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Below the line - lo strano caso di coscienza di mister reflex
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E-book265 pagine2 ore

Below the line - lo strano caso di coscienza di mister reflex

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Info su questo ebook

Le guerre non si scelgono. Ci toccano.
Quella capitata a Mister Reflex si chiama “crisi economico-finanziaria strutturale generalizzata”. Non è mondiale come le due precedenti, ma di più: qualche incallito ottimista l’ha definita globale! E pure più lunga del nome stesso che porta.
Ma rispetto alle guerre di sempre, qui i carnefici hanno tutte facce normali. Quasi ci somigliano. E forse è così.
Tanto da indurre il giovane pubblicitario, protagonista del libro, a dubitare di se e a trovare il coraggio, finalmente, per guardarsi nell’anima e indagare se mai avesse un alibi per quel suo imbarazzante passato.
E se le risposte che trova non saranno mai più eloquenti del comune senso di civiltà, un primato questo libro ce l'ha, perché prodromico di un genere nuovo che potrebbe definirsi "romanzo internettuale". Che alla scrittura graffiante e spassosa, unisce l'immagine, divenuta insostituibile per coloro che al millennio in corso gli riconoscono la paternità putativa. Anche per l'infinita varietà di strumentazioni - smartphone, tablet e quant'altro - che ce lo fa credere. Che ci cambia addirittura il modo di fruire delle pagine. Come accade per questo libro.
Un libro che parla la lingua di oggi alla gente di oggi. Ma un romanzo a tutti gli effetti. Un po’ giallo e un po’ tragedia. E così tanto provocatorio perché proprio figlio dei tempi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2014
ISBN9788868859855
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    Anteprima del libro

    Below the line - lo strano caso di coscienza di mister reflex - Claudio Bruno Russo

    B.

    1

    Paranoid

    Da LIBERO PROFESSIONISTA

    a PIÚ LIBERO CHE PROFESSIONISTA.

    Fu questo il rating che Standard & Poor's, nella speciale classificazione dell'indice JOB’S (quella del tempo lavorativo effettivamente occupato) assegnò alla mia professione.

    Fu Max a darmi la triste notizia. Chiamò al telefono una mattina dicendomi di aprire bene le orecchie.

    «Vai sul sito www.noisiamolabibbia.com e leggi tutto con molta attenzione. Saprai della sciagura che sta per abbattersi sulla tua testa!» e mise giù.

    Il tempo per realizzare se i postumi dello Speciale Porta a Porta della sera prima s’erano esauriti che mi precipitai davanti al computer.

    Effettivamente, era tutto lì. Pixel su pixel in puntuale codice binario. Puntualissimo.

    Nessun errore di scrittura né virgola fuori posto che mi facesse sperare di non essere io il caso tragico di quell’imbarazzante sentenza.

    Come fecero a calcolarlo è tuttora un mistero dal momento che nemmeno io sapevo bene perché, da così tanto tempo, vagassi su e giù per il corridoio di casa con una matita dietro l’orecchio e lo sguardo perso nel vuoto.

    Però, c'era da credergli.

    «Quelli sono la Bibbia, cazzo! Ne sanno sempre una più del diavolo. Figuriamoci se toppano!» continuavo a ripetermi per convincermi dell’evidenza.

    La cosa mi sconvolse più di quanto già non lo fossi. Non riuscivo a farmene una ragione. Risultava complicato anche solo provarci. Pure a causa del carente stato mentale: un’assenza ingiustificata di attività elettrica attraverso le terminazioni nervose del mio benamato cervello che sentenziava un diagramma fatale.

    Praticamente piatto.

    E più inebetito che mai, ripresi l'andirivieni per il disimpegno. Più in lungo che il largo.

    Qualche tempo dopo, percorrendo lo spazio che separa la cucina dalla cameretta, nel punto esatto in cui fa bella mostra il poster gigante di Dante Alighieri che fa una linguaccia, copia fedele della celebre foto di Einstein e figlia impertinente dell’estro creativo di una mano fin troppo digitale più che di quella di Gustave Doré, capitò di arrestarmi di colpo con l'espressione di chi, folgorato dall’intuizione, porta lo sguardo in alto per fare il punto.

    Uhm..., questi della Standard & Poor’s, hanno determinato che io sia mediamente più libero che professionista, rispetto a un tempo. Ma non specificano né da cosa io sia più svincolato né tanto meno in cosa sia esperto. Fine del ragionamento.

    Gambe di nuovo in spalla e via, a spasso per il corridoio.

    Su e giù, su e giù, su e giù (non in quel senso).

    Che per mestiere facessi qualcosa era fuori discussione dal momento che un commercialista, di tanto in tanto ma sempre con maggiore intervallo di tempo, mi chiamava al telefono versandomi nel timpano dosi copiose di cifre, codici e date. Il tutto abbondantemente condito in salatissima salsa d’euro. Poi, metteva giù.

    Quando invece erano cose più riservate mi messaggiava per chiedermi d’incontrarci.

    Ma a quel commercialista preferivo non chiedere spiegazioni, per evitare figure di merda.

    Su e giù, su e giù, su e giù.

    Ero la prova vivente che il moto perpetuo esiste, in natura. Meno animati invece erano i pensieri che mi passavano per la mente. Un vero chiodo fisso: di cosa mai potrei essere esperto? Di quale benedetto mestiere potrebbe trattarsi? Non riuscivo a rispondermi.

    E neppure a fermarmi.

    Su e giù, su e giù, su e giù.

    Per assicurarmi che al momento della grande illuminazione fossi stato presente in me stesso, presi addirittura il domicilio in corridoio, arrivando a sacrificare metà del salone per azzardare ragionamenti più estesi.

    Su e giù, su e giù, su e giù. Come i contrappesi dell’orologio di design in cristallo Baccarat, sulla parete, che battevano il tempo.

    Fu così che un bel giorno (o era di notte?) mentre mi dimenavo come un ossesso sulle note di Paranoid dei Black Sabbath, che un’idea strabiliante mi proiettò di colpo al settimo cielo facendomi urlare di gioia.

    «Ma certo! Come diavolo ho fatto a non pensarci: telefono ai Sigg. Standard & Poor's e saranno loro a dirmi che diavolo di lavoro faccio e in cosa sono capace. Loro sono la Bibbia, cazzo! Sanno sempre tutto di tutti, figuriamoci se toppano.»

    Così feci.

    Come si usa in questi casi, quando della stessa società si ha un bigliettino con un doppio nominativo e si desidera a tutti i costi parlare con uno di essi, chiamai il secondo.

    Sta lì per quello.

    «Hi, Mr. Poor's,

    it's a great pleasure for me...,

    I woul'd like to know...»

    E gli sciorinai l'arcano.

    Lui fu davvero gentile e la risposta immediata:

    « R - O - M - P - I - C - O - G - L - I - O - N - I - ! »

    (tradotta da Google).

    Immediatamente, mi ricordai del mio innato talento e fui travolto da una smania irrefrenabile di far sapere al mondo di quella mia dote.

    2

    Il mio fiscalista doveva farsi prete

    (ovvero, la mia filosofia di lavoro - LA TEORIA)

    L’euforia non si esaurì subito.

    Il riscatto dell’intero pacchetto di quote proprie mi aveva consentito di riprendermi indietro il pieno controllo delle mie facoltà cognitive. Tornando di fatto mio socio di maggioranza.

    "Bentornato!" avrebbe gridato qualcuno se mai fosse stato presente. Ma da mesi ormai facevo vita da asceta.

    Mi congratulai con me stesso e per l’occasione stappai un Don Salvo Riserva Conti Tagiura 1997 che nella cantinetta frigo di ciò che restava del salone aspettava da troppo.

    Grazie a Mr. Poor’s ero tornato padrone delle mie azioni. Così come dei pensieri. Un investimento mica da poco. Che mi aveva fruttato anche una cospicua dose di adrenalina in corpo e attivato la reazione adrenergica fight or flight (combatti o fuggi).

    Però era tempo di cambiare.

    Il cauto allarme lanciato da Mr. Standard doveva pur significare qualcosa. Quella sentenza faceva il paio col coro di avvisaglie che il mio commercialista mi litaniava da tempo. Ora che la consapevolezza era tornata padrona, vedevo tutto più chiaro e con un certo distacco. Ormai era evidente: avevo addosso l’ombra nera dell’onda che incombeva. C’ero proprio sotto. E se stava terrorizzando ciurme di community manager, search engine optimizer, all-line advertiser, webmaster engineering, content curator, transmedia web editor e ogni sorta di professionista tra quelli che neppure loro sanno bene ciò che fanno ma si ostinano a crederlo solo perché è fico e perché l’interlocutore possa chiedergli «Più precisamente, di che ti occupi?» per sentirsi al centro dell’attenzione e colmare il senso di vuoto interiore, figuriamoci un pubblicitario super ammanicato, ma competente; nonché fotografo di talento, pur se maneggione, che da un po’ era caduto in disgrazia. Senza più amicizie influenti né conoscenze autorevoli a spianargli la strada. Tornato di fatto il presunto capace free lance di una volta. Anche più che free (per essere esatti). Per non dire disoccupato.

    Per giunta, senza più nemmeno l’ispirazione. E pure rompiballe. Che stava ancora contando i danni dell’ultimo tsunami economico.

    Quella che incalzava, poi, era la madre di tutte le onde. Quella che i surfisti inseguono per la vita e chiamano semplicemente the one (la sola). Io che non ho mai badato a spese la chiamavo invece crisi economico-finanziaria globale generalizzata. E nemmeno dovevo chiamarla perché era lei a inseguirmi. A un passo. Oltre che nera, era sporca, brutta e assassina. Con la forza distruttrice di mille uragani.

    La faccenda iniziava a mettersi sul cazzuto andante e l’ipotesi di salvarmi il culo prendeva sempre più consistenza.

    Perdere la ragione, in fin dei conti, era stata una benedizione. Un riflesso inconscio che mi aveva permesso di sfuggire alla tragica realtà del momento, al fine di contenere il livello di stress su valori accettabili prima di raccogliere tutte le forze per decidermi sul da farsi.

    Se non ero pronto a fare qualcosa a breve non ci sarebbero più state opzioni. Solo una nera certezza.

    Dopo il salto mortale all’indietro raggruppato del passato esercizio commerciale, il fatturato dell’ultimo scorcio procedeva anche peggio: in puro stile a candela. Un tonfo verticale con coefficiente di difficoltà massimo a cui i revisori contabili avevano assegnato unanimi un bel - 74%!!!

    Da quando avevo fondato lo studio non mi era mai capitato. Neppure verso il duemilaotto allorché il piedistallo dell’immaginativa e speculativa new economy (così innovativa da far credere che quel new volesse proprio intendere nuovo) aveva iniziato a scricchiolare generando non poco spavento. Sotto il peso di una finanza globale affetta da delirio di onnipotenza.

    I miei fatturati si erano sempre difesi alla grande. Sostenuti da una moderata ma inarrestabile crescita.

    Quelli ufficiali.

    Quelli compiacenti, che flottavano nell’universo dei numeri inconfessati e inconfessabili delle mie sante alleanze erano invece vere esplosioni di supernova; con ricadute di danaro da non credere. Una vera cuccagna.

    Solo davanti agli scarni consuntivi del passato bilancio m’ero arreso all’evidenza d’essere tornato pianeta. Nano, per giunta.

    Per l’ultimissimo periodo, poi, i piani di sviluppo mi classificavano semplice materia oscura.

    «Stanno iniziando a contarci i peli del culo» esordì il mio commercialista.

    Da un po’ di tempo a questa parte era il solenne prefazio ad ogni nostro incontro. Ciò capitava più o meno ogni fine trimestre. E comunque tutte le volte che mi chiedeva di passare da lui per firmare qualche documento contabile.

    Avveniva così: quando erano argomenti ordinari, non suscettibili di segreto contabile, me li travasava nell’orecchio direttamente per telefono e guai a non prenderne nota perché «Io non ripeto» si affrettava ad aggiungere. Eppure il Paganini ero io!

    Tanto per farmi scontare la pretesa che non volessi alcun apprendista contabile tra me e le mie questioni amministrative. Anche le più ordinarie.

    In sintonia con la formula:

    R = M · C · (i + t) / N

    (detta del massimo raggio d’azione)

    Che definisce la capacità di business di cui gode un soggetto economico e introduce allo studio della contabilità indefinita. Che sarebbe più esatto chiamare apparente. O al massimo illecita. Branca fondamentale dell’imprenditorialità moderna. Di cui sono stato un teorico.

    Dove M è una grandezza di natura economica legata alle capacità affaristiche di cui gode un soggetto; C identifica la natura della carica pubblica dell’associato con cui il soggetto è in affari (più alta è la carica e più alto risulterà il valore numerico); N specifica il numero degli iscritti legati per meri fini di tornaconto economico alla buona riuscita dell’affare stesso. Le altre sono delle variabili contingenti di natura diversa legate al settore di mercato in cui opera il soggetto affarista.

    In altre parole: meno persone sanno i cavoli tuoi e meno dovrai guardarti alle spalle.

    Quando invece erano faccende più delicate, da non potersi confessare al microfono d’un cellulare, mi inviava un sms:

    HO SISTEMATO TUTTO.

    CI VEDIAMO DA ME MARTEDÍ, SOLITA ORA.

    È URGENTISSIMO. 84 VOLTE URGENTE.

    Che tradotto in codice voleva dire:

    Devo ragguagliarti sulla questione delle 2.850 penne d’oro iscritte a registro per uso cancelleria della tua segretaria; sul giustificativo di spesa per quei quattordici struzzi del tuo amico allevatore che ho fatto rientrare in bilancio sotto la voce Allestimento per set fotografico; e sull’espediente per includere la tua recente vacanza nei Mari del Sud tra le spese deducibili di rappresentanza. Non dimenticarti il mio assegno mensile e la mia parte extra di contante. Passo e chiudo.

    Che per uno studio pubblicitario il cui logo era un tulipano azzurro stilizzato (nella tradizione simbologica occidentale immagine di onestà, lealtà e correttezza) per giunta di quel colore (in araldica identifica la virtù e la fermezza incorruttibile) non era certo il massimo.

    N.B. Mentre i primi argomenti variavano sempre per descrizione, numero e tipologia merceologica, quello di chiusura era fisso. Variava solo la cifra che indicava quanto fosse urgente l’incontro.

    Più cinicamente, suggeriva le volte che avrei dovuto moltiplicare quel numero per il nostro coefficiente di base che per convenzione avevamo posto pari a duecento. Nel caso specifico, il numero 84 doveva intendersi: 200 x 84 = 16.800 euro.

    Con questo espediente egli mi comunicava in anticipo la somma in nero che avrei dovuto corrispondergli per gli escamotage contabili da lui architettati, allorché ci saremmo incontrati.

    (La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa logica prescritta. - T.W. Adorno)

    Era un rapporto consolidato, il nostro. Per questa ragione i pomeriggi dei due martedì antecedenti la chiusura di ogni trimestre cercavo di mantenermi libero da impegni.

    «Continuare a fare questi giochetti comincia a essere rischioso. Troppo rischioso!» era il prologo al solenne prefazio. E per un’ora almeno parlava solo lui, illustrandomi tutta una serie di percentuali contabili, variazioni incrementative, note di spesa, aliquote progressive, analisi di bilancio e subtotali.

    Anche quando - grazie alla crisi - le somme che gli passavo s’erano fatte più gravose, c’era un momento di quegli incontri che non mi sarei perso per tutto l’oro del mondo. Mi divertiva a tal punto da sognarmi un giorno di riprenderlo con una telecamerina nascosta e iscriverlo a un concorso per corti, sul web.

    Avrei spinto REC nell’esatto momento in cui poggiavo sulla scrivania la busta sigillata con dentro il denaro contante. Quello extra. Frutto della moltiplicazione, per intenderci.

    Lo facevo sempre dopo un po’ che aveva cominciato a parlare. Lui fingeva di non accorgersene, continuando a celebrare messa; alternando lo sguardo dal messale che aveva davanti alle mie pupille.

    Io capivo che aveva fiutato l’odore del peccato perché la sua voce prendeva slancio, diventando più sciolta. Pur continuando a pontificare raffiche in sequenza di tre-parole/una-cifra.

    Passato qualche minuto, allorché le sequenze s’erano ribaltate a una-parola/tre-cifre, continuando a fissarmi negli occhi a intervalli sincroni, allungava la mano destra per afferrare la busta coi soldi che gli poggiavo sulla scrivania più lontano da lui che potevo. E lentamente la trascinava a sé, sul piano in noce scuro fine ‘800, verso il precipizio. Al di sotto del quale immaginavo vi fosse una cassettiera. Il tonfo che ne seguiva sanciva la fine della scena.

    Il tutto a memoria! Senza guardare! E con l’ausilio della sola mano destra!

    A quel punto, veloce e velenoso, lo pungevo:

    «Ti prego, però, contali.»

    «Sono giusti!» mi ribatteva a tono. Con la mano che ricompattava la presunta cassettiera, giù in basso, e riemergeva in superficie utile per la lettura dal lezionario.

    Erano superpoteri, i suoi? Si trattava di lettura del pensiero? E se avesse mancato il canestro? O quale minchia di mistero infinito c’era dietro a quella grottesca rappresentazione. Erano solo alcuni dei mille interrogativi che mi frullavano in testa ogni volta che mi recavo al suo studio. Sempre quelli. Che per discrezione e per tenermelo buono non ho mai osato chiedergli.

    Per il gran finale immaginavo un lentissimo piano sequenza che dal dettaglio sul precipizio misterioso della scrivania scivolava a ritroso sulle cose che vi erano poggiate sopra: la copia di un libro giornale; quella di un numero del mensile IRPEF (Il Registro del Perfetto Fiscalista); il computer acceso su una chat per pratiche meditative trascendentali; le chiavi di una cassetta di sicurezza; la cartolina da un paradiso fiscale coi saluti di un collega. Fino a stringere il dettaglio sulla pupilla sgranata del sottoscritto. E

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