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Ritrovarsi a New York
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E-book269 pagine3 ore

Ritrovarsi a New York

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Info su questo ebook

Nina sta vivendo un momento particolare della sua vita: alle soglie della menopausa, sta per diventare nonna. Si trova così a riflettere sul passato e sugli anni che passano. Ripensa a quando ha adottato Sara, figlia adolescente che oggi ha trent’anni. Ripensa al suo matrimonio fallito con Pino, bambinone mai cresciuto, ora fidanzato con una gelosissima Ofelia. Ormai quarantacinquenne e senza una relazione da parecchio tempo, Nina si porta tutte queste preoccupazioni a New York, dove vola per lavoro con il collega e amico Santini. Qui riscopre il suo corpo, si rende conto di essere ancora bella, attraente. Il suo lavoro in una casa di moda le permette di vestire abiti particolari, di costruirsi uno stile, una femminilità, e così conosce Max, sorridente manager decisamente più giovane di lei…
LinguaItaliano
EditoreBookRoad
Data di uscita28 feb 2019
ISBN9788833220543
Ritrovarsi a New York

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    Anteprima del libro

    Ritrovarsi a New York - Delfina Ducci

    Capitolo 1

    Un periodo di stress. Tante cose da affrontare: il lavoro, la famiglia. Sono diventate insopportabili. Le energie andate a farsi fottere. Analisi? Non ricordo l’ultima volta che ho regalato il mio sangue all’azienda sanitaria. Mi rifiuto di entrare nell’infernale macchina della prevenzione come panacea a tutti i mali possibili. Le attese millenarie per una visita medica oppure trecento euro per tagliare corto sui tempi. Non fa per me. Se non fosse stato per Anita non sarei qui. Mi ha fatto la testa come un pallone: «Non fai un controllo da cinque anni, devi assolutamente andare dalla ginecologa». Per sentirmi dire cosa, poi? Che la causa delle mie arrabbiature potrebbe essere la menopausa incipiente. Sono fuori di testa tutte e due. Anita e la sua amica dottoressa. È tutto regolare, il corpo funziona alla perfezione, come un orologio svizzero. Anita vuole salvarmi dalla trascuratezza che mi contraddistingue, ma soprattutto cerca solidarietà per il periodo che sta attraversando. La menopausa le ha presentato il conto e tenta di convincermi che prima la si affronta, meglio è. Ma io non sono convinta di dover iniziare il percorso che dovrebbe traghettarmi nella fase del tutto c’est fini. Una donna a quarantacinque anni porta con sé l’essenza straordinaria della femminilità, è forse il momento più colossale per mostrare di essere un vero dono d’amore e di viverlo alla grande.

    Esco dallo studio più indispettita di quando sono arrivata. La dottoressa Anna Paola Lucchetti abbonda in sorrisi rassicuranti, ma dalle smorfie facciali trapela una sottile ironia. Esibisce una sicurezza che suscita antipatia, tornerò con il capo cosparso di cenere? Ne è sicura. Percorro con la macchina itinerari insoliti. Lo studio della dottoressa è appena fuori città, in uno di quei quartieri residenziali dove tutto è costoso, compresa l’aria che si respira. Compreso il costo della visita. Niente fattura altrimenti lo sconticino non si può fare. Non rispondo alle insistenti chiamate di Anita che vuole notizie fresche sul come è andata, le impressioni ricevute, i consigli, le cure…

    «Ma che ti frega» le grido, non appena riesco con una mano ad aprire il cellulare. «Non farmi irritare, tanto per usare il termine della tua dottoressa, che per me si traduce in incazzare. Aspetta che scenda dalla macchina e faccia pipì, sempre che la parte anatomica appena torturata sia ancora in grado di funzionare. Ci vediamo a casa tua oggi pomeriggio.»

    «Calma!» mi raccomanda.

    Anita dichiara di vivere una seconda giovinezza. La figlia Rosa, anzi la Rosa come la chiama nel dialetto spezzino, perché ha origini liguri, è ormai all’università. Indipendente con i soldi di mamma e papà, ma almeno non rompe in casa recriminando su tutto, comprese le presenze genitoriali. La menopausa è stata la liberazione da un incubo durato tutti gli anni della fertilità, perché dopo la Rosa non ha voluto altri figli. E quindi la scadenza del ciclo assumeva un’aspettativa quasi tragica con effetti devastanti, quanto la notizia di non percepire più lo stipendio a fine mese.

    «Non ti piaccio come sono vestita? Non ti va mai bene nulla di me. Non devi civilizzarmi.»

    Anita ha preparato tè e biscottini, particolare che la dice lunga sulla durata delle due chiacchiere dichiarate, quasi mai benevole, sugli amici del giro.

    «Il vestito non lo trovo adatto all’appuntamento di questa mattina.»

    Anita si avvale delle sue origini «nordiche» per elargire consigli di bon ton a chi non si esprime come: la Rosa, la Giusi, il moccico per dire moccolo. Fuori pericolo da gravidanze indesiderate, ora si atteggia a signora di esperienza in materia sessuale. E di buon gusto. Pantaloni, giacche impreziosite da rifiniture eleganti, anelli infilati alle dita come quelli dei giochi dei bambini, collane che ricordano gli anniversari di matrimonio, rossetti pallidi su labbra già smorte di suo.

    «Sono una signora di una certa età» mi schiaffa in faccia. Il tono evasivo e arrendevole con il quale pronuncia la frase «una certa età» è più realistico di quanto possa credere.

    «È certa, è quella che hai, non è un concetto vago» rincalzo. A questa età si può solo dichiarare che lo spirito è ancora vivo e dentro si ruggisce come leonesse. Sono sicura che tale espressione rassegnata la rifila per sentirsi dire: «Lei è in forma splendida. Una gran bella signora che fa ancora girare la testa».

    Invece la mia testa gira perché non sopporto che il tempo faccia di me una prefica che recita litanie dolorose alla defunta giovinezza.

    «A quarantacinque anni secondo te non posso indossare leggings, fuseaux e tacchi alti? Chi me lo vieta?»

    «La ginecologa? La tua amica che propina pasticche e creme per calmare gli ardori, che vivaddio ancora scompigliano la nostra psiche e si aggirano per il corpo in attesa di una gratificazione? Non fare la santarellina, il tuo occhio da pesce marcio, le spalline del reggiseno che cadono per caso e scoprono la spalla procace… a chi vai a raccontare che hai raggiunto la pace dei sensi se divori con lo sguardo gli amici di tua figlia? E le tue paternali sulla fedeltà coniugale per poi rivestire di colla la mano che si attacca a quella di Vincenzo ogni volta che lo saluti? La fedeltà: quale? A chi? Al marito che finalmente vive una sessualità libera e sembra apprezzare ora con più interesse e attrazione la moglie? In nome dell’intelligenza femminile stai lontana da questi stereotipi, da invenzioni di stampo bigotto e distorto della realtà. Tuo marito guarda le ragazze, non la moglie in menopausa. Quelle lo convincono che è ancora il maschio che impollina.»

    «Riesci a farmi sentire ridicola, anche falsa, e questo non lo sopporto.»

    «Scusa, sono nervosa.»

    «È la menopausa, anche a me faceva questo effetto.»

    «Della menopausa ne ho fin sopra i capelli, vogliamo parlare d’altro?»

    Anita non molla, è più forte di lei. Vuole sapere come si è svolta la visita, richiedendo soddisfazione a una curiosità adolescenziale. Vuole conferma di una stessa anatomia fra le donne. Vorrebbe sapere quale taglio avrebbe quella della fortunata che appartiene alla famosa filastrocca: chi ce l’ha d’oro, chi ce l’ha d’argento…

    Sono irriverente, nervosa, prosaica, priva di romanticismo, cinica, una che scoraggia gli uomini nei loro tentativi di approccio solo scoperecci.

    «Sei troppo schietta» dice Anita. «Dovresti ammorbidire l’espressione. Levati dalla bocca quelle parolacce che accompagnano troppo spesso le tue esternazioni!»

    «Per l’amor del cielo! Quelle come te sono delle mangiauomini.»

    «Ne ho uno e mi basta. Ora il nostro rapporto è più intenso, più dolce. Ho scoperto…»

    «Che ha l’amante?»

    «Inutile continuare questa conversazione, non si può parlare con te oggi! Ti ha sconvolto questa visita che io ritengo di routine.»

    «Sconvolta? Dopo il divorzio e la figlia incinta del compagno con cui ha deciso una pausa di riflessione, la visita mi ha messo solo di malumore. Ho troppe cose da affrontare, e la menopausa può attendere.»

    «Non coinvolgerti troppo nelle situazioni degli altri. La menopausa è una brutta bestia. Dovrebbe essere un passaggio naturale a un’altra fase della vita biologica della donna, invece si rivela una complicata faccenda fisica e psicologica, da trattare con delicatezza. Mentre tu, cara Nina, dai l’impressione di andarle contro invece che incontro. La rifiuti e la combatti con la paura di soccombere, di perdere la battaglia. Fatti aiutare. Puoi riscoprire tante cose di te…»

    «Alt. Non imbastire discorsi che somigliano a prediche insulse. Dici cose fritte e rifritte. Scontate. Non sarà il tuo modo mieloso di rivelare che la donna in menopausa è tutta da scoprire a indurmi a credere che all’improvviso si scende dalla nave per inabissarsi nei fondali di passioni mai provate. Sei rimbambita, hai la testa piena di scemenze. Torno a casa, ho un sacco di cose da fare e ciao ciao alla tua amica ginecologa.» Sono una pentola in ebollizione, piena di rabbia, colpa di Anita o forse anche della dottoressa che ha mostrato una certa soddisfazione nel mettermi al corrente del futuro evento da lei distante mille miglia. Fanatica! Si crede immune dall’opera di Madre Natura che prima regala dolori ed emozioni e poi meno dolori e meno emozioni, sebbene Anita esalti la sottrazione dichiarando un tripudio di appetiti sessuali. Buon per lei.

    Nello stesso giorno ginecologa e avvocato, non posso farcela. Dovrei recarmi allo studio dell’avvocato Orazio Benvenuti. La causa di divorzio, resa più semplice dalla nuova legge, si è complicata per via dell’assegno che dovrebbe passare mio marito e che, aggiunto al mio mensile di 1.800 euro, sarebbe tassabile. Mi consiglia di chiudere la faccenda chiedendo una liquidazione eventualmente da investire in qualche immobile. Lavoro in una casa di moda, la Happy Generation, con filiale a New York e con sede a Roma, in via Condotti. Sono la responsabile. Quando ho accettato questo lavoro ho pensato che sarebbe stato il mio elisir di lunga vita. Passano sotto i miei occhi collezioni sempre divertenti, sfiziose, rallegrano la giornata. Un cielo dai mille colori. Straordinario sentirsi sempre diverse, il vestito fa miracoli, trasforma la giornata di cacca in una figata di incontri positivi. Sentirsi bene con la nostra persona è già un antidoto contro la pigrizia e la svogliatezza, i nemici del nostro aspetto esteriore.

    Potrei investire in qualche piccolo buco a New York. Potrei trasferirmi. Potrei fare fortuna, fare un pacco di soldi. Potrei incontrare l’amore della mia vita. Potrei evitare la malattia contagiosa che si chiama menopausa e fregare tutte le sceme che scoprono paradisi sessuali con la fine del ciclo. E giù a ruota libera a godere di un sesso senza protezione. Che si muniscano di un bel casco, onde evitare sfondamenti del cranio nel rotolare sul tappeto con il rantolo di piacere in gola.

    Sono stata a visitare la sede centrale solo una volta, circa due anni fa, quando insieme al responsabile amministrativo sono partita alla volta della Grande Mela. La più bella, la più gustosa dopo quella di Eva. Mentre la baia di Hudson mi accoglieva a braccia aperte, con un sorriso smagliante, dall’altra parte del mondo mio marito telefonava per confermare la sua disapprovazione a questo viaggio della durata di un weekend; ma lui parlava di tempi biblici che io gli avrei imposto sottraendomi ai doveri coniugali relativi alla casa e alla figlia già indipendente. Era solo invidioso di questo viaggio, che sicuramente mi aveva vista super entusiasta. Ma le cose che non si conoscono hanno il fascino del mistero, il sapore buono dell’avventura. Nel suo cervello distorto ha pensato bene di intravedere in questo breve distacco un tradimento vero e proprio. Senza aver avuto la minima prova che la persona vicina a me avesse mostrato interesse oltre quello lavorativo. La ragione, quindi, della mia ironia alle stronzate dette telefonicamente, alle richieste del torna subito come se fossi a Fontana di Trevi a Roma e lui in via del Corso, era ben giustificata.

    «Non fare il cretino, sono a New York non a Garbatella.» Mi attacca il telefono.

    «Allora?» chiede perplesso Franco Santini. «Maretta con tuo marito?»

    «Lascia perdere, non vale la pena» rispondo col viso rabbuiato, anche se mi sforzo di far scivolare addosso la stupida telefonata e impedisco al malumore di sopraffarmi. L’essere stata scelta per questa missione insieme al capo non deve trasformarsi in una mogia esperienza per via delle cazzate di Pino.

    «Che meraviglia» dico a Franco. «Si respira aria di libertà, di vita vera.»

    «Andremo anche un po’ a zonzo, la sede si trova nella Fifth Avenue, il simbolo della New York ricca. La strada più importante del mondo e anche una delle più care per i prezzi di affitto. Qui non è posto per impiegati. Solo per quelli che non hanno una minchia da fare dalla mattina alla sera.»

    Prendiamo un taxi alla sola alzata di mano. Incredibile. Alla guida un pazzo scatenato. Pianto le unghie sul sedile, guardo Franco terrorizzata: ma quanto corre ’sto schizzato? Lui mi guarda con un mezzo sorriso rassicurante, non così tranquillo come vorrebbe far credere. Percorriamo le strade a velocità supersonica. Agli incroci chiudo gli occhi e affido l’anima a Dio.

    «Rilassati» dice Santini.

    Fosse facile! Per far emergere il meglio del mio provincialismo, osservo: «Forse questa è l’ora di punta».

    «Ora di punta? Ma fammi il piacere! È sempre così a ogni ora del giorno e della notte. E ora sono appena le 12.»

    «L’ora del pranzo.»

    «Ma che minchiate dici!» Mi guarda come se davanti avesse un pellerossa. Scuote la testa e pensa: «’Sta cretina conosce solo Garbatella e io me la sono portata a New York».

    Traffico caotico, le avenue sono lunghe chilometri. Tanta gente corre o cammina a passo veloce. Un turbinio… Giorni stupendi e ritorno allucinante. Dimentico subito dove sono stata fino ad allora: Pino, quel gran figo di mio marito, alto, capello appena spruzzato d’argento, sempre in palestra per via della pancetta perché trovava irresistibili le birrette e i muffin al cioccolato appena sfornati, aveva deciso di infrangere il vincolo sacro del matrimonio. La ragione? La paura di perdermi. Non sopportava l’idea di me esposta a una libertà fonte di chissà quali tentazioni. Pino, un insicuro. Anche nei tradimenti non capiva se la lei di turno era una cosa seria oppure no. E coinvolgeva me con l’accusa di un mancato incoraggiamento ad approfondirne i sentimenti. Uno stronzo così non è da augurare a nessuna donna e invece me lo ero beccato io. Per di più invidiata dalle amiche che facevano a gara a soffiarmelo, in tutta amicizia naturalmente.

    «Bello è bello, ma non andrei mai con tuo marito, diamine siamo amiche.»

    Non ho ancora capito di che pasta siano fatte alcune donne, un mix di carne di coccodrillo e pelo di volpe. Comunque tornava sempre a casa, Pino, e non facevo domande sugli incontri speciali. Non ho mai amato fare la poliziotta, né farmi trovare col muso o in lacrime quando tornava profumato come una puttana. Non sopportavo l’idea di mostrarmi gelosa o afflitta da moglite, che avrebbe peggiorato la situazione. E poi, diamine! Sono orgogliosa più del papavero rosso. Inevitabile sia finita. L’apparente distacco dalle situazioni, la mia superiorità, costavano cari, ma non volevo infrangere il sacro valore dato alla libertà. Su questo avevo costruito l’esistenza e non ci sarebbero stati santi a farmi cambiare idea. Te ne vuoi andare? E allora vattene. Vuoi estorcermi anche la rassicurazione che quello che fai è un bene per me e per te? Vuoi caricarmi della responsabilità di una decisione che è solo tua? Vuoi il benestare di una donna con la quale avevi promesso di fare progetti? Insomma te ne vuoi andare e cerchi giustificazioni? Vai a fare in c…

    Capitolo 2

    «Avvocato vogliamo chiudere questa causa?»

    «Sono dalla sua parte, sto cercando di ottenere il massimo, ma suo marito fa il furbo essendo un libero professionista…»

    «Mai saputo quanto guadagnasse effettivamente, sempre evasivo a tal proposito: Non ti manca nulla, e allora?

    «Non le conviene chiedere un innalzamento della cifra mensile, per via delle tasse. Trattiamo invece una liquidazione con cui aprire un fondo assicurativo.»

    Non male il consiglio, avrebbe evitato incontri e discussioni inevitabili per via della lei che aveva preso il mio posto e che avrebbe voluto azzerare le mie pretese per ovvi motivi d’interesse personale. È quello il motore di tutto, l’avidità di denaro. Sono stanca di appuntamenti sfibranti. Colloqui spezzati da telefonate dove si ascoltano le vicende giudiziarie di altre persone, sconfortanti è dire poco. L’uno contro l’altro spinti da vendetta. Farla pagare è l’anima di tutte le cause civili che pretendono giustizia. Persone in guerra cui non va bene alcuna soluzione. Desidero solo che finisca in fretta, la frase fatidica. Gli strascichi giudiziari quanto le querelle di stuzzico sono l’espressione dell’animo umano mai pago di ingiustizia. In attesa di risposta dall’ex mi congedo dall’avvocato, il quale sembra avere a cuore la situazione e cerca di essere rassicurante. Non esco mai dallo studio senza che abbia detto le parole di rito: «Vinceremo, non si preoccupi» seguite dalla raccomandazione di fare fronte a un rimborso spese per lui. Cosa avrei dovuto vincere? Parte del patrimonio familiare che era stato costruito con le forze di entrambi? Considerazioni che alla luce dei fatti non occupano la mente perché la separazione non è mai civile, seppure ascrivibile alla categoria. Al contrario, è un ring, e il più forte generalmente si rivela chi ha già l’alternativa sentimentale. Chi ha già un nuovo partner finge di accettare qualsiasi condizione in nome di una tranquillità e di un benessere più importanti dei litigi.

    «… che si prenda tutto, io e la mia attuale compagna – o compagno – non vogliamo storie, vorremmo vivere in santa pace.»

    Ma la richiesta di qualche centinaia di euro in più da parte del coniuge più debole apre il contenzioso che esprime tutta la falsità del «non è per i soldi, ma per una questione di principio». Tradotta in altri termini: la nuova situazione sentimentale impone una presa della realtà assolutamente quantificabile. Non voglio strascichi di questa assurda quanto scema situazione, degna di Pino. Ha sempre cercato di nascondere l’immaturità mostrando un comportamento da uomo dalle ferree decisioni, che però non corrispondono alla realtà, infilandosi in situazioni da cui non sa poi come venire fuori. Tante volte salvato, tante volte perdonato, tante volte invitato ad andarsene da uno psicologo. Ha scelto questo verbo: andarsene, non da uno psicologo ma da una tizia coi capelli biondo platino e qualche mèches rosa, un tocco di femminilità seduttiva che invita a pensare al resto. Non posso fare la madre a vita, né l’educatrice tedesca. Che navighi con la sua barchetta nel vasto mare della vita. Da solo.

    Al ritorno a casa mi viene voglia di telefonargli. Forse spinta da quel «vinceremo» sbandierato dall’avvocato, che ultimamente domanda spesso del mio futuro sentimentale. Rinuncio. Pino rimarrà sempre Pino. Un coglione.

    Mi destreggio nel disordine delle cose lasciate la mattina in ogni stanza. Comprese quelle di Sara, almeno quattro o cinque vestiti, provati per poi indossare i soliti pantaloni e la camicia bianca abbottonata fin sotto al mento. Povera Sara. Fuoco e fiamme per andare a vivere con l’uomo della sua vita, con quello che l’aveva resa ubriaca al punto da lasciare un lavoro in una ditta di import-export.

    Dopo il liceo: «Sai che farò, mamma? Prenderò una laurea all’estero, e lì rimarrò».

    Tentava di consolarmi quando le dicevo che non avrei sopportato la sua mancanza. I figli non devono stare sotto le ali delle madri. Le rispondevo con frasi pronunciate senza convinzione: «Fai bene, non ti preoccupare per me, mi abituerò, tranquilla, non scocciarmi più».

    Invece che all’estero, si è stanziata in un appartamento nella mia stessa città e, per di più, a due isolati da casa nostra. È stato più duro della lontananza. Come averla sempre in camera sua. Faceva la spola tra il nuovo habitat e la vecchia casa. Ora è definitivamente stanziale qui con me. Affitto troppo caro, futuro incerto. Se arriverà alla definitiva rottura, quanto mantenimento le passerà il compagno? E al figlio che nascerà?

    Sara è alla ricerca di un altro lavoro, ma non appena dichiara di essere incinta si ritrova alla porta.

    «Perché questa pausa di riflessione?» chiedo. «Che cosa non sta andando tra voi? L’hai voluto a ogni costo anche se io…»

    «Ti prego, mamma, io e Aldo… Credi davvero che non ne abbiamo parlato? Giorno e notte a discutere.»

    «Di che, posso saperlo?»

    «Di cose nostre.»

    Non voglio violare la privacy di mia figlia, ma come aiutarla senza sapere cosa è successo? Non è più una ragazzina e potrei evitare di sentirmi obbligata a entrare in una crisi di coppia difficile da affrontare anche per chi la vive. Quindi mi impongo il silenzio e mi concentro su quella pancia che cresce, sempre più inadeguata a quel fisico magro e giovane. Dovrei provare

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