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Storie di donne e di profumi: Meditazioni verso la Pasqua
Storie di donne e di profumi: Meditazioni verso la Pasqua
Storie di donne e di profumi: Meditazioni verso la Pasqua
E-book274 pagine3 ore

Storie di donne e di profumi: Meditazioni verso la Pasqua

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Info su questo ebook

Con lo stile della Lectio divina, il libro offre un ricco cammino di riflessione per il tempo della Quaresima e della Pasqua. Le omelie intense di don Casati fanno riflettere sull’uomo e sul tempo presente, con una capacità sorprendente di evitare i luoghi comuni e innalzare lo sguardo al vero senso della vita e della rivelazione pasquale. Un testo utile alla meditazione personale di laici e preti. Con meditazioni che attingono sempre alla ricchezza e alle provocazioni del testo biblico e dei Vangeli.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9788870988116
Storie di donne e di profumi: Meditazioni verso la Pasqua
Autore

Angelo Casati

Angelo Casati. Nato nel 1931, licenziato in sacra teologia, è sacerdote della Diocesi di Milano, dove ha ricoperto diversi incarichi, dal 1954. E' stato insegnante di lettere nei Seminari diocesani, quindi vicario parrocchiale a S. Giovanni di Busto Arsizio (Va), poi parroco a S. Giovanni di Lecco. Nel 1986 gli è stata affidata la cura della comunità parrocchiale di S. Giovanni in Laterano. Con Centro Ambrosiano ha pubblicato Diario di un curato di città; Ricordare le sue parole (raccolta di omelie e commentario del lezionario festivo dell’anno A), E la casa si riempì del profumo (anno B), Gli occhi e la gloria (anno C), Il racconto e la strada.

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    Storie di donne e di profumi - Angelo Casati

    LE TENTAZIONI NEL DESERTO

    Tempo di Quaresima

    Is 57,15-58,4a; Is 58,4b-12b; Gl 2,12b-18; 1Cor 9,24-27; 2Cor 5,18-6,2; 2Cor 4,16b-5,9; Mt 4,1-11

    Nel deserto della vita

    Rispetto al testo delle tentazioni di Gesù nel Vangelo secondo Marco, che appare più scarno, Matteo (4,1-11) rielabora il racconto alla luce della tradizione del suo popolo. Ritroviamo così parole dell’Antico Testamento, soprattutto dal Libro del Deuteronomio. Un libro che racconta, con voce di Mosè, la grande avventura che toccò agli ebrei nel deserto dopo che uscirono dalle acque del Mar Rosso. Il deserto fu per loro luogo di tentazioni. Fino alla tentazione estrema: di un ritorno di regressione in Egitto. Anche Gesù è uscito dalle acque, Matteo ha raccontato del suo battesimo nelle acque del Giordano. Dove ha confermato, potremmo dire, la sua scelta di camminare secondo i pensieri di Dio e non secondo i pensieri degli uomini. Ma non basta uscire dalle acque di schiavitù. Dopo che esci dalle acque, c’è la vita. Che è anche deserto di tentazioni. Così per gli ebrei, così per Gesù, così per ciascuno di noi. Il deserto della vita, con le sue tentazioni.

    La Quaresima può diventare tempo di recupero di libertà, se avremo il coraggio di ritagliarci spazi, anche minimi, di silenzio, per prenderci cura della nostra anima. Perché è l’anima che dà un cuore alle cose, alle mille cose che facciamo.

    Diamo tempo all’anima, interrogandoci, come ci invita la Liturgia, sulle tentazioni che mettono alla prova i quaranta giorni, il cammino della vita. Segnarono anche il cammino della vita di Gesù e Matteo le raduna tutte insieme in un midrash, ricco di immagini e di sapienza.

    Sono le tentazioni, non degli atei, ma dei credenti: basti pensare quante parole religiose usa nel racconto evangelico il tentatore. Vorrei ripercorrerle brevemente, nella successione che dà loro Matteo.

    La prima tentazione, che segue il digiuno di Gesù, parte dal cibo: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Possiamo intravedere nelle parole del tentatore l’impoverimento della parola pane.

    Che cosa è pane, che cosa è nutrimento per te, di che cosa ti nutri? Gesù, tutti lo sappiamo, aveva un’attenzione spiccata per le folle senza pane e ci ha anche insegnato a chiederlo nella preghiera al Padre che è nei cieli. Ma con tutta la sua vita ci ha pure insegnato che non di solo pane si vive, ma anche di parole alte, che mettono in moto i sogni e la vita. Quante volte lo abbiamo sorpreso nelle pagine dei Vangeli nell’atto di nutrire le folle, nutrirle di parola e, insieme, di pane. Ma nei suoi pensieri il pane non è mai un pane di accumulo, e nemmeno un pane che piova dall’alto magicamente: nasce da una fatica e sfocia in una condivisione. A farci grandi, veramente grandi, non è tanto il pane che si riceve, ma il pane che si dona.

    Con la seconda tentazione siamo nell’eccellenza del tempio, diremmo nei punti più celebrati della religione. E, ancora una volta, sulle labbra del demonio il nome di Dio, e pure una citazione di un salmo! Siamo avvisati sull’uso delle parole, anche quelle più sacre! E dentro le parole del Satana una religione ridotta a esibizione, a fanatismo, a dismissione dalle proprie responsabilità: «Ci penseranno gli angeli», l’infantilismo religioso! «Non metterai alla prova il Signore tuo Dio», gli risponde Gesù. Perdonate la mia brutta traduzione, vorrei esprimermi così: Bando alla magia, non caricare sulle spalle di Dio quello che tocca a noi. Non di questo Gesù ci ha dato testimonianza con la sua vita: si è forse mai appellato a Dio perché la sua vita fosse risparmiata? Sino all’ultimo giorno, quando ancora qualcuno lo invitò a venir giù appellandosi a Dio: «Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce!».

    Infine la terza tentazione, per Matteo quella più radicale. Il tentatore viene allo scoperto e chiede adorazione dopo aver mostrato a Gesù regni e gloria: «Tutte queste cose io ti darò, se gettandoti ai miei piedi mi adorerai». È la tentazione della idolatria, è il potere che diventa corruzione, quella di ieri come quella di oggi: Ti riempio di favori, di cose, basta che tu stia alla mia corte. È l’essere umano prostrato.

    Ma che cosa è un uomo se è prostrato in adorazione, un uomo in dipendenza da altri, un uomo succube del potere che lo ottunde? Espropriato della propria capacità di pensare perché c’è già un altro, uomo come lui, che pensa per lui? Espropriato della propria libertà di scegliere, perché c’è un altro, uomo come lui, che sceglie per lui, che cosa si deve dire e che cosa si deve fare? Che cosa ci resterebbe di umano?

    E contemplate la libertà, dico quella interiore, di Gesù. Filtra e commuove, fino alle ultime parole del racconto: «Vattene, Satana!». Smascherato! E aggiunge: «Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Quale libertà!

    Mi è venuto spontaneo pensare che ogni volta che nella nostra vita registriamo sudditanze, coscienze e pensieri dati all’ammasso, anime vendute per interesse, e cioè ferite alla libertà, lì non c’è ombra né di fede, né di religione, né di Dio. C’è solo idolatria. Da cui guardarci. Lì non c’è Dio.

    Mi fa molto pensare quel brano tratto dal rotolo di Isaia (cfr. Is 58,4b-12b) e la domanda: quando Dio a chi lo invoca risponde «Eccomi!»? Forse quando uno si getta dal pinnacolo del tempio? O quando uno sbandiera digiuni e chiasso di preghiere? Quando Dio dice «eccomi!»? A quale condizione? Sentite! «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore...». Allora Dio risponderà: «Eccomi!».

    E tu per primo ti sentirai vivere: «Rinvigorirai» è scritto «le tue ossa». Non solo, vedrai ricostruirsi la terra: «La tua gente» è scritto «riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni».

    E non è forse di questo che abbiamo bisogno? Estremo bisogno? «Rinvigorirai le tue ossa. Ricostruirai le fondamenta».

    Nel deserto, per conoscere il cuore

    «Fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo» (cfr. Mt 4,1). Quaranta giorni e quaranta notti! Una Quaresima. Ebbene, ogni volta che leggiamo il brano delle tentazioni all’inizio della Quaresima, è come se andassimo a cercarvi una luce per i nostri quaranta giorni. Ci rimane dentro, infatti, magari nell’angolino più sperduto del cuore, un desiderio di verità, di autenticità, di un ritorno all’essenziale; dopo tanto correre quotidiano, è come un chiedersi che cosa conta, che cosa sta prima e che cosa sta dopo, che cosa adorare e che cosa non adorare nella vita.

    I quarant’anni nel deserto sono rimasti nel cuore degli ebrei. Ne hanno fatto anche una festa, la festa della capanna. E ogni anno nei giorni di Sukkot, tutti a costruire, accanto alla casa, una tenda e vivere nei giorni di Sukkot nella tenda, quasi un ritorno all’essenziale, a una condizione di libertà: il deserto era stato un cammino certo faticoso ma intenso verso la libertà.

    Gli ebrei sanno, ma anche noi sappiamo che nel procedere degli anni, diventando da nomadi a sedentari, il rischio è quello di cedere ai condizionamenti, di cedere alla seduzione delle cose, del successo, del potere e ritrovarsi di nuovo schiavi di nuovi faraoni.

    Rivivere il deserto della Quaresima significa rivivere quelle tentazioni e quella fedeltà che hanno segnato i quarant’anni degli ebrei nel deserto, che hanno segnato i quaranta giorni del Signore Gesù nel deserto, tentazioni e fedeltà che hanno segnato tutta la vita di Gesù. Matteo costruisce l’episodio delle tentazioni come un midrash, come un racconto sapienziale. E in questo racconto tutti noi andiamo scoprendo quali sono le tentazioni vere, quelle su cui misurarci. «Le grandi tentazioni» scriveva Olivier Clément «bisogna confessarlo, non sono quelle di cui si preoccupa, e si ossessiona addirittura, un certo cristianesimo moralistico...». Le grandi tentazioni, quelle del deserto degli ebrei e quelle del deserto di Gesù, quelle della vita di ciascuno di noi, quelle che vanno a demolire la fede, la fede nell’unico Dio e a sostituirlo con altro, sono queste.

    La tentazione di sostituirlo con le cose: «Non di solo pane...». E cioè la tentazione di non distinguere tra il bisogno di pane e il desiderio che va oltre il pane, oltre i bisogni. Non si vive di solo pane e cioè rispondiamo alla voce dei bisogni, ma riportando a quella – ecco la Quaresima! – il desiderio e nutrendolo della Parola di Dio.

    L’altra tentazione, quella del pinnacolo: le soluzioni miracolistiche! Le hanno sognate gli ebrei nel deserto, ma poi Dio insegnò loro che non esistono scorciatoie miracolistiche, occorre camminare con i piedi per terra, pazientemente, fedelmente. Non la magia, ma la fede.

    E, ultima, la tentazione del potere: «Ti darò tutti i regni della terra». «Digiunare dalla volontà di potenza, di vanagloria, nel rispetto incondizionato dell’altro» (O. Clément).

    È misurandoci su queste tre grandi tentazioni che noi verifichiamo se Dio per noi esiste o no, se gli altri per noi esistono o no. Si è fatto un grande parlare sul penultimo versetto del «Padre nostro»: «Non ci indurre in tentazione». Ma se leggiamo bene, non c’è una qualche rassomiglianza nell’inizio del Vangelo delle tentazioni? «Fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo»: lo Spirito conduce nella tentazione, perché si sveli ciò che veramente hai nel tuo cuore.

    In un bellissimo commento al Pater noster su un giornale laico («la Repubblica», 1 febbraio ’96), Pietro Citati scriveva: «Non c’è alcuna ragione di scandalo. Come ogni ebreo e come ogni cristiano, Matteo sapeva benissimo che Dio induce in tentazione, specialmente chi ama. Aveva tentato (o messo alla prova, se vogliamo usare un’espressione più scolorita) Adamo, Abramo, Giobbe, Israele; e una tremenda frase rabbinica diceva: «Non c’è alcun uomo che Dio non abbia tentato». Matteo aveva nella memoria alcuni passi dei salmi, dove il fedele provoca Dio con una specie di passione eroica... Ora Matteo voleva evitare proprio questo eroismo della fede. Incerto, inquieto, cosciente della debolezza umana, timoroso della prova, persuaso della forza del male, egli voleva evitare il tempo della tentazione...».

    Gli eroi della fede hanno accusato Matteo di non essere abbastanza eroico. Io lo credo saggio e mite come il suo Signore «dal giogo soave» e «dal peso leggero». Anche Cristo, nel Getsemani, aveva pregato: «Padre! A te tutto è possibile. Allontana da me questo calice». Matteo rivela il medesimo desiderio di allontanare da sé il calice della tentazione. Ma subito dopo, come Cristo, dice con la mente al Padre: «Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi».

    Noi non siamo meglio di Matteo. Accettiamo la prova della tentazione che purifica la nostra fede, ma chiediamo anche di essere risparmiati da una tentazione superiore alle nostre povere forze.

    Respirare libertà

    «Fu condotto dallo spirito nel deserto». E lui, Gesù, si lasciò condurre. Sì, perché allo Spirito che spinge verso il deserto si può anche opporre resistenza. E nasce proprio da qui la prima domanda per la mia Quaresima: se ho il desiderio, la determinazione, il coraggio di lasciarmi condurre nel deserto.

    Nel cuore degli Israeliti il deserto evocava i giorni dell’uscita dalla schiavitù d’Egitto, un grido di indipendenza dal faraone, un cammino verso la libertà. Devo allora dire a me stesso che non sarà Quaresima, la mia, se non avrò il coraggio di dare a questo tempo momenti di deserto, cioè un indugio in qualche spazio di silenzio. Non importa dove o quando, ma che sia uno stare faccia a faccia con me stesso e con Dio. Per un’urgenza di sincerità. E come dunque non pregare perché possiamo avere il coraggio di uscire dalla tirannia? Anche dalla tirannia delle nostre immobilità, questo immobile stare in quello che sono o in quello che ho sempre fatto, dando credito invece alla possibilità della conversione, parola che allude alla possibilità, mai chiusa, di invertire o, se non altro, di correggere la rotta.

    È possibile, mi chiedo, sarà possibile? Oppure niente più mi schioda, perché alla mia età mi ritengo ormai argilla indurita, impermeabile al tocco di qualsiasi mano?

    Il brano di un lontano discepolo di Isaia (cfr. Is 57,15-58,4) disegnava davanti agli occhi una speranza. Tra parola e parola ci faceva intravedere un Dio che a sua volta si converte, e, meno male che si converte! All’inizio della mia conversione, di un possibile mio cambiamento, sta infatti la conversione di Dio: «Io» dice Dio «non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato». Tenero questo Dio che mi guarda, scombinato come sono, e pensa: se mi lascio prendere dall’ira, finisce che lo distruggo, e così distruggo una creatura in cui riposa il mio spirito, finisce che distruggo il mio stesso soffio di vita.

    Dunque la mia Quaresima nasce dalla notizia buona che Dio per primo crede sia possibile per me cambiare. Purché, ecco il punto, non sia una conversione, un cambiamento, solo di facciata. E proprio a questo proposito, Dio, diremmo, usa parole forti, invita il profeta a gridare a squarciagola, a non avere riguardo, ad alzare la voce come il corno. Perché? Cosa sta succedendo? Sta succedendo che gli israeliti danno a vedere di cercare ogni giorno Dio, come fossero un popolo che pratichi la giustizia, sembrano comportarsi correttamente, ma poi non agiscono come proclamano. Anzi il profeta sembra recensire le obiezioni di queste persone in apparenza, solo in apparenza, religiose, che dicono: «Abbiamo digiunato e tu non l’hai notato? Ci siamo mortificati e manco te ne accorgi?». Dura, senza reticenze, la risposta di Dio: «Ecco nel vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco voi digiunate fra litigi e alterchi».

    L’appello di Dio è a uscire. A uscire da una religione di facciata, una religione che, con riti e pratiche di digiuno, finisce per coprire la violazione del diritto, una religione che sorvola sull’insensibilità che porta a perseguire i propri affari senza guardare in faccia a nessuno, una religione che non si chiede conto della conflittualità e degli alterchi che minano quotidianamente la convivenza civile e religiosa.

    Dure sembrano le parole del profeta. Infatti, se ben ci pensiamo, la religione dell’ipocrisia è la più pericolosa, perché ci rende impermeabili al cambiamento, nascondendosi dietro immagini apparentemente alte, solenni, di prestigio, ma vuote. Esercizio della Quaresima, esercizio di autenticità, sarebbe nel silenzio smascherare ogni forma di ipocrisia che si annida nella nostra vita. Un esercizio che la Chiesa ci propone di fare al seguito di Gesù, lui pure tentato. E non solo per quaranta giorni: infatti, il numero quaranta è numero che dice la vita, e dunque queste tentazioni, che Matteo raduna costruendo un mirabile racconto, furono le tentazioni della vita tutta di Gesù e della vita di ciascuno di noi.

    La tentazione del pane, un pane non per vie comuni: il desiderio dunque di non stare nelle vie comuni, quelle per le quali, se hai bisogno di pane, te lo procuri come fanno tutti, lo sudi come tutti. No, le cose te le vuoi procurare sfruttando posizioni, appoggi, conoscenze. Forse potremmo dire fuori dalla legalità, fuori dalle vie che sono le vie di tutti. Non so se cogliamo quanto drammaticamente attuali siano le seduzioni raccontate da Matteo.

    E poi la seduzione del pinnacolo: ti getti, gli angeli ti sostengono. Non ci pensare, dunque, ci pensano loro, cioè le dimissioni dal dovere, che è tuo. Il dovere di pensare, di scoprire, di operare: tu davanti alle tue responsabilità. E invece no, hai dato le dimissioni, ci penserà Dio, ci penseranno gli altri. Sfuggi alla responsabilità. Anche questo, se non erro, un male del nostro tempo: di una società in cui nessuno è più responsabile di niente. E se non c’è un controllore, non c’è nulla che tenga: non tiene più la coscienza.

    E vengo a sfiorare l’ultima tentazione, quella dell’idolatria: «Tutto avrai se ti metti in ginocchio davanti a me». Pensate i nuovi faraoni, che ci rubano l’anima. Ci comprano con la fascinazione del denaro, della ricchezza, con il fascino triste, pallido della carriera. E noi nel rischio di adorare potere, denaro, successo. E il vuoto, vuoto nell’aria, vuoto in umanità, vuoto in convivenza.

    Gesù risponde, vince, con la parola di Dio. Facciamo posto alla parola di Dio in questi giorni, cominciando da noi stessi, chiedendo a noi stessi questo coraggioso libero e liberante confronto con la parola di Dio. Sicuri che l’esito sarà, per grazia, un altro. Quello, a mio avviso, alluso nell’ultimo versetto del racconto di Matteo. Dove è scritto che di fronte all’opposizione, senza se e senza ma, di Gesù, «il diavolo lo lasciò ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano». Sembra di intravvedere uno squarcio di rara, emozionante bellezza: la vittoria della libertà. Altro che Quaresima tempo triste!

    Cominciamo dunque da noi stessi. E ci sia dato respirare la libertà di Gesù, che abbiamo contemplata in tutta la sua franchezza e bellezza all’inizio della Quaresima. Ora ce ne andiamo. Cercandone le orme.

    Cercando verità

    Ho letto le parole del profeta Gioele (2,12b-18) che la liturgia propone sulla soglia della Quaresima e da un lato mi si accendevano pensieri emozionanti, positivi, dall’altro pensieri un po’ tristi, quasi una tentazione di rimpianto.

    Pensieri emozionanti e positivi, perché, a fronte del nostro peccare e, di conseguenza, dell’invito a ritornare, a cambiare, a ravvedersi, che cosa ho trovato nel testo? Ho trovato come notizia consolante, promettente, capace di generare energie nuove, la notizia che a cambiare, a ravvedersi è Dio. Quasi a dire che la prima conversione è quella di Dio. Sta scritto: «Chissà che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?» È una domanda retorica, perché ci accompagna la certezza che lui è «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande di amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». E lascia dietro a sé una benedizione. Notizia consolante.

    Quale invece la notizia che rattrista? Nel brano del profeta l’invito alla conversione ha l’impronta della coralità, quasi fosse un tempo che raduna tutti: «radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti…». Se volessimo applicare l’immagine ai nostri giorni, ai giorni della Quaresima, ditemi voi se sarà evento di una coralità così piena, sarà evento di un popolo? E allora come leggere il testo, oggi che la Quaresima è diventata socialmente ininfluente o quasi? E mi sono detto: senza ripiegarci in geremiadi che non hanno futuro, forse potremmo parlare di piccole coralità, di fratelli e sorelle con cui oggi – piccolo gregge – possiamo camminare sostenendoci nel desiderio di una conversione più vera, più viva, più intensa al Vangelo. Piccola convocazione anche questa, in cui ci comunichiamo desiderio e impegno.

    Desiderio e impegno che ci vengono ridestati anche dalla pagina delle tentazioni secondo Matteo. Dove Gesù fa chiarezza con il demonio. La pagina sembra ricordarci che nessuno è esente dal confronto con la tentazione. Che sta nelle pieghe della vita di ciascuno, nelle pieghe della singola persona e nelle pieghe della società. E ne sentiamo i richiami. Perché le vere tentazioni, quelle importanti – non quelle cui abbiamo dato molta importanza, ma ne hanno meno per il Vangelo – si segnalano come connotate da ambiguità. Il racconto di Matteo ce lo ricorda: quanta ambiguità nelle parole del demonio! A fronte, impressiona, affascina, il fare chiarezza

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