Crystal Blu
Di Uriel Crua
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Info su questo ebook
Dai primi giorni di Lockdown, attraverso tutti i passaggi che la Storia recente ha impresso sulla Nazione, Crystal Blu mette sotto la lente di ingrandimento gli anni della resistenza di un padre e il modo di tramandarla al figlio, la loro intima essenza, il rapporto col
mondo e con la crescita. Un modo per provare a insegnare che quel niente sarà come prima – forse – da monito può farsi auspicio, e da auspicio – finalmente – realtà.
Uriel Crua è uno scrittore, poeta, videomaker torinese. Attivo nella scena culturale underground fin da ragazzo, ha promosso forme espressive dirompenti e sfaccettate. Padre di due figli, si ostina a forgiare un mondo migliore attraverso la prassi della
Bellezza.
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Anteprima del libro
Crystal Blu - Uriel Crua
1. Visione Blu Cristallo
Il giorno in cui diventai padre incontrai l’Amore.
Certo ero un lottatore, anche se poco più che un ragazzo. Ero un cerchio immerso in un mare di segmenti, e ogni volta che potevo io non solo lottavo: emanavo lotta. Ma quello era egoismo, certo non Amore. Spiegare le ragioni di questa mia considerazione è ora superfluo.
Quando quell’Opera d’Arte, soffice come una preghiera, mi venne sporta in braccio – quando incontrai i suoi occhi profondi scolpiti nell’anima di Michelangelo – quando la carica pulviscolare del suo odore mi penetrò le narici, incardinandosi in ogni mia cellula con dolcezza – quando il mio palmo percepì la sua clamorosa e commovente leggerezza – quando, attardandomi sull’emiciclo della sua nuca glabra e indifesa, intuii la matrice del miracolo che si compieva – ecco che mi feci Padre e, di conseguenza – per quella creatura magistrale – Patria, Casa, Famiglia, Protezione.
Il Giuramento fu implicito, naturale, persin ovvio ancorché spietato: la mia vita, in cambio della Tua.
E quanto quella mia vita di misere lotte, di acerbe intuizioni, di insight folgoranti, venne risarcita!
Perdevo ore a guardare quella Creatura, a riempirmi di quella Bellezza che né nei Maestri né nei miei scritti – in nessuna Poesia – avevo mai trovato. I suoi occhi levitavano sopra gli strati dei mondi, ridicolizzando tutto. Perché la Bellezza – la vera Bellezza – è di ordine superiore.
Non avrei mai permesso di corrompere quella perfezione.
Mi sorprendevo, per esempio, a svegliarmi di notte, di soprassalto, reagendo fortemente ad alcune immagini, farneticazioni, che mi venivano alla mente.
Mi figuravo un estraneo, uno sconosciuto, schiaffeggiare mio figlio all’improvviso. Accadeva di volta in volta in diverse situazioni: una spiaggia, in strada, al parco.
Ma il finale era sempre lo stesso.
Quello sconosciuto veniva sbranato. Sì. Gli saltavo alla gola come un animale, lasciandolo soltanto quando morto. Non importava quanto grosso fosse, quanto cruenta fosse la lotta, quanto sangue scorresse. Non doveva restare impunito nulla. Perché quello era l’Amore: preservare la prima matrice della Bellezza. Proteggerla dai cattivi
. Conservarne inalterata la sostanza affinché, una volta autonoma, potesse perpetrarsi e migliorare il mondo. Spandersi come un raggio, come un profumo, rivelando se stessa e trasmutando il nero, elevandolo.
Curiosamente, pochi anni dopo, mi ritrovai a dover tener fede a questi istinti. Davvero ci fu un cattivo
; davvero qualcuno tentò di schiaffeggiare
il mio bambino. Non fu un uomo, ma un istituto, un’istituzione, uno spirito del tempo, un’ipnosi di massa malvagia e furibonda e irrazionale.
Ora mi trovo a dover tener fede a questi istinti.
In questo momento – proprio ora, adesso! – mantengo fede a quegli istinti.
Provate a toccare l’Amore a un Padre. Provate a toccare il mio bambino.
Avrete vita breve.
2. [Gotta Get Up]
Una mattina di Gennaio Duemilaventi.
Suona il brano come ogni mattina – quella sincope marziale e pure allegra oltre ogni cosa. Suona nella crema turchina spansa dalle tende fino alle guance calde e irrorate di dolcezza del mio Crystal Blu – un fiotto di vita intorpidita dal sonno lento, un grano di luce da conservare e rinfocolare nel denso barbaglio di nerume che manda l’occhio fondo del mondo.
Questo Padre – io – che strepitato e fosforizzato dall’unico amore possibile si avvicina al cespo castano di capelli affondati nel cuscino – ogni mattina – per donare il primo senso di ogni giornata [Gotta Get Up!]
Questo Padre che si flette a cercare un bacio tra i mari di coperte per passare la torcia della veglia – di tutta la veglia, la torcia viva – al suo bambino gradatamente disgiunto dai fiocchi di un sonno prensile. Quella Vita di cui ho fatto imprescindibile missione – quella Vita che mi educa alla ricerca della Sapienza – che stimola a compiere ineluttabili gesta odoranti e piene. La mediocrità non poserà mai sugli occhi cerulei dei mio Crystal Blu – poiché egli non è solo il corpo, ma la Vita e lo Spirito che devono riempirlo e animarlo. Devono tenerlo acceso e meraviglioso.
I nostri, i nostri sono occhi che devono scavare nel torvo dei vostri.
3.
Quel Padre che rizza il petto alla gioia di ogni giorno passato col suo bambino mentre là fuori il mondo è un acquario di placente arrossate da sogni guasti – quel Padre che dopo la colazione in strada – quando il mondo era ancora un frutto non del tutto marcito – tiene stretta la mano del suo bambino multiplo, Crystal Blu, e si fa raccontare dei mondi visti di notte, perché nei mondi visti di notte ci sono le vite impossibili e piene, ci sono le stanze del destino, c’è il magma ritorso delle catene che faranno la vita. Ci sono gli insospettabili frammenti di quello che è il passato e di quello che sarà il futuro.
Crystal Blu lo guarda con gli occhi ventosi e articola una voce squillante e aguzza che fende gli acquitrini dei cadaveri intorno, gli stessi che si diffonderanno come vapore di salma, quelli che di lì a breve affonderanno le dita nei loro cervelli macilenti, roteando i polpastrelli, con sorrisi beoti. Quelli che tra poco verranno smascherati come il sugo peggiore dei nostri decenni.
4.
C’è questa madre stretta nei jeans stracotti – una madre compiuta e conchiusa nell’essenza catodica – una madre olivastra dall’accento biascicato e dalla grammatica approssimata – c’è questa madre che accompagna il suo bambino, un compagno di Crystal Blu, e trascorre un pezzo di marciapiede insieme al nostro tempo. Ci si infila con un sorriso mai richiesto.
La madre fatta di jeans stracotti e riccioli avvitati in cima alla testa, quasi danzando sulle sue scarpe da ginnastica arancio fluo – come seguendo un battito tribale al suo interno – mastica le vocali e trascina le consonanti e mi chiede della Paura. Anzi chiede la mia Paura – come laccio di comune condivisione, come momento di meschinità apotropaica, come Socializzazione del terrore. Chiede la mia paura per quel morbo così discinto da permettersi di finire in tutto il mondo, di far caracollare a terra pezzettini di carne in Oriente – minacciando persino il suolo patrio con un salto che nemmeno la sua logica verminosa avrebbe notato. Ma ella però non lo nota. Lei è candida nella nebbia che l’assale. Sarà colpevole come ognuno. Perché di lì a poco ogni mondo sarebbe stato colpevole.
Quel padre – io – si limita a balbettare un sorriso distratto per lasciare la miseria che aveva intuito. La miseria prossima ventura. Quel padre dice: «No. Non ho paura».
Quella fa spallucce e si scioglie dentro un tombino, lasciando una pozza fumigante e nerognola. Perlomeno quel padre questo vede.
Infila le mani nei capelli del suo bambino multiplo, le fa scivolare fino alle guance e lo tiene stretto contro il fianco. Crystal Blu sa che fin quando quell’uomo enorme gli starà accanto, fin quando quell’uomo enorme e cigolante lo fisserà negli occhi, ci sarà tutta la magia a fare da scudo catafratto contro gli strali del mondo. Infatti non dice una parola – perché sa che