Il pazzo che piacque a Dio: Biografia di padre Giovanni Messina
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Antonio Maria Travia
Arcivescovo titolare di Termini Imerese
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Anteprima del libro
Il pazzo che piacque a Dio - Minerva Febo Della
Febo della MInerva
Il pazzo che piacque a Dio
Biografia di padre Giovanni Messina
ISBN: 9791255470328
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Indice dei contenuti
Colofon
Introduzione di Antonio Maria Travia
A scanso di equivoci
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV.
CAPITOLO V
CAPITOLO VI.
CAPITOLO VII.
CAPITOLO VIII.
CAPITOLO IX
CAPITOLO X.
CAPITOLO XI
CAPITOLO XII.
CAPITOLO XIII.
CAPITOLO XIV.
CAPITOLO XV.
CAPITOLO XVI.
CAPITOLO XVII.
CAPITOLO XVIII.
CAPITOLO XIX.
CAPITOLO XX.
Colofon
Febo della Minerva
Padre Messina
Il pazzo che piacque a Dio
Isbn: 979-12-5547-003-8
Copyright by:
I BUONI CUGINI EDITORI
di Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra
www.ibuonicuginieditori.it - ibuonicugini@libero.it
P. IVA: 06477650821
Impaginazione: Anna Squatrito
Elaborazione grafica copertina: Maria Squatrito
L’opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Priulla in data 8 settembre 1970 (70° anniversario della fondazione Casa Lavoro e Preghiera)
Queste pagine sono dedicate all’amore...
Stendi la tua carità sul mondo intero se vuoi amare Cristo: poiché le membra di Cristo sono sparse in tutto il mondo.
Se non ami che da una parte, sei un separato. Se sei uno scisso non sei nel corpo, non sei sotto il Capo... Se tu da te ti separi dal Capo, Questi però non si separava dal corpo.
Oh! io non so chi mi può porre in Africa i limiti della Carità.
S. Agostino
Introduzione di Antonio Maria Travia
Quando bambino nei pomeriggi domenicali, dopo l’abituale passeggiata nella Villa Giulia, e in esse le mie corse dietro al cerchio di legno, indocile ai miei inesperti colpi, e la rituale visita alle due scimmiette, all’orrida istrice pungente e alla coppia di pavoni, che costituivano tutto il suo zoo, i miei familiari si spingevano fin sul vicino lungomare, alla marina
per respirare una boccata di mare appoggiati alla ringhiera della banchina, mi capitava spesso di vedere un prete alto, brutto e occhialuto, in mezzo a un gruppo di ragazzi di ogni età che davano fiato ad assordanti vecchi strumenti musicali.
Il prete dirigeva la banda col suo bastone; ma non tutte le battute erano per i suonatori, spesso qualcuna andava a finire sui piedi di altri ragazzi che a quel frastuono erano accorsi da tutta la piazza e facevano troppo ressa sui musicanti in erba, e spesso sulle teste dei più irrequieti di essi cadevano dalle nocche delle lunghe dita di quel prete ben assestati colpi che, a giudicare dalle smorfie di dolore sui visi dei malcapitati, nulla avevano da invidiare ai colpi del bastone.
Poi quel prete tirava fuori un piattino di metallo e passava ad accettare l’elemosina o, se si vuole, a riscuotere il prezzo del concerto, tra la gente che frattanto aveva fatto corona alla banda, non tanto per amore d’arte quanto per godersi lo spettacolo che di sé dava quel prete mezzo matto. Per la verità, davano tutti qualcosa.
Mio padre mi diceva: Vedi, quello è padre Messina
, e poi, additandomi qualche fila di bambini o bambine che più in là stava addossata ad un grosso edificio ancora rustico sul quale era scritto Casa Lavoro e Preghiera
, mi diceva: e quelli sono i picciriddi di Padre Messina
.
Dal tono della voce di mio padre, dalle frasi della gente che si dileguava quando la banda, ai comandi gridati da Padre Messina, si ritirava in quel casermone, mi ero fatto la convinzione che quello era un prete pazzo a cui però la gente voleva bene per via di quei picciriddi
.
Poi entrai in seminario e spesso alle nostre passeggiate di seminaristi inquadrati era assegnata come meta la stessa " marina " o, a dir meglio, il Foro Italico. Allora, se il breve tempo assegnato lo consentiva, si faceva una puntata all’estremità del lungomare, nella cappella di P. Messina, dove c’era sempre il Santissimo esposto. Lo splendore di quella candida cappella, l’odore di pulito che essa dava, la finezza della disposizione delle candele e dei fiori sull’altare, il muoversi devoto e gioioso delle suore aggiunsero a quella impressione di bambino un’altra più seria e più vera: quel prete pazzo a cui la gente voleva bene doveva volere un gran bene, non solo ai suoi picciriddi
, ma anche al buon Dio, e Dio doveva molto divertirsi a guardare quel prete matto.
L’autore della presente biografia era allora mio compagno di seminario, di camerata, di fila. Anch’egli avrà avuto la stessa mia sensazione se oggi presenta padre Messina come il pazzo che piacque a Dio
.
La definizione mette molto bene in evidenza ciò che allora a noi ragazzi era ignoto: l’anima sacerdotale di P. Messina.
Debbo confessare che leggere questa biografia di P. Messina è stato per me una rivelazione. Quel prete pazzo si rivela un uomo di grandi ideali, di immenso coraggio, di totale impegno, di generosità eroica. Appare un forte, un dominatore, un gigante della virtù, un duro asceta che ha immolato tutta la sua vita al più puro amore di Dio, dei poveri, delle anime vergini, un abilissimo anche se rudissimo suscitatore di vocazioni religiose e direttore di anime consacrate al più duro esercizio della carità. In una parola, egli appare un prete vero, anzi un esemplare eccezionale di prete, un prete santo come suol dirsi, che significa molto di più che un santo prete.
Questa rivelazione suscita nell’animo mio un grande rammarico: quello di essere passato accanto a un santo senza accorgermene, di aver posato inconsapevole il piede su una meravigliosa polla di acqua viva, il rammarico che la mia formazione sacerdotale, come quella dei miei compagni di seminario, non sia stata raggiunta dalle stupende vibrazioni dell’anima di P. Messina. Forse a contatto di quel pazzo che piacque a Dio, di quel maffioso della carità, la sua irruente passione per i poveri si sarebbe comunicata ad altri cuori sacerdotali; forse si sarebbe avuta una migliore generazione di preti e forse la fiaccola accesa da P. Messina sarebbe passata in altre mani.
Il rammarico è attenuato dalla gioia di constatare che ora, con questa biografia che è soprattutto interiore, P. Messina è salvato dall’oblio in cui minacciavano di seppellirlo il tempo e la misteriosa incapacità di farsi dei collaboratori sacerdoti.
La mia è soprattutto gioia di Vescovo nel vedere una lucerna accesa al sacerdozio di Cristo, tratta da sotto il moggio e posta sul candelabro affinchè la sua luce provvidenzialmente risplenda proprio ora nell’attuale ecclissi sacerdotale, ma è anche la gioia, sia pure del tutto provinciale, di un prete palermitano che vede esaltare la luminosa figura di un prete palermitano.
dal Vaticano, 5 giugno 1970
Antonio Maria Travia
Arcivescovo Titolare di Termini Imerese
Elemosiniere di Sua Santità
A scanso di equivoci
Questo libro ha un solo pregio, e grandissimo.
È la prima biografia del padre Giovanni Messina, Prete Oratoriano, Fondatore della Casa Lavoro e Preghiera di Palermo.
Al lettore abituato alle biografie che seguono il personaggio passo passo, dalla culla alla morte, questo mio lavoro apparirà assai lacunoso. Di fatto lo è.
Tengo però a dire che non era nella mia intenzione presentare una Vita
dal crescendo scrupolosamente cronologico, con date, fatti, personaggi che compaiono e scompaiono al momento giusto voluto dal copione, così come avviene nelle rappresentazioni drammatiche.
Una biografia di padre Messina in tal senso, non può esser presentata in un solo volume, né in due, né in tre... Di cuore mi auguro che qualcuno, meglio preparato in questo campo di quanto io non sia, lo faccia. Ne verrà fuori allora una di quelle figure giganti suscitate dal buon Dio, di tanto in tanto nei tempi, per smuovere l’umana pigrizia e mortificare l’orgogliosa pretesa.
Mio unico intendimento è stato quello di presentare, per la prima volta, il profilo morale, intimo, personalissimo di questo Prete palermitano, così tanto benemerito e altrettanto incompreso e bersagliato in vita.
Lo presento come Egli stesso si presenta e si rivela nelle sue incontabili lettere, esortazioni, avvisi alle sue Figlie, e attraverso i fatti, più o meno singolari, che resero assai discusso il suo vivere e il suo operare.
A fine lettura più d’uno dirà: troppe citazioni.
Vero. È sembrata a me l’unica giusta via da seguire per giungere alla scoperta del vero padre Messina. Quello che nessuno conosce, né mai conoscerebbe, se non attraverso queste pagine.
Le lettere del Padre non sono certo dei capolavori dal punto di vista linguistico e stilistico. Egli scriveva di corsa, nei pochi ritagli del tempo libero, e quasi sempre di notte, dopo una giornataccia d’impossibili fatiche. I destinatari, d’altro lato, erano quelle semplici, buone ed incolte ragazze che volontariamente e generosamente si erano affiancate a Lui per dargli una mano valida nella prodigiosa avventura di salvataggio dell’infanzia abbandonata.
Anche le lettere indirizzate a personalità non sono meglio curate nella forma. A Lui interessava una cosa sola: dire chiaramente quel che voleva. Niente altro.
Eppure quegli scritti così poco curati, quei fatti così tanto originali, lo rivelano un asceta rigido, un penitente esasperante, un orante serafico, da un lato; un prepotente audace, un cocciuto nel pretendere, dall’altro.
Unica mira: fare il bene.
Come direttore di spirito fu un duro, un intransigente. Uno all’antica, si direbbe oggi.
Non pensò mai che Gesù fosse un bugiardo o un diplomatico. Uno cioè che possa dire quel che non sente o fare quello cui non crede. Per ciò, alla Parola fatta Carne, credette con la convinzione semplice e certa dell’innocente.
La sua fede nella Provvidenza non ebbe mai smentite.
" Se avete fede, quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: passa da questo a quel luogo, e passerà, e nessuna cosa sarà a voi impossibile".
Per ciò riuscì a smuovere i cuori e le volontà degli uomini, assai più duri dei macigni.
Quei cuori di carne più duri della roccia, li mosse facendo leva sulla bontà della sua causa e sull’immenso amore per i figli della sventura.
" Chi può sospettare menomamente che a Palermo, nell’Italia e nel mondo tutto, che il Padre Messina non ami i tanti suoi ricoverati orfani?"
Per questi dolci orfanelli
, per anni ed anni farà il pezzente e il questuante; in loro difesa alzerà la voce con le autorità, nei loro uffici, battendo forte sul loro tavolo ben pulito e di stile, il grosso bastone, suo compagno inseparabile, e non ne uscirà mai se non dopo aver concluso in suo favore o, meglio, in favore dei suoi piccoli.
Solo così agendo fece quello che mai forse avrebbe potuto fare, se avesse voluto rispettare il decorso burocratico, sonnolento e infingardo, delle pratiche giacenti negli uffici cittadini.
Le sue gambe robuste e svelte conobbero tutte le strade dei quartieri signorili della città, e tutte le viuzze e i cortili della Palermo rissosa e manesca. Il suo mantello nascose centinaia e migliaia di volte le ceste piene d’ogni ben di Dio, che consentivano di riempire ogni giorno lo stomachino querelante dei monellucci irrequieti e chiassosi da lui raccolti. Essi, come uccellini implumi e pigolanti nei nidi, ne aspettavano la provvida presenza, dopo averlo visto uscire di buon mattino.
Quel gran cuore d’Apostolo della Carità conobbe tutte le amarezze: la incomprensione, il rifiuto, la insinuazione malvagia, la minaccia, la delusione, ed anche, sì, anche le più grandi e pure gioie, dono della coscienza pulita.
Quando, dopo tre ore di marcia forzata, stanco sfinito, si affacciava al Foro Italico, dimenticava come per incanto, tutte le pene al vedere la Casa dei suoi bambini.
E, le gambe restie, quei pochi centinaia di metri li faceva in una volata.
La Casa. I bambini.
Alla sua morte lasciava ben sistemati l’una e gli altri, e le collaboratrici eroiche, riunite in Congregazione sotto la Regola di S. Angela Merici.
Desiderò, e fece di tutto, perché il suo Istituto fosse un Istituto Modello
. Lo desiderò sin dall’inizio.
Il 14 settembre 1903 (a tre anni dunque dalla fondazione) a Madre Lucia, in famiglia per ragioni di salute, scriveva: " Il nostro Istituto è nascente ma per come ho sempre predicato, per come ho fermamente deciso, sarà un Istituto modello per la libertà di azione e per l’esatta disciplina di ogni membro dello stesso" .
C ome in tutte le opere fatte dall’uomo, non mancano, certo, neanche in quella di padre Messina, le tracce dell’umana deficienza.
È più che naturale.
La perfezione sta al di là, oltre le stelle.
Per leggere questo libro non ci vorranno certo tre anni, tanti quanti ce ne son voluti per cucire insieme queste pagine biografiche.
Tre anni?... sicuro.
Gli scritti di padre Messina non si contano. Li ho letti tutti, compresi i pensieri trovati in pezzetti di carta ingiallita per gli anni. Ho letto quasi tutti i giornali dell’epoca che si sono occupati di Lui; ho visto tutte le vignette dei fogli umoristici palermitani che si sono divertiti alle sue spalle, ed ho visto tutte le caricature, assai spesso, non pulite.
Scegliere tra tanto materiale non è stata facile fatica.
Ed ora che i fogli dattiloscritti stanno per finire nella magica tastiera di piombo, un grosso cruccio nasce nel cuore: ho saputo davvero prendere il meglio di tutte quelle carte manoscritte?
Ancora.
Assai spesso gli scritti non portano data, né si ha il nome del destinatario.
Le Pie Madri così lodevolmente attente nel conservare ogni lettera del loro beneamato Patri
, non ne conservavano le buste.
Quel Dilettissima figlia in G.C.
a chi si riferisce?...
Qualche volta, dal contesto, qualcuna delle Pie Madri anziane ha potuto darmi delle indicazioni; non sempre però, né sempre precise.
Compatisca dunque il lettore le mie inevitabili imprecisioni ed apprezzi lo sforzo di ricerca, sorretto dal grande amore per questo prete palermitano, autentico Apostolo di Carità, venuto fuori da uno dei quartieri allora tra i più poveri e turbolenti della città: l’ Ausa
.
Febo Della Minerva
CAPITOLO I
Cuor presago
C’era tanta pace, quel giorno sul mare, e tanto sole. Il battello a vapore era carico di gente come sempre, e quasi tutti pescatori.
Da Palermo a Trapani la traversata è un vero piacere, anche se qualche volta il mare fa le bizze e mostra la bava sulla bocca slabbrata.
Ma quel giorno il mare stava buono.
Tra tanti uomini, un signore alto, robusto, vestito bene, dignitoso nell’aspetto, ossequiato da tutti con gesti rispettosi ma goffi e larghi: il ragioniere Salvatore Messina, esattore del mercato del pesce.
Lo accompagnava la moglie, donna Rosalia Lo Nigro, in camicetta nera, gonna grigia, fazzoletto bianco al collo. Stringeva al petto un fagotto di panni, dal quale s’affacciava a mala pena un visino scarno, terreo, con due occhi che si indovinavano grandi.
Era il suo Giovannino di poco più di un anno.
Soffriva assai e da molto tempo, di gastroenterite acuta. Febbre, inappetenza, vomito e diarrea persistenti, aveano ridotto quell’innocente uno scheletrino gemente, ripugnante a chi non è mamma.
Il bimbo dalle palpebre pesanti, sonnolenti, parea non esistesse in quella confusione d’uomini vocianti e gesticolanti, se non per sua madre.
Ma fu per poco.
Il battello avea appena preso il largo, che il piccolo malato si fece vivo.
Un lamento spossato, insistente; un pianto tra l’accorato e l’implorante; poi il vomito di niente che gli portava fuori dall’orbita gli occhioni lucidi febbricitanti, seguito dalla facile evacuazione assai maleodorante.
La povera mamma, si fece più appartata nel suo posticino, quasi più intima. Strinse più forte al cuore il malatino, baciandolo ripetutamente come a far sentire ch’essa era proprio là, con lui; tutta per lui.
E si dette presto a pulirlo e cambiarlo.
Le stava accanto il fratello, don Turiddu, un omaccione dallo spirito pronto all’arguzia. Osservava egli madre e figlio, con l’aria di chi non capisce certe cose. Vedendo quelle gambette fragili – ossicini quasi allo scoperto – quella faccetta nerastra e quegli occhi languidi, come spenti, disse alla madre, tra il serio ed il giocoso:
– Ma che ci tieni a fare quel mostriciattolo!... Perché non lo butti a mare!...
– Buttare a mare questo mio figlio?... Non sai tu che Dio ne farà una grande cosa?...
Padre Messina prendeva gusto a rievocare, ogni tanto, alle Suore ed ai bambini, quella vivace e pronta difesa materna in suo favore. E fissando l’immenso mare, sorrideva pensoso.
Per noi, quella difesa, ha dolce sapore d’ispirazione profetica.
CAPITOLO II
In sul calar del sole
" Chi muore di amore di Gesù non muore mai,
anzi comincia a vivere perché Gesù è la vita.
Quanto è bello fare scolpire sulle nostre lapidi
sepolcrali – Qui giace un amante di Gesù"
P. Messina
Morire è giocoforza. Morir bene è altro affare.
È senza dubbio sensata l’affermazione del nostro Petrarca: Un bel morire tutta la vita onora
, ma un bel morire
non si improvvisa. Esso è – nella generalità dei casi – l’epilogo logico del vivere corretto, dell’operare secondo coscienza.
Che se poi si parla della morte dell’uomo giusto
, allora essa è cosa preziosa
; è il momento del premio meritato: entra nel gaudio del tuo Signore
.
Il giusto
alla morte si prepara pazientemente, attentamente, giorno dopo giorno, dato che essa, si sa, sorprende come il ladro
: Voi non sapete in qual luogo la morte vi aspetti: aspettatela dunque voi medesimi in ogni luogo
, avvertiva l’onesto pagano Seneca.
Gesù tradurrà: State preparati
.
Ma il prepararvisi significa viverle accanto, con l’ansia del sentirsi afferrato ad ogni momento, mentre essa ti lascia ad ogni istante, capricciosamente, quasi ridendo dell’ansia tua.
Poi si arriva al traguardo, vittoriosi sì, ma spossati, come sa il corridore che può sempre perdere l’alloro per un pelo.
Suor Teresa del Bambin Gesù, nelle spossanti ore della lunga agonia confessava candidamente: Sono come un viaggiatore affaticato, spossato, che cade giungendo alla meta del suo viaggio... Sì, ma è nella braccia di Dio che cado!
E dato che la Morte è cosa certa, è da sciocchi tenerne lontano il pensiero.
Deboli e fragili come foglie al vento, dovremmo piuttosto invocare con l’umiltà supplice del vecchio mago che visse tra pietre, martelli, scalpelli e colori: Michelangelo: Signore, nell’ora estrema, tendi verso di me le tue braccia pietose, e trasformami in modo che Ti sia gradito
.
Il nostro padre Messina visse ed operò in modo che nell’ora estrema
Dio lo trovò gradito
.
Lo trovò che stava ancora affaticandosi per i suoi bambini; lo sorprese mentre era in lotta con gli uomini che gli volevano rimettere i dolci pulcini
sulla strada, fuori di quella Casa, costruita con tanti stenti... cinquant’anni di stenti!...
Ma assistiamo all’ultima battaglia dalla quale uscì, morendo, definitivamente vittorioso.
MUNICIPIO DI PALERMO
Gabinetto del Sindaco
Palermo, 5 Maggio 1949
N. 1128
Alligato: un assegno
Al Rev. Padre Giovanni Messina
Casa Lavoro e Preghiera
PALERMO
Con grande dispiacere Le comunico che il Suo progetto di ampliamento dell’Istituto nella Caletta di nuova costruzione non è stato approvato dalla Commissione Edilizia.
Debbo dichiararLe che tutti coloro che si sono occupati della Sua domanda hanno tenuto a manifestare il loro devoto apprezzamento per l’Istituto e per il Suo Fondatore. Uomo che ha saputo comprendere la santità della Sua missione rendendosi veramente benemerito dell’Umanità. Ma tale determinazione è stata presa con una spiacevole ma ineluttabile necessità e solo in funzione dello sviluppo che l’Amministrazione Comunale intende fare a tutta la costa e del conseguente bisogno di evitare ulteriori costruzioni che impediscano alla cittadinanza la vista del mare.
Io sono sicuro che Lei – che accoppia alle Sue alte virtù anche qualità di Egregio Cittadino innamorato del mare – vorrà comprendere le necessità di Palermo e rinunziare al progettato ampliamento.
Mi è gradita l’occasione per inviarle L. 5.000 quale mio obolo personale.
Con riguardo
Il Sindaco
G. Cusenza
Il padre Messina che non era Uomo da perdersi in complimenti e che agli elogi occasionali dava il giusto peso senza andarsene di testa, non ingoiò il rospo che gli parve troppo grosso, questa volta.
E proprio perché comprendeva le necessità di Palermo
non stette con le mani in mano, ma si rivolse subito all’On. Margherita Bontade che tante volte gli era stata di valido auto.
" 60199
Palermo, 5 maggio 1949
Sig.na On. Margherita Bontade
ROMA
Finalmente la bomba è scoppiata. Oggi mi è pervenuta una lettera a firma del Sindaco Cusenza, di cui ti acchiudo la copia conforme, per notificarmi che la Commissione Edilizia non approva il progetto da noi presentato.
È noto che l’area cinta di mare è già chiusa per opera del Genio Civile.
Già sai che S. Ecc. il Prefetto, a suo tempo, molto si è interessato, e resta ora a te la soluzione della pratica.
Conosci il bisogno del terreno e del suo uso – e a chi meglio di te affidare la pratica?
Attendo una tua lettera per sapermi regolare.
Sac. Giovanni Messina"
Non gli si dà tempo di riprendersi:
" Soprintendenza
Ai Monumenti della Sicilia Occidentale
in PALERMO
14 maggio 1949
Oggetto: Tutela Paesistica
All’Amministrazione della
Casa Lavoro e Preghiera – Foro Italico
E p.c. Alla Commissione Edilizia
Presso Uff. LL. PP. del Comune di Palermo
Per sopravvenute ulteriori considerazioni, questa Soprintendenza è venuta nella determinazione di revocare l’approvazione già concessa col visto apposto sulle tre copie del progetto di ampliamento di codesta Pia Casa presentate il 5 aprile 1949.
Pertanto le opere previste nel progetto non possono essere realizzate da codesta Amministrazione.
Il Soprintendente
Guiotto"
La domenica 15 maggio, alle ore 11, Casa Lavoro e Preghiera subisce una vera invasione di pezzi grossi: tutte le Autorità di Palermo si erano date appuntamento lì. Il Prefetto Vicari, il Presidente della Regione Franco Restivo, il Sindaco Gaspare Cusenza, l’on. Tocco, il Questore e il Comandante di Porto e tante altre personalità, per collaudare i lavori eseguiti (questa almeno l’apparente motivazione della visita.) Ma conversando tra di loro i grossi
facevano spesso riferimento al piano regolatore.
Il padre Messina ascoltava or l’uno or l’altro assai turbato. Poi, per levarsi quel peso opprimente dal cuore, chiese, egli stesso, notizie sul piano regolatore e sulle decisioni comunicategli con le lettere dei giorni precedenti.
Le risposte evasive, diplomatiche, gli confermarono la decisione che quella sua Casa doveva essere sacrificata al panorama.
Egli che già nel 1913 aveva assicurato al Maurus del Piff! Paff! che a Palermo, anche per far del bene, basta che uno abbia un po’ di coraggio e che, all’occorrenza, sappia maneggiare il marruggio come – non per vantarmi – saprei maneggiarlo cristianamente io stesso se mi toccassero i miei orfanelli
, sbottò. Senza peli sulla lingua, puntando il dito, prima su Bino Napoli, poi sul sindaco Cusenza, apostrofò: brigante n. 1 – brigante n. 2.
Ma sentiamo da lui come è andata la cosa.
" Palermo, 16 maggio 1949
" Oggetto: Tutela Paesistica
Sig. On. Margherita Bontade
ROMA
Diletta figlia in Gesù Cristo.
Dopo le mie precedenti, cioè dopo la bomba scoppiata dal Municipio, con le L. 5.000 inviate dal Sindaco, con la notifica che la Commissione Edile non approvava il disegno presentato dall’Ing. Imburgia – sabato mi si presentava dalle Soprintendenza la lettera che ti acchiudo. Si vede che il diavolo non dorme! – si arriva a revocare il nulla osta ciò che, come disse Narzisi, mai è stato fatto; cioè non si revoca una deliberazione già approvata.
Il bello è venuto ieri domenica, quando vedo qui convenute tutte le Autorità (che entrarono, circa cinquanta) in questa terrazza nostra, ed ebbi il coraggio di rimproverare e finirla con la bella proposta caldeggiata dal famoso Bino Napoli, di demolizione della Casa, e puoi immaginare le amare e risentite parole da me dette, al Sindaco, a Nicoletti e a Napoli. Questi non resistette alla mia filippica e andò fuori a chiudersi nella sua macchina. Mi restarono tutte le Autorità dal Prefetto all’On. Tocco con Restivo. Finì a dir vero feroce, ma tanto il Prefetto che Restivo volevano tranquillizzarmi. Mi hai detto nella precedente lettera pria di partire, di fare silenzio, però per me è indispensabile che ti metta al corrente per intelligenza; non so se devo ritirare le carte, cioè le tue piante, la concessione della Capitaneria; cosa che decideremo quando tornerai in questa. A me interessa che tutti sappiano l’operato dei bravi comunisti.
Ti benedico,
Sac. Giovanni Messina "
Credete voi che il padre Messina abbia avuto il tempo di ricevere una risposta da Roma? Neanche per sogno!
Il giorno appresso, 17 maggio, viene chiamato alla Capitaneria di Porto per sentirsi dire, ancora una volta, che la concessione del tratto di spiaggia concesso, era stata revocata, per le ragioni a lui note.
Ritornò a casa a passo lento, stanco. Era visibilmente avvilito, amareggiato. La testa bassa, gli occhi arrossati, smarriti.
Le Sue brave Figlie non riuscirono a confortarlo. Era la solita angoscia rivelatrice delle grandi amarezze.
Quello stesso giorno, infatti, dal Municipio di Palermo, partiva la lettera che l’avrebbe ucciso.
" MUNICIPIO DI PALERMO
Ufficio dei Lavori Pubblici
n. 3465
17 maggio 1949
Oggetto: ampliamento della Casa Lavoro e Preghiera
Rev. Padre Giovanni Messina
Casa Lavoro e Preghiera - PALERMO
In riferimento al progetto presentato da V.S. Rev.ma, Le comunico che la Commissione Edilizia nella seduta del 3-5-1949 ha respinto il progetto stesso perché la costruzione dovrebbe sorgere su una area da poco ricavata con il ricolmo della Caletta di S. Erasmo per la quale nessuna regolamentazione è prevista nei piani regolatori.
A tal proposito si fa rilevare che il piano di Ricostruzione ha posto il vincolo panoramico su tutto l’arenile della Caletta di S. Erasmo a Romagnolo ed oltre e se non lo ha posto in quella zona è perché allora essa era occupata dal mare.
L’ill.mo Signor Sindaco, presidente della Commissione Edilizia, ha convalidato la decisione come sopra espressa.
L’Ingegnere Direttore
Boscaino "
18 maggio 1949 – Il Padre quella mattina aveva celebrato la sua Messa col solito raccoglimento edificante. Vi si era attardato un po’ più del solito, quasi non avesse voluto staccarsi dall’Altare, quasi avesse avvertito che quella era la sua ultima Messa. Anche il ringraziamento era stato più lungo del solito: quasi un commiato.
Chissà, quella mattina forse passavano per il suo cuore afflitto e la mente stanca, gli stessi sentimenti del vecchio e provato Cantore del Giudizio, del David e del Mosè:
" Già mia vita attraverso la tempesta
qual fragil barca, al grande porto giunge".
Poco più tardi un mucchio di corrispondenza. E la lettera fatale.
Lesse, rilesse; lesse ancora...
Non gli dava pace, gli toglieva il fiato quella conclusione:
" L’Ill.mo signor Sindaco, presidente della Commissione Edilizia, ha convalidato la decisione come sopra espressa".
Le Suore non ricordano d’aver visto il loro Padre, piangere tanto – in tanti anni. Il volto si tinse color dei morti. Cadde in uno stato di vera impressionante angoscia.
La Rev.da Superiora, Madre Serafina Lanza, per tranquillizzarlo si precipitò ai Lavori Pubblici per scongiurare l’esecuzione dei drastici provvedimenti.
L’Ingegnere Direttore Boscaino non c’era. Parlò a lungo con il Sig. Girolamo Luciano, consigliere comunale, il quale aveva fatto tanto per l’acquisto del terreno arenile. Questi disse che il buon padre Messina poteva star sicuro che niente gli sarebbe capitato di male.
Tentò anche giustificare il sindaco dicendo che era sua abitudine apporre la firma sui documenti senza prenderne visione.
Tutte le assicurazioni non valsero a far nascere nell’animo depresso del Padre, un barlume di speranza.
Ingoiò pochi bocconi di minestra, di mala voglia, e solo per tacitare le istanze delle buone Figlie.
Si ritirò poi, a passo lento, nella sua stanzetta, piccola più d’una cella, tenendo stretta tra le dita nervose, quella lettera e ripetendo a fior di labbra:
– Cinquant’anni di fatiche, distrutti... i miei bambini sulla strada... cinquant’anni di stenti... mio Dio, non me la fido più!...
Si chiuse a chiave, come sempre.
Quella che doveva essere la solita mezzoretta di siesta dovette essere agitatissima, se riapparve presto tra le Figlie a passo incerto e col volto chiazzato color paonazzo.
La Rev.ma Superiora e Suor Bernardina, che negli ultimi anni gli stavano più da presso, allarmate insistettero perché tornasse a riposare, a star tranquillo.
Pochi minuti dopo dei lamenti:
– Sono morto... sono morto…
– Aprite Padre... per carità aprite…
A scassinare la porta furono don Giovannino Catalano – capomastro dei lavori in corso – e il giovane Giovanni Gandolfo, affezionatissimo al Padre che l’aveva accolto nella Casa, all’età di nove anni.
Il Padre, riverso sul letto, parea ferito a morte. Sangue veniva fuori dall’orecchio.
Una sola ansiosa domanda sulle labbra di tutti:
– Padre cosa avete... Padre che vi sentite...
– Niente... niente... il sindaco Cusenza ha ammazzato padre Messina!...
Furono le sole parole dette.
Per sei giorni e sei notti fu una dura, spossante lotta tra la vita e la morte.
Nel camerino del bagno furono trovate chiazze di sangue e i suoi occhiali.
Quel meraviglioso campione di Dio che, per oltre cinquant’anni, avea sbalordito per quel che aveva fatto avversari e benefattori, autorità e povera gente, era stato messo a tappeto da un pezzo di carta dalla testata autorevole. Un pezzo di carta contenente il veleno che gli avea fatto scoppiare il cuore.
Alla morte andò serenamente. Aveva fatto quanto possibile, perché il Bene fosse ben fatto.
Coscienza pulita e retta, non aveva sentito peccare d’orgoglio quando, un anno prima di morire, aveva detto: – Ho qualche cosa da potere, un giorno, mostrare indegnamente e umilmente al Padreterno.
Per ciò si rese degno d’aver scolpito sulla tomba l’epigrafe da lui dettata per i consacrati a Dio: – Qui giace un amante di Gesù .
" La morte è il momento più bello dell’uomo. Chè trova allora tutte le virtù praticate, la forza e la pace di cui si è provvisto" scrisse il pio padre Lacordaire. Ed è vero per chi vive e muore come è vissuto e morto il padre Giovanni Messina.
Per quell’ amante di Gesù
il morire fu davvero il cadere
nelle braccia di Dio. Se n’andò nel giorno di Maria, che pazzamente amò: il 24 maggio.
Alle ore 16,30 se n’andò in sul calar del sole
che dolcemente e lentamente, tingeva d’oro fino, l’orizzonte lontano, il mare attonito e commosso, il Pellegrino vigile e silente. Se n’andò prima che il sole se n’andasse per tuffarsi gioiosamente nella immensa Luce dell’infinito Amore.
" Vieni Signore Gesù!"
Si tacquero le labbra smorte alla preghiera umana, e le pupille vivide e lucenti lentamente s’ascosero dietro le palpebre sonnolenti e stanche.
Allora ogni pietra della Casa ridonò alla sua lacrima cocente al Costruttore tenace e vigoroso. Nelle lacrime abbondanti delle Figlie sconsolate e nei singhiozzi incontrollati dei dolci orfanelli
rimasti, ancora una volta senza il Padre, si lesse lo smarrimento di un vuoto che non si sarebbe più potuto colmare.
Ogni pietra della Casa rivelò allora, i gemiti occulti del Fondatore santo nei gemiti sinceri della folla riverente, diventata un mare.
Ogni pietra della Casa lanciò allora la sua sfida agli uomini del mondo e al tempo che s’eterna: noi non ci muoveremo mai più da qui.
CAPITOLO III
Dai giornali
" Il Cardinale Arcivescovo Ernesto Ruffini ha visitato la Salma del padre Messina, pregando a lungo.
Una folla di cittadini ha reso omaggio nella bianca chiesetta sul mare,