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I bevitori di sangue
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E-book304 pagine4 ore

I bevitori di sangue

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Info su questo ebook

Settimo volume della serie inaugurata con "L'Innominato" (1857), "I bevitori di sangue" viene pubblicato da Luigi Gualtieri nel 1886. Rifacendosi agli amati romanzieri francesi, l'autore propone una rilettura del personaggio storico di Masaniello. Siamo quindi a Napoli, nel 1647, e la popolazione è vessata dalla pressione fiscale del governo vicereale spagnolo. Tommaso Aniello d'Amalfi – questo il vero nome del protagonista – guiderà di lì a poco una rivolta talmente cruenta da rimanere impressa nella memoria storica dei napoletani per secoli. Ultimo libro pubblicato in vita dallo scrittore romagnolo, "I bevitori di sangue" è dedicato al patriota e amico Raffaele Villari, il quale, proprio come lui, ha dedicato molti libri a celebrare l'indole rivoluzionaria con cui gli italiani hanno sempre combattuto contro ogni dominio straniero. -
LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2022
ISBN9788728436035
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    I bevitori di sangue - Luigi Gualtieri

    I bevitori di sangue

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1886, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728436035

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Libera me de sanguinibus, Deus…

    Salmi Penitenziali.

    Al Prof. RAFFAELE VILLARI

    MESSINA.

    Non ti pare, mio caro Villari, che rispetto ai nostri contemporanei noi seguiamo cogli anni un cammino inverso e quasi di retrocedimento? E che invece di declinare, noi acquistiamo maggior fuoco ed impeto e gagliardia nelle nostre passioni, e che diamo mano ad un più serrato lavoro? Aveva forse bisogno Faust di fare un contratto col diavolo per ringiovanire, quando fra i segreti dell’ipnotismo, del digiuno immortale, è così facile trovare il fenomeno della retrocessione degli anni senza ritornare però al pargolismo della culla! Io sono retrocesso ai trentatrè anni, che sono quelli di N. S. I miei capelli brizzolati come i tuoi, ripigliano un nero corvo, e sul mio viso, tu, non sapresti scorgervi il solco di una ruga. Le donne più schifiltose tornano ad amarci; il nostro cuore, come fosse lo Strongoli, erutta lapilli e frecce amorose, che non si sa dove vadino a finire. La Bibbia ha immaginato quel vecchio jettatore dell’Ebreo Errante; io, per contrapposto, immagino due amici del nostro stampo, che viaggiano insieme… collo spirito, in un viaggio simbolico come quelli del medio evo, quello di Dante, per esempio, a traverso dei tre regni.

    Gli uomini che non sono più del loro tempo sono come morti, e ci hanno già cantate le esequie. Dominano oggi altre idee, altri principi; noi siamo ancora di quelli ingenui che amano la patria, ed ammirano la virtù e il sentimento; attaccati alla nostra vecchia e lacera bandiera, noi adoriamo colla stessa fede gli ideali di un tempo.

    Tu scrivi una tragedia: Il Cola di Rienzi; io il romanzo storico che dedico alla nostra vecchia amicizia. Che ricaviamo oggi dai nostri studi? Malgrado la tua vena aristofanesca, le tue ispirate tragedie, la tua storia dei fatti di Messina, unico documento che abbiamo di quell’eroica rivoluzione, tu non sapesti meritare ehe gli elogi di un Aurelio Saffi e di un Alberto Mario; ma non potesti guadagnare mai un elogio di uno Scarfoglio! Ed io co’ miei popolari racconti non ebbi che l’onore di molteplici edizioni; ma intorno a noi si è formata la congiura del silenzio.

    Ci possiamo dare la mano: ci comprendiamo perfettamente e voglio anzi regalare ai miei lettori uno squarcio del tuo stile vibrato, quale ti scaturisce dal cuore senza la prevenzione che debba esser dato per pascolo al volgo. Commetto una indiscrezione, ma tu sei così magnanimo che vorrai perdonarmi.

    «Quando riveggo i tuoi caratteri inleggibili e cari, in me stesso mi esalto: i miei mustacchi brizzolati tornano ad annerirsi, e qualche ruga indiscreta mi sparisce dalla fronte.

    «Ero alla montagna, dove faccio vita da alpigiano, scherzando sempre con le nevi e col fulmine, che è divenuto il mio magnanimo alleato. Se la stampa reclamista non s’intrattiene di te ne ha ben d’onde, perchè le vibrazioni delle tue corde nello scrivere riescono antipatiche ed inesorabili á lei ed ai suoi padroni. Eppoi la reclame si addice agli ingegni eunuchi, ai lecchini di Corte, alle basse mediocrità, che a furia d’imposture e di transazioni umilianti vogliono poggiare in alto! Icari novelli, che si attaccano ai fianchi le ali di cera! Merce avariata, che si raccomanda al mercato col lenocinio delle azzimature e con le fanfaluche del sensale. A buon cavallo non manca sella, dice il vecchio adagio, ed il trionfo dell’errore è breve».

    Contentiamoci della nostra meschina oscurità, e lasciamo far giustizia al tempo.

    Questo racconto è il settimo della serie, che ebbe principio coll’Innominato, e vi scrivo su il tuo nome, così come soleva Dante, il nostro grande maestro, trovare figure il cui nome simboleggiasse ciò che si. preparava a trattare. Il tuo nome vuol dire: guerra ai falsi sacerdoti, all’idra del clericalismo, che non è abbattuta, come si vorrebbe farci credere, per addormentare la nostra vigilanza.

    Che cosa credi, che io abbia voluto significare con quel titolo strepitoso e plateale:

    I bevitori di Sangue!

    che io abbia voluto immaginare uno di que’ romanzacci che formano il lubidrio della letteratura francese, e che sono ammaniti in diversa salsa agli Italiani per corrompere il gusto artistico e la sana morale? Credi che io abbia voluto imitare Ponson de Terrail, Zaccone e simiglianti?

    Questo titolo è un epigramma contro coloro che bevono ogni giorno il sangue del loro Iddio nel sacrificio incruento, rito atroce che nemmeno i selvaggi dell’Haiacar o del Madagascar seppero immaginare, rito che viene applicato alla religione cristiana, che è la più mansueta e la più civile del mondo. E scrissi il tuo nome sulle pagine di questo libro, perchè, tu, sei un tribuno non a parole, ma a fatti, e vedrai qui tratteggiata la bella figura di Masaniello; al quale ho tolto tutto il convenzionalismo che gli hanno dato autori stranieri, ed ho cercato di riprodurlo in tutta la sua integrità.

    Io gli ho posto infine il tuo nome, perchè ho molto osato; perchè il mio lavoro è popolare e tu sei amico del popolo.

    Il mio esempio ti sia di sprone a nuovi lavori, e non ci curiamo dei poeti che per troppa meschinità d’animo hanno paura di incominciare i loro versi colle lettere maiuscole dei nostri antenati.

    S. Remo, 15 luglio 1886.

    L. GUALTIERI.

    I.

    1 Papa bianco ed il Papa nero.

    Malebranche era diventato più ilare.

    Per via di fatto gli era entrata la persuasione della vita immarcescibile.

    E comunque il modo della nuova esistenza non gli venisse ben determinato, aveva allontanato da sè il vuoto scoraggiante del nulla.

    Per qualunque stato di grandezza a cui si possa pervenire, e tocchi l’uomo pure la felicità di Platone e la beatitudine di Aristotile, e la conquista di ogni godimento, di ogni sapere e d’ogni gloria, non avrà ancora nulla ottenuto se la fine di questa gazzarra debba essere inesorabilmente coronata dalla morte senza risveglio.

    Ecco le ispirazioni che il nostro eroe riceveva dal suo Spirito Santo:

    «Bisogna disarmare la temuta idea della falce fatale, ed adoperarsi, per modo che il suo osseo e temuto sembiante si trasmuti nel corpo di una leggiadrissima fata, vestita a festa, che vi porga amorosamente la mano per condurvi nelle regioni ignote.

    «In questa convinzione sta la maggior sapienza dell’uomo; da ciò ne nasce l’energia dell’operare, la forza di sopportare le avversità, e si comprende la somma giustizia di Dio, che può in altra vita compensarvi degli ingiusti patimenti.

    — Compensarvi? che importa il premio? sclamò Malebranche; basta continuare la vita del pensiero; è questo il godimento che ci compensa ad usura dei travagli che abbiamo dovuto sostenere in questo breve passaggio.

    «Vivere personalmente al di là della vita! E non pare, secondo le esperienze da me toccate con mano, che vi sia anche al di là una libertà sconfinata? che si possa anche vagare su questa terra prendendo parte alle sue battaglie? influire sulle volontà dei viventi, ispirare loro le nostre idee? continuare la protezione di coloro che ci sono cari?

    «E queste in realtà non sono idee nuove; anche la religione, di cui regolo il timone, ci promette parte di siffatti beni….. Ma io sono dell’opinione di Pomponazzo che combatteva il fatalismo immutabile dei destini umani dopo la morte. Preferisco continuare la lotta sotto altra forma ed acquistare nuovi meriti per espiare i miei vecchi traviamenti che furono enormi!

    «Io rideva di don Bernardino, quando lo vedevo così compunto negli ultimi anni di sua vita! Io doveva sospettare che da vasta mente di tant’uomo non potesse ingannarsi!».

    E Malebranche si sprofondava in siffatte filosofiche riflessioni e traeva forza e coraggio a riformare ed a consolidare queste idee a beneficio di sè stesso, e dei duecento milioni di anime che egli ora era in debito di governare.

    Don Cucubeo occupava sempre il suo posto di confidenza; era però cambiato d’assai; il suo sguardo era diventato più patetico; egli era roso da una interna passione che lo consumava lentamente; non gli era stato ancora concesso il pallio cardinalizio di cui aveva approntato il corredo, tanto ei se ne sentiva sicuro.

    Ei teneva il broncio a Sua Santità; e la sua voce, sì melliflua nel fare gli annunzii, si era alquanto inasprita, e pareva che egli facesse detti annunzi con tono di rimprovero. Egli gettava là quei nomi brutalmente senza fare distinzioni, come la sua voce fosse diventata un congegno meccanico.

    — Sua Santità non mi ritiene buono ad altro!

    Egli era malcontento della sua parte, come gli attori di compagnie comiche che sono destinati inesorabilmente a portare le lettere ed a fare le ambasciate.

    — Il padre Francesco Caraffa! annunziò don Cucubeo con quella sua voce stizzosa..

    Ma se nel porgerlo il cameriere a secretis non diede alcuna ampiezza alla frase, parve invece che il Papa si scuotesse, ed ebbe appena tempo di ricomporsi per adombrare il suo turbamento.

    Era costui il nuovo Generale dei Gesuiti.

    Era stato eletto a pieni voti dall’ordine, in sostituzione del padre Henriquez, morto tragicamente nello scoppio della Lepanto¹.

    — Avrai meco buon biuoco anche tu! disse, cioè pensò Innocenzo X.

    Il padre Caraffa, ultimo discendente del suo ramo, poichè i Caraffa abbondano in. Napoli, aveva il muso di una faina, testa quasi triangolare, mento pontuto, naso prominente e puntuto anch’esso; occhi grandi a fior di testa, denti radi, orecchie lunghe, corpo molto allungato, ma curvo e stecchito; mani e piedi enormi.

    Questa strana figura faceva sommo contrasto coll’epa prominente e la giocondità del viso malebranchiano.

    Il Papa nero, come in que’ tempi veniva denominato il capo dei Gesuiti, tentò di atteggiare il suo volto a quella rugiadosa compunzione di cui era passibile quella tetra figura. Si prosternò con sommo zelo e devozione ai piedi del Sommo Pontefice.

    — Alleluja, o Santo Padre.

    Questi lasciava fare, perchè si compiaceva di vedere umiliati coloro che egli avrebbe più tardi schiacciati nella polvere come basilischi.

    Innocenzo X con piglio ironico gli fece segno di rimettersi e di alzarsi, ma non gli riuscì di scrutarlo bene negli occhi, perchè li teneva bassi ostinatamente.

    Il Papa ben sapeva quale riverenza gli portasse costui, al quale doveva esser noto per qual via egli era salito ai supremi onori del trono pontificio.

    — Permetta, Vostra Paternità, che io mi rallegri con lei dell’alto onore a cui fu sollevato dalla estimazione del sacro sodalizio.

    — Onore di cui mi credo immeritevole; mi stimerei però fortunato se la mia nomina avesse ottenuto il suffragio di Vostra Santità.

    — Non ho il piacere di conoscere la Paternità Vostra che pel nome rispettabile che. ella porta, e che mi richiama alla memoria il venerato nome di Paolo IV mio predecessore, che deve avere appartenuto alla di lei famiglia.

    — Sono suo discendente in linea retta.

    — Ella ha portato in dono alla Compagnia più che quaranta milioni, a quanto mi si dice; l’intero patrimonio dei Caraffa, di cui ella è l’ultimo discendente.

    Il padre Caraffa si turbò visibilmente.

    — Vostra Santità conosce?…

    — Le circostanze mediante le quali Vostra Paternità andò al possesso di così meravigliosa fortuna per farne un omaggio al suo sodalizio!

    La confusione del Generale dei Gesuiti si_ aumentò, perchè eragli parso scorgere sulle labbra del Pontefice una espressione d’ironia, che era inseparabile dalla fisonomía di Malebranche troppo abituato a corbellare il prossimo.

    — Questo è forse il solo merito pel quale fui indegnamente eletto, rispose il frate tentando di ricondurre il discorso sopra un terreno meno spinoso.

    — Non è piccolo il merito; la preghiera rispetto a Dio e l’oro rispetto agli uomini, sono le due possenti leve colle quali tutto si ottiene. Ella come ultimo discendente della famiglia perchè non ha pensato a continuarla?…. Io gli avrei concesso volontieri una dispensa, come si è dovuto spesso adoperare coi Medici, coi Savoia, coi Rovere, perchè sta nell’interesse del mondo cattolico che non si estinguano le grandi famiglie, le quali riconoscono l’origine del loro splendore dai benefici della Santa Chiesa.

    Il Padre gesuita arrossì lievemente per la inattesa proposta che gli faceva il Papa; ed abbassando ancora più il capo rispose timidamente:

    — Ho pronunciato i sacri voti, e sono abborrente delle cose mondane.

    — Spesso è virtù vincere la nostra ritenutezza per la devozione ad altri principii.

    — Io stimerei che il matrimonio fosse un sacrilegio nella mia condizione di frate.

    — Quattrocento anni addietro era permesso agli ecclesiastici il matrimonio; e si avevano forse a deplorare minori abusi.

    — Vostra Santità non approverebbe la conclusione del Concilio di Trento?

    — I papi furono e saranno sempre contrari a ciò che stabiliscono i Concilî, i quali furono sempre adunati in odio ai Pontefici.

    Il Gesuita tacque; avendo però il Papa voltato il capo altrove, il frate volsegli un’occhiata nella quale vi erano stemprati tutti i veleni di cui si è valso tante volte la società del padre Lojola’nei suoi intrighi tenebrosi.

    — Vostra Paternità ha creduto di agire secondo coscienza, e non posso se non ammirare il suo eroismo.

    — Il mio dovere! rispose fermamente il Generale alzando un po’ il capo e guardando questa volta negli occhi il Papa, che ebbe a provare un brivido di ri brezzo.

    — Vostra Paternità viene da Napoli?

    — Giunsi ier sera.

    — E che ci narra degli strani avvenimenti che si vanno svolgendo in quella metropoli?

    — Cose abbominevoli, Santità.

    — La religione però è rispettata, dai rivoltosi. Mi dicono che quel pescatore Masaniello abbia adottato lo stendardo della Vergine della Concezione.

    — Ipocrisia!

    — Può darsi: a che punto era la sommossa quando Vostra Paternità è fuggita?

    — Io non sono fuggito; sono qui al mio posto e sarei rimasto a Napoli per proteggere il Vicerè se non mi avesse richiamato la necessità della mia presenza in Roma.

    — Il Vicerè non ha forze sufficienti per contenere i ribelli?

    — Oh le troverà! Furono richiamate tutte le guarnigioni delle città vicine, la flotta ha sospeso la sua partenza per Ponte Longone, e vi sarà battaglia decisiva; vedremo se il popolo, che ha trionfato sino ad ora per sorpresa, saprà. resistere alle truppe più agguerrite dell’esercito spagnuolo.

    — Io non saprei per chi far voti… Quando rispettano la religione mi sono sacri gli uni come gli altri.

    — Ma la religione è violata quando i popoli si ribellano contro i loro legittimi re, che sono tali per la grazia di Dio.

    — La religione non è violata quando un popolo difende la patria contro gli stranieri; sembrami invece che Dio abbia posto i mari, i fiumi e la catena dei monti per insegnare alle nazioni quali sieno i loro confini.

    — Mi duole di udire da Vostra Santità tali propositi, coi quali sembra voler assolvere la rivolta e condannare la Spagna.

    — E’ italiana Vostra Paternità?

    — Sono nato in Napoli, e me ne vanto.

    — Allora siete italiano al pari di me, che son nato in Roma.

    Il padre Caraffa non potè astenersi dal fare un movimento.

    — Come? vorreste negarmi di essere italiano? Voi pure lo siete, benchè sembra che ciò vi ripugni. Eppure, o Reverenza, ci dobbiamo tener tutti a questa patria gloriosa, che un giorno ha dominato la terra, e ci dovete tenere perchè è la patria di S. Tomaso e di maestri profondi nella scienza, nella religione, e nelle arti, e nella filosofia.

    — Io declino davanti Vostra Santità le mie deboli opinioni, che non hanno alcun valore.

    — Ne hanno, ne hanno! sclamò vivacemente Malebranche. Io sono il Papa bianco per la singolarità del mio abito, ma il capo dei Gesuiti si chiama Papa nero! Lo sapete voi?….

    — Dal volgo.

    Vox populi, vox Dei! Desidero che andiamo intesi su certi punti della politica, della morale, chè in quanto alla religione abbiamo il nostro codice evangelico che tutti dobbiamo rispettare e seguire.

    — Nemmeno la voce autorevole di Vostra Santità potrà persuadermi della importanza della mia persona.

    — Importanza grave, non lo dissimuli Vostra Paternità, altrimenti crederò che ella voglia ingannarmi come il suo antecessore.

    — Egli è morto, Santità, vittima, forse del suo zelo.

    — Lo zelo quando è soverchio diventa cecità.

    — Terrò a mente questo sapiente detto.

    — Non uscite dalla sfera, che è tracciata da S. Ignazio ai seguaci di Gesù; la predicazione e la conversione degli infedeli, le semplici virtù primitive cristiane.

    Il Generale si morse le labbra.

    — Tenga per fermo, Vostra Paternità, che al primo indizio di politiche, astuzie, io distruggerò l’Ordine, e porrò il sequestro sui beni della Società, e per conseguenza anche sui vostri, quaranta milioni.

    — Ce ne diede già un avviso a Monticelli! disse amaramente il frate.

    — La prendete su questo tono? Ebbene, io risponderò che in me risiede l’autorità; ed ove questa non bastasse…. abbiamo anche la forza! Frangra non flectar, concluse Malebranche.

    — E’ a me che spetta piegarmi, e domandare a Vostra Santità la sua benedizione.

    — Dio ve la conceda, e vi mantenga nella sua santa grazia.

    Mogio mogio il frate, dopo aver baciato il piede del Papa, prese la strada dell’uscita, e voltosi indietro susurrò queste parole:

    Fidei simbulum in persidiae tesseram conversum! Vhe tibi!

    Il latino era la lingua ufficiale delle università e dei conventi in quell’epoca.

    — Era meglio dissimulare! riflettè Malebranche dopo la partenza del suo antagonista; ma io non voglio condurre una vita di sottigliezze, di sotterfugi e di mendacio. Li combatterò apertamente.

    Era la sua giornata d’udienza, ma su tutti ebbe la preminenza il principe don Camillo Pamphili, figlio di donna Olimpia.

    Era un cardinale riformato, e con tanto maggior entusiasmo si era gettato nella vita secolare quanto più avevanlo tenuto lontano dai piaceri della sua età le gravi e rispettabili cariche che gli avevano addossato.

    Don Camillo era nipote del Papa, e voleva occupare alla Corte il posto tradizionale che a lui si competeva, ed aveva ottenuto la carica di Generalissimo; aveva sposato da tre giorni donna Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano, vedova del principe don Paolo Borghese, nipote del duca di Parma e pronipote di Clemente VIII.

    Innocenzo X aveva abbondato di grazie, di concessioni, di sorprese; aveva prevenute tutte le domande che gli avesse potuto indirizzare donna Olimpia, parendogli più dignitoso accordare spontaneamente che cedere alle pressioni.

    Aveva insignito il nipote di titoli e di onori, e gli aveva assegnati feudi con rendite vistose; aveva fatto magnifici presenti alla sposa di quadri, di gioielli, di corbelli sontuosi, di benedizioni… Aveva voluto celebrare egli stesso le nozze nella chiesa di S. Agnese, che egli aveva di recente costrutta ad esaltamento e gloria della famiglia Pamphili, e vi furono invitati i cardinali e gli ambasciatori delle potenze straniere; e queste nozze furono festeggiate in Roma come un fausto e pubblico avvenimento. Furono dal Papa fatte distribuire larghezze al popolo perchè diventasse popolare il nome dell’illustre gran nipote.

    Che più? papa Pamphili fu accusato di rinnovare le spudorate simonie dei Borgia e dei Barberini e dei Medici pubblicamente riprovate, di aprire come i suoi antecessori nuove vie all’odiato, nepotismo; ma ei dovette cedere a nascoste esigenze; il suo segreto era nelle mani di donna Olimpia e dei reverendi padri Gesuiti.

    Buon per lui che il giovane don Camillo ignorasse come egli non fosse a lui imparentato che coi vincoli del padre Adamo, ed avesse con una delittuosa sostituzione usurpato la tiara pontificia.

    Molto aveva ancora da concedere Innocenzo X alla ingordigia de’ suoi così detti parenti: non si sentiva abbastanza rassodato per combattere a visiera alzata i suoi formidabili avversari.

    Inclinato ad accordare ancora novelli favori, colla maggior benignità accolse il nobile nipote.

    Era costui vanitoso e semplice ad un tempo, poco aveva appreso nel suo lungo soggiorno alle Corti di Francia e di Spagna, presso le quali aveva goduto mediocre estimazione. Non era tal uomo che molto si potesse apprezzare per le sue virtù, nè abbastanza destro per farsi temere. Avvenente di aspetto, ma imberbe; rifletteva la freschezza e le linee di sua madre, senza averne la spigliatezza, l’ingegno ed il fuoco.

    Accessibile all’ambizione, perchè gli avevano scaldata la testa, il suo matrimonio colla principessa diRossano era stato un maneggio di donna Olimpia. Donna Olimpia minore…. così la chiameremo per distinguerla dall’altra era la più ricca ereditiera d’Italia; s’erano accumulati sovra essa i tesori del principe don Antonio Borghese rapito alle gioie maritali dopo tre mesi, se quelle potevano pur gioie chiamarsi e non precipitassero il vecchio patrizio ad una fine prematura. Ma era un fatto che la sostanza della principessa di Rossano si valutasse a due milioni di rendita, somma favolosa in quei giorni, che nè prima nè dappoi fu vantata da alcuna ereditiera, nemmeno dalle principesse di sangue reale.

    Furono queste nozze combinate mediante il concorso della diplomazia; v’intervennero i buoni uffici dei re di Spagna e del principe Casimiro di Polonia, il quale anch’esso aveva cambiato il suo cappello cardinalizio colla corona di Svezia. Il matrimonio era stato celebrato malgrado la riluttanza della sposa, che non aveva potuto vincere il concorso di tante influenze ed i mezzi coercitivi dei quali si parlerà a suo tempo.

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