Il bambino di pietra: Una nevrosi femminile
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Anteprima del libro
Il bambino di pietra - Laudomia Bonanni
10
Laudomia Bonanni
Il bambino di pietra
Una nevrosi femminile
Prefazione di Dacia Maraini
Titolo: Il bambino di pietra. Una nevrosi femminile (1979)
Autrice: Laudomia Bonanni
Questo libro è pubblicato secondo accordi presi con i legali detentori dei diritti d’autore.
Progetto grafico di Cristina Barone
Illustrazione di copertina di Carla Indipendente
ISBN: 9788899729400
Prima edizione: maggio 2021
© 2021 Cliquot edizioni srl – Roma
www.cliquot.it
cliquot@cliquot.it
Prefazione
«Mi rendo conto d’aver preso l’abitudine di pensare come scriverei. Andrò a scriverlo», dice Cassandra, la protagonista del romanzo. Ed è davvero questa l’impressione che si prova leggendo Il bambino di pietra. Intrecci di vite pensati per la scrittura, dove tutto ha una sua ragione, un luogo dal quale partire e le tante strade della memoria da ripercorrere senza mai abbandonare i fili portanti.
Un libro questo che viene riedito dopo più di quarant’anni nei quali Laudomia Bonanni è stata quasi dimenticata, per tornare a farci riflettere sulla condizione femminile con la sua scrittura convulsa e dolente, ma piena di vita e immaginazione.
Nel 1979 qualcuno aveva pensato fosse un libro autobiografico, ma non era così, anche se certamente autrice e protagonista, entrambe calate negli anni caldi del femminismo, erano unite dagli stessi ideali. Nel sogno condiviso di una società in cui le donne non dovessero più contrabbandare i propri desideri, in cui potessero esprimere un proprio immaginario, in cui fossero libere di raccontare la propria storia con il proprio punto di vista storico e, cosa più importante, in cui fondare il principio di solidarietà tra donne.
Cassandra (anche il nome non è casuale) vive una crisi esistenziale che la porta a chiedere aiuto a uno psicanalista, ma di fatto è solo scrivendo che mette insieme le pedine della propria esperienza dall’infanzia alla maturità.
L’infanzia è un territorio sconosciuto. Anni della vita scomparsi, come se non li avessimo vissuti. A sprazzi la memoria ci ripresenta momenti isolati, luoghi persone impressioni, emersi dall’amnesia. E come possiamo sapere che cosa abbiamo rimosso. Cerco di recuperare qualche filo.
Il quadro che si profila è il ritratto di una borghesia di provincia coi suoi vizi e i suoi divieti che già bambina rifiutava di assecondare. La piccola Cassandra vuole essere diversa, e legge tanto, al contrario dei fratelli, e via via si trova a confrontarsi con una personalità lontana dalle regole che la vorrebbero plasmare moglie e madre docile e asservita.
«L’equilibrio è staticità, non possono possederlo gli artisti né i giovani, perciò la gioventù è avida e tormentata.»
Ma è soprattutto la sua scrittura a essere tormentata, i personaggi si infilano tra le pagine come foto dettagliatissime e riescono a mostrarsi in tutta la loro verità. Ed è così che incontriamo la madre, il padre, le zie zitelle e tanti altri. L’autrice ci conduce nel racconto in un continuo scambio di ruoli dalla bambina all’adulta e viceversa, in un crescendo un po’ affannato che ti tiene legato alle pagine del libro. Il suo giudizio su tutti è severo, ma mai maligno o forzato. Le donne sono al centro della sua attenzione, gli uomini possono affascinarla, ma più complicato sarà amarli.
Forse l’amore è un impegno così grande e sofferto che non se ne può disporre illimitatamente, bastano i consanguinei a consumarne d’avanzo e nemmeno per tutti nella stessa misura.
Eppure anche per lei, inaspettatamente, arriveranno l’amore e il matrimonio, ma si riveleranno soprattutto un patto di complicità, di amicizia. La maternità rimarrà un argomento da non affrontare, mai risolto e resterà il suo trauma fondamentale.
Siamo di fronte alla prevedibile e antichissima paura della maternità? Si tratta di rimozione?
Avrò rimosso il bambino da cui ero ossessionata e traumatizzata? Il figlio rimasto inespresso come un feto calcificato? Questo il blocco che ho portato dentro: l’immaginario bambino di pietra?
Insomma una donna cresciuta nello stigma del peccato che incombe sovrano può non considerarlo tale, può non farsene sopraffare, ma vive lo sdoppiamento e lo strazio della differenza. Anche la tenerezza sconosciuta che le nasce spontanea nei confronti della madre ormai demente la fa riflettere. Forse l’accudimento di qualcuno che si ama può nascondere un piacere sottile se non è imposto, ma per Cassandra vige la paura della sottomissione.
Solo l’arrivo di una nipote giovane e spregiudicata, quella figlia mai voluta, che rappresenta tutto ciò che avrebbe desiderato essere lei, riesce a farla guardare oltre i confini del suo mondo solitario.
Di nuovo la voce, emozionata. «Abbiamo una figlia.» Non ho risposto. La ragazza se ne andrà anche da noi. Guai a credere di possederli, che si siano procreati o no. Nessuno ha figli.
Finale ombroso pieno di domande senza risposta, ma con una certezza civile: non si può possedere nessuno, nemmeno un figlio, il possesso è schiavitù e la schiavitù è stata bandita.
Dacia Maraini
Laudomia Bonanni
Il bambino di pietra
Una nevrosi femminile
Tutto è meglio dell’io
, ma dove metterlo?
Elias Canetti
Cassandra:
Non si froda la natura impunemente.
Parte prima
1
E va bene, provo a scriverlo.
Mi ha ricevuta perché si ricorda del casino. L’avevo detto senza pensarci e subito mi era risuonato, che non creda a una conosciuta in qualche bordello ai suoi tempi, ma lui se ne ricordava. La casa di campagna dell’estate chiamata così non so come, dato che i nostri padri al casino ci andavano.
Non potevamo riconoscerci. Bambina e giovinetto, allora, l’enorme differenza di quindici anni. Ne sono trascorsi quasi quaranta. Ci siamo guardati. La sua voce al telefono, dopo quella fresca categorica della segretaria (il Professore è in partenza, no, Monaco di Baviera, congresso sì) era un po’ roca e debole. Ma non vecchia com’è lui di persona. Raggrinzito calvo e giallo, un pallore intenso a sfumature verdognole. Il bel giovane bronzeo ricciuto che veniva al casino col padre medico condotto.
Ho buttato un occhio al lettino delle sedute. Non mi ci coricherò. Non sono disposta a lasciarmi psicanalizzare. Non intendo dirgli niente oltre i disturbi. La testa, il solito mal di testa che ho già dentro gli occhi mentre lo guardo. La mia repulsione a consultare un neurologo – e non ci ero più tornata – retaggio delle famiglie in cui si sussurrava il medico dei pazzi e le malattie nervose venivano mascherate da esaurimento. Abbiamo avuto un pazzo in famiglia e lui lo sa.
Ha proceduto ai preliminari consueti, come un semplice generico. Con lentezza riguardosa, niente si spogli e poche parole. Pressione sufficiente, cuore veloce. Molto caffè? O no, quasi eliminato. Opina che un poco di più ce ne voglia. Analisi – mia ottemperanza alle esigenze moderne – ottime. Decreta: una salute di ferro. (Come il padre alle zie nubili del casino, che prescriveva camomilla, ridendo.) Lo sapevo, il dolore è alla testa ma il male alla psiche. (Suo padre che diceva: un chirurgo taglierebbe anche la psiche e un neurologo si rifiuta di prendere in troppa considerazione il corpo.)
Temevo l’indagine dello psicanalista sull’attività sessuale. Il sesso all’origine di ogni nevrosi. Anche la santità un prodotto erotico, figurarsi. Purché non sia diventato seguace dello spaventoso Reich. Magari ti domandano ex abrupto se hai l’orgasmo. Freud almeno dichiarava che la vita amorosa della donna è (era?) avvolta in un’oscurità impenetrabile. Per quanto me ne rimane di letture fatte, per così dire, con un occhio solo: paura di scoprire chissaché. E non mi si parli di rimozione, lì per lì confondo con soppressione.
Ha percepito la mia resistenza. Sono una donna emancipata e sotto certi aspetti spregiudicata, ma ho delle difficoltà. Altro retaggio delle famiglie in cui non era (non è?) contemplata la sessualità femminile. Comechesia, in tempi che hanno cominciato col far circolare tra gli studenti questionari sul sesso e rispondevano perfino a ti masturbi, per conto mio non voglio rispondere nemmeno all’analista. (Che rimanga tutto sepolto con l’infanzia.) Oggi poi le ragazzine sono capaci di dichiararsi clitoridee o lesbiche e perfino anali. Io non sono niente. Del resto ignora se sono o sono stata sposata, se ho figli. E non sembra interessarsene.
Nevrosi d’angoscia. L’avrà capito a colpo d’occhio. Lo sapevo da me. L’angoscia invincibile, sofferenza dal profondo, più sconvolgente tormentosa crudele di un dolore fisico. E la testa, questo mal di testa sempre pronto a insorgere, che fa turbinare pensieri ossessivi in un cervello formicolante. Stress da intossicazione emotiva. Anche la nobile melanconia prodotto di una scarica di adrenalina. Melancolia come pazzia. Ciclotimia, intollerabile alternativa. Atra bilis… nero pozzo… desiderio di morte… Sono stata colta dal turbinio cerebrale. Brandelli di idee e frasi captate qua e là, potrebbero anche risalire al padre o essere state scritte da lui. I suoi articoli e interviste (senza mai fotografie) è così che l’ho ritrovato. Cercarlo è stato facile. Difficile ottenere l’appuntamento: i prossimi mesi impegnati – la segretaria categorica – imminente partenza. Per averlo al telefono: gli dica la ragazza del casino. A una celebrità della scienza.
Lo studio è lussuoso. Il professore non corrisponde. Ha un aspetto trasandato inelegante, la giacca gli casca addosso. Vaga rassomiglianza col padre che ostentava un che di contadinesco. Mi guarda in silenzio, gli occhi neri sfocati nella cornea gialla, amichevoli. Si ricorda. Anche io, sempre più vivamente. Quei capelli aladicorvo come li portavano i giovani, ben pressati all’indietro e lucidati a brillantina, vi si drizzava sempre qualche ricciolo. Gliene sono rimasti pochissimi, lisci, ancora neri ma non sembrano tinti.
L’impulso di dirlo: quando zia Amina scoprì il piccolo vortice e la predizione del successo. Ha sorriso. Se ne ricorda. Il piccolo vortice all’occipite da cui si dipartono i capelli (Amina leggeva segretamente D’Annunzio) e lui lo aveva doppio, auspicio di grande fortuna. Scuote la testa e se li tocca alle tempie con precauzione. Avrà sofferto il complesso di perderli come un qualsiasi giovinetto avviato alla calvizie. Riesumiamo quelle zie nubili, isteriche e faccendiere, che non mancavano mai nelle famiglie di una volta.
La domanda si colloca ovvia e impersonale. «Influisce essere o no sposate?»
«Le peggiori nevrosi sono delle sposate.» Aggiunge quasi con riluttanza: «E delle madri». Questo non sembra introdurre alla questione sesso.
Improvvisamente mi sconcerta. «È cattolica?»
Suppongo che per non esserlo più dovrei abiurare. Non mi dirà che la confessione era l’equivalente.
Non lo dice. Penso che neanche qui, coricati, ci si guarda in faccia, come al confessionale. E Sant’Agostino aveva già scoperto la suzione con delizia. Naturalmente del neonato.
È un incontro di vecchia conoscenza – i nostri padri al casino – più che una consultazione clinica. E lui deve partire oggi stesso, secondo la segretaria, sarebbe il caso di levare l’incomodo
, come si esprimevano le zie. No no, non va a Monaco, rinuncia. Ha l’aria stanca malandata. Ma vuole continuare a dimostrarmi interessamento. Suggerisce a me di viaggiare. O no, nemmeno io ne ho voglia, anzi mi spaventa. Distrarsi, compagnia: vita