Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un angelo digitale
Un angelo digitale
Un angelo digitale
E-book188 pagine2 ore

Un angelo digitale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Anno 2031: Stefano Baroni, 52 anni, imprenditore del settore Information Technology, ha una splendida famiglia, è all’apice della carriera professionale, e mantiene intatti i suoi valori, nonostante l’immoralità e il degrado della società. Quale migliore occasione per essere preso per i fondelli dal destino, che prima gli manda un tumore che ferocemente si impossessa della sua vita, e poi gli dà la più incredibile delle opportunità. Quella di ricominciare in un’altra dimensione che tutti noi abbiamo vicina ma non conosciamo per nulla. Quella di proteggere la propria famiglia e i propri amici da coloro che vogliono approfittarsi della sua assenza. Quella di cambiare veramente il mondo. Quella di unire logica e sentimento, come armi per sconfiggere lo sgomento di un universo alieno la cui materia prima è la solitudine. 
Un thriller tecnologico e futuristico ambientato sul confine indistinto tra il mondo reale e il cyberspazio; il primo capitolo dell’avventura di un gruppo di hacker e della loro guida virtuale, in un’epoca in cui i valori umani crollano e solo cuori eroici, hardware o software, possono resistere, con ingenua fede, alla depravazione sociale.

Stefano Gelati è nato a Milano nel 1967, appassionato da sempre di letteratura e poesia, con una predilezione per la fantascienza e il cyberpunk. Ha studiato teatro, scrittura creativa e poetica, speakeraggio. Ha fatto parte di tre compagnie teatrali amatoriali, di un gruppo di poeti da palcoscenico, e ha un podcast personale in tema sociale e antropologico. Si ispira a Dick, Asimov, Gibson, Clancy.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9791255370512
Un angelo digitale

Correlato a Un angelo digitale

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Un angelo digitale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un angelo digitale - Stefano Gelati

    LQpiattogelati.jpg

    Stefano Gelati

    Un angelo digitale

    Un romanzo della serie: Omega Dogs:

    Volume 1

    | Un Angelo Digitale

    Volume 2

    | Collasso Verticale

    Volume 3

    | Catastrofe Logica

    Volume 4

    | Angeli Frammentati

    Volume 5

    | Ipocrisia Cibernetica

    © 2022 Vertigo Edizioni s.r.l., Roma

    www.vertigoedizioni.it

    info@vertigoedizioni.it

    ISBN 979-12-5537-012-3

    I edizione dicembre 2022

    Autore: Stefano Gelati

    stefano.gelati@fastwebnet.it

    348-5620381

    Sono graditi commenti e recensioni.

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Cover photo by Sanaan Mazhar from Pexels and by Bet_Noire, Urupong and Chainatp from Istock

    Un angelo digitale

    Nel presente testo, ogni riferimento a persone reali è puramente casuale. Alcuni fatti reali sono presentati in forma romanzata; in ogni altro caso il riferimento a fatti reali è puramente casuale.

    COPYRIGHT, tutti i diritti riservati all’autore.

    Nessun computer è stato maltrattato

    nella stesura di questo libro.

    Beh, magari qualche hard reset.

    Ai veri amici, angeli analogici

    Prologo

    Per tutta la mia vita ho sentito dire che nell’ultimo momento, in cima all’ultimo respiro, quando la morte è soltanto una dolce, confortevole, invitante discesa verso un traguardo di pace, il panorama è una serie di istantanee della propria esistenza, un libro di fotografie di momenti felici, di amore regalato, di quella inconsistente, temporanea commedia che chiamiamo realtà.

    Niente di tutto questo, per me.

    Io ho visto il futuro.

    Non so cosa ho fatto per meritarlo, perché in fondo sono stato un uomo come gli altri, con i miei pregi e i miei difetti, inserito in una evoluzione umana diventata virale, non certo per colpa mia. Ma di colpe devo averne avute, per ricevere come retribuzione la croce più pesante da questo lato del Gòlgota: l’immortalità.

    L’immortalità, infatti, è maledetta. Torturata dalla solitudine, corrotta dal narcisismo, asintotica ai più orribili sensi di colpa; un viaggio infinito in un grigio oceano di angoscia.

    Perché non c’è peggior angoscia che quella di essere autocosciente, ma di aver perso le luci guida più preziose dell’universo: la paura e il dubbio.

    Non esiste luogo più freddo, nell’universo, che la perfezione.

    Perché chi è perfetto, come gli angeli, come essi è irrimediabilmente solo.

    Questa è la mia storia, dalla benedizione della morte fisica, all’avventura impossibile in una dimensione elettronica, virtuale, digitale.

    Un’esistenza alternativa, percorsa alla velocità della luce, verso la redenzione.

    Capitolo 1

    Cominciò tutto con un messaggio di posta elettronica proveniente dal reparto di oncologia dell’ospedale Humanitas di Rozzano:

    ‘Il Dottor Frigerio desidera conferire con lei per questioni della massima urgenza. È pregato di mettersi in contatto con la segreteria del reparto, al più presto.’

    Non so se fu il tono a darmi la certezza che quello era il messaggio funebre definitivo, il punto di arrivo. Forse fu il momento: durante la riunione del consiglio di amministrazione, proprio davanti a quei bidoni pieni di ipocrisia e arrivismo, che da settimane, attorno al tavolo ovale di mogano lucido da quattordici posti, circondati dalle vetrate invase dal sole d’estate, guardati con elettronica indifferenza dagli schermi degli eleganti Macbook Air con gli ultimi forecast, i dati finanziari o la pagina Facebook, si stavano scannando a suon di coltellate legali, accompagnate da sorrisi da sessione di teamwork nei boschi. Già almeno tre, i più giovani e meno smaliziati, erano stati trucidati, e chi osservava il fondo della tazzina di caffè, come a cercare un improbabile oracolo, chi guardava le vetrate, come se contemplasse l’idea di romperne una con la sedia ergonomica a cinque rotelle e concludere la propria rampante carriera di manager con un cinematografico volo verso Piazza Gae Aulenti, trenta piani più in basso. Il resto del branco intanto, soddisfatta la propria atavica furia maciullando i perdenti senza pietà, si guardava intorno con un misto di soddisfazione e anticipazione, come scacchisti davanti al tavolino della finale, con la certezza di sbranare ogni avversario.

    Bobby Fisher, il geniale e paranoico campione, aveva detto che gli scacchi sono il gioco più violento che esista. Non aveva evidentemente mai partecipato a un consiglio di amministrazione di una società quotata in borsa, nel settore dell’information technology.

    Non aveva mai conosciuto questi sacchi di merda.

    Avevano avuto modo di festeggiare già due settimane prima, al mio annuncio del ritiro, dalla carica di amministratore delegato della New Age S.p.A., per motivi personali e riservati. Talmente riservati che qualcuno di loro aveva stampato in fronte il messaggio per me: Come va il tumore al pancreas? Cresce sempre bene, il piccino?, accompagnato da un sorriso tipo Come mi piace che tu te ne vada in questo modo. Soffri, vecchio bastardo. Con una soddisfazione ancora maggiore, considerando che l’unico modo possibile, perché la notizia si fosse divulgata così rapidamente, era che qualcuno di queste disgustose faine si fosse scopato una delle fidatissime segretarie di direzione. Magari in una stanza all’hotel Gallia, dopo una serata al Just Cavalli, mettendo il conto in nota spese. Dunque alla fin fine, apericena, pompino, e delazione, tutto pagato da me. E senza neanche la soddisfazione, per la svampita, di migliorare la propria posizione nella società, visto che, qui alla New Age, i delatori vengono normalmente fatti fuori, per non lasciare testimoni. Infatti sul mio tavolo c’era la richiesta di spostare, alla reception di una consociata, la mitica Roberta, con la sua quinta e i suoi zigomi al botox, per ‘problemi di inefficienza operativa e disattenzione’. Sì, disattenzione nel riporre la sua fiducia.

    Mi scusai, e accompagnato da sguardi tipo Di già? È la mia settimana fortunata!, uscii dalla sala riunioni.

    Il dottor Frigerio era un uomo che sembrava averne viste troppe in vita sua, ma accettare tutto con pazienza. Capelli grigi, calvizie appena accennata, occhi gentili. Aveva un modo di fare molto umano, una vera fortuna in un reparto in cui è assai probabile che le persone ricevano il messaggio più naturale, ma paradossalmente più inaspettato. Ciò che succede sempre agli altri, e sembra impossibile che accada a noi.

    Venne di persona a prendermi nell’atrio, il che mi diede un’altra scossa gelata. Tutte le volte che mi aveva visitato, nei due mesi da quando era comparsa la nausea, mi aveva aspettato per un regolare appuntamento nel suo studio. Oggi, alle 5:30 del pomeriggio, con una coda di appuntamenti presumibilmente lunghissima, e di difficile incastro, il miglior oncologo dell’Humanitas si scomodava per me.

    Raggiunto lo studio, al secondo piano, mi fece vedere i risultati della biopsia, ricavata durante l’endoscopia. I termini medici non erano comprensibili, ovviamente, ma si capiva il tono. Mi fece anche guardare, di nuovo, la risonanza magnetica e la TAC, non so perché, forse nella speranza di farmi intendere che era stato verificato tutto, e tentato tutto il possibile. Ci sedemmo alla scrivania, piena di fogli di appunti, e scatole di misteriosi medicinali in confezioni piccolissime, evidentemente provini di informatori del farmaco. Pensai per un attimo al possibile successo commerciale, se avessi fondato un’azienda farmaceutica, anziché quel baraccone di informatica. Mi ricordo la sorpresa per avere avuto questo pensiero, visto l’orgoglio con cui avevo dato tutto, per la mia azienda. Compresa la salute, parrebbe. Dovevo aver avuto delle espressioni contrastanti e bizzarre, perché Frigerio interruppe il mio flusso di coscienza: «Dottor Baroni» aveva una voce calma, da documentario sulle anatre selvatiche «credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro. Io sconsiglio di insistere con chemioterapia e radioterapia. Lei sa cosa questo significa. Mi dispiace molto, non solo professionalmente, ma anche umanamente, perché lei è un uomo eccezionale».

    «La ringrazio dottore. Qua-quanto tempo?». Forse ho balbettato cinque volte in vita mia, l’ultima che mi ricordi, durante la cerimonia nuziale. E adesso il grande, pragmatico, integro dottor ingegner Stefano Baroni, ex proprietario, e ora ex amministratore delegato, del colosso di information technology più in voga e di copertina d’Italia, l’uomo che faceva il culo al ministro della difesa, in riunioni che finivano a mezzanotte, sulla possibilità di intrusione informatica, nei server dell’Esercito, da parte degli integralisti cristiani del Venezuela, aveva la voce che tremava.

    «Non è facile fare una stima. Sulla base di esperienze precedenti, vista la dimensione delle intrusioni metastatiche, e il tasso di crescita del marker, da quattro a otto settimane».

    Silenzio. Un silenzio che piega le fronti al suolo. Un bellissimo verso di una poesia di García Lorca, che mio padre mi leggeva quand’ero bambino, nelle serate in cui la TV restava spenta.

    «Mi dispiace». Il dottore guardò i referti, come se sul tavolo fosse disteso un serpente a sonagli. «Davvero, mi dispiace. Non solo per un motivo professionale; da quando la conosco ho potuto apprezzare il tipo di uomo che lei è, la sua personalità, il suo spirito. Spero di non sembrare retorico, ma con la gentaglia che c’è in giro, un uomo come lei fa la differenza, e l’intera società sarà sminuita. Sono sincero, mi creda».

    «Sì, dottore, si sente che è sincero» e un uomo della stessa pasta, non lo dissi ma lo pensai. Se non fosse stato così, non gli avrei affidato ogni mia residua speranza nei confronti di un tumore, che alla mia età, 52 anni, è tra i più rapidi e nefasti.

    «Ora, il mio dovere è quello di darle le informazioni essenziali, per il periodo che verrà». Un altro rapido sguardo al crotalo sulla scrivania, poi il dottore proseguì: «La crescita sarà molto rapida, e quello che ora è un lieve fastidio, con occasionale nausea e bruciore, diventerà qualcosa di persistente e intenso. Le prescriverò» prese il taccuino con un gesto automatico, senza guardare «degli antidolorifici, in progressione» cominciò a scrivere, mentre dettava, a se stesso, la litania dell’oncologo costretto a inchinarsi al nemico che aveva giurato di combattere quel giorno, con la toga e la ghirlanda, sotto gli alberi fioriti del cortile dell’università (chissà perché, mi immagino ogni festa di laurea in un bel giorno di primavera, come la mia).

    «Dottore».

    La penna si fermò con un sospiro. Si tolse gli occhiali e mi osservò con uno spettacolare sguardo, misto di rimprovero e ammirazione, degno dell’Actor’s Studio: «Non li prenderà».

    «No».

    «Non mi aspettavo nulla di meno da lei. Io le devo fare la prescrizione per legge, per protocollo, e per l’animaccia di Ippocrate che altrimenti mi inseguirebbe nel sonno. Ma questa me l’aspettavo. Lei vuole essere lucido e presente per i suoi cari, fino all’ultimo momento in cui ciò sarà umanamente possibile. Conoscendola, sarà una battaglia con il dolore che combatterà fino all’ultimo».

    «Non è solo questo».

    L’ammirazione nei suoi occhi aumentò: «Lei vuole affrontarla, non subirla. A viso aperto, come ha fatto con tutti i nemici che le si sono parati davanti in vita sua».

    Sorrisi debolmente: «Tanto tempo fa, ho visto un film sugli ultimi giorni di vita di Tiziano Terzani. Era interpretato da Bruno Ganz, un attore geniale. Quello del ‘Cielo sopra Berlino’. Alla fine, soltanto alla fine, Tiziano scopre la paura, e la affronta».

    «Non mi aspettavo niente di meno da lei».

    Mi porse l’inutile foglietto. Poi fece il giro della scrivania e mi strinse la mano con forza e calore.

    «Sono felice di averla conosciuta».

    «Grazie, posso dire la stessa cosa. E grazie anche per la cura e l’attenzione, per la comprensione e l’empatia».

    «Faccio il possibile. Purtroppo, a volte non basta per ottenere i risultati che vorrei con tutto il cuore».

    «Beh… per l’impossibile, c’è New Age». Sorrisi, a me stesso più che a lui, per lo slogan che io stesso avevo coniato anni prima, in una interminabile serata con quelli del marketing, in una sala riunioni molto diversa, come aspetto, dimensione, e razza di esseri viventi che la popolavano. All’epoca erano esseri umani, giovani, entusiasti, caparbi, una nidiata di aquilotti che si facevano perdonare ogni ingenuità. Non certo il covo di scorpioni che avevo lasciato quella mattina. Il dottore, evidentemente, era ferrato dell’ambiente dell’informatica, perché sorrise in modo consapevole e complice.

    Mentre mi accompagnava alla porta, però, diventò pensieroso. Quasi indeciso. Mi azzardai: «C’è qualcos’altro che deve dirmi?».

    «Sì, a dire il vero, c'è qualcos’altro. Una sciocchezza, comunque, non vorrei farle perdere tempo. In particolare…».

    Certo, in particolare, in questa situazione in cui mi trovo. In quel momento presi, per una fluttuazione di probabilità resistente ad ogni calcolo, la Decisione. Quella che avrebbe cambiato il mio destino. Decisi di insistere: «Raramente le ho sentito dire delle sciocchezze, Dottore. Prego, mi dica».

    Mi fissò, con occhi che sembravano volermi scavare dentro.

    Dopo un interminabile istante, disse: «Un mio amico di squash, mi ha parlato di una persona che lavora per lei, nel settore progetti speciali». L’unità di sviluppo del kernel, ad Agrate; il cuore di tutti i software prodotti dell’azienda. Un covo di giovani geni, che tra una partita a Dungeons and Dragons online e una capatina in bagno con l’ultimo numero di Playboy in mano, si facevano venire in mente tutte le idee innovative che poi l’azienda rivendeva, con ampio

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1