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Dalle finestre del Borgo: Agenzia Sambuco & Dell'Oro: indagini dal passato
Dalle finestre del Borgo: Agenzia Sambuco & Dell'Oro: indagini dal passato
Dalle finestre del Borgo: Agenzia Sambuco & Dell'Oro: indagini dal passato
E-book292 pagine4 ore

Dalle finestre del Borgo: Agenzia Sambuco & Dell'Oro: indagini dal passato

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Info su questo ebook

Aprile 2020. Il mondo è colpito dalla pandemia di coronavirus. La situazione in Italia, in particolare nelle regioni del Nord, è tragica. Sambuco, come la maggioranza della popolazione, si attiene alle regole del lockdown. Isolato nel suo appartamento di Borgo Ticino a Pavia, medita su quello che sta succedendo e, tra una riflessione e l’altra, rievoca alcuni lontani episodi della sua ormai lunga carriera di investigatore privato a partire dalla prima indagine del 1990, quando ebbe inizio il sodalizio con Selmo Dell’Oro. Ripercorrendo le dodici inchieste, oltre a godere delle peripezie investigative dei due nostri antieroi alle prese con personaggi variegati – delinquenti comuni, maniaci sessuali, politici corrotti, traditori, poveri disperati, ribelli, stravaganti innamorati, prostitute, misteriosi affaristi e giovani yuppies – è forse possibile comprendere come mai, in un momento così tragico, al nostro detective venga voglia di ricordare come eravamo...

Alessandro Reali è nato a Pavia il 4 febbraio 1966. Per Fratelli Frilli Editori ha già pubblicato “Fitte nebbie. La prima indagine di Sambuco & Dell’Oro” (2012), “La morte scherza sul Ticino” (2013), “Risaia crudele. Quei giorni dell’inverno del ’45” (2014), “Sambuco e il segreto di viale Loreto” (2014), “Ritorno a Pavia. Un altro Natale per Sambuco & Dell’Oro” (2015), “La Bestia di Sannazzaro. Lomellina, inverno di guerra 1917” (2016), “Ultima notte in Oltrepò” (2016), “Il fantasma di San Michele” (2017), “Pavia sporca estate” (2018), “La ragazza che sorrideva sempre” (2019), “La matta di Milano” (2020), “Blues delle risaie d’autunno” (2020) e “Il giallo della valigia di Piazzale Lodi” (2021). Per Ticinum Editore ha pubblicato la raccolta di racconti “Il diavolo del Ticino” (2017). Per Le mille e una pagina ha scritto “Il quaderno di Giulia” (2021).
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2022
ISBN9788869435850
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    Dalle finestre del Borgo - Alessandro Reali

    LA PRIMA INDAGINE DI SAMBUCO & DELL’ORO

    Ottobre 1990

    Pedrita era una bella ragazza di Rio de Janeiro. Aveva i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurro ghiaccio e gli zigomi sporgenti. Studiava Economia all’Università di Pavia.

    Era giunta fin lì grazie al professor Callegari, rinomato storico e cugino di sua madre, Assunta. Per la verità di questa parentela il professore sapeva poco o nulla. Ricordava soltanto quando suo padre rammentava una cugina della nonna Dina, emigrata in Brasile con i genitori nel 1920. Era stata la madre di Pedrita, biologa marina, che nel 1987 aveva finalmente realizzato un vecchio desiderio, comune a tanti emigranti: ritrovare i propri parenti italiani, discendenti di coloro che ogni tanto scrutava incuriosita in una vecchia fotografia color seppia, che suo padre aveva sempre conservato in un cassetto della camera da letto.

    Così, dopo i primi contatti e un viaggio in Italia dove avevano avuto modo di conoscersi, Pedrita prese la decisione, con l’entusiasmo sbarazzino che la caratterizzava, di trasferirsi a Pavia e iscriversi all’Università. Nei primi tempi aveva vissuto con il professore, nell’appartamento in viale della Libertà, che questi condivideva con la moglie Bice, anche lei insegnante. In seguito aveva preferito alloggiare in un monolocale in zona Città Giardino, come del resto facevano molti studenti universitari non residenti.

    L’avvenenza fisica e l’esuberanza dialettica avevano garantito a Pedrita un buon successo negli ambienti che frequentava.

    Pavia, come molte altre città italiane, viveva un momento di surplesse: il chiassoso e un po’ surreale decennio della cosiddetta Milano da bere (uno slogan, una specie di marchio per definire sbrigativamente un certo modo di intendere la vita e i rapporti sociali) volgeva al termine. I malumori, dovuti alle cattive amministrazioni politiche, sommessamente, venivano a galla (due anni dopo, nel febbraio 1992, sarebbe cominciata la rivoluzione giudiziaria chiamata Tangentopoli) e, in generale, l’opinione pubblica lasciava intuire che la maggior parte dei cittadini stesse prendendo coscienza, con una buona dose d’ipocrisia, delle troppe futilità del decennio appena trascorso, caratterizzato dal rampantismo sociale spregiudicato e, almeno per quel che riguardava i giovani, dalle mode dei paninari e degli yuppies.

    Anselmo Dell’Oro, per gli amici semplicemente Selmo, era un giovane balordo che si era presto stancato dei fascisti del Fronte della Gioventù: avevano idee troppo rigide, per i suoi gusti. Eppure, di tanto in tanto, millantare la sua appartenenza all’organizzazione risultava ancora gratificante. Ambiva a passare per un duro antipatico e stronzo e, tutto sommato, la cosa gli riusciva abbastanza bene. Le sue passioni principali erano il calcio – seguiva l’Inter ogni domenica, sugli spalti di San Siro, tra gli Ultras Boys – la musica rock, in particolare quella dei Led Zeppelin, la birra e il sesso. Non aveva mai avuto molta voglia di studiare, pur non essendo del tutto idiota: così almeno dicevano i suoi professori ai tempi delle scuole superiori. A fregarlo era l’idiosincrasia a qualsiasi tipo di regola e la sudditanza nei confronti dei vizi prediletti sopra elencati. Pur essendo irrimediabilmente infedele, si dichiarava, di tanto in tanto, innamorato di una splendida ragazza di nome Loredana, quella che alcuni anni dopo sarebbe diventata sua moglie e che a quei tempi frequentava l’ISEF e si faceva notare nelle discoteche più in voga del territorio, come il Mulino, la Foresta, le Rotonde o il Celebrità: le sue curve appariscenti e i seni a punta, che si divertiva a ostentare indossando abiti attillati, facevano voltare i passanti e consumavano parecchi cuori maschili (e non solo i cuori, garriva Dell’Oro). Quello che le sue amiche, tutte amanti del fitness, degli abiti firmati e delle notti in discoteca stentavano a capire, era come mai avesse un debole per quel buono a nulla di Selmo, una specie di tamarro che vestiva sempre di nero, con fama di rissoso, ubriacone inaffidabile e falso patologico.

    Dell’Oro lavorava, si fa per dire, come apprendista idraulico da un vecchio amico di suo padre, che l’aveva assunto per compassione nei confronti della madre prematuramente vedova. Attività ben più redditizie erano il riciclaggio di merce rubata, che rivendeva sottobanco e lo spaccio di erba e cocaina, per conto di un paio di amici milanesi che aveva conosciuto sugli spalti di San Siro: gente inserita nel giro dei calabresi che rifornivano di roba ampie zone della Lombardia, avvalendosi di piccoli spacciatori che battevano le province, a cui andavano le briciole degli enormi guadagni scaturiti dal traffico internazionale.

    Era un pomeriggio di ottobre umido e freddo. Selmo sedeva al bar Minerva davanti a una birra scura. Con lui c’erano Mirko Pellegatti e Luca Ferrari. Il primo era figlio di un noto chirurgo e qualche anno dopo sarebbe finito nei guai con l’accusa di avere accoltellato un tifoso avversario durante una rissa nei paraggi dello stadio Meazza di San Siro. Il secondo, figlio di un avvocato, aveva un debole smodato per la cocaina. Facevano parte della Pavia bene: i rampolli con i genitori sciùr, quelli che avevano fatto i dané, un aspetto particolarmente significativo nelle realtà di provincia degli anni Ottanta e non solo.

    Al tavolo accanto, due signori in impermeabile beige parlavano sottovoce di Cesare Casella, il ragazzo di Pavia sequestrato in Calabria circa un anno prima: la madre aveva stupito tutti per il suo coraggio, dopo esser scesa nella Locride a chiedere pubblicamente la liberazione del ragazzo.

    Pedrita, in jeans attillati e giubbotto di pelle con minuscole borchie, raggiunse gli amici sculettando sui tacchi. Luca Ferrari, suo compagno di corso, le faceva notoriamente la corte: per il momento senza successo.

    Selmo Dell’Oro se la mangiava con gli occhi e un paio di sere prima l’aveva accompagnata a casa, restando a ciarlare un po’ del Brasile davanti all’atrio della palazzina di Città Giardino, dove la ragazza abitava: poiché tra gli argomenti carioca che Dell’Oro poteva vantare spiccava unicamente il calcio, aveva, sotto lo sguardo divertito di Pedrita, portato il discorso su un suo idolo, Romario, il centravanti che in quella stagione militava in Olanda nelle file del PSV Eindhoven.

    "Selmo, per stasera ci pensi tu alla roba? Dopo andiamo tutti alla festa di Gipo Marescalchi in viale Gorizia. Dobbiamo comportarci bene, ci saranno anche i suoi genitori e qualche professore, tra cui quel cattocomunista di Terenzio Callegari, lo zio della nostra Pedrita e amico personale di Marescalchi senior. Pure quella gran figa della sorella di Gipo sarà presente, spero: Marina è la ragazza più gnocca di Pavia, fidanzata con Filippo Foti, un coglione milanese miliardario che assomiglia all’orso Yoghi, con tanto di Ferrari 348 e ville a Nizza e Courmayeur, tanto per capirci" disse Mirko posando il calice di Berlucchi: era il terzo nel giro di quaranta minuti.

    "Parli così perché sei invidioso di Filippo. Tanto per il ferrarino quanto per la donna" lo canzonò Luca Ferrari.

    Ma figurati, il prossimo autunno io viaggerò in Porche. Di Marina non posso parlare, ma di argomenti ne avrei parecchi, e tu lo sai replicò Mirko.

    "Per la coca nessun problema. Però pagate prima, questa volta, ragazzi... riguardo alla festa, che ci vengo a fare? Mica sono del vostro ambiente yuppies, io. Più vi frequento, però, e più mi rendo conto che non siete tanto diversi dai pazzi a cui mi accompagno abitualmente" disse Selmo grattando il cranio rasato.

    "Dai Marescalchi si mangia e si beve roba di classe, fidati. Non ci sono solo i matusa, poi... tutta la Pavia che conta sarà presente" incalzò Mirko aggiustando il nodo largo e piatto della cravatta con stampato il simbolo di Armani.

    Sai che meraviglia.

    Non fare il coglione come al solito, Dell’Oro disse Luca Ferrari.

    Non voleva ammetterlo, il ragazzo, ma sotto sotto invidiava Selmo per la sua sfrontatezza, la mancanza di scrupoli e quel fascino rude che sembrava non dispiacere alle ragazze: pure a quelle molto belle, come Loredana, che lo trovava irresistibile, almeno sessualmente, o la brasiliana bionda, che più di una volta aveva manifestato un certo interesse nei suoi confronti.

    Dai, Selmo... vieni disse proprio Pedrita, soffiandogli in faccia il fumo della Merit che teneva con grazia naturale tra l’indice e il medio.

    Sfumata la nebbia azzurrina, gli occhi di Dell’Oro s’infiammarono solo per lei, tanto che Luca, forse preoccupato, aggiunse repentino:

    Porterai anche Loredana, vero?

    Dell’Oro non rispose e Pedrita sorrise come se tra i denti tenesse la lama d’un coltello luccicante al sole. Non faceva nessuno sforzo per piacere, Selmo, ma era consapevole della rabbia che montava nel cuore di Luca ogni volta che Pedrita si dimostrava carina con lui.

    "Quando ce la dai, la roba? Sono un po’ giù di testa, ultimamente, mi faccio un sacco di paranoie, per cui un tiro e una serata da signore è tutto ciò di cui ho bisogno" smorzò l’incendio Mirko, estraendo il pacchetto di Camel e lo Zippo dal giubbotto Burberry.

    Passa in Galleria Manzoni: mi trovi da Pepe a far le schedine con il Giullare, stasera. Poi si va insieme alla festa. Dato che ci tenete tanto alla mia presenza, vedrò di non deludervi disse Selmo, fissando sempre il cielo azzurro ghiaccio che riempiva lo sguardo di Pedrita.

    Mentre infilava la chiave nella serratura della porta a vetri, Pedrita sentì il motore di una moto inchiodare accanto al marciapiede. Si voltò e vide Selmo Dell’Oro alla guida della Vespa PX bianca.

    Ciao! disse la ragazza.

    Pedrita... ci tieni davvero che venga a quella festa?

    Certo.

    Hai fatto arrabbiare Luca.

    Non me ne frega un cazzo di lui.

    E di me?

    Tu sei molto simpatico. Sei diverso da tutti loro. Sei un uomo. Non hai bisogno di far vedere che hai tanti soldi, te ne freghi, insomma ... e hai la coca.

    Ti piace vero?

    Sì. Vuoi salire?

    Perché no.

    L’appartamento era piccolo e molto incasinato. Pedrita aprì il frigorifero e passò una birra a Selmo, quindi andò in camera sua e tornò poco dopo in mutandine e reggiseno color lilla. Aveva un fisico tonico e biondo come i suoi capelli. I seni erano prepotenti e sodi. Appesi al torace magro, sorprendevano come due miracoli. Selmo posò la birra e la baciò sulla bocca, spezzandole il fiato. Si spogliarono e finirono a letto. Dopo l’amore, avido e vorace, restarono sdraiati a fumare una sigaretta. Il cielo imbruniva e contro i vetri scorrevano le prime gocce di pioggia. La città accendeva le sue luci e un po’ di tristezza fece capolino nel cuore della ragazza, mentre a Selmo, il solo fatto di averla accanto nuda, con quelle tette di marmo e il pube carnoso, stimolava l’idea di un sole bollente e una moltitudine di fantasie lontane da ogni regola pudica.

    Ho nostalgia del Brasile, sai... però l’Italia mi piace molto, anche se qui ho un problema disse Pedrita.

    Selmo sospirò. Guardò il pube velato di peluria chiara della ragazza, una striscia sottile, perfetta, e pensò che avrebbe potuto anche innamorarsi di lei, con buona pace di Loredana. Anzi, perché non frequentarle tutte e due? Però...

    Però non aveva nessuna voglia di ascoltare i suoi problemi. Questo genere di cose lo mortificava, non sopportava le confessioni tristi e le angosce degli altri, gli bastavano le sue, contro cui combatteva a colpi di birre tracannate senza timore a qualsiasi ora del giorno o della notte.

    Nonostante questo, chiese:

    Cosa c’è che non va?

    Non ne voglio parlare.

    Sicura? Guarda che ti ascolto volentieri mentì.

    No. Meglio di no. È una cosa che mi dà... un po’ fastidio, tutto qua.

    Meno male, pensò, sfiorandole la guancia con una carezza. Aveva la pelle di velluto, gli occhi pieni di onde di mare increspato e le labbra piccole, tumide, rosse: labbra briose che avevano dimostrato tutta la loro graziosa maestria poco prima, nell’accogliere senza pudore il suo sesso duro, irriverente quanto lui.

    "Riguarda Luca Ferrari, vero? È un gran coglione, lo sanno tutti. Uno schizzato di biglia che si salva solo per via dell’influenza del paparino. Mirko mi piace di più." disse Selmo.

    La ragazza esitò.

    No ... non è per Luca: però sono d’accordo con te disse.

    Davvero?.

    Pedrita si alzò, andò in bagno e aprì l’acqua della doccia. Selmo sorrise osservando le natiche ovali danzare allegre nella piccola stanza, solidali con la sua anima bisognosa di simili visioni per nulla spirituali.

    Loredana, pensò... oh Loredana, come può un uomo resistere a queste tentazioni?

    Vieni a fare la doccia con me? lo invitò Pedrita.

    Loredana, amore mio, capisci quello che voglio dire?

    La villa dei Marescalchi era bianca e circondata da un rigoglioso giardino. Sul retro era presente una piscina coperta, sul prato era montato un gazebo bianco, il cui telo vibrava scosso dal vento umido.

    Le macchine parcheggiate fuori erano tutte di grossa cilindrata. Gli ospiti, almeno una trentina tra adulti e ragazzi, molto eleganti, con al polso Rolex, Baume & Mercier e orologi simili.

    I Marescalchi amavano organizzare queste feste dove gli amici dei figli si mescolavano ai loro, forse immaginando un auspicabile, da un certo punto di vista, passaggio di consegne generazionale. In effetti, fatta eccezione per Dell’Oro e pochi altri imbucati ben riconoscibili, i presenti erano quasi sempre gli stessi: industriali, notai, avvocati (e i loro figli), amici da una vita che, in alcuni casi, non si risparmiavano stilettate piccanti; ma anche questo faceva parte della consuetudine, come un gioco placidamente noioso e tiepidamente cattivo, che tutti biasimavano ma a cui nessuno si sottraeva.

    I padroni di casa parlavano, accanto a una litografia di De Chirico raffigurante cavalli dalle natiche possenti immobili sulla spiaggia, con il professor Callegari. Lo zio di Pedrita e sua moglie erano presenti per antica amicizia, anche se con la quasi totalità degli altri ospiti avevano ben poco a che spartire. Insistevano nel distinguersi come intellettuali impegnati, e non perdonavano ai Marescalchi le loro frequentazioni degli ultimi anni, che contemplavano imprenditori entusiasti di Bettino Craxi, navigati democristiani, senza tralasciare qualche nostalgico fascista: tutta gente che non ha letto un libro in vita sua! diceva il professore, sprezzante, all’orecchio del vecchio compagno di Università che, in fondo in fondo, era d’accordo con lui, anche se oramai da troppi anni aveva abbandonato la cultura umanistica per affermarsi con successo nel mondo dell’industria, più brioso, imprevedibile e appagante.

    Marina, la primogenita, aveva dato forfait proprio all’ultimo momento. Quando suo fratello, Gipo, lo disse agli amici, Mirko Pellegatti ci restò molto male. Aveva – come molti dei ragazzi presentisniffato la sua pista di cocaina in compagnia di Selmo e di quel pazzo amico suo, Renato Giulini detto il Giullare, e si sentiva parecchio su di giri.

    Pure in presenza di Orso Yoghi, il fidanzato ufficiale di Marina, Mirko avrebbe provato a portarsela a letto... la donna, che aveva sei anni più di lui, si era sempre mostrata lusingata dalle attenzioni del più fico tra gli amici del fratellino, tanto che più d’una volta, in estate, nello spogliatoio adiacente la piscina della villa, mentre Yoghi trangugiava cocktail e discuteva di Ferrari e Porche con Luca, si era lasciata baciare sulla bocca e toccare tra le cosce: si mordeva rabbioso il labbro inferiore, ora, il ragazzo, ripensando a quel corpo abbronzato, a quei seni ridondanti, al sorriso che leggeva maturo e piacevolmente sadico, sovrastante il suo da innamorato remissivo e del tutto dipendente dal suo fascino.

    Luca Ferrari marcava stretto Pedrita. La ragazza, che aveva numerosi spasimanti, sembrava, come al solito, snobbarlo. Questo lo rendeva, nonostante la coca, rabbioso e depresso, tanto che Mirko, che mascherava più sobriamente il suo disappunto per l’assenza di Marina, un paio di volte era intervenuto accompagnandolo in giardino a fumare una sigaretta.

    La giovane brasiliana approfittò di una di queste sospirate tregue per presentare Selmo allo zio: un uomo molto alto dal ventre prominente, con i capelli leggermente brizzolati e due occhi tondi da spaventapasseri, piuttosto sorpreso dal fatto che tra gli amici della nipote brasiliana vi fosse un tipo del genere, che si presentava a una festa a casa di gente importante vestito come uno di quei ciarlatani del rock and roll (il professore era cultore di musica classica). Dopo la stretta di mano, indifferente alla smorfia dell’omone dall’aria autorevole, Dell’Oro si diede da fare con le tartine (al salmone, al caviale, al prosciutto e insalata russa, allo stracchino), il Berlucchi e il La Versa, pensando a quanto ci sarebbe rimasta male Loredana se avesse saputo che si era recato a una festa dai Marescalchi senza dirle niente.

    Come se fosse sempre sincera, la stronza, pensò... mica dimentico, io, quando si mise a fare la troia con Mauro D’Urso, in palestra: quante botte, quella sera, cazzo, erano in tre contro uno, però gliel’ho fatta vedere lo stesso: sono tornato a casa ch’ero tutto un livido, ma ho dimostrato che non avevo paura di loro, quelle montagne inutili di merda muscolosa...

    Più beveva, però, e meno pensava alla sua ragazza, mentre prepotente cresceva il desiderio di fare ancora l’amore con Pedrita: era una meraviglia, quel tipino dagli occhi gelidi e il corpo bollente, un bocconcino pepato ideale per rinvigorire in un colpo solo autostima e strumento del piacere (questo era il modo in cui il suo amico Giullare, con aria disillusa, definiva l’organo genitale maschile, vantandosi del fatto che, per lui, l’amore non era che una manfrina sulfurea fumigante sulla sintesi dell’incontro tra corpi più o meno vogliosi prima dell’inevitabile decadenza).

    Selmo desiderava Pedrita. Voleva chiederle di mollarla lì con la festa, sgattaiolare oltre il giardino e andare a fare l’amore facendosi beffe di tutti quanti i presenti: carampane variopinte e yuppies privi di palle, ragazzine vanitose che cinguettavano sciocchezze su marche di vestiti e viaggi esotici, rincoglionendo i loro pretendenti con la bella macchina e la pelle abbrustolita dalle lampade abbronzanti.

    Si mise a cercarla tra gli ospiti, senza trovarla. Salì l’ampio scalone con il battimano di noce scuro e, sul pianerottolo, incontrò Mirko e Gipo Marescalchi in compagnia di due ragazze che conosceva di vista. Mirko parlava a raffica della serata da organizzare al Covo di Nord Est a Santa e Gipo lo guardava con gli occhi ottusi di sempre. Era molto ricco, naturalmente, il figlio dei padroni di casa, e aveva un mucchio di amici che, sotto banco, pensavano fosse un vero rimbambito. Le ragazze, in abito corto e tacchi alti, avevano lunghi capelli biondi e sembravano gemelle. Selmo chiese di Pedrita. Risposero di non averla vista. Scese di sotto dov’era raggruppata la maggior parte degli adulti, intenti a discutere allegramente della caduta del muro di Berlino, non proprio uno dei suoi argomenti preferiti.

    Si chiese dove diavolo fosse finita quella ragazza.

    Neppure Luca Ferrari era in zona... magari si sono imboscati... però sarebbe strano, lei sembrava detestarlo sul serio, mentre con me... si è lasciata andare in modo spontaneo, certo, perché io sono io, mica una di quelle mammolette che al momento del dunque non sono capaci di far felice una ragazza come lei. Lo so io che tipo di sangue scorre nelle vene di Pedrita... ci s’intende al volo noi due, per cui...

    Uscì in giardino. Piovigginava. Sotto la veranda c’era qualcuno che fumava. Altri parlavano a voce alta. Il motore di un’auto, nel parcheggio, rombava, come se il pilota si divertisse a mostrarne la potenza.

    Accese una sigaretta e fece due passi sul marciapiede che copriva l’intero perimetro di Villa Marescalchi. Svoltò l’angolo e la vide a terra, proprio lei, Pedrita, con le braccia aperte e il corpo curvo in una posizione innaturale. Sì avvicinò, aveva uno sguardo sardonico che non le apparteneva e il cranio spaccato. Nella mente di Selmo passò di tutto, sgomento e terrore, dolore... spazzato via da una rabbia cocente che bruciava i pensieri e li inceneriva, coprendo con un velo inaudito brandelli di ricordi, come fotografie che ritraevano Pedrita tra le sue braccia, nuda e sorridente, priva di ogni astio o ipocrisia, e soprattutto lontana anni luce dallo sguardo deturpato che aveva lì, morta sul marciapiede.

    Gigi Sambuco era un giovane investigatore privato. Il suo ufficio aveva sede in Borgo Ticino, a Pavia. La scelta di quel luogo era dovuta semplicemente al fatto che era il suo quartiere preferito: da bambino si recava spesso proprio in via dei Mille, dove abitavano i suoi nonni materni. Lui, con i genitori, viveva sul Naviglio Pavese presso Borgo Calvenzano, in una corte comune abitata soprattutto da impiegati e piccoli commercianti, tra cui un fruttivendolo molto simpatico, che a maggio gli regalava le fragole e a luglio le ciliege, e soprattutto gli prestava i fumetti del Comandante Mark.

    Ricordava con piacere le corse in bicicletta lungoticino fino al Ponte Coperto in compagnia del suo migliore amico, Michele Genziana (futuro Commissario di Polizia) e i panini con olio sale e pomodoro o cacciatorino mostoso che sua nonna gli preparava appena arrivati in Borgo: era una donna esile, un po’

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