lo guardavano paciocconi nitidissimi chiari, come la risposta che gli sbalzava nella mente…

    Don Emilio si staccò dalla panchina avviandosi verso casa, incupito. Il ricordo di quegli ultimi anni lo molestava come un ascesso, perché era da quel giorno maledetto che le donne, sempre che lo cogliessero solo nel rifugio della sua casa, gli si offrivano a turno dalla carta patinata, materializzando sensazioni che più soddisfaceva e più risorgevano integre e prepotenti. Non c’era niente da fare. I giornali porno che andava a comprare, in borghese, nelle edicole più laide e sperdute della città, ormai non gli bastavano più. Aveva assoluto bisogno d’una donna in carne e ossa. Una puttana in mancanza di meglio. Vera.

    A questo stava pensando don Emilio mentre infilava la chiave nel portone di casa. L’ingresso era un cunicolo che rimaneva sempre buio, col suo odore di scarafaggi e di muffito, alla cui estremità il chiaro che pioveva dall’alto invitava a dare la scalata fino all’occhio di vetro dell’ultimo pianerottolo. Lì stava acquattata la sua mansarda, un localino bohémienne completamente rivestito in legno, che si apriva su un terrazzino a mattonelle bianche e nere, pendulo sopra i gradoni del vicolo, a ridosso del monte.

    A corpo morto sul divano, un moscone batteva e ribatteva sui vetri della porta finestra con inutile ostinazione, malinconia acuta che degradò presto in idee paranoiche, immagini incubate. Le pareti parvero stringersi e pure il tetto cadere molliccio sopra di lui, finché la paura divenne una lama freddissima che lo spaccò, facendogli riacquistare una lucidità curiosa, da funambolo in bilico su un abisso. Fuggì nel terrazzino aggrappandosi alla sua pianta di limone. Era stremato e non avrebbe sopportato un istante di più le consuete immagini unte, ma che gli rimaneva da fare? Ammazzarsi, mettersi a pregare… le sue invocazioni però non avevano la forza di arrivare neppure al Cammino Nuovo. Rimestò e

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