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La voce della bambina
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E-book132 pagine2 ore

La voce della bambina

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Info su questo ebook

Lara ha due figli, un ex-marito, e un suo tran tran quotidiano. Un mattino, mentre fa acquisti in un garden center, sente dentro di sé una voce: la voce di una bambina. Si chiama Rebecca, ha nove anni appena ed è stata rapita da un pedofilo. La situazione è disperata; ma Rebecca ora in contatto telepatico con Lara, la guida passo passo a casa del mostro che la tiene prigioniera. Lara scopre nel frattempo che il maniaco è stato anche nel suo passato... e a questo punto non le è più possibile non dare ascolto alla voce della bambina dentro di sé.
LinguaItaliano
Data di uscita24 nov 2022
ISBN9791222028286
La voce della bambina

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    Anteprima del libro

    La voce della bambina - Marco Candida

    Prologo

    Anche a un mese dalla posa della pavimentazione anti-trauma (e Auri ha fatto parte del comitato richiedente), grida al figlio di non correre e stare attento. Delle occhiate degli altri, non le importa. Suo figlio non deve farsi male. E poi a differenza degli altri suo figlio è un fanatico dei parchi giochi. Con l’arrivo della stagione calda (e siamo quasi a luglio) capace di giocarci ore.

    Quando lo vengono a sapere, le altre mamme alzano gli occhi al cielo: «Certo, è una fortuna. Almeno sa cosa fargli fare… Io impazzisco. I miei fanno una cosa cinque minuti e poi vogliono fare altro. Dopo un poco uno non sa cosa fargli fare».

    Invece pensa Auri con mio figlio, c’è la fortuna. Per suo marito, però, questa non è una fortuna". Gli uomini sono un po’ bacchettoni, suo marito non fa eccezione e per suo marito abituare troppo i figli al gioco li potrebbe instradare, una volta cresciuti, verso tunnel di divertimenti oscuri e devianti.

    «Come se la vita fosse spensieratezza. Oggi il parco» sostiene suo marito «domani la discoteca, e poi il free-climbing, o chi lo sa? Il bungee jumping».

    Se un bambino vuole fare una cosa pensa invece lei lasciagliela fare. Vada fino in fondo! Sta apprendendo. Sta cercando di capire. L’interesse si esaurirà.

    Ma il problema sono i rischi. Suo figlio può farsi male. Male: non una sbucciata o uno spelacchio al gomito. Male.

    Il parco ha giochi fatti di acciaio e polietilene. Hanno colori sgargianti. Lo scivolo ha il pianale a due metri e mezzo da terra ed è lungo tre metri. È rosso e a guardarlo ad Auri ricorda una linguona arrossa ta. Anzi, qualcosa di più particolare, ancorché fatichi a confessarselo: il pezzetto di peperone rosso dentro il buchino delle olive verdi. Da piccola le piaceva prendere quelle olive e schiacciarle facendo schizzare fuori la strisciolina di peperone a mo’ di farcitura.

    La torre con lo scivolo ha il tetto blu cobalto e la scaletta gialla. Il castello è una cornucopia di colori: lo scivolo è verde acido, la cupola della torre blu cobalto, la ringhiera del ponte e alcuni pannelli color giallo fosforescente. Stare in mezzo a questi colori ad Auri piace e il parco è costruito in sicurezza. In più, da qualche settimana è stato montato un gonfiabile e i bambini fanno a gara per salirci sopra e scivolare sotto. È un castello giallo con faccioni da clown sugli oblò delle torri. Abbastanza costoso; ma pagando una cifra unica ci si può andare sopra quanto si vuole. A volte lei la fa cadere un poco dall’alto a Edoardo, e lo minaccia, ma alla fine non gli nega il piacere di andare su e giù dal castello gonfiabile. Gli chiede solo di non fare quel giochino con i suoi amichetti di rincorrersi girando attorno al castello. Lo fa scomparire dalla sua vista.

    Certo, oltre al male al fondoschiena per le panche di legno (sono nuove, in buone condizioni, ma chiunque avrebbe dolori dopo due, tre, a volte quattro ore), pure il vociare continuo dei bambini dopo un poco la picchia ai nervi. Poi, dopo un poco le dà sui nervi persino osservare cosa combinano, i bambini, mentre i genitori stanno con gli occhi sullo smartphone o chiacchierano tra loro. Ringraziando Dio, ogni tanto fa due parole con qualcuno e si è fatta delle amiche, ma pure così cerca di non perdere di vista il suo bambino. Il tenergli gli occhi addosso le sembra funzioni da deterrente alla paura di vederlo farsi male. E poi, alle volte suo figlio sembra farlo apposta a farsi male quando lei si fa i fatti propri pure solo mezzo minuto.

    Inoltre, gli tiene gli occhi addosso per via di certi bambini. Sono vestiti male e sono sboccati. Non dicono parolacce, no. Ma gridano, fanno versi. Guardare i genitori di quei bambini non la consola. Sono pieni di tatuaggi sulle braccia e sul collo. Hanno anelli al naso o sul sopracciglio. Mette quasi paura guardarli. Lei evita di guardarsi troppo attorno e di emettere giudizi; ci sono le sensazioni a pelle, però. I bambini con acconciature taurine o le sopracciglia tagliate in modo da farli apparire aggressivi le mettono ansia e i genitori le mettono ansia. Così, non scolla lo sguardo da suo figlio.

    A volte, nondimeno, lo perde di vista.

    Come adesso.

    Auri si è alzata per sgranchirsi e non farsi addormentare le natiche (non è grassa e non è sovrappeso; certo, non è una maniaca della linea…) e si è voltata di spalle aggiustandosi la cintola di pelle dei pantaloni a zampa. Ha osservato il perimetro esterno dei giardini con olmi e pini quasi a formare una cintura di protezione naturale per i bambini. Data questa occhiata, la donna si è voltata e suo figlio… puff.

    Svanito.

    Dov’è finito suo figlio?

    Non è dalle altalene. Non è dallo stupido pentolone dove ci si mettono in quattro o cinque e oscillano facendole ogni volta temere il peggio.

    Auri fa andare gli occhi avanti e indietro sulla cintura degli alberi attorno al parco. A volte si nascondono lì, i bambini, giocando a nascondino. Poi, guarda verso il castello gonfiabile con le facce da clown dalle parrucche blu e i nasi verdi sulle torri. Possibile suo figlio le tiri questi scherzi, malgrado l’abbia perso di vista per… trenta secondi, forse meno? Si è nascosto dietro al gonfiabile, e lei gli dice di non farlo. Edoardo, invece, lo fa, rubandole ogni volta un’ora di vita o due. Auri si porta dietro al gonfiabile stando attenta ai bambini scapicollanti.

    Suo figlio non c’è.

    Il cuore di Auri perde un colpo. Rossa in viso dalla collera si volta e comincia a chiamarlo a gran voce ignorando gli sguardi degli altri genitori e dei bambini:

    «Edoardo! Edoardo! Edoardo!».

    Ogni anno in Europa scompaiono 250.000 bambini e solo il 35% viene ritrovato dalla Polizia.

    In Germania nel 2018 sono scomparsi 100.000 bambini. Negli Stati Uniti 460.000 bambini.

    In India 96.000 bambini. I numeri sono impressionanti: il Paese più colpito è la Svizzera…

    I bambini scompaiono anche in Italia.

    1

    Lara svolta a destra e procede verso il garden center.

    La giornata è grigia. Il vento la costringe a tirare su il bavero dell’impermeabile. Il rumore di sottofondo del traffico la infastidisce. L’odore dell’asfalto è pungente. Anche oggi avendo commissioni su commissioni da sbrigare si è svegliata alle sei del mattino per occuparsi prima di tutto dei compiti di brava massaia. Ha passato l’aspirapolvere in sala e in camera da letto – a Igor e Stella il rumore non dà fastidio e anzi li aiuta ad avere un dolce risveglio, quantunque loro userebbero espressioni meno materne. Ha diviso i capi dal cesto degli sporchi e ha fatto la lavatrice. Ha sbattuto il tappeto della sala sul terrazzo del retro con un battitappeto. Ha dato il becchime al criceto nella sua gabbietta. Ha preparato i vestiti di Igor, prelevati da un cassettone in sala. Oggi Igor indosserà una t-shirt bianca con palme azzurre e lo schizzo di un ragazzino biondo su uno skateboard verde, un paio di jeans della Diesel e una felpa rossa con il cappuccio della Best Company. Stella invece si veste sola. A otto anni è già indipendente, e ringraziando il cielo dimostra gusto. Poi Lara ha preparato la colazione. Uno degli aspetti positivi della separazione è non dover provvedere al compagno, sebbene non avere più un uomo accanto sia uno dei suoi assilli degli ultimi mesi. Comunque, si alza presto la mattina e cerca di essere positiva. Si è persino studiata una to do list per non restare a letto a deprimersi davanti a una serie Netflix o Amazon Prime. Dovrebbe mettersi al computer, cercarsi un lavoro, ma dopo l’ultimo contratto sfumato nel nulla, si è presa del tempo per riflettere. Per adesso ci sono i sussidi, i soldi dei suoi, oltre a quelli del suo ex, poca roba. Si tiene occupata coi bambini. E ci sono le commissioni: non manca ogni giorno di farle. Fare commissioni, tra l’altro, la illude di poter incappare come Kim Basinger, nel film Nove settimane e mezzo, in Mickey Rourke. Ecco perché, dopo avere accompagnato i bimbi a scuola, fatta la fila alla Posta per le bollette ed essere passata da alcune rivendite per l’acquisto di carabattole (una presa multipla, un paio di presine per pentole, un porta cellulare nuovo: il suo è smangiato e rovinato), Lara sembra marciare come un soldato verso il garden center cittadino. Lara spera, per quanto assurdo o ridicolo, di trovarvi Mickey Rourke o un uomo che la tiri fuori da casa e la faccia stare bene; un uomo simpatico e leggero. Magari, non in cerca di una storia importante, ma di compagnia. Di questo Lara ha bisogno. Questo, forse, potrebbe aiutarla. Sì, perché Lara si sveglia ogni mattino alle sei, tra le altre cose, anche per un problema un po’ particolare.

    È cominciato un paio di mesi dopo l’epilogo della favola col marito. Quando chiude gli occhi per prendere sonno la sera o di pomeriggio, le si formano sul retro delle palpebre immagini terrificanti. Non sa da dove vengano. Ma sono quasi insostenibili alla vista – be’, la vista della mente. Si generano in solitaria chissà come, e a gestirle non è lei.

    All’inizio erano immagini piacevoli, non terrificanti. Per lo più, pallini colorati. Come minuscoli flash. Quei pallini, mutavano colore. Diventavano arancione. Poi cambiavano in gialli. Poi, verdi. Tornavano bianchi. E le ombre. Le ombre. Passavano sopra le luci. Avevano consistenza filamentosa, granulosa. E erano scure. Sì, e dopo un poco si formavano le immagini. Sul campo di minuscoli flash si formava un fiore. Aveva petali bianchi, il centro era giallo come un uovo all’occhio di bue. Poi ritornava lo schermo di minuscoli flash, fino a quando non si formava un’altra immagine. Un anello oppure un airone. Volteggiava nel cielo. E in un istante ecco una farfalla. Una farfalla? Sì, una farfalla, ma subito si dissolveva. Ed ecco l’arcobaleno. Da dove arrivavano, quelle immagini? Come si formavano?

    Poi, le immagini terrificanti.

    Lara inserisce l’euro per prelevare il carrello della spesa dalla rastrelliera all’interno del parcheggio del garden center. Toglie la catena e spinge il carrello vuoto dentro l’edificio. Lo hanno aperto da un paio d’anni, e si è guadagnato anche alcuni articoloni sui giornali. L’idea di aprirlo in città anziché in periferia (si parlava di inserirlo nel contesto di un Parco Commerciale) ha sfondato. 3.000 metri quadrati al

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