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Un lungo, fatale inseguimento d'amore
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Un lungo, fatale inseguimento d'amore
E-book278 pagine4 ore

Un lungo, fatale inseguimento d'amore

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Info su questo ebook

Rosamond Vivian, giovane, bella e orfana, vive da reclusa con il vecchio nonno arcigno e indifferente in una remota isola al largo delle coste inglesi. Non sa nulla del mondo a parte quello che ha appreso dai romanzi che legge avidamente. In una notte di bufera Phillip Tempest, bello, seducente e misterioso, arriva alla casa sulla scogliera. Rosamond, che sogna la libertà, ne rimane subito affascinata e accetta di seguirlo e di diventare sua moglie. Ma dopo un breve periodo di vita felice, si trova presa in una rete di intrighi, di crudeltà e d’inganni legati all’oscuro passato dell’uomo in cui ha riposto la propria fiducia. Per salvarsi dalla perdizione Rosamond fugge, tenacemente inseguita da Phillip, in Italia, in Francia e in Germania, da una soffitta parigina a un manicomio, da un convento a un castello. Phillip non le dà tregua, ricorrendo a tutti i mezzi pur di riconquistarla. Questo Inseguimento d’amore appassionerà i lettori perché contiene tutti gli elementi del classico romanzo ottocentesco, trattati con una forza e una spregiudicatezza moderne.
Louisa May Alcott
nacque a Germantown (Pennsylvania) nel 1832. Nutrita degli ideali educativi del padre, filosofo e pedagogista, iniziò a scrivere giovanissima. Pubblicò diversi volumi di novelle e romanzi non solo per ragazzi (tra cui, nel 1866, Un lungo, fatale inseguimento d’amore, firmato con lo pseudonimo A. M. Barnard) e divenne scrittrice affermata con Piccole donne (1868), al quale poi seguirono Piccole donne crescono (1869), Piccoli uomini (1871) e I ragazzi di Jo (1886). Morì a Boston nel 1888.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2024
ISBN9788822787538
Un lungo, fatale inseguimento d'amore
Autore

Louisa May Alcott

Louisa May Alcott was a 19th-century American novelist best known for her novel, Little Women, as well as its well-loved sequels, Little Men and Jo's Boys. Little Women is renowned as one of the very first classics of children’s literature, and remains a popular masterpiece today.

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    Anteprima del libro

    Un lungo, fatale inseguimento d'amore - Louisa May Alcott

    i. La bella Rosamond

    «Ti dico che non lo sopporto! Farò un gesto disperato se la mia vita non cambierà presto. Peggiora sempre e sento spesso che venderei volentieri l’anima al Diavolo per un anno di libertà».

    Aveva parlato una voce giovane e impetuosa e un intenso desiderio dava forza a quelle parole appassionate mentre la ragazza volgeva sconfortata lo sguardo intorno alla stanza tetra come una creatura in gabbia sul punto di liberarsi. Le pareti erano tappezzate di libri che ingombravano anche i tavoli ed erano accatastati tutt’intorno al suo solo compagno, un vecchio grinzoso e bizzarro. Questi sedeva su una bassa sedia a rotelle da cui gli arti paralizzati non gli permettevano di alzarsi senza aiuto. Il viso era consumato dalla passione e scavato dalla malattia, ma gli occhi erano ancora vivi e possedevano una misteriosa lucentezza che contrastava stranamente con l’immobilità dei lineamenti. Fissando i gelidi occhi penetranti sul volto agitato della ragazza, egli rispose seccamente: «Vattene quando e dove vuoi. Non ho alcun desiderio di trattenerti».

    «Ah, questa è la cosa più amara di tutte!», esclamò la ragazza con un improvviso tremito nella voce e uno sguardo patetico a quel viso indurito. «Se mi amassi, questa casa cupa diventerebbe accogliente e questa vita solitaria non sarebbe soltanto sopportabile, ma felice. Sapere che non t’importa nulla di me mi fa male al cuore. Ho tentato, Dio sa se ho tentato di fare il mio dovere per amore di papà, ma tu sei spietato e non perdonerai né dimenticherai mai. Dici Vattene, ma dove può andare una ragazza giovane, povera e sola come me? Non parlerai sul serio, nonno?»

    «Non parlo mai a vanvera. Fa’ come vuoi, vai via o rimani, ma non farmi più scenate, mi hanno stancato», e prese il libro come se considerasse chiuso l’argomento.

    «Me ne andrò non appena avrò trovato un rifugio e non ti sarò mai più di peso. Ma quando me ne sarò andata, ricorda che desideravo essere una figlia per te e tu hai chiuso il tuo cuore al mio affetto. Un giorno sentirai il bisogno di essere amato e rimpiangerai di aver gettato via il mio amore; allora mandami a chiamare, nonno, e dovunque sarò, tornerò e ti dimostrerò che io so perdonare». Un singhiozzo incrinò la voce indignata, ma la ragazza non versò una lacrima e si volse per uscire dalla stanza con passo orgoglioso.

    La vista di uno sconosciuto fermo sulla soglia la bloccò e stette a guardarlo senza dire una parola. Lui la fissò un momento, poiché l’effetto della graziosa figurina con il volto pallido e appassionato e gli occhi scuri colmi di dolore, di orgoglio e di determinazione era stupendamente accentuato dallo sfondo della grande stanza cupa, dalla sinistra presenza del vecchio e dai baleni di un temporale che si addensava nel rosso cielo autunnale. Durante quella breve pausa la ragazza ebbe tempo di vedere che il nuovo venuto era un uomo di oltre trent’anni, alto e vigoroso, con strani occhi e una cicatrice sulla fronte. Non notò altro, ma nel suo spirito eccitato avvenne un improvviso mutamento e sorrise involontariamente prima di parlare.

    «C’è un signore per te, nonno».

    Il vecchio alzò bruscamente gli occhi, lasciò cadere il libro con aria soddisfatta e tese la mano al forestiero, dicendo seccamente: «Nomina il Diavolo e lui appare. Benvenuto, Tempest».

    «Grazie molte; pochi riservano un’accoglienza così franca e cordiale al Maligno», replicò l’altro con una breve risata che scoprì denti di un bianco smagliante sotto un paio di baffi neri piegati all’ingiù. «Chi è la Tragica Musa?», aggiunse sottovoce stringendo la mano tesa.

    «Giusto! L’hai definita bene. Rosamond, questo è il più promettente di tutti i miei allievi, Phillip Tempest. La Tragica Musa è la figlia di Guy, come forse potrai intuire, Phillip, dal suo atteggiamento ribelle!».

    La ragazza s’inchinò con una certa alterigia e l’uomo inarcò le sopracciglia con aria sorpresa mentre ricambiava l’inchino e si sedeva accanto al suo ospite.

    «Suona perché portino i lumi e vattene», ordinò il vecchio e Rosamond scomparve dalla stanza, che sembrò subito più buia.

    Rimase seduta per mezz’ora davanti alla finestra del grande vestibolo a guardare le onde che si frangevano sulla costa rocciosa, rimuginando pensieri tristi e amari mentre scendeva la notte e il mondo esterno diventava tetro come la casa che la opprimeva tanto. Con un sospiro stava per alzarsi e andare in camera sua quando avvertì improvvisamente una presenza umana vicino a lei e girandosi vide il nuovo venuto che, uscito dalla stanza del vecchio, la osservava con un curioso sorriso. Un involontario sussulto la tradì mostrando che si era completamente dimenticata di lui, una scortesia che tentò di giustificare dicendo in fretta: «Ero così assorta a guardare il mare che non l’ho sentito uscire. Amo le tempeste e...».

    Lui la interruppe con una breve risata e disse con una voce profonda che sarebbe stata melodiosa senza la sfumatura beffarda raramente assente: «Ne sono lieto, giacché suo nonno mi ha invitato a passare la notte qui e lo farò molto volentieri dal momento che alla mia giovane ospite piacciono le tempeste, anche se non posso promettere di essere interessante quanto quelle metereologiche».

    Nella luce incerta del vestibolo buio il volto del nuovo venuto apparve improvvisamente torvo e minaccioso e lanciando un’occhiata a un ritratto di Mefistofele, Rosamond esclamò: «Ma lei è l’immagine stessa di Mefi...».

    Tempest si avvicinò al quadro appeso di fronte al lungo specchio. Mentre lo guardava, un’ombra gli attraversò il viso, un’espressione stanca e malinconica che la commosse e la fece pentire della sua franchezza. Con un gesto impulsivo gli tese la mano, dicendo in tono di dolce rammarico: «Le chiedo scusa; sono stata molto scortese, ma vivo sempre sola con il nonno, che è un vecchio originale, e non so comportarmi da persona beneducata. Non volevo essere sgarbata; mi perdona?»

    «Penso di sì a condizione che lei faccia la padrona di casa per un poco, giacché suo nonno mi prega di restare per la notte e mi affida alle sue cure. Posso rimanere?».

    Le tenne la mano mentre parlava, fissando lo splendido viso così inconsapevole della propria bellezza. Un sorriso ospitale le illuminò il volto malinconico e con una parola di benvenuto lo condusse in una piccola stanza affacciata sul mare. Facendolo accomodare in una poltrona, attizzò il fuoco finché scaturì un’allegra fiamma, accese un bel lume, tirò le tende, poi si fermò come incerta sulla prossima mossa.

    «Prendo sempre il tè qui da sola e al nonno lo faccio portare su in camera. Vuole prenderlo con lui o con me?»

    «Con lei, se non ha paura della mia pericolosa compagnia», rispose con un sorriso eloquente.

    «Mi piace il pericolo», disse lei arrossendo e scuotendo con petulanza il capo mentre lanciava un’occhiata audace al suo ospite.

    Suonando il campanello, ordinò il tè e quando arrivò, si affaccendò a servirlo con la graziosa serietà di una bambina che gioca a fare la signora. Adagiato nella sua poltrona, Tempest la osservò con un’espressione d’indolente divertimento, che lentamente si trasformò in sorpresa e interesse mentre la ragazza parlava con un’animazione e una libertà particolarmente affascinanti per un uomo che aveva sperimentato molti piaceri e, stanco di tutti, era lieto di scoprirne uno nuovo, anche semplice come quello. Sebbene la vita isolata avesse privato Rosamond delle raffinatezze mondane, aveva preservato in lei l’ingenua freschezza della gioventù e aveva dato alla sua natura ardente un’intensità che trovava sfogo in manifestazioni infinitamente più attraenti delle grazie artificiose di altre donne. La sua bellezza appagava l’occhio artistico di Tempest, la sua singolarità ne stuzzicava la curiosità, la sua vivacità ne alleviava la noia e il suo temperamento lo interessava perché lasciava trasparire inconsapevolmente forza, orgoglio e passione. Lei era così assolutamente naturale e anticonformista che lui si trovò ben presto su un piano di familiarità, rivolgendole ogni sorta di domande insolite e ricevendo risposte assai piccanti.

    «Dunque, come Mariana nella fattoria sul fosso, si sente spesso stanca, stanca e vorrebbe morire, immagino?», disse dopo averle cavato di bocca la storia della sua vita solitaria con una serie di abili domande. Con sua sorpresa lei rispose coraggiosamente con uno sguardo pieno di vivacità che non tradiva la minima debolezza sentimentale, ma una volontà indomabile e uno spirito gioioso.

    «No, non lo vorrei mai. Non ho intenzione di morire prima di essermi goduta la vita. Tutti hanno diritto di essere felici e prima o poi anch’io lo sarò. Giovinezza, salute e libertà non devono andare sprecate e voglio provare ogni piacere prima di essere troppo vecchia».

    «Ho tentato di seguire quella strada ed è stato un fallimento».

    «Ah, sì? Mi racconti tutto, per favore». Rosamond avvicinò una sedia bassa con aria molto interessata.

    Tempest sorrise involontariamente all’idea di raccontare le sue esperienze a una simile ascoltatrice e disse, in risposta a un piccolo cenno imperioso che lo incitava a parlare: «Quella storia non le interesserebbe; ma le posso assicurare che si può incominciare con la giovinezza, la salute e la libertà, si può gustare ogni piacere, non obbedire ad alcuna legge se non alla propria volontà, vagabondare per il mondo e tuttavia a trentacinque anni essere indicibilmente stanchi di ogni cosa sotto il sole».

    «È così vecchio? Non lo credevo», fu la risposta di Rosamond.

    «Trentacinque anni sembrano un’età venerabile a una quindicenne?», chiese Tempest, curioso di scoprire la sua età.

    «Ho diciott’anni», replicò lei con un’aria dignitosa che le si addiceva molto; poi tornando all’argomento che le interessava, disse pensosamente: «Non capisco come ci si possa stancare del piacere. Ne ho avuto così poco che sicuramente lo apprezzerei molto e non riesco a immaginare niente di più bello che godere di una piena libertà come lei».

    «C’è pochissima vera libertà nel mondo; anche quelli che sembrano i più liberi sono spesso i più strettamente vincolati. La legge, il costume, l’opinione pubblica, il timore o la vergogna ci rendono tutti schiavi, come lei avrà modo di scoprire quando tenterà il suo esperimento», disse Tempest con un sorriso amaro.

    «M’intendo poco di legge e di costume, disprezzo la pubblica opinione e sono pronta a sfidare il timore e la vergogna, giacché tutti hanno diritto di essere felici a modo loro».

    «Anche a prezzo di ciò che viene chiamato onore e onestà? È una filosofia molto comoda e avendola predicata e praticata durante tutta la vita, non ho diritto di condannarla. Ma i santi la definirebbero peccaminosa e pericolosa e le direbbero che la vita dovrebbe essere una lunga penitenza piena di dolore, sacrificio e canti religiosi».

    «Sono stanca di sentirlo ripetere! Nei libri che leggo i peccatori sono sempre più interessanti dei santi e nella vita reale le persone buone sono terribilmente noiose. Non desidero essere cattiva, ma voglio essere felice. La mia aspirazione è una vita breve e gioiosa e sono disposta a pagare per il mio piacere, se necessario».

    «Il prezzo da pagare potrebbe essere alto, ma prima o poi sono sicuro che avrà quello che vuole, giacché una volontà forte vince sempre».

    «Grazie per avermelo detto. È la prima parola d’incoraggiamento che ricevo da anni. Mi consolo con sogni e speranze, ma le rincuoranti profezie pronunciate da labbra amiche sono molto più efficaci», disse lei con gratitudine.

    «Mi parli dei suoi sogni e delle sue speranze».

    «Alcuni la farebbero ridere, ma non ho timore di confessarle che spero di essere libera come l’aria, di vedere il mondo, di scoprire che cosa sono il benessere e il piacere, di avere molti amici e di essere teneramente amata».

    Nel pronunciare lentamente le ultime parole la voce si abbassò quasi ad un sussurro e gli occhi vividi si oscurarono all’improvviso. La fiamma rossastra illuminava la figura snella nell’abito semplice e il volto chino, incorniciato dai riccioli scuri, e Tempest pensò che la piccola stanza racchiudesse il più dolce esempio di femminilità che avesse mai veduto. La maggioranza degli uomini si sarebbe commossa all’udire le innocenti confessioni della ragazza, ma anni di egoismo gli avevano indurito il cuore ed egli si limitava a trarre piacere da lei come da un bel fiore, da un libro emozionante, da una canzone appassionata. Rosamond sedette ad ascoltare il vento che ora infuriava fuori e la pioggia che batteva sui vetri. Anche Tempest stette ad ascoltare con uno strano sorriso; la ragazza lo notò e chiese sorridendo a sua volta: «Anche a lei piacciono le tempeste come a me?»

    «Sì, ma stavo pensando a una cosa strana. Ogni volta che entro in una casa dove sta per capitarmi un’avventura o un’esperienza, porto invariabilmente con me una tempesta».

    «È naturale, se si riferisce al suo nome. Ma intende dire che si scatena una vera tempesta quando lei va a trovare qualcuno?»

    «Il presagio non fallisce mai e sto diventando superstizioso. Per questa ragione faccio raramente visita a qualcuno o scendo a terra», rispose mentre lei alzava gli occhi ridenti al suo viso.

    «Ma allora dove vive?»

    «Vado in giro sul mio yacht».

    «Allora era lei che ho visto entrare intrepidamente in porto oggi e a cui ho augurato buon viaggio?»

    «Grazie, lo è quasi sempre. Per mesi ho vissuto come un re del mare, vagabondando qua e là senza altra compagnia che i libri e il mio paggetto greco, Ippolito».

    «Che bellezza! Dev’essere una vita stupenda! Me ne parli, la prego. Amo talmente il mare che tutto ciò che lo riguarda mi affascina», e Rosamond lo tempestò di domande fino a scuoterlo irresistibilmente dal suo tedio e indurlo a raccontare i piaceri e i pericoli di un viaggio estivo. La ragazza ascoltò con il viso attento e un avido interesse più lusinghiero delle parole e quando lui tacque, esclamò con un sospiro di soddisfazione: «Racconta così bene che mi sembra di vedere tutto ciò che descrive. Dove andrà quando salperà di nuovo?»

    «Incrocerò fra le isole del Mediterraneo se non mi viene qualche altro ghiribizzo. Sa che non c’è inverno in quello splendido clima e l’estate dura tutto l’anno; è un piacevole cambiamento dopo le nostre nebbie e i nostri venti, perciò quando starà seduta qui il prossimo gennaio con il nevischio che batte sui vetri e i cumuli di neve che imbiancano le rocce giù in basso, potrà immaginarmi sdraiato fra le viole e le primule sotto gli aranci di Valrosa».

    «Che cos’è?», chiese la ragazza, bevendo ogni parola.

    «La mia piccola villa vicino a Nizza. Non la vedo da due o tre anni e mi è venuta voglia di tornarci. Un bel posticino in un nido di rose; proprio il luogo adatto per trascorrervi la luna di miele».

    «Ha passato lì la sua?»

    «Ho l’aria di essere mai stato in luna di miele?».

    Per nulla intimorita dal tono improvvisamente brusco della domanda, Rosamond si protese avanti e scrutò gravemente il volto che le stava dinanzi. Era impenetrabile e tutto ciò che le riuscì di scoprire fu che Tempest aveva occhi magnifici e una bocca che tradiva un’indole crudele.

    «No, credo di no», disse con decisione. «Non ha l’aspetto di un uomo che ha una moglie da amare o dei bambini da prendere sulle ginocchia. Non tiene a quelle cose, vero?»

    «No, non voglio vincoli di alcun genere. Sa leggere bene le facce». Si lasciò andare ad una silenziosa risata, più beffarda che allegra.

    «La diverto?», chiese Rosamond con aria piccata.

    «Moltissimo. Erano secoli che non ridevo tanto. Vorrei poter convincere suo nonno a venire in viaggio con me e permettermi di godere della sua gaia compagnia».

    «Ah, magari lo facesse! Ma è impossibile. Non mette mai il naso fuori di casa e io sono quasi inamovibile come lui».

    «Non va mai via?»

    «Mai. Fino al suo arrivo non avevo visto una faccia sconosciuta da settimane e quando se ne andrà, ripiomberò in quella terribile solitudine. Deve proprio salpare domattina?»

    «La parola dovere non fa parte del mio vocabolario. Vado e vengo a mio piacimento e faccio la vita dell’Ebreo errante; con la comoda differenza di sapere che ho il privilegio di poter morire quando voglio».

    «Non ha l’aspetto di uno che può morire, è così forte e...». Non finì la frase ma guardò la vigorosa figura maschile dinanzi a lei con sincera ammirazione di donna.

    «Sono stato sul punto di dimostrare che sono mortale più di una volta; ma la mia ora non è ancora venuta, perciò devo aspettare il momento giusto».

    «Ha ricevuto quella ferita in una delle occasioni a cui allude?», indagò Rosamond, toccandosi la fronte liscia per indicare la cicatrice su quella dell’uomo.

    Un fugace lampo attraversò gli occhi di Tempest e la sua mano possente si serrò come una morsa, ma la voce non tradì alcuna emozione.

    «Sì, devo ringraziare un amico per quella e per un anno di sofferenze. Comunque, il debito è stato pagato e non ho risentito della ferita. Mi dicono che simili cicatrici migliorano l’aspetto perché conferiscono un’aria eroica. Le piace?»

    «Non più. Se l’avesse ricevuta in una vera battaglia, avrei potuto ammirarla, ma i duelli non sono eroici».

    Tempest sorrise del suo tono deciso, tuttavia si passò la mano sulla fronte come se non considerasse la cicatrice un ornamento e chiese con un po’ di curiosità: «Dove ha preso quell’idea? Non da suo nonno, sicuramente; si è battuto troppe volte a duello per condannare quell’uso».

    «L’ho presa dove prendo la maggioranza delle mie idee: dai libri. La casa ne è piena e non faccio altro che leggere. Il nonno era molto cattivo e scapestrato da giovane? Non parla mai di sé, e durante i dieci anni che ho trascorso con lui non ho scoperto niente sulla sua vita passata tranne che non ha mai voluto perdonare papà per il suo matrimonio».

    «È buono con lei?»

    «Sì, a modo suo. Mi ospita sotto il suo tetto, ma niente altro. Non ho mai capito perché mi abbia preso con sé; era arrabbiato con mamà, eppure quando lei è morta mi ha accolto in casa sua».

    «Le posso dire perché lo ha fatto».

    «Che cosa ne sa lei?». Gli occhi sognanti di Rosamond si spalancarono mentre si volgeva verso di lui.

    «Ho visto la sua bella mamma soltanto una volta, eppure non l’ho mai dimenticata. Già allora ero un allievo di suo nonno, sebbene fossi ancora un ragazzo, ma lui era un vecchio buontempone e guardavamo la vita con gli stessi occhi. Sua madre avrebbe ereditato una fortuna se non avesse scontentato il padre sposando un uomo povero. Ora la sorella possiede quella fortuna, ma alla sua morte verrà a lei. Perciò il vecchio non la lascia andare via».

    «Ah, è così? Sapevo che non mi amava, ma credevo che potesse esserci un po’ di pietà nel suo gelido cuore. Spero di ereditare presto quella fortuna in modo da poter essere libera prima del previsto».

    «Ha intenzione di andare via allora?»

    «Sì, non posso più sopportare questa vita, è così solitaria e priva di scopo. Non m’importa di nessuno e a nessuno importa di me; gli anni si trascinano uno dopo l’altro e niente cambia».

    «Tranne che il bocciolo diventa una rosa».

    «Molto spinosa perché non c’è un premuroso giardiniere che la curi e la coltivi», disse lei tristemente.

    «Le rose selvatiche sono le più belle e la natura è un giardiniere migliore dell’arte».

    Sembrava proprio una rosa mentre diventava tutta rossa sotto il suo sguardo e mostrava apertamente che la sua ammirazione la lusingava, anche se la faceva un po’ vergognare.

    «Non ho mai ricevuto un complimento prima, ma credo che mi piaccia, sebbene non lo meriti», disse così ingenuamente che la bocca sarcastica dell’uomo si addolcì in un sorriso di sincero divertimento.

    «Ne faccio di rado, ma stasera mi sembra di vivere in una favola, seduto in questa torre incantata mentre fuori infuria la bufera e la bella Rosmunda m’intrattiene amabilmente accanto al fuoco. Conosce la vecchia ballata?»

    «Oh, sì e mi piace molto. Invento spesso storie d’amore quando sono stanca di leggerle. Vuole che le canti una piccola canzone che ho composto sulla mia omonima?»

    «Certo. È proprio l’ora e il luogo adatto per quel genere di musica».

    Volgendosi al vecchio strumento accanto a lei, Rosamond riversò nella semplice ballata tutta la passione e il pathos della sua voce giovane e fresca. Tempest ascoltò con l’indolente soddisfazione di un uomo i cui sensi, quei ministri di piacere, erano stati coltivati al massimo grado da anni di compiacente indulgenza. Tuttavia, quando lei tacque, non la ringraziò, ma rimase seduto a fissare cupamente il fuoco come se la musica avesse ridestato ricordi di altre effimere rose che avevano addolcito la sua vita.

    Prima che uno dei due parlasse echeggiò un violento scoppio di tuono e un lampo accecante squarciò il cielo, seguito da uno schianto fragoroso. L’uomo non si mosse ma la ragazza balzò in piedi esclamando: «Era il cedro sulla scogliera! Pensavo che sarebbe stato colpito un giorno o l’altro», e andò alla finestra.

    «Venga via se non vuole subire la stessa sorte del cedro», disse Tempest in tono imperioso. Ma Rosamond rimase nella sua pericolosa posizione finché un secondo lampo non mostrò che la sua supposizione era giusta; allora ritornò a sedere, dicendo con dispiacere: «Era il mio albero preferito. Lo piantò papà quando nacqui e l’avevo sempre considerato mio. È un cattivo presagio perché i superstiziosi dicono che quando l’albero muore, anch’io morirò presto. Lei crede a queste cose?»

    «No», fu la breve risposta, ma Tempest mormorò fra sé: «La mia venuta è un presagio peggiore della bufera o del tuono, se

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