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I gigli calpestati
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E-book282 pagine4 ore

I gigli calpestati

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Pubblicato nel 1906, "I gigli calpestati" è uno dei primi romanzi scritti da Rafael Sabatini. Anticipando le ambientazioni di "Scaramouche" – il suo capolavoro del 1922 – il presente romanzo si divide fra il 1789 e il 1793. All'inizio La Boulaye, il protagonista, è il segretario del prepotente Marchese di Bellecour, un signorotto di campagna che non esita a far valere il famigerato "ius primae noctis" sui malcapitati contadini del suo feudo. Innamoratosi della figlia del padrone, La Boulaye ha però scarsissime chance di conquistarla. La tremenda punizione a cui lo condanna il Marchese per un suo tentativo di aggredirlo verrà fermata proprio da Suzanne, che, sebbene innamorata, esita a sfidare le rigide imposizioni di classe. Quattro anni dopo, a Rivoluzione Francese ormai inoltrata, i ruoli sembrano essersi invertiti: adesso è Suzanne de Bellacour a necessitare dell'aiuto di La Boulaye, nel frattempo divenuto deputato e amico intimo di Robespierre... -
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2023
ISBN9788728514849
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    Anteprima del libro

    I gigli calpestati - Rafael Sabatini

    I gigli calpestati

    Translated by Alfredo Pitta

    Original title: The Tampling of the Lilies

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1932, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728514849

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Parte Prima.

    L’ANTICO REGIME.

    I.

    IL SEGRETARIO.

    Era la primavera del 1789, e cioè meno di tre mesi prima che la presa della Bastiglia sopravvenisse a scuotere la nobiltà di Francia e a farle comprendere che le nuove teorie filosofiche così a lungo derise non erano soltanto vaghi idealismi, come aveva potuto credere.

    Presso il ruscello che serpeggiava scintillando attraverso il parco di Bellecour, passeggiava Caron La Boulaye, la cui alta, smilza persona, stretta nell’abito nero, stonava in quel paesaggio soleggiato, gajo, della brillante gajezza primaverile. Ma quel nero che sarebbe parso lutto, e che era soltanto il segno esteriore del suo ufficio di segretario presso il nobile e potente marchese de Fresnoy de Bellecour, era quel giorno anche in contrasto col suo cuore, che pareva gli cantasse in petto gioiosamente, come i fanelli nel bosco che egli attraversava. Su quella cupa livrea, del colore dell’inchiostro, di cui egli viveva, risaltava vivamente la faccia pallida, magra, pensosa, alla quale davano insolita luce i grandi occhi intelligenti e ora scintillanti di una insolita felicità. Il giovane teneva sotto il braccio un volume di Rousseau, « Discorsi sull’origine dell’ineguaglianza », uno di quei libri che contribuivano così ampiamente al vasto mutamento che già cominciava a sconvolgere il mondo; ma certo nel suo animo, in quell’ora, non erano i sogni metafisici del filosofo ginevrino che avevano il sopravvento, chè invece tutto era luce e canto e gioia, e nella mente sgorgava come una sorgente di poesia, sotto forma di versi ardenti che egli dedicava alla sua dea…

    Sì, la sua dea, una fanciulla di nobilissima stirpe, la stessa figlia di quel marchese de Bellecour del quale egli era segretario. Segretario, null’altro che questo: un impiegato, poco più che un servo, ma con un grande animo, e con una gran fede nei luminosi avvenimenti che quel libro, suo fedele compagno, vagamente profetizzava. E per di più quel giorno egli aveva una così grande letizia in cuore, che a un certo punto si mise a canticchiare quasi senza avvedersene, dapprima quasi timidamente, e poi a mano a mano con maggior vigoria. Era una vecchia canzone popolare:

    Si le roi m’avait donné

    Paris, sa ville jolie,

    Et qu’il me fallut quitter

    L’amour de ma mie,

    Je dirais au roi Louis:

    — Reprenez votre Paris.

    J’aime mieux ma mie, o gai!

    J’aime mieux ma mie! ¹

    Che cosa bizzarra è il cuore di un innamorato! Quel giovane che, sebbene avesse passata di pochi anni la ventina, aveva l’abitudine di pensieri solenni, poteva divenire ad un tratto così lieto da cantare ad alta voce, solo nel silenzio del bosco, una vecchia canzone gaia e appassionata ad un tempo, e questo unicamente perchè Susanna de Bellecour la sera precedente gli aveva parlato sorridendo, sebbene per non più di due minuti d’orologio.

    « J’aime mieux ma mie! » Ma si sarebbe detto che quel ritornello richiamasse La Boulaye alla realtà, giacchè egli s’interruppe per dire ad alta voce, e guardando il ruscello come per parlargli direttamente:

    — Presuntuoso che sono!… — Ma subito dopo riprese: — Ma no, perchè presuntuoso? Ormai i tempi mutano; e tra breve tutti saremo eguali, come Iddio ci ha fatti. Allora…

    S’interruppe e sorrise pensosamente, di un sorriso che diveniva più luminoso, a mano a mano che egli rivedeva col pensiero la scena della sera precedente.

    Ella aveva sorriso… Aveva riso, anche, di quel suo riso così dolce e argentino, che ora egli tentava di rifare come per avere il piacere di udirlo ancora. Quello stesso riso che a un certo punto proruppe improvvisamente alle sue spalle, mentre la più bella voce del mondo gli domandava gaiamente perchè egli ridesse così.

    Parve in quel momento a La Boulaye che qualche cosa gli facesse groppo alla gola e gl’impedisse di respirare; ad ogni modo egli divenne ancora più pallido di quanto fosse per natura e per l’abitudine di stare a tavolino. Prontamente, ma con una certa goffa timidezza, si volse e fece un profondo inchino.

    — Mademoiselle! Voi! Mi avete… mi avete sorpreso, — potè balbettare soltanto, come avrebbe fatto uno sciocco. Ed infatti, si disse subito dopo, come avrebbe potuto egli, i cui compagni erano stati esclusivamente i libri, avere appreso il modo di condursi in presenza di una donna, e soprattutto di una donna appartenente a quella classe che egli, nonostante Rousseau e gli altri suoi cari filosofi, era abituato a considerare tanto superiore a lui.

    — Davvero? — replicò la fanciulla. — Allora vi dirò che sono ben contenta, monsieur, di avervi sorpreso in un momento di gaiezza, giacchè, in verità, la gaiezza è una cosa piuttosto rara in voi.

    — Proprio così, ahimè! — sospirò egli, quasi senza sapere ciò che dicesse, e tuttavia volendo cortesemente convenire in ciò che la fanciulla diceva. — Una cosa rara.

    A quell’uscita, Susanna rise di nuovo, mentre La Boulaye si sentiva divenire il viso di fiamma e la guardava più che mai imbarazzato. Poi ella riprese:

    — A quanto pare vi ho rattristato col ricordarvi che i momenti felici sono purtroppo rari; e me ne dispiace, perchè un momento fa eravate, o sembravate, così allegro! Oppure — continuò poi maliziosamente — è stato il mio improvviso apparire che ha offuscato il cielo sereno della vostra felicità?

    Di nuovo il giovinotto arrossì come uno scolaretto colto in fallo, e protestò con tanta vivacità da dire più di quanto avrebbe voluto.

    — Voi, mademoiselle? Ma non sapete che se anche fossi stato triste sarebbe bastata la vostra presenza a dissipare la mia tristezza, così come il sole dissipa la nebbia sulla montagna?

    — Ah, ah! Siete poeta, a quanto vedo! — esclamò ella scherzosamente, con una graziosa mossa che scosse i bei riccioli bruni e sollevando gli occhi azzurri al cielo. — Poeta, nientemeno, monsieur! E senza che ne avessi avuto mai il minimo sospetto! Vi credevo infatti nient’altro che un grande studioso, come mio padre dice sempre che siete.

    — Ma non siamo forse tutti poeti, in un certo periodo della vita? — replicò La Boulaye, il quale, abituandosi alla presenza di lei e sentendosene come rapito, sentiva ora il suo coraggio ritornargli, e trasportarlo anzi oltre i limiti della discrezione.

    — Ed in quale periodo ci prende questa fantasia poetica? — domando ella. — Illuminatemi, monsieur.

    La Boulaye sorrise, come per secondare il gaio umore di Susanna; ma si sentiva quel giorno un uomo così diverso da quello che di solito era, che replicò senza timore, ed anzi con una temerità alla quale la sua volontà, strano a dirsi, pareva estranea:

    — Ci prende, mademoiselle, in qualche bel giorno di primavera come questo. Non è forse la primavera la stagione dell’amore, e non hanno di essa cantato i poeti, ispirati dal suo divino influsso? Ci prende nell’aprile della vita, quando abbiamo nel cuore il primo fragrante bocciolo di quello che diverrà poi un fiore, rosso come l’amore e profumato più di ogni altro fiore che Iddio abbia messo sulla terra per la delizia dell’uomo.

    L’intensità di sentimento con la quale egli parlava, e la stessa essenza di quelle parole, lasciarono per qualche momento la fanciulla muta, come vinta da una costernazione e da una incertezza nate da qualche oscura intuizione di cui non avrebbe saputo ancora rendersi conto. Poi, con un lieve riso nervoso, ella disse:

    — Sicché, monsieur le secretaire, da tutta questa meravigliosa fioritura di frasi, debbo dedurre che siete innamorato?

    — Sì, sono innamorato, signorina, — esclamò egli, guardandola così intensamente che Susanna, imbarazzata, chinò gli occhi. E subito dopo, il volume di Rousseau veniva gettato sull’erba, mentre il giovane si gettava in ginocchio e, come delirante, continuava: — Sono innamorato, e… e amo voi, mademoiselle!

    Ma aveva appena pronunciate quelle audaci parole che senti il coraggio venirgli meno. Venne la reazione. Egli impallidi, tremò, ma rimase in ginocchio, attendendo che la fanciulla gli ordinasse di rialzarsi e intanto volgendole qualche sguardo furtivo. La vide scura in volto, si accorse che respirava affannosamente, e quando infine ella diede un passo indietro ebbe coscienza della sua condanna.

    — Monsieur, monsieur, — disse dopo un momento Susanna, in tono triste, — fino a che punto spingete dunque questa pazzia primaverile? Avete dunque tanto dimenticato la vostra situazione… e la mia, che semplicemente perchè io parlo e rido e scherzo con voi, perchè vi tratto gentilmente, giungete sino a presumere di potermi parlare in questo modo? Come debbo rispondervi, dunque, giacchè… giacchè non sono così crudele da rispondervi come meritate?

    Era una cosa piuttosto strana, quel particolare coraggio di Caron La Boulaye. Un momento prima egli si era sentito divenire piccino piccino, spaventato dalla stessa temerità delle sue parole, ed ora che ella gli faceva rilevare quella temerità, il sangue gli saliva alla testa in un impeto di collera, di quella collera che ha la sua sorgente nella vergogna. Balzò subito in piedi.

    — Che cosa dite? — proruppe. — La mia situazione? Il mio grado, volete dire? Ma che cosa vi trovate di poco onorevole, nel mio grado e nella mia situazione? Io sono segretario, sono colto, ho studiato, e quindi, per diritto accademico, sono gentiluomo. Gentiluomo, dico, mademoiselle… No, non ridete! In che cosa dunque mi trovate inferiore a uno di quegli insipidi vanerelli che frequentano le sale di vostro padre? Non è il mio aspetto eguale al loro? Non sono le mie braccia altrettanto forti, le mie mani altrettanto destre, il mio spirito altrettanto pronto, la mia anima altrettanto sincera? Sì, — proseguì poi con voce ancora più concitata, e agitando le braccia poderose, — sì, ho anche io tutte queste qualità; e tuttavia voi mi schernite… Mi schernite pel mio grado nella società, nevvero?

    Il giovane si sentiva ora pervaso da una cieca ira. Tutto ciò che egli aveva sofferto in tanti anni, per l’alterigia sprezzante della classe alla quale apparteneva quella Susanna che egli amava e che lo scherniva, pareva in quel momento ritornargli in cuore. Ripensava alle innumerevoli umiliazioni che il suo fiero spirito aveva sofferto pel disdegno con cui quei boriosi, sprezzanti aristocratici gli parlavano, quasichè egli, soltanto perchè era obbligato a guadagnarsi la vita con la penna, fosse agli occhi loro meno del suolo sul quale posavano i piedi; a, quelle umiliazioni per le quali egli era giunto a odiare tutta la nobiltà di Francia, che gli negava il diritto di portare alta la testa soltanto perchè egli non era nato da Madame la Marquise, o da Madame la Duchesse. E insieme gli ritornavano alla mente tutte le sue grandi idee e le radiose speranze di una meravigliosa trasformazione sociale, il cui seme era stato gettato in lui dalle opere filosofiche, che egli aveva lette e assimilate con tanto appassionato fervore. Presuntuoso, lo aveva chiamato quella fanciulla che lo scherniva per la sua posizione sociale; ma perchè sarebbe stato egli presuntuoso, se aveva detto ciò che aveva detto, soltanto avvalendosi del diritto che ha ogni uomo che abbia in cuore amore per una donna?

    Davanti a quell’improvviso fiotto di parole, Susanna aveva indietreggiato lievemente, quasi spaventata. II giovane le appariva ora assai diverso da come lo aveva conosciuto, divenuto come era fiero in viso e nell’aspetto; e inoltre egli aveva parlato in modo da farle comprendere che apparteneva a quei rivoluzionari che le avevano insegnato a disprezzare, e che tuttavia ella sapeva così violenti da riuscire pericolosi.

    — Monsieur, — replicò ella dopo un momento, con voce incerta, e sollevando la sua gonna da amazzone come se si disponesse ad andarsene, — monsieur, badate; siete fuori di voi stesso. Sono oltre ogni dire desolata che vi siate lasciato trasportare sino a parlare così a me. Siamo sempre stati buoni amici, nevvero, signor La Boulaye? Ebbene, dimentichiamo questo penoso incidente, e sia finita. Volete?

    Per un momento La Boulaye esitò, davanti a quella voce che diveniva a mano a mano più seducente e conciliativa; poi si volse a mezzo, e in quell’atto gli accadde di vedere il libro di Rousseau da lui poco prima gettato sull’erba. Si chinò e lo raccolse, con un gesto che gli parve simbolico. Infatti per un momento egli aveva gettato via da sè il suo credo per confessare il suo amore a una donna, ed ora che ella lo aveva umiliato e respinto, egli ritornava al suo filosofo, pentito di quella momentanea diserzione.

    — Vi sbagliate, mademoiselle; sono perfettamente in me, — rispòse dopo qualche momento, con voce calma; e soltanto il viso lievemente arrossato rimaneva ad attestare del suo stato d’animo di pocanzi. — Piuttosto siete stata voi, iersera, per qualche breve momento, e oggi ancora, un po’… un po’ diversa dal solito. Ed è perciò che vi ho parlato così come ho fatto.

    Si sarebbe detto che fra quei due lo sdegno dell’uno si risollevasse quando si acquietava quello dell’altro. Infatti a quelle ultime parole lo sguardo di Susanna ebbe un lampo indignato.

    — Io? Io ero diversa dal solito? — ripetè. — Ma che cosa intendete dire, monsieur le secrétaire?

    — Si; ieri sera, e qualche minuto fa, anche, siete stata così gentile, così… Sorridevate con tanta dolcezza!…

    — Mon Dieu!— interruppe ella sdegnosamente. — Vedete dunque che cosa siete, voi, con tutte le qualità di cui vi vantate! Una donna non può sorridervi, non può dirvi una parola gentile, senza che voi v’immaginiate di avere fatta una conquista! Ma foi, voi e i vostri pari non meritate che di essere trattati come vassalli. Quando vi si mostra un po’ di gentilezza, he abusate; quando vi si stende un dito, pretendete tutto il braccio. Così, perchè ieri sera sono giunta sino a scambiare qualche parola scherzosa con voi e perchè ho avuto il torto di fare lo stesso anche oggi, vi credete in diritto di insultarmi? E’ questo il modo di ricompensarmi della mia…

    — Basta! — interruppe egli violentemente, di nuovo sdegnato. — Basta, vi dico, mademoiselle! Questo è troppo! Come! Significa insultare una donna, il dirle che la si ama? Alle più piccole creature è ingiunto di amare quello stesso Dio che il re ama, e Dio non se ne offende: è forse una donna più che Dio?

    — Monsieur, il vostro ragionamento è un po’ specioso, e voi trattate la questione in modo che non mi sento punto inclinata a rispondervi: D’altra parte è questa una discussione nella quale io non desidero di seguirvi. Mi basti dirvi che mi sento oltraggiata dalle vostre parole, dal vostro tono, da tutto il vostro contegno. Siete voi che mi obbligate a parlarvi così, e a essere dura con voi. Ad ogni modo questa faccenda deve essere finita una volta per sempre; e spero che non vorrete obbligarmi, ricominciando, a chiedere la protezione di mio fratello o di mio padre.

    — Una protezione che hai fin da questo momento, Susanna, — disse improvvisamente una voce da dietro un folto cespuglio, che fece trasalire entrambi i giovani, sebbene in modo diverso; e prima che essi si fossero rimessi dalla sorpresa apparve il marchese de Bellecour in persona.

    Era un uomo di oltre cinquant’anni, ma così fobusto e così impeccabilmente vestito e azzimato, che lo si sarebbe creduto molto più giovane. I lineamenti erano belli, ma alterati da un’espressione altezzosa e dal colorito giallognolo della pelle. Tuttavia gli occhi erano vivaci quanto la bocca era voluttuosa. Egli si avanzò lentamente, mentre il suo sguardo passava dalla figlia al segretario.

    — Ebbene? Che c’è? — domandò egli infine.

    — Oh, è nulla, papà, — rispose Susanna prontamente. — Un lieve malinteso fra il signor La Boulaye e me, pel quale non vale la pena di infastidirvi.

    Ma si sarebbe detto che in quel giorno La Boulaye si sentisse veramente molto più ardito del solito, perchè allo sguardo indagatore del marchese rispose con voce vibrante:

    — Non è un malinteso, signor marchese. Amo mademoiselle, e gliel’ho detto; ecco tutto.

    De Bellecour guardò l’audace segretario come sbalordito: si sarebbe detto che non comprendesse. Poi un lieve rossore gli salì lentamente sulle guance giallognole.

    — Ah, canaille! — esclamò, parlando a stento fra i denti serrati. — E come hai potuto permetterti di giungere fino a questo punto?

    Cosi dicendo stringeva minacciosamente il manico dello scudiscio che aveva in mano. Ma La Boulaye non parve spaventato. Si riteneva già perduto per ciò che aveva fatto, e quindi non si curava di rendere anche più grave la sua colpa.

    — Non c’è nè insolenza nè presunzione in ciò che ho fatto, — replicò, guardando fissamente il marchese e con un cipiglio non meno fiero. — A voi pare che sia così, perchè io sono il vostro segretario ed ella è vostra figlia; ma queste sono circostanze fortuite nelle quali ci siamo venuti a trovare tutti e tre. Ella è vostra figlia, ma è soprattutto una donna, ed io sono uomo prima di essere vostro segretario; quindi non è stato il segretario che ha parlato alla marchesina, ma un uomo a una donna. Ogni uomo ha il diritto di fare questo, ed ogni donna è onorata dall’amore di un uomo dabbene. In una condizione primitiva…

    — Mille diavoli che ti portino via! — urlò il marchese, incapace di contenersi oltre. — Debbono dunque le mie orecchie essere offese dai ragli di questo miserabile? Ma vedo che hai bisogno che ti insegni il rispetto dovuto ai tuoi superiori, vermicciattolo schifoso!

    E improvvisamente lo scudiscio sibilò, si allungò, e andò ad avvolgersi come un serpente intorno alla testa di La Boulaye, sferzandogli il viso. Un grido selvaggio eruppe dal petto del giovanotto, un grido di dolore e di sorpresa, ed egli si portò le mani alla faccia; ma ancora e ancora senti il morso del frustino, che ora pareva tagliargli le mani con le quali si riparava. Infine con un ruggito feroce egli si precipitò sul suo aggressore. Di statura era eguale al marchese, ma in robustezza gli era di molto inferiore; e tuttavia sentiva nelle braccia una forza nervosa che non avrebbe creduto di possedere.

    Susanna guardava come impietrita la scena, con le labbra semiaperte e una viva espressione d’ansia nei grandi occhi. Ella vide la figura giovanile del segretario, smilza e agile come quella di un veltro, balzare improvvisamente sul padre. Subito dopo lo scudiscio fu strappato dalle mani di questi. Poi La Boulaye indietreggiò, tenendo lo scudiscio, e con un respiro sibilante che gli consentiva appena di parlare si volse al gentiluomo, il quale ora rimaneva al suo posto, pallido in viso e tremante di rabbia, forse anche con un po’ d’apprensione.

    — Ringraziate la vostra età se non ve lo rompo sulle spalle, signor marchese, — esclamò il segretario, spezzando il manico dello scudiscio sul ginocchio e poi gettandone i due pezzi nelle acque scintillanti del ruscello. — Però avrò soddisfazione, e me la pagherete, questa.

    E così dicendo indicava le righe sanguigne e violacee che gli sfiguravano la faccia.

    — Soddisfazione? — ruggì il marchese, fuori di sè dall’ira. — Tu vorresti nientemeno domandare soddisfazione a me, animale?

    — No, — replicò il giovane con un sorriso sinistro. — Come vi ho detto, la vostra età vi protegge. Ma avete un figlio, e se domani non lo aveste più, non dovrete che ringraziarne voi stesso, giacchè sareste stato causa della sua morte; per questo, vedete.

    E di nuovo accennò al viso.

    — Vorresti dire forse che cercheresti di incrociare la spada col visconte, tu, mascalzone? — balbettò il gentiluomo, la cui meraviglia per tanta audacia pareva essere ancora maggiore della sua collera.

    — È’ proprio questo che intendo dire, Monsieur. Lo abbiamo fatto qualche volta per esercitarci; ora lo faremo sul serio.

    — Pazzo imbecille! — fu la sprezzante risposta, data in tono più freddo, giacchè il marchese cominciava a riprendere il dominio di sè. — Se ti avvicinerai ancora a Bellecour, se ti farai cogliere nel parco, ti farò morire sotto le verghe. Tieniti questo bene in mente, messer segretario, e bada ad evitare Bellecour come un luogo appestato, se non vuoi lasciarci la tua rozza pellé. Andiamo, Susanna, — proseguì poi volgendosi bruscamente alla figlia. — Abbiamo già sciupato troppo questa deliziosa giornata con una simile canaglia.

    Così dicendo egli le offrì il braccio, e senza degnare più di uno sguardo La Boulaye, entrambi si allontanarono.

    Il segretario rimase per qualche momento immoto, là dov’era, pallidissimo in viso, salvo che nei punti in cui la frusta aveva lasciato segni lividi o sanguinosi, e col cuore stretto da una indicibile angoscia. Ormai l’eccitamento era svanito, ed egli cominciava a poco a poco a comprendere la difficile posizione in cui si era messo. Innamorato respinto, uomo atrocemente oltraggiato, egli aveva per di più perduto l’impiego che gli serviva a guadagnarsi la

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