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L' uomo di Sopot
L' uomo di Sopot
L' uomo di Sopot
E-book464 pagine8 ore

L' uomo di Sopot

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Info su questo ebook

Una promessa fatta ad un amico e che deve essere mantenuta. Fatti lontani e vicini che si intrecciano svelando un passato fatto di dolore, di sopraffazione e follia collettiva; ed un presente dove la rabbia e il risentimento non si sono ancora assopiti. Un uomo coraggioso sfida una comunità omertosa mettendo a rischio la propria vita per svelare segreti che non devono essere rivelati.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2023
ISBN9791221467161
L' uomo di Sopot

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    Anteprima del libro

    L' uomo di Sopot - Timo F. Crispo

    Altri libri dell'autore:

    L'anima nera del farmaco

    Timo F. Crispo

    L'uomo di Sopot

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono immaginari o usati in chiave romanzesca e qualsiasi somiglianza con persone, fatti o località reali è puramente casuale.

    L'uomo di Sopot

    1

    1986 Sopot

    La strada era ampia e con poche auto e ancora meno pedoni e correva parallela al marciapiede e alla sua sinistra c'era la foresta di Tri-City area dove al suo interno si trovava l'Opera Lesna, il grande teatro all'aperto dove si tiene ogni anno il famoso festival della canzone e che costeggia la città balneare di Sopot: autunno del 1986, nord della Polonia, regione della Pomerania.

    Tomas Kral la percorreva con passo deciso e si lamentava del clima maledettamente rigido e del vento gelido. Pensava che Varsavia in quanto a freddo era insuperabile ma anche Sopot non scherzava; ora mentre camminava cominciavano a dolergli le orecchie per il freddo e si chiedeva come cazzo gli era venuto in mente di uscire di pomeriggio inoltrato con questo pungente clima autunnale e non aver portato con se qualcosa di caldo: un berretto di lana o una fascia per proteggere le orecchie: le sentiva così doloranti che potevano cadergli da un momento all'altro e cominciò a sfregarsele con le mani per attirare del calore e ripromettendosi che al primo negozio che capitava a tiro e che vendeva qualche capo di abbigliamento si sarebbe fermato e avrebbe acquistato qualcosa adatto per proteggersi dal freddo.

    L'uomo di 35 anni: alto e snello con capelli scuri e arruffati, forse per non litigare con il pettine e la spazzola, e dall’andatura dinoccolata,  aveva un aspetto alquanto trasandato e certamente i vestiti che indossava non erano di gran pregio ma non denotava trascuratezza o sporcizia ma piuttosto il fatto che dava l’impressione di essere un uomo disordinato e un po' indolente e sicuramente molto indaffarato. Chi lo conosceva sosteneva che era poco legato ai beni materiali e osservandolo più attentamente si capiva che quest’uomo era più  dedito ad una vita spirituale, e sì intuiva che non aveva la fortuna di  avere una donna stabile accanto a se che potesse mettergli ordine nella sua vita incasinata e frenetica.

    Non disprezzava ciò che era diventato, e se anche la considerazione della gente su di lui non era molto positiva, lui proseguiva per la sua strada sempre con una buona dose di ottimismo, e se era qui a Sopot era per mantenere una promessa fatta tempo addietro ad un cliente, ma forse era meglio chiamarlo amico, che ora non c'era più. Qualcuno nella cerchia delle sue amicizie gli aveva riferito che quel suo conoscente si era suicidato e Tomas a differenza di tanti, ne poteva anche intuirne il perchè, e in qualche modo per lui non fu una sorpresa inaspettata. Il suo amico di nome Levi Pozner fu accusato di una colpa ignobile negli anni della sua gioventù e poi imprigionato per questo, e dopo anni di prigione fu scagionato perché le prove a suo carico erano insufficienti e non dimostravano la sua colpevolezza. Dopo quella dolorosa e traumatizzante esperienza ne uscì distrutto nell’anima e nel fisico e con una famiglia disgregata e mai più ritrovata.

    Il passo di Tomas era il passo di un uomo che aveva sempre preferito camminare a piedi piuttosto che prendere mezzi di trasporto o un’auto di proprietà, bene che non aveva mai voluto comprare in realtà, anche perché senza patente non era il caso di acquistare un’auto e poi tenerla ferma, lì davanti a casa, in uno di quelle palazzine anonime ma decorose della periferia di Varsavia.

    Ora che era qui in questa località balneare e turistica affacciata sul Golfo di Puck, una cosa che gli piaceva fare, soprattutto al giungere della sera con il buio che avanzava, era camminare, e da come gli avevano detto all' hotel dove alloggiava da due giorni, seguendo la via e costeggiando la foresta, dopo circa 5/6 chilometri si raggiungeva la lunga e sabbiosa spiaggia di Sopot di fronte al mar Baltico e l'idea che di fronte a lui ci fosse la Scandinavia gli dava una certa emozione ed un senso di pace. Avvertiva molta affinità con quei luoghi al di là del mare e poi era un fan sfegatato degli Abba, il famoso gruppo pop svedese, e le loro indimenticabili canzoni erano state compagne inseparabili dei suoi anni migliori e delle sue più entusiasmanti conquiste femminili; e poi adorava Frida, la cantante preferita del quartetto: voce celestiale dal timbro inconfondibile: caldo e profondo e terribilmente sexy.

    Camminando con la luce dei lampioni che mostravano l'ampiezza della strada e del marciapiede, dove di tanto in tanto lo superavano runners tutti imbacuccati, che si dirigevano anche loro in direzione della spiaggia e del mare, pensava che avrebbero proseguito la loro corsa sulla battigia dove il correre è molto salutare perché rinforza i legamenti e la muscolatura. Gli avevano sempre detto che correre fa bene e fa dimagrire e pensando a questo si guardò l’addome un pò  prominente di questi ultimi tempi, e si rammaricò di tutte le prelibatezze culinarie a cui non aveva saputo rinunciare e  colpevolmente si era arreso con troppa facilità. La cucina polacca non lo aiutava di certo con tutte le sue carni deliziose e le ottime birre servite in tutte le maniere; non era mai stato grasso, forse era stato il contrario, ma ora sicuramente era in sovrappeso e la sua altezza mascherava questa sua tendenza all’odiosa pancetta e doveva porvi rimedio.

    Gli piaceva pensare che la vicinanza del mare e il clima vacanziero che stimolava una maggior rilassatezza lo avrebbero incoraggiato ad iniziare un programma di corsa: all’inizio lo avrebbe fatto con un’andatura blanda come si conviene ad un neofita come lui e poi pian piano la sua andatura sarebbe diventata sempre più veloce; l'idea lo stuzzicava e lo rendeva motivato ma avrebbe dovuto pensarci su bene, e conoscendosi non riponeva troppa fiducia in questo suo proposito e soprattutto doveva vincere una certa sua indolenza che lo bloccava sempre sul più bello: quando c’era da iniziare.

    Si ne rammaricò di questa sua debolezza caratteriale, perché fino qualche anno fa era stato un uomo dinamico e le donne se lo mangiavano con gli occhi. A questo pensiero gli scappo un sorriso divertito e si disse: Tomas, ma che cazzo di sbruffone che sei…

    Stava impegnandosi per diventare un investigatore privato e doveva fare della pratica per farsi le ossa, così come si diceva nell’ambiente, e doveva ancora sostenere gli ultimi esami prima di ricevere l’abilitazione alla professione. Con solerzia e costanza stava cercando qualche schifo di incarico per iniziare a lavorare e mettere i primi mattoncini nella sua professione e comprendeva che per il momento era meglio non pensare troppo alle donne che già tanti casini gli avevano creato anche se ammetteva che il motivo era stato il suo carattere troppo volitivo e la sua personalità a volte indecifrabile per il gentil sesso.

    La bella villa trasformata dal proprietario Artur Adamski in un confortevole e grazioso Hotel di nome Bella Oliwa era una struttura ideale per vacanzieri occasionali dei paesi vicini e per i turisti che provenivano da tutta Europa, ed era dove risiedeva in questi giorni Tomas, e che ne aveva fatto la sua base per le indagini a seguire. Era in un elegante quartiere di Sopot a circa cinque chilometri dal mare e non troppo distante dalla rinomata e laboriosa città di Danzica. La casa era su due piani e aveva un bel giardino con prato all’inglese e con dei magnifici salici piangenti e veniva sfruttato soprattutto con la bella stagione quando gli ospiti della struttura potevano godersi il sole nelle belle giornate, al riparo delle fronde ombrose, e questa comodità rendeva il soggiorno più gradevole e confortevole e tutti i dipendenti occupati nella struttura lavoravano per lasciare negli ospiti il miglior ricordo possibile.

    Intanto all’interno dell’hotel, Artur era alle prese con il personale e come al solito era costretto ad alzare la voce perché secondo lui erano delle emerite scansafatiche e questo valeva soprattutto per le giovani inservienti: Anna Brylska, per tutti Anetko e Monika Kovalska. Secondo lui erano poco serie ed erano lì a trastullarsi e a fare le smorfiose con i clienti più giovani; sempre una parola gentile con loro e un sorriso non veniva mai negato e forse sospettava davano anche qualcosa d'altro . Talvolta gli venivano dei pensieri che si traducevano in frasi come queste: Oh che puttanelle mi sono preso in casa...ma di questi tempi il convento passa questo, e quelle brave e serie costano troppo per cui mi devo accontentare di queste. Ma so io come metterle in riga!

    <>

    Dal piano di sopra si udì la voce della ragazza che diceva: <>

    Per la ragazza, Artur era un incubo: quasi sempre brusco e a volte anche volgare e di maniere poco eleganti e questo la mandava in bestia perché doveva sottostare alle regole  di quest’uomo e a volte gli veniva da piangere per il nervoso e la fatica, ma non poteva farlo, aveva bisogno di questo lavoro. Doveva mantenere il figlio che adesso viveva a casa della madre li sul confine con la Germania, e quel disgraziato di uomo che l'aveva messa incinta non aveva voluto riconoscerlo e adesso lei si trovava lontano da casa, in un posto che non gli piaceva, e doveva anche preoccuparsi di mandare parte del suo stipendio alla madre che con la misera pensione non riusciva a pagare l'affitto della loro modesta abitazione e doveva anche badare al sostentamento del nipote.

    Nel frattempo mentre era alle prese con questi pensieri sentiva al piano di sotto Artur sbraitare ancora, quindi la ragazza lasciò le incombenze delle stanze da pulire alla collega e corse giù di fretta, immaginandosi già la sfuriata di quel bastardo e fottuto del suo capo.

    <> sbottò l’uomo <>

    Ma in cuor suo odiava quell'uomo e gli veniva un nervoso terribile a star lì a farsi prendere a brutte parole per delle piccole mancanze, ma adesso questa era la sua vita e doveva accettarla e congedandosi dall’uomo chiese il permesso di tornare su ad aiutare Monika a pulire le camere.

    Anetko era una bella ragazza di 32 anni: semplice e dai modi garbati, un fisico snello e slanciato con una certa prestanza fisica e capelli biondi che le formavano un caschetto grazioso e sbarazzino; una ragazza della provincia polacca con sani principi in testa che si era trovata troppo giovane ad essere una ragazza madre e pur cercando di fare del suo meglio si sentiva usata come uno strofinaccio e poco apprezzata, e la sua vita si stava consumando tra colazioni, stanze da pulire e rimproveri da parte di un pazzo di capo e temeva che le cose non sarebbero migliorate nel breve periodo. Intanto nella dimora di Bella Oliwa il lavoro proseguiva a ritmo sostenuto e tutto il personale era indaffarato a rendere il soggiorno degli ospiti il più gradito possibile e sotto l'occhio vigile di Artur le donne correvano su e giù senza un attimo di tregua timorose dei rimproveri del vecchio e questo loro correre era l'unico modo per tenerlo lontano.  Nel frattempo Artur era all'ingresso nei pressi della piccola reception e stava mettendo in ordine i pagamenti degli ultimi clienti arrivati: dai contanti, alle carte di credito o da quello che doveva entrare dalle prenotazioni telefoniche o tramite posta. Il lavoro gli piaceva e lo distraeva da certe sue preoccupazioni che gli tenevano compagnia fin da quando era ragazzo e frequentava l'istituto tecnico a Danzica; questi pensieri erano dentro di lui, nel suo profondo, e nessuno doveva accedervi: forse qualcuno poteva intuirne la causa ma a lui non andava di condividerli con altri e faceva di tutto per nasconderli e mascherarli. A volte queste sue preoccupazioni sfociavano anche in paure che si traducevano in comportamenti violenti e irrazionali, e c’era chi tentava di indagare le cause di queste sue stranezze comportamentali, e cercava di avvicinarsi e di capirlo per poterlo aiutare. Qualche volta ci provava Dagmara, la caposala, che sembrava spinta da sincero affetto nei suoi confronti e cercava di avvicinarlo, ma lui sì destreggiava sempre con risposte evasive e frettolose; e poi la liquidava con la scusa che c’era tanto da fare e che il tempo per chiacchierare era poco, e quindi non era il caso di fargli perd perdere tempo con queste sciocchezze e ricordi di un lontano passato.

    2

    1936 Sopot-origini

    Il proprietario aveva ereditato la villa dalla madre, la signora Editha Jablonski, e dal marito di lei, il professore Piotr Adamski, ma per amor del vero la casa era stata costruita con grandi sacrifici più dal lavoro della moglie, col suo piccolo ma ben fornito negozio di alimentari e con l'aiuto del fratello di lei, Marcin Jablonski, impresario edile che svolgeva il suo lavoro soprattutto per i lussuosi e prestigiosi hotel sul lungomare di Sopot. La signora Editha era stata una donna dalle maniere spicce e con un forte carattere  e determinata a far valere le sue ragioni ed era ben consapevole che in quei tempi difficili doveva darsi da fare per tirare a campare in modo dignitoso e costruire un futuro benevolo per lei e per l'unico figlio. Il ragazzo fin dai primi anni di scuola si mostrava debole e succube con i compagni di classe, e questo irritava la donna che non aveva messo al mondo l'unico figlio per farlo trattare come quello smidollato del marito e sicuramente era colpa del padre se l'inclinazione del ragazzo era questa.

    Come già accennato, Artur ereditò questa bella casa quando la madre di lui morì di morte naturale, inoltre la donna e il fratello Marcin, fino alla morte prematura di lui, avevano vissuto insieme nella casa che doveva essere la residenza della donna e del marito, mentre nella realtà il fratello risiedeva quasi tutti i giorni a casa loro, pur avendo lui stesso una bella casa di proprietà a Danzica.

    I due fratelli erano molto attaccati e se qualcuno  non li conosceva li poteva scambiare per marito e moglie. Il fatto poteva sembrare strano se non grottesco a eventuali visitatori della coppia e questo faceva infuriare non poco il marito della donna, che non aveva per niente in simpatia il cognato, cosa del resto ricambiata. Il cognato lo consideravano un debole, un borioso intellettuale che non era pratico di cose terrene e pensava solo ai suoi studi, e viveva tra i suoi libri polverosi e con il suo modesto stipendio non permetteva alla famiglia di condurre una vita decorosa, e secondo lui era di idee troppo tolleranti e trovava giustificazioni per tutto ed era troppo incline al confronto e alla civile convivenza: un pavido in poche parole. 

    La moglie dava quasi sempre ragione al fratello quando si accendevano delle dispute e  litigi tra i due uomini, e sembrava né godesse nel  mettere in imbarazzo il marito che trovava conforto solo nei suoi libri e nel suo lavoro di insegnante al locale liceo classico, dove lui insegnava lettere, soprattutto a classi femminili, ragazze della ricca borghesia locale, figlie di commercianti ed imprenditori. Alla moglie queste ragazze, di cui qualcuna era a lei conosciuta come pure le loro famiglie, risultavano alquanto antipatiche e arroganti e quando entravano nel suo negozio di alimentari, lì vicino al mare, e compravano caramelle e dolciumi al finire delle lezioni, e dando anche sfoggio di disponibilità economica non indifferente per la loro età, e a lei risultava faticoso dimostrare belle maniere con loro e sorrideva a denti stretti e le avrebbe volentieri prese a schiaffi, se non di peggio a quelle smorfiose.

    Il locale liceo classico dove insegnava Piotr era un istituto rinomato e frequentato soprattutto da ragazzi e ragazze, perlopiù ragazze, della ricca borghesia della vicina città di Danzica che con il commercio e con la vicinanza della  Germania si erano arricchiti e avevano potuto mandare i propri figlioli in scuole di prestigio e garantirgli un futuro roseo; quelli invece come Artur, figli di una classe di piccoli commercianti e imprenditori, come la madre, dovevano invece rivolgersi ad istituti di avviamento professionale o istituti tecnici dove la qualità dell'insegnamento non era all’altezza delle scuole più prestigiose. Tutto questo creava un certo risentimento in alcune famiglie e una di queste era la famiglia di Editha, che pur avendo il marito che insegnava in una di queste scuole, mai ne parlava bene in presenza di estranei, e non lodava mai l'impegno del marito anzi, lo colpevolizzava per lo scarso rendimento del figlio, e secondo lei la colpa era del clima discriminatorio che ammorbava l'aria ed era ora che qualcuno prendesse provvedimenti e ponesse freno a questa odiosa ingiustizia, e poi diceva e rimarcava: Quello smidollato di mio marito non fa niente per aiutare il figlio e perde tempo dietro quelle smorfiose, continuandole a lodarle e incoraggiarle mentre il ragazzo annaspa con gli studi.

    Alle continue lamentele, ormai con frequenza quasi quotidiana, il fratello assentiva e dava manforte alla sorella nei confronti del cognato; oltre a questo mostrava, senza più mascherarli, sentimenti di rabbia e risentimento per come stavano andando le cose in città, e secondo lui la vita dei cittadini diventava giorno dopo giorno insostenibile ed era ora che qualcuno alzasse la voce contro queste sporche e intollerabili ingiustizie e non si poteva continuare ad approfittarsi di  probi e onesti cittadini che pensavano solo al loro lavoro, alla famiglia, e a difendere le loro sane tradizioni.

    3

    1936 Sopot -gioventù

    Artur di sua natura era un solitario e di tanto in tanto amava andare indietro con i ricordi dei suoi anni scolastici e uno in particolare gli dava ancora emozione. Un giorno di primavera di tanti anni fa, quando frequentava il terzo anno dell'istituto, alcuni studenti delle classi superiori pensando che lui fosse uno cacasotto iniziarono a prenderlo in giro per via dei suoi capelli a spazzola e rossicci e del suo naso un po' a patata e l’altezza non troppo da nordico, e si ricordava ancora le loro parole:

    Ehi cazzone pel di carota che cazzo hai da guardarci in questo modo? Chi parlava era Hans un ragazzo tedesco dell'ultimo anno che spalleggiato da due fighetti, di cui uno con gli occhiali e la faccia di cazzo lentigginosa, e l'altro con una insopportabile erre moscia, ed erano Andrej e Miroslav, che sentendosi in tre e più grandi si sentivano in diritto di ridergli in faccia e di spintonarlo e di schernirlo.

    Artur si girò nel cortile adiacente l'uscita della scuola e gli rispose:<< Cosa vuoi brutto figlio di una scrofa tedesca? Il trio di ragazzi rimase sorpreso dalla reazione violenta del ragazzo e dopo un attimo di smarrimento gli si gettarono contro, ma Artur diede un calcio violento nei coglioni a quello con la faccia piena di lentiggini che cadde gemendo come un maiale sgozzato, e poi tirò fuori un coltello a serramanico che teneva nascosto  in un calzino e lo punto alla gola di Hans, quello che sembrava il capo.

    << Vuoi che ti sgozzo schifoso finocchio di un tedesco, guarda che lo faccio e lo farò con piacere>> Hans strabuzzò gli occhi e tremando come una foglia iniziò quasi a piangere dalla paura<>

    Il terzo ragazzo scappò appena vide la scena di violenza e si ripromise di evitare quel ragazzo per il resto della sua vita: ciò che aveva visto era così sproporzionato alla loro azione che non augurava a nessuno di avere a che fare con quel figlio di puttana della terza classe.

    In quanto ad Artur si compiacque di essere stato assalito all'esterno della scuola e che nessuno li aveva visti e quindi non correva il rischio di essere richiamato dal preside e dalle autorità e poi si sentiva sicuro del fatto che i tre stronzetti non avrebbero detto niente in giro, perché con lui non si scherzava e pensava di averlo spiegato per bene.

    In quegli anni scolastici la violenza, a volte anche gratuita, era stata per Artur qualcosa che provocava in lui forti  emozioni e lui cercava in tutti i modi di controllarla, almeno all’interno della sua famiglia, ma non era sicuro di averla sempre mascherata al meglio; soprattutto con il padre, che non era uno stupido, e che si era reso conto che il figlio stava  pian piano prendendo una brutta piega e questo poteva procurargli grossi guai sia per se che per i suoi cari, e soprattutto per chi lo frequentava abitualmente o per il malaugurato che si fosse trovato nelle sue vicinanze quando la rabbia lo sopraffaceva..

    L'uomo cercò più volte di parlare con la moglie di questo problema ma questa faceva spallucce e diceva al marito di non stare a guardare la pagliuzza nell'occhio del figlio ma di controllare piuttosto le belle pollastrelle di buona famiglia in classe con lui e dicendo questo si denotava una carica ironica e del sarcasmo marcato che indispettiva il professore che sbottava e usciva dalla stanza dove c'era la consorte e si richiudeva nello studio maledicendo il giorno in cui si era innamorato di lei.

    A dire il vero quando l'aveva conosciuta era una ragazza dolce e piacevole e di compagnia, e ammirata dai suoi coetanei e da lui stesso; ma ora che il figlio era diventato grandicello e soprattutto con la presenza quasi insopportabile del fratello di lei, la donna era pian piano cambiata e faceva di tutto per dargli contro ottenendo anche il sostegno del fratello che non aveva mai visto di buon occhio questo professore a suo dire da strapazzo e con la puzza sotto il naso.

    Si, l'aria che tirava nella famiglia di Artur non era delle migliori e nuvole di tempesta si addensavano mese dopo mese e anno dopo anno su chi dimorava in quella bella casa: sotto la cenere covavano tizzoni ardenti e bastava solo una scrollata di tanto in tanto per riportare in superfici la brace che covava e scottare se non bruciare qualche componente della famiglia.

    Il professor Piotr amava l'insegnamento e amava incondizionatamente i suoi allievi, che come detto prima erano soprattutto ragazzi e ragazze della classe imprenditoriale di Danzica. In maggioranza erano ragazze, e lui apprezzava soprattutto alcune di loro che riteneva veramente dotate per la letteratura, e la sua preferita era Marta, una simpatica e intelligente ragazza che avrebbe potuto tranquillamente svolgere in un futuro non lontano la professione di archeologa nelle valli d'Egitto; o curatrice di mostre sul periodo classico ellenistico; o anche direttore di museo o ricercatrice o valente filologa; come la sua collega e valente professoressa Alessandra Kaminska chiamata Alex dai suoi studenti, di origine ucraina: e nelle chiacchiere di corridoio veniva descritta come una donna molto snob e inoltre quasi tutti trovavano in lei qualcosa di ambivalente: ambiguità e sensualità allo stesso tempo.

    Marta frequentava il quarto anno e aveva 17 anni e già dimostrava di essere una donnina con molto sale in zucca e già dal primo anno si affezionò al professor Piotr e appena poteva si avvicinava a lui chiedendogli lumi sulla lezione appena spiegata e questo provocava  risatine o sguardi maliziosi da parte delle altre ragazze. Il professor Piotr era contento dalla compagnia della ragazza ma cercava di tenere un comportamento distaccato ed equidistante così da non generare invidie in classe e poi temeva la possibile reazione della consorte, la signora Editha, che non aveva molto in simpatia le allieve del marito, e la considerazione che aveva sulle loro doti morali era alquanto bassa.

    Marta aveva lunghi capelli, di un colore biondo cenere, occhi azzurri, e la sua famiglia discendeva da una antica famiglia tedesca di origine ebraica. La ragazza era di media statura, snella, un bel portamento e uno sguardo fiero e a volte anche battagliero, ma Piotr pensava che la ragazza al tempo stesso sembrava anche fragile e cercava della protezione da qualcuno o da qualcosa e se fosse stato necessario lui l'avrebbe aiutata volentieri. Conosceva anche il padre di lei che era il proprietario del Grand Hotel: hotel di lusso costruito negli anni venti, sulla spiaggia di Sopot di fronte al mar Baltico e nelle vicinanze del famoso molo in legno di Sopot: 512 metri lanciati nel grigio mare e attrazione di turisti e abitanti del posto.

    Il padre di Marta era il signor Leon, imprenditore molto apprezzato e conosciuto in città, e la famiglia di lui era composta, oltre che dalla moglie, signora Ewa anche dalla figlia minore Luzia, ed era una bella famiglia che il professor Piotr in qualche modo invidiava, ed il fatto che a lui fosse preclusa questa bella armonia familiare lo faceva soffrire e lo portavano ad un malessere generale che solo la presenza gentile di Marta e di altre sue allieve, riusciva talvolta a mitigare.

    Un giorno alla fine della lezione la ragazza si avvicinò al professore Piotr e gli chiese se poteva metterlo a conoscenza di un problema che gli stava a cuore e aveva bisogno di un consiglio perché lei si fidava ciecamente dell’opinione del suo professore. Il professore si fece serio e un po' imbarazzato disse alla ragazza di seguirlo nell’aula del consiglio ed entrati mise un cartello con su scritto sala riunione occupata così potevano rimanere tranquilli per una decina di minuti, il tempo necessario pensava lui, per capire cosa aveva da dirgli di così importante Marta.

    La ragazza una volta entrata nella sala del consiglio gli si avvicinò e gli disse che avvertiva un’aria strana nei suoi riguardi e questo soprattutto negli ultimi tempi. Si sentiva esclusa e messa da parte dalle altre compagne e notava del risentimento ingiustificato nei suoi confronti e non ne capiva il motivo.

    << Vede professore io ho la sensazione che c’è qualcosa di strano nei miei riguardi e non capisco se questo è dovuto alla simpatia, reciproca devo dire, che lei ha per me, o per qualcosa che riguarda la mia famiglia o la mia origine>>

    Ci fu una pausa e la ragazza sembrava non volesse proseguire, quindi il professore la esortò ad andare avanti...<>

    <>

    <>

    << Ho cercato più volte di parlare con le mie compagne e di chiarire quello che provo ma sembra che ridicolizzino queste mie paure e mi dicono che sono un po' nevrotica e che non le devo accusare per delle cose assurde e che vedo del male dove non c’è e che dovrei stare tranquilla e serena ed avere più fiducia in loro>> Il professore cercò di avallare le tesi delle compagne della ragazza dicendo che a lui non sembrava che la classe tenesse un atteggiamento ostile e freddo nei suoi confronti.

    << A essere sincero io non avverto questo ostracismo e questi conflitti nei tuoi riguardi.  In classe mi sembra che tutti tengono un atteggiamento civile, amichevole, e non ho la sensazione che ci siano guerre tra compagni, quindi ti invito a non preoccuparti di qualche piccola malignità o piccola invidia; se la causa poi sono io, devi sapere che la mia simpatia è soprattutto per le tua bella testolina che reputo piena di grandiosa intelligenza e mi sta a cuore il tuo futuro di studentessa e vorrei che fosse ricco di belle soddisfazioni; ma su questo non ho dubbi..

    A queste parole la ragazza parve tranquillizzarsi e sorrise e lo ringraziò, e prima di andarsene lo abbracciò con affetto come una figlia farebbe con il proprio padre e poi si allontanò e tornò di corsa verso la sua aula dove la lezione stava per iniziare. Il professor Piotr rimase imbarazzato per quell’abbraccio e in cuor suo si augurava che nessuno l’avesse visto se no i guai e le maldicenze sarebbero arrivati anche per lui e nella sua posizione cercare di difendersi sarebbe stato molto difficile.

    Uscì dalla sala del consiglio e si preparò per un'altra ora di lezione e si guardò intorno per verificare se effettivamente nessuno fosse stato nei paraggi durante il suo incontro con la ragazza, ed entrando nell’altra classe si accorse che pensava ancora alla sua allieva e ne fu un po' turbato e non sapeva se  era per il suo sconforto e le sue paure, o se invece fosse stato per quel suo così spontaneo e sincero abbraccio. Accortosi dell'arrivo dell’altra scolaresca ritornò alla realtà e inizio a chiedere la verifica dei compiti che aveva dato il giorno prima.

    4

    1986 Sopot

    Intanto Anetko stava aiutando Monika nella sistemazione delle camere dopo che gli ultimi ospiti ne erano usciti; aveva appena finito di dare una mano a Dagmara giù in cucina, e adesso, cercando di non alzare troppo la voce, si lamentavano entrambe del brutto clima che aleggiava in quella struttura, e che purtroppo era anche il loro luogo di lavoro e di sostentamento economico e le relegava ad una vita con pochi agi, e con lo stipendio che guadagnavano non riuscivano a permettersi una vita più confortevole e dignitosa, ed entrambe si sentivano molto tristi e deluse.

    <>

    La collega assentì e gli disse che anche per lei non era semplice tirare avanti: era ancora una ragazza nubile e alla sua età viveva ancora con i suoi genitori e di questo ne soffriva un po'. Ma aveva bisogno di questo posto di lavoro e dello stipendio, pur modesto che era, per pagarsi gli studi di ingegneria statistica all'università di Gdynia. Gli disse inoltre che lavorare e studiare allo stesso tempo gli costava veramente fatica, e se non c'era un buon clima sul posto di lavoro e dei buoni rapporti tra colleghi, questo le risultava ancora più faticoso. Allora Anetko con un sorriso ammiccante gli rispose:

    << Sai Monika io penso di essere una ragazza piacente e so che gli uomini mi guardano, sai con quello sguardo rapace o anche da pesce lesso ma più con il secondo a dire il vero, e qualche volta sarei tentata a dare un cambio drastico alla mia vita>> Monika la guardò con curiosità e malizia e sorridendo gli disse:<< Cosa intendi per dare un cambio alla tua vita, suona così ambiguo, soprattutto se detto da te?>>

    << Potrei far fruttare tutto il ben di Dio che mi porto appresso, e farmelo pagare a peso d’oro, lo fanno in tante sai! Hai visto a proposito come mi guardava ieri sera il nuovo ospite, quello giovane, penso si chiami Tomas, almeno così lo chiamò per nome la caposala, e viene dalla capitale; però Artur dice che non è polacco di origine, perché è nato a Praga. A me ha dato l’impressione di uno che fa il gentiluomo con il gentil sesso ma sotto sotto farebbe pazzie per una bella gnocca come me. Ti sembra un ragionamento completamente sballato da parte mia o ci vedi qualche cosa di interessante?>>

    Monika sembrava divertita al gran parlare dell'amica e le disse di non fare la stronza e che lei aveva tante altre belle qualità e doveva solo tirarle fuori e non perdersi dietro questi discorsi del cazzo; poi il posto non invitava a corteggiamenti galanti da parte di uomini ad una bella ragazza dai capelli biondi e a tette super, e a Monika scappo un'altra risata, ma subito gli venne chiusa la bocca dalla collega che le fece cenno di stare zitta indicando che non troppo lontano c’era quello psicopatico del capo e quella spia della caposala ed era meglio non farsi sentire e proseguire con il lavoro. Intanto Tomas continuando la sua camminata si stava avvicinando alla pista ciclabile, ben curata ed ampia, che secondo i suoi calcoli doveva costeggiare gran parte della spiaggia, e di tanto in tanto qualche coppietta di ciclisti o persone che correvano gli passavano accanto, ma lui decise di non proseguire lungo il percorso asfaltato ma di dirigersi per una decina di metri all'interno, dove tra diversi ingressi, si apriva nel buio della sera l'ampia e lunga spiaggia di Sopot con di fronte il gelido e grigio mar Baltico e in lontananza si vedevano luci di navi o forse di qualche peschereccio al largo, e sulla sinistra illuminato lungo tutta la sua lunghezza il famoso molo in legno, il più lungo d'Europa e vanto della cittadina di Sopot.

    Sulla sua sinistra scorgeva in lontananza grandi costruzioni tutte illuminate da fari di posizione che da uno sguardo attento dovevano essere dei lussuosi hotel uno in fila all’altro ricchi di luci sfavillanti, e prima di arrivare a questi, c'erano altre costruzioni più modeste in legno, non molto grandi con insegne originali e colorate dove avventori serali si attardavano a consumare bevande e pasti e a parlare del più o del meno. Erano chioschi per lo più aperti durante il giorno e che pensava dovevano essere presi d'assalto nelle belle giornate primaverili ed estive da frotte di ragazzi e ragazze in cerca di refrigerio e compagnia, e che adesso vedevano la presenza di soli pochi avventori serali e qualcuno di questi sembravano pescatori che entravano per bere qualcosa di caldo e poi uscivano per riprendere a pescare, soprattutto dal molo che vedeva in lontananza in tutta la sua lunghezza e maestosità. L’uomo costeggiando queste costruzioni con il mare alla sua destra, si avvicinò pian piano all’accesso principale del pontile e cominciò a camminare sulle robuste tavole di legno che rilasciavano un sommesso rumore di passi e un forte odore di salsedine, e riconobbe che questo lungo braccio di legno che si spingeva così a fondo nel mare aveva un suo fascino misterioso e pensò che nelle belle giornate di sole con l’aria tersa e fredda doveva essere proprio una meraviglia camminarci su,  e sicuramente capiva perché tanti pescatori si avvicendavano in tutta la sua lunghezza occupandone i bordi per pescare e piazzare le canne da pesca: era un posto rilassante e di pace, e anche con il mare in burrasca su quel pontile ci si sentiva al sicuro e protetti. Camminando e ammirando la vastità del mare provava una sensazione piacevole e guardando oltre quel mare pensava che di fronte a molte miglia di distanza c'era la Scandinavia, la Norvegia, la Svezia, la Finlandia, e lì in Svezia vivevano i quattro componenti della band che lui amava: gli Abba, e soprattutto Frida che in cuor suo aveva sempre desiderato conoscere di persona e si domandava se mai un giorno il suo sogno si avverasse. Ma purtroppo questa band si era sciolta qualche anno prima dopo vari problemi e dissidi famigliari, e lui non aveva mai avuto il coraggio di scrivere alla sua cantante preferita, e sorridendo pensava che doveva invece iscriversi al fan club ufficiale: chissà forse li qualcuno gli avrebbe potuto suggerire dove o a quale evento avrebbe potuto conoscere di persona i suoi beniamini e la sua amata cantante e magari sarebbe riuscito anche a strapparle un autografo che avrebbe poi conservato come una preziosa reliquia. Pensando a questi futili pensieri che gli regalavano momenti spensierati e gioiosi, l’uomo si rese conto che era qui per una complicata e oscura indagine del passato e che doveva dare una mano ad un suo vecchio e caro amico che adesso non c'era più e che oltre a tutti gli affetti aveva perso la propria dignità e il rispetto delle persone che aveva sempre amato. Si, questo glielo doveva, e anche se non sapeva a che cosa andava incontro,  era convinto che valeva la pena buttarsi in questa avventura anche perché ultimamente la sua vita si stava inaridendo, e lui aveva bisogno di emozioni e gratificazioni e se queste componenti importanti fossero scaturite da una impresa a fin  di bene: allora ne avrebbe gioito e  sarebbe stato orgoglioso per ciò che stava per intraprendere.

    5

    1970 Praga

    Talvolta a Tomas  capitava di andare indietro con i suoi ricordi e un posto speciale nella sua memoria era occupato dal suo caro amico Levi Pozner. Si era nella Praga degli anni 70 dove aveva trascorso la sua vita fino alle scuole secondarie, e lì fu dove aveva conosciuto per la prima volta il vecchio inserviente della sua scuola che pian piano incominciò a far parte della sua vita; ma l’inizio di questa amicizia fu fonte di malintesi, alcuni anche grotteschi, e di allontanamenti e poi riavvicinamenti. L’uomo, dall’aspetto dimesso e umile che ricordava un  cane bastonato, si rivelò un uomo saggio e di grande cultura ed ebbe un ruolo importante nella crescita, del giovane, e se si riteneva di essere tutt’ora un uomo equilibrato e in pace con sé stesso e con il mondo, questo lo doveva anche al suo caro amico Levi e ai tanti giorni passati in sua  compagnia nella bellissima e fascinosa Praga di quel tempo.

    Tomas era a quei tempi  un ragazzo incostante e a volte indolente, e negli anni degli studi  al liceo classico spesso perdeva un sacco di energie fantasticando di avventure poliziesche o di investigatori famosi, e amava in modo particolare Sherlock Holmes, e pensava che un giorno ne avrebbe seguito le gesta e la gente avrebbe fatto a gara per incontrarlo e conoscerlo. Già da ragazzo sognava di essere un investigatore privato o quanto meno a entrare in un corpo di polizia e fare li carriera e assicurare alla giustizia infami, corruttori e criminali e visto che si considerava un ragazzo arguto e intelligente era sicuro che di casi irrisolti e colpevoli in libertà non c’è ne sarebbero stati con lui in circolazione.

    Però c’erano gli studi da portare avanti e i professori erano esigenti e rompicoglioni e per un nonnulla ti appioppavano una nota o un bel tre. Il suo problema era il latino e il greco antico e si chiedeva chi cazzo l’aveva convinto a scegliere questi studi di lingue morte ma non riusciva a darsi una risposta. Forse si immaginava che al liceo classico era più facile rimorchiare belle ragazze che da sempre erano affascinate da filosofi e grandi pensatori e si sorprese di quanto stupido era stato e che da solo si era messo in una trappola. Che babbeo e testa di cazzo sono stato! Pensava.

    Era uno di quei giorni in cui malediceva la sua scelta e gli montava la rabbia per il professore di lingue classiche, un emerito e borioso cretino, che gli aveva appioppato, come già aveva predetto, un bel tre, e che avrebbe rovinato la sua media, del resto buona nelle altre materie ma che con quei due pessimi voti sarebbe precipitata in un limbo di mediocrità che gli avrebbero causato serie difficoltà per l'ingresso all'università. Mentre era lì nel cortile della

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