Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Leggenda del Vampa: La storia del mostro di Firenze
La Leggenda del Vampa: La storia del mostro di Firenze
La Leggenda del Vampa: La storia del mostro di Firenze
E-book592 pagine8 ore

La Leggenda del Vampa: La storia del mostro di Firenze

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

TRA MISTERI, MORTI, MASSONERIA E BOICOTTAGGI, LA VITA E I RISVOLTI OSCURI SUL "MOSTRO DI FIRENZE", PIETRO PACCIANI.

La sentenza con cui il 1° novembre 1994 la Corte d'Assise di Firenze ha ritenuto Pietro Pacciani colpevole dei delitti compiuti da quel misterioso assassino che la fantasia popolare aveva voluto denominare "il Mostro di Firenze" non ha fatto chiarezza su molti misteri legati a questa tragica vicenda. Qual era lo scopo dei crimini?
Come si era procurato la Beretta calibro 22? In che modo sceglieva le coppiette da eliminare o i posti in cui colpire? Agiva da solo o aveva dei complici? Che significato dare alla scansione temporale degli otto duplici omicidi?

A più di 20 anni dalla precedente edizione, il saggio fa il punto dei successivi sviluppi dell'inchiesta sui delitti del Mostro di Firenze.
All'originaria biografia di Pietro Pacciani si aggiungono così il controverso capitolo dei processi che lo hanno visto protagonista, il ruolo giocatovi dall'opinione pubblica, le inchieste su complici e mandanti, gli ostacoli ad esse frapposti. In una prospettiva colpevolista, il lavoro rispetta le conclusioni giudiziarie della vicenda, provando a chiarirne i punti rimasti oscuri mediante le ipotesi formulate dall'autore.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2023
ISBN9791222088426
La Leggenda del Vampa: La storia del mostro di Firenze

Correlato a La Leggenda del Vampa

Ebook correlati

Crimine e violenza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La Leggenda del Vampa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Leggenda del Vampa - Giuseppe Alessandri

    I - Una vita da Mostro

    La giovinezza

    Pietro Pacciani nasce ad Ampinana di Vicchio di Mugello il 7 gennaio 1925, primogenito di Antonio e di Rosa Bambi. Originari del Pian di Segni, i genitori – entrambi del 1890 – sono, al pari dei padri e dei nonni, contadini mezzadri.

    Il villaggio è inerpicato sulla costa del Crocione, alle falde del monte Peschiena – contrafforte dell'Alpe di San Benedetto – e assai isolato rispetto al capoluogo: da Vicchio si segue la Traversa del Mugello in direzione di Dicomano, si svolta per le Balze, si sale alle Piagge di Panìco e dalle Case Innocenti lo si raggiunge. La vita della gente di quassù viene scandita solo dalle ore di luce da trascorrere nei campi e accudendo alle bestie: mucche, pecore, conigli, pollame. Il piccolo podere gestito dai Pacciani si trova in località i' Barzo.

    Presto una sorellina viene a fare compagnia a Pietro, il quale a sei anni fa il suo ingresso alla scuolina di Ampinana per diventare alunno del maestro Mario Lorini. Il padre lo chiama fringuello per la sua abitudine di fischiettare imitando gli uccelletti del bosco; finché un giorno, approntatagli un'apposita zappetta su misura, non comincia a portarlo nei campi con sé. Le sue maniere nei confronti del bimbo sono rudi e sbrigative, né gli lesina rimproveri e scappellotti. Pietro all'imparare a leggere, scrivere e far di conto preferisce il girovagare per la campagna; e imitando il padre che va a caccia con il fucile a bacchetta, prende a passare interi pomeriggi nei boschi, avendo un piccolo coltello quale compagno inseparabile delle sue giornate.

    Dopo la prima comunione il fanciullo diventa chierichetto nell'oratorio di San Michele. Spesso, alla sera, il parroco lo vede sbucare dalla macchia: Paccianino, che un t' ha' paura a girà pe' i' bosco a i' buio? – Priore, e' c'ho sempr' i' cortellino dreto!.

    Nel frattempo per il suo profitto a scuola lascia sempre più a desiderare. Nell'insegnamento dei rudimenti della lingua italiana Lorini si rifà alla vecchia grafia, ancora ben viva nell'uso popolare e che, nella coniugazione del verbo 'avere', consente di sostituire l'acca muta che precede la vocale con l'accento sulla stessa: io , tu ài, egli à...essi ànno. Pietro accusa le maggiori difficoltà proprio nell'apprendimento di grammatica e ortografia; le doppie in particolare non gli vanno giù. All'esame di terza elementare viene bocciato.

    Prende così sempre maggior confidenza con il lavoro dei campi: specie nei giorni della mietitura, quando c'è da portare il grano all'aia e da batterlo, e per tutti i ragazzi del paese chiamati a contribuire a quel momento centrale della ruralità è una festa. Altra occasione di socializzazione con i coetanei sono le adunate dei balilla sulla piazza di Vicchio periodicamente imposte dal regime; nei confronti del quale il buon Antonio tiene una posizione spiccia quanto opportunista: Io sto con chi comanda: perché se è riuscito a prendere il potere, vuol dire che è il più furbo. Ripetuta con maggior profitto la terza, a dieci anni il Paccianino esaurisce i suoi obblighi scolastici. Ora che pu contare su due braccia in più per il lavoro nei campi, la famiglia lascia l'angusto Barzo per spostarsi alla Fornace. Il risultato non è per esattamente quello auspicato dai genitori; non avendo più nemmeno il freno della scuola, Pietro il monello pu adesso dare sfogo a tutta la propria natura selvaggia, divenendo in breve il ras di Ampinana, non capo ma terrore degli altri ragazzi: violento, prepotente, attaccabrighe, sempre pronto a tirar fuori minacciosamente il coltello.

    Un giorno la combina grossa: dopo una lite con un coetaneo che ha saputo tenergli testa, nel mentre questi si allontana vigliaccamente gli scaglia una pietra all'altezza del capo, che lo raggiunge all'orecchio spaccandoglielo. Il malcapitato dev'essere perci trasportato a Vicchio al pronto soccorso, con l'orecchio ciondoloni.

    A quel punto gli altri genitori del paese si mobilitano, preoccupati dalla presenza di quell'arnese che oltre a rovinare i momenti di gioco dei loro ragazzi ne mette costantemente a rischio l'incolumità. Il padre allora per evitare grane peggiori gli lascia sempre meno spazio per le sue bravate, portandoselo appresso il più possibile a lavorare la terra ed al contempo irrigidendo ulteriormente la propria manesca pedagogia.

    Neppure Antonio è tuttavia un santo, avendo un debole per le donne e un altro per il vino; con il secondo che pu talvolta favorire la sua stessa vena poetica. Quando alla domenica le campane di San Michele allietano la mattinata dei montanari, il capofamiglia ne trae lo spunto per ironizzare sulla povertà del desco.

    Una campana è un po' incrinata: Da-rin-dan-dan, da-rindan-den...na-rin-gan-tre: un'aringa 'n tre le c'hanno le hampane, e no' ci se ne dee divide' una 'n quattro...No' siamo più poeri delle hampane!. E giù consigli al figliolo per avvezzarlo alla parsimonia, al risparmio: Quando tu guadagni du' lire, una spendila, ma l'artra mettila da parte: perché quand' e' piove no' hontadini un si pole lavorare, ma mangiare bisogna mangia' lo stesso! Allora tu c'ha la lira he t'ha risparmiato, e tu mangi!.

    Pietro il tremendo, che nei tratti del volto assomiglia alla madre (gli occhi cangianti dal verde al blu, i capelli castano chiaro, il naso adunco), cresce forte e robusto; il coltello – nel frattempo divenuto a scatto – sempre con sé. Ma ormai i ragazzi più svegli hanno imparato a conoscerlo: Co' i' Pacciano, occhio alla penna!.

    Un giorno se la passa brutta: c'è un nuovo scontro con quel coetaneo che ha già ferito, e al quale evidentemente la lezione non è bastata. Sono attimi: Pietro sguaina l'arma, ma l'altro è più lesto e gli infilza la coscia con il forcone; così stavolta al pronto soccorso deve andarci lui. Da allora gira alla larga da quello lì; ma con chi si mostra debole, maramaldeggia come gli pare. Gli unici con cui lega sono Testina e Marino; assieme a loro a volte scende anche giù a Villore.

    Nei lavori agricoli Pietro si dimostra non solo forte ma anche appassionato e piuttosto in gamba. I suoi genitori decidono allora di trasferirsi in un bel podere – a dispetto del nome – situato un po' più a valle: l'Aiaccia, a Paterno. Da qui in mezz'ora di alacre cammino attraverso i castagneti delle Maronete della Prioria si è a Villore, borgo assai più grande e vivace di Ampinana. La domenica sia a Paterno che a Trasassi si balla, e così Pietro ha modo di tentare i primi approcci con le ragazze; ma è troppo timido, vergognoso, impacciato, e non ha fortuna. Oltretutto il suo aspetto – la testa sempre bassa, lo sguardo torvo sul naso arcuato – non contribuisce certo a renderlo simpatico; mentre la fama di violento che ormai lo accompagna fa il resto.

    Il ragazzo è parecchio irascibile anche coi familiari, volendo spadroneggiare pure con loro; il padre tuttavia non sempre è disposto a piegarsi. Quando addirittura non si mette a provocarlo: una volta si azzarda ad assaggiare un po' di polenta e delle salsicce dal figlio messe ad arrostire sulla gratella. Pietro lo coglie in flagrante, va su tutte le furie e la pena che gli decreta è delle più severe: Ora su i' treppiede tu ci va' te!. Detto fatto: non mancando neppure di calare i pantaloni al malcapitato genitore, lo sistema a sedere sul barbecue rovente.

    Ma questo è niente in confronto a ci che avviene qualche tempo dopo: nel corso di un violento litigio Pietro scaglia contro il babbo addirittura una scure, che non gli spacca la testa solo perché Antonio fa miracolosamente a tempo a scansarsi. Stavolta l'ha fatta troppo grossa: specie considerando la sacralità del rispetto che la civiltà contadina tributa ai genitori. Il padre lo denuncia: si arriva così ad un processo che si conclude con la condanna dello snaturato figliolo; il quale tuttavia, diciottenne, si vede condonata la pena per la minore età, evitando così il carcere. La sua turbolenta convivenza in famiglia pu così continuare. L'ora in cui il giovane vicchiese pu finalmente dimostrare in altro modo il proprio valore scocca nel corso del '44, allorché, a causa della guerra, la situazione si fa critica in tutto il Mugello. Il 18 febbraio il bando Graziani rinnova la chiamata alle armi per la Repubblica di Sal alle classi '23, '24 e '25, decretando la pena di morte per renitenti e disertori. La gran parte dei giovani sceglie allora di non immolarsi per l'agonizzante regime, rifiutandosi di partire per il fronte di Cassino: Se devo morire, muoio a casa mia, la parola d'ordine che si diffonde rapidamente tra quei ragazzi, facendo prendere ai più la via della macchia. Profittando della momentanea assenza tedesca nonché della debolezza delle strutture periferiche della Rsi, il 6 marzo un primo gruppo di partigiani occupa Vicchio, facendo prigionieri diversi simpatizzanti fascisti e passandoli per le armi. Il conseguente rastrellamento effettuato dai militi repubblichini porterà alla cattura di alcuni renitenti, condotti a Firenze e affidati alla banda Carità per essere fucilati al Campo di Marte.

    Una volta perduta la battaglia dell'Arno, poi, la Linea gotica viene a rappresentare per i tedeschi l'ultimo baluardo con cui difendere i confini del Reich: nel tratto mugellano essa va dal Muraglione alla Futa, passando lungo la cresta di monte Peschiena e dell'Alpe di Vitigliano, giusto a ridosso di Vicchio. La formazione partigiana alla quale aderisce Pacciani pone il proprio quartier generale su monte Giovi: qui i ribelli si organizzano in previsione della inevitabile ritorsione germanica predisponendo fortificazioni, fossati, cunicoli. Ebbene, l'indispensabile nome di battaglia col quale Pietro verrà identificato in seno al gruppo gli deriverà dal familiare nomignolo con cui egli designa la vanga. Ogni volta che c'è da scavare suole infatti invitare il compagno al lavoro così: Piglia la paletta!. Altro che coltello: quassù grazie ai rifornimenti americani il nostro Paletta potrà prendere confidenza con la machine pistol e la mitraglietta Thompson. Dai compagni disertori egli imparerà inoltre ad occultare le armi sotterrandole dentro ai fusti, smontate e avvolte in stracci, a bagno d'olio, in modo da mantenerle sempre pronte all'uso pulite, lubrificate ed efficienti.

    In diverse occasioni il vicchiese dà prova di grande forza e coraggio: soprattutto il giorno in cui, in occasione di un assalto tedesco che miete numerose vittime fra quei banditen, invece di pensare a salvarsi corre in soccorso di un compagno ferito e terrorizzato, che sta perdendo molto sangue da una spalla. Con grande presenza di spirito Paletta si strappa un pezzo della camicia tamponandone la ferita; quindi si carica il poveretto sulle spalle, trasportandolo fin sulla strada e riuscendo a schivare il fuoco delle mitragliatrici nemiche. Fortunatamente i soccorsi non tardano ad arrivare: e così quell'uomo ha salva la vita. Mentre un'altra volta Pietro mette in salvo una bimba, sottraendola a un bombardamento. Così il giovane partigiano si sente un eroe e sogna che tutte le ragazze di Villore cadranno ai suoi piedi.

    Ma allorché nell'aprile del '45 i tedeschi si ritirano definitivamente, al nostro tocca invece di ritornare alla trista vita di sempre. A ricordo dell'esperienza partigiana gli resteranno due pistole a tamburo, una foto che lo ritrae con la machine pistol a tracolla e dei pezzi di filo elettrico lasciati dagli americani, di quello utilizzato per i telefoni da campo: con l'anima di rame e acciaio fasciata nella tela gialla, son meglio del fil di ferro per legare le fascine.

    Presto per Pietro è costretto a ripartire. Nel '46, ormai maggiorenne, scocca l'ora del servizio militare: diciotto mesi da trascorrere a Roma, presso la scuola di fanteria di Cesano. Prende parte al corso per mitraglieri, apprendendo la tecnica dello scontro alla baionetta: come sorprendere il nemico, come neutralizzarlo senza lasciargli neppure il tempo di fiatare, dove colpirlo per centrarne i punti vitali. Al termine della ferma Pacciani è mitragliere scelto, ma anche un bel gladiatore. Da un commilitone ha pure imparato a strimpellare la fisarmonica.

    Al ritorno a casa lo attende di nuovo il duro lavoro nel podere dei suoi. Il giovane nei campi è imbattibile, una vera forza della natura. Magro, il collo taurino, la testa incassata tra le spalle larghe e spioventi, non arriva al metro e settanta; ma è tutto un fascio di muscoli, le braccia, i polsi, le mani che paiono tenaglie di acciaio massiccio: Ercole in persona. Gli altri contadini trascinano come possono un sacco di grano da cinquanta chili; lui ne agguanta due, sottobraccio, uno di qua uno di là, e via. Pure il suo modo di camminare è caratteristico e inconfondibile: le gambe arcuate, i piedi strascicati, il torso a barile che lo costringe a portare le braccia protese in avanti fanno sì che la sua goffa andatura assomigli più a quella di un gorilla che di un cristiano.

    La dimostrazione di forza più impressionante la dà quando ha in mano la zappa, che è stata poi il suo primo attrezzo da lavoro: a guardarlo nel mezzo ai campi assestare alla terra certi colpi capaci di fare dei solchi che nemmeno un aratro, par quasi di vedere un leone. Altro spettacolo per il vicinato quando scanna il maiale: solitamente la povera bestia ha il tempo di rendersi conto, di reagire alle prime coltellate dimenandosi ed urlando. Ma quando a colpire è Pacciani, no: pochi energici fendenti ben assestati e in un amen il suino tira le cuoia.

    Nella zona l'energumeno è parecchio temuto e possibilmente evitato dai più: se c'è qualche grana, se scoppia una rissa dev’esserci per forza di mezzo lui. Tutti cercano di girargli alla larga, ma la volta che ci si trovano nessuno osa contraddirlo, specie quando scende a Villore a giocare a carte; se poi ha pure bevuto un bicchiere di troppo, nessuno ha il coraggio di fiatare.

    Pietro il prepotente l'ha vinta con tutti tranne che con Aldo Fezzi, l'energico e autoritario cantastorie di Corella sempre in giro per mercati e fiere del Mugello, talmente calato nel proprio ruolo da non presentarsi mai in pubblico in maniche di camicia, ma sempre rigorosamente con la giacca, pure nelle giornate di maggior calura; donde il suo soprannome: i' Giubba. Anche con lui l'attaccabrighe ci ha provato: ma gli è bastato discuterci una volta per capire che quello lì è meglio lasciarlo stare. Le uniche persone con cui va d'accordo sono due giovani del paese: il maestro elementare Bernardi e un contadino, Orazio Coveri. Pacciani è inoltre un provetto bracconiere: di giorno è capace di restare per ore acquattato nel bosco in attesa che i fagiani in cerca di cibo vengano a posarsi sul terreno; la notte è tutto un lampeggiare con la lampadina per scovarli nelle macchie di quercia, di castagno ove essi vengono a dormire mimetizzati tra i rami e le foglie. All'avvistamento della preda scatta la rivoltella: per vederli venir giù come sassi.

    La caccia alle ragazze gli va invece malissimo, per quanto lui ce la metta tutta: nonostante la sua goffaggine, si arrangia a ballare e se la cava pure a suonare la fisarmonica; ma la fama di bullo violento e privo di scrupoli che lo accompagna gli fa attorno terra bruciata. Per cui, quand'anche ci fosse una fanciulla alla quale potesse in qualche modo riuscire simpatico, ci sarebbe sempre un fratello, un parente, un amico di famiglia pronto a mettersi di traverso e a far troncare sul nascere la cosa. Il suo portamento non migliora certo la situazione: lo sguardo cupo sotto le folte sopracciglia perennemente aggrottate, il ghigno diabolico, la voce cavernosa, l'odore selvatico che emana mettono già in guardia; le sue maniere brutali fanno il resto. Una volta a Villore invita al ballo una ragazza; lei cortesemente rifiuta, e lui per tutta risposta le molla un pestone col tacco dello scarpone. Minacciandola per dipiù: Te pe' stasera tu un balli più co' nessuno, capito?. Alla poveretta non resta che trascorrere il resto della serata aggiaccata in un angolo, mortificata e dolorante. Così le mamme del paese pensano bene di tenersi le figliole in casa ogniqualvolta possa esserci a giro quel bruto.

    Lui allora prova ad allargare il suo raggio d'azione, a cambiare aria; ma il risultato non cambia. Finché, incapace di spuntarla sulle ragazze, non finisce col ripiegare sulle bambine; con il risultato che anche i genitori di San Godenzo, Portico di Romagna, San Benedetto in Alpe imparano a tenere gli occhi ben aperti quando in sala è presente il maniaco vicchiese a caccia di ragazzine da palpare: Occhio a quel maiale!. Pacciani rappresenta insomma una vera e propria emergenza pubblica.

    Ha ormai venticinque anni quando mette gli occhi addosso alla più procace ragazza di Villore. Lei si chiama Miranda Bugli, ha sedici anni ma ne dimostra molti di più: alta, robusta, ben messa, una carnagione che fa voglia, il volto dai lineamenti forti, il colorito rubicondo di chi trascorre le proprie giornate all'aria aperta. Da tempo il suo fisico è quello di una donna fatta: e che pezzo di donna per i vicchiesi! Al ballo gli occhi maschili son tutti per le sue curve esplosive, ben attenti a scrutare sotto il volteggio della sua gonna. Degna epigona della locandiera goldoniana, la maggiorata villorese ricambia di buon grado tutte queste attenzioni senza stare a preoccuparsi troppo della fama non proprio di santa che già si è fatta in zona. La ragazza ha alle spalle una situazione familiare un po' precaria: il padre Gino le è morto anni addietro, la madre Ida si è risposata con un contadino di Villore, Carlo Scarpi

    – anch'egli vedovo – che abita su alla Casanova del Poggiosecco, vicino al bosco della Tassinaia. Miranda vive in quella colonica assieme ai fratelli e ai figlioli dello Scarpi; nella piccola fattoria del patrigno la sua mansione è quella di portare a pascolare le pecore nei verdi Campi da Rio che dando il cambio ai castagni e alle querce della Tassinaia degradano verso il lago di Maioli.

    Uomini di tutte le età fanno la corte alla avvenente e disponibile pastorella; finché un bel giorno...patatrac! A quattordici anni la ragazza resta incinta, vedendosi costretta ad abortire. Diventa così più che mai chiacchierata, nella zona le maldicenze che la vogliono protagonista pure di amori mercenari si sprecano e trovare un fidanzato appare adesso più difficile. Chi va a pigliarsi una simile lolita? Pacciani!

    All'inizio del '50 i due si fidanzano ufficialmente; del resto il nostro sa bene di non essere neppure lui uno stinco di santo, e così mettere una pietra sopra all'imbarazzante passato della fanciulla non gli riesce troppo difficile. Presto per tra i due giovani emergono delle divergenze tutt'altro che secondarie circa il modo di concepire il proprio legame. Miranda continua infatti a non considerarsi troppo impegnata, non cogliendo la differenza che passa fra il tipo di rapporti coltivati sinora e un fidanzamento: per lei una cosa vale l'altra. Da parte loro la madre e il patrigno – che comunque pensano fin troppo a farsi gli affari propri – non vedrebbero certo di buon occhio quell'avanzo di galera; ma in considerazione dei trascorsi della ragazza si rendono anche conto di non avere grande scelta, vedendosi così costretti ad accettarlo.

    Il modo in cui Pietro vive il suo primo amore è invece opposto. Morbosamente innamorato, geloso, possessivo, parla con orgoglio della fidanzata giù in paese: Da quando la sta co' me, la Miranda l'è diventaa più donna dell'artre donne...; così, giocando d'anticipo, egli prova a far tacere tutte quelle malelingue lì in agguato. Quando ha appuntamento con lei si mette la camicia bianca della domenica, si passa la brillantina tra le onde dei riccioli e si profuma perfino. Per darsi più tono, poi, si lascia pure crescere i baffetti.

    Ben presto la vallata sperimenta un nuovo divertimento: quello di diffondere storielle sul conto di quella ragazza così facile, allo scopo di mettere la pulce nell'orecchio al suo fidanzato, l'iracondo villano di Paterno. La Miranda la va ni' bosco ho' una guardia forestale, la fa franella ho' i' cenciaiolo: ogni giorno se ne sente una nuova. Pacciani allora diventa ancor più geloso e sospettoso: chiede ai suoi amici se ne sappiano qualcosa, pedina la fidanzata, la spia, la sorveglia in continuazione sbucando improvvisamente fuori ad ogni passo che lei fa; deve verificare se quelle dei paesani sono solo gratuite provocazioni o se c'è sotto qualcosa di vero. Nessun uomo pu provarsi a guardarla: La Miranda l'è cibo mio!; e per lei son dolori anche se solo si ferma a parlare con le amiche.

    Finché a un certo momento la situazione non si fa per la ragazza del tutto insopportabile: per cui, preso il coraggio a quattro mani, gli comunica la propria decisione di mollarlo. La reazione di lui è per delle più minacciose; puntatale la rivoltella al cuore, la avverte: Se tu mi lasci, t'ammazzo!. Dopodiché, convintosi che sia il patrigno a plagiarla, una sera d'estate gli piomba nel podere come una furia, gli occhi fuori dalle orbite e dimenandosi come un ossesso, rincarando la dose e non mancando neppure di corroborare le proprie minacce facendo riferimento alla guerra da poco scoppiata in Corea: Tu se' te che tu la vo' fa' smette', la Miranda: ma bada che se la mi lascia v'ammazzo tutt'e due, e po' vo 'n Corea volontario.

    A rendersi conto della gravità della situazione è allora la sorella maggiore della ragazza, consapevole del reale pericolo rappresentato da quel pazzo furioso. Fa quindi di tutto per convincerlo a lasciar perdere la Miranda: ma lui è irremovibile. Tenta allora di indurre la sorella a lasciare Vicchio, venendo a lavorare a servizio giù a Firenze; lei tuttavia non se la sente, terrorizzata com'è da quello spauracchio: Come fo a lasciallo e a veni' via da qui... questo m'ammazza davvero: e' me lo dice sempre!. I familiari si vedono così costretti a rassegnarsi: soltanto un miracolo a questo punto potrebbe togliere loro dai piedi quell'impiastro.

    Una sera Pacciani è a veglia dall'amico Orazio assieme ad altri giovani. La discussione verte attorno alla fedeltà della propria donna: in particolare, ci si confronta sul miglior atteggiamento da tenere nel caso la si sorprendesse assieme a un altro. La linea che emerge dal dibattito è quella più logica: Se la fosse la mi' fidanzata, la mandere' subito a qui' paese; se la fosse la mi' moglie, la buttere' for di hasa!. A restare fuori dal coro è così il solo Pietro: Se succedess' a me, e' un fare' troppi discorsi: l'ammazzere' tutt' e due. E' mi vorre' proprio leva' la soddisfazione....

    Con tali presupposti il fidanzamento procede; gli incontri si susseguono al ritmo di un paio la settimana, quando giù a Villore quando alla Tassinaia, nel mentre che la pastorella bada alle pecore.

    Dai pressi della Casanova si diparte un sentiero che conduce a Maioli attraversando tutta la foresta: il tipico bosco mugellano che vede un fitto susseguirsi di querceti e castagneti. Percorso il primo tratto in cui la mulattiera discende più ripidamente, si giunge ad un punto della selva in cui la boscaglia si dirada, il terreno spiana per dar vita, a ridosso della mulattiera e ai piedi di un canalone, ad una radura dai boscaioli utilizzata come piazza di una carbonaia: la buca della Tassinaia. Quando piove vi scorre un ruscello che attraversato il sentiero prosegue la propria corsa verso il verde laghetto di Maioli, formatosi anni addietro a seguito di una frana qualche centinaio di metri più a valle.

    È in tale bucolico scenario che hanno luogo i convegni amorosi di Pietro e Miranda. Il loro fidanzamento va avanti ormai da più di un anno: e per tagliare la testa al toro, lui insiste perché le nozze vengano celebrate entro l'estate.

    Tassinaia

    Severino Bonini è un cenciaiolo di Rostolena: quarantun anni, un pezzo d'uomo, da tempo è fidanzato con la Laurina, che abita al Poggiosecco di là. Lavorare la terra nel podere dei suoi non lo entusiasmava, per cui ha scelto d'intraprendere quest'altra attività; camminatore instancabile, è perennemente in giro per i casolari disseminati sulle colline ad acquistare e rivendere pelli secche – di pecora, di coniglio – e ferri vecchi. Ma in fondo al suo sacco possono trovar posto anche vestiti usati, stracci, cianfrusaglie, patate: di tutto. Qualora vi sia qualche buon affare da concludere in Romagna, l'uomo non esita a valicare a piedi l'Alpe di San Benedetto. Oltre al sacco caratteristico e inconfondibile, egli ha sempre con sé una piccola calamita, con cui suole saggiare il ferro.

    Tutti nella zona conoscono Sévero, bonaria figura di rigattiere ambulante che con il suo peregrinare unisce come un filo tutta questa parte di montagna, non mancando di assecondare le richieste dei contadini con l'accettare anche il baratto. Quando non è in giro lo straccivendolo se ne sta a Vicchio a lavorare il materiale raccolto nel suo magazzino in via dell'Erta, accanto alla casa della sorella Nunziatina.

    Eterno fidanzato, non possedendo una propria dimora al calar della sera lo straccivendolo fa un rapido conteggio di distanze: se è vicino al paese viene a dormire dalla sorella; se invece si trova ancora in montagna si ferma nella borgata di Cuccino, fra Rostolena e Maioli, ove abitano gli altri suoi quattro fratelli. Severino conosce bene anche i Pacciani: diverse volte è passato dall'Aiaccia ad acquistare le pelli, non mancando di salire al podere di Paterno anche nei giorni dei raccolti, a dare una mano a incestare la frutta. Ai primi di aprile il Bonini nel corso di uno dei suoi giri capita al Poggiosecco, passando anche dallo Scarpi: il quale al momento non ha da dargli granché, ma gli promette per la settimana successiva un po' di stracci. Il cenciaiolo tuttavia un affare riesce a concluderlo lo stesso: con la Miranda, alla quale vende un golfino. La contrattazione va un po' per le lunghe, in quanto da buon mercante Severino lesina fin le dieci lire; il che gli dà modo di ammirare da vicino e senza possibilità di equivoci quelle possenti grazie di cui tanto si chiacchiera tra il popolo maschile. Ben a conoscenza della nomea della ragazza, incomincia così a fare un pensierino sull'unire l'utile al dilettevole in occasione del suo prossimo ritorno alla Casanova.

    L'11 aprile '51 è un mercoledì. La sera prima il Bonini si è coricato a Cuccino: la pioggia lo ha sorpreso mentre batteva la collina. Quella mattina si leva di buon'ora; ci son da fare consegne e riscossioni saltate il giorno precedente, approfittando del fatto che non piove. Una veloce colazione, qualche battuta col nipotino al quale promette delle caramelle per la sera e poi, indossati camicia e giubbotto e infilati i pantaloni dentro agli scarponi chiodati, via con il sacco in spalla lungo il sentiero per Maioli. Una sosta al Poggiolo, un salto giù a Trasassi, la risalita al Poggiosecco...la Casanova.

    È quasi l'una, e non a caso: sbrigate le incombenze più urgenti, Severino ha adesso il tempo per trattenersi dallo Scarpi, e magari piazzare il colpo con la Miranda. Consegnatigli gli stracci concordati, il padrone di casa, in considerazione dell'ora ed in ossequio alle buone usanze contadine, invita l'ospite a tavola; il cenciaiolo non se lo fa certo dire due volte, sedendosi con loro.

    Quel giorno è trafficato anche per Pacciani: interrompendo il lavoro dei campi a metà mattinata deve infatti scendere a Villore, per portarvi ad affilare le lame delle zappe e le vangheggiole del coltro dell'aratro. Riposti gli attrezzi dentro a un sacco s'incammina così anche lui per i boschi, fino a raggiungere l'officina del fabbro. La precedenza spetta ovviamente al suo bel coltello a serramanico, dai nove centimetri di lama. Ma per i ferri agricoli deve aspettare: altri contadini sono difatti in coda davanti alle mole. Per ingannare l'attesa si scherza, si dicono bischerate, ci si sfotte: con il nuovo arrivo che dà più che mai fiato alle trombe. Paccianino, 'n do' l'ha' messa la tu' bella? – Mah, la sarà ni' bosco holle su' pehore… – Se, le pehore: la sarà ma a fa' all'amore hon carcheduno! – E' ripasso dopo a riprend' e mi' feri!. La provocazione ha sortito l'effetto sperato: piuttosto che star lì a non far nulla se non il bersaglio delle malignità altrui, il nostro preferisce andar su per effettuare uno dei suoi controlli a sorpresa.

    Imbocca perci la stradina di Carbonaia che s'inerpica al Poggiosecco per andare dritto alla Tassinaia. Qui s'imbatte in due donnette, che lo guardano incuriosite: Che v' avee visto la Miranda? – Nooo...la vien più tardi!, come a dire: o grullo il fidanzato sei te e ce lo chiedi a noi… Pietro allora ritorna indietro fino alla Casanova: ove, scorto nell'aia il sacco del Bonini, intuisce che dentro casa dev'essere del movimento. A quel punto si ricorda pure di quel golfino mostratogli dalla fidanzata la domenica, trovandovi una conferma ai propri sospetti; si rimpiatta perci dietro a un cespuglio, in attesa degli eventi.

    Nel frattempo il pranzo va un po' per le lunghe: Severino scherza con la Miranda, con la madre e lo Scarpi che stanno al gioco. Alle due, finalmente, il cenciaiolo si congeda dicendo di doversi recare per un affare dal colono di un podere lì vicino. A Pacciani tuttavia non sfugge che, giunto all'imbocco del sentiero per la Tassinaia, il Bonini vi lascia il sacco, posandolo accanto a un cespuglio: ulteriormente insospettito, egli moltiplica allora la propria attenzione per tutto quanto accade lì attorno.

    Difatti di lì a poco dal casolare esce anche la Miranda; la quale, tratte le pecore dall'ovile, si avvia lentamente lungo la mulattiera, sferruzzando a maglia. Presto il suo corteggiatore di giornata è di nuovo lì, e i due riprendono la loro allegra chiacchierata, con l'uomo che si lavora al meglio la pollastra e lei che ride di gusto alle sue battute. Naturale perci che a un certo punto Severino si faccia più ardito e le proponga di inoltrarsi un altro po' nella foresta; lei dopo qualche timida schermaglia accetta, e i due riprendono la loro passeggiata. Pietro incomincia a sudare freddo: scattato furtivamente nella boscaglia sopra al viottolo e mimetizzandosi tra la vegetazione striscia in mezzo alle frasche tenendo sotto tiro la coppia.

    Finché non giunge per il Bonini il momento di passare dalle parole ai fatti: lusingando la ragazza le passa un braccio intorno alle spalle. Lei finge di non accorgersene, mostrandosi concentrata sui suoi ferri; lui allora la cinge alla vita, continuando a chiacchierare con nonchalance. Mentre nel terzo incomodo dietro la siepe la rabbia sta ormai rapidamente montando, il sangue gli corre tutto alla testa e poco ci manca che gli esca pure il fuoco dalle orecchie; eppure fa forza su sé stesso per trattenersi dall'uscire allo scoperto adesso, volendo vedere fino a che punto saranno capaci di spingersi quei due svergognati. Dentro la tasca la mano stringe forte il coltello.

    Giunta alla piazzola la coppia si ferma accanto al fosso; Pacciani è impietrito dietro al cespuglio, ormai al colmo del furore: ora pu udire distintamente la corrispondenza d'amorosi sensi che i due stanno realizzando con una sorta di contrattazione. Già gli occhi per basterebbero: Severino adesso ha abbracciato la Miranda in maniera parecchio spinta, facendole al contempo proposte altrettanto esplicite; lei sorridendo abbozza un'ultima difesa, ma ormai è chiaro che ci sta. Ma se passa gente… – Via, o chi dee passare?! Giù, e' ti do dumila lire così domani tu ti ci hompr' un ber vestitino a i' mercato: mancava il colpo risolutore, il cenciaiolo lo assesta così.

    Pietro dal canto suo si prepara ad agire: mentre la destra impugna già il coltello sguainato, con la sinistra raccoglie un sasso. Un attimo dopo vede quella sgualdrina della fidanzata mettere le chiappe per terra sopra le foglie e aprire le gambe: la gonna tirata su, le mutandine appoggiate su un ramo e la dirompente mammella sinistra che biancheggia fuori dalla veste alla mercé dell'uomo, il quale slacciatisi i pantaloni le si sdraia sopra.

    Alla vista di quell'orrendo spettacolo Pacciani salta fuori dal nascondiglio con la furia di un tornado. Prontamente la Miranda nel vederlo apparire, credendolo sopraggiunto soltanto adesso, prende a gridargli: Picchialo, picchialo: m'ha voluta prendere a forza!; mentre Severino, ancora ignaro di quanto sta sopraggiungendo alle sue spalle, si ritrova carponi sull'erba. Non ha neppure il tempo di rialzarsi che l'aggressore lo tramortisce scagliandogli la pietra contro la tempia; dopodiché una tremenda coltellata gli squarcia il cuore.

    Alte si levano nella foresta le urla, riecheggiando per la valle di Rio: sulla costa opposta della quale le sente la Bruna, dal Poggiolo di Maioli. Sportasi per osservare, la contadina scorge in lontananza due uomini che si azzuffano sulla mulattiera, per poi scomparire alla sua vista, riconoscendo accanto a loro la sagoma della Miranda.

    Per impedire al Bonini di urlare, il carnefice gli assesta tre coltellate alla schiena, a triangolo, ai polmoni, fulminando al contempo la ragazza con un'occhiata: Sta' zitta, che dopo tocca a te!; dopodiché prosegue il macello colpendo selvaggiamente la vittima al cuore, al volto, alla testa. Invano il poveretto protende le braccia per parare i colpi, invano tenta barcollando e grondando sangue di sottrarsi alla mattanza; finché, al diciannovesimo fendente, non stramazza al suolo.

    Non pago allora Pacciani si accanisce ancora contro quel corpo disfatto, schiacciandone ripetutamente il capo col tacco dello scarpone. Quindi si china sul cadavere: gli tira su i pantaloni, glieli riallaccia, infine lo solleva di peso per scaraventarlo dietro a un cespuglio. Fissa di nuovo la Miranda: Ora tocca a te. Con il medesimo sasso prova a raddrizzare la lama del coltello, che si è tutta storta.

    Soltanto adesso la ragazza, che ha assistito al massacro impietrita dal terrore, tenta una fuga disperata; lui per è lesto ad afferrarla per un braccio e a bloccarla. Lei scoppia a piangere; lui la fa nuovamente sdraiare per terra allo scopo di possederla: lei non pu far altro che concederglisi.

    Scorrono interminabili attimi di silenzio; Pietro assorto nei suoi pensieri la fissa a lungo mentre lei singhiozza dimessamente aspettando che tutto abbia fine. Ma l'ira funesta accumulata in tutto quel tempo trascorso dietro la siepe è ormai sbollita. La grazia: Fra un mese ci si sposa.

    Riacquistato il proprio sangue freddo e pensando già a come sbarazzarsi del cadavere, le domanda se a casa possa procurarsi un pezzo di fil di ferro: lei scuote la testa. Allora si riavvicina al corpo di Severino, frugandogli dentro le tasche e cavandone il portafogli, degli spiccioli e un libretto; infine lo nasconde un po' meglio. Lungo la via del ritorno indottrina la fidanzata: Guarda di sta' zitta pecché se no io mi do alla macchia e prim' o po' te la fo pagare: o t'ammazzo, o se m'arestano fo mette' dentr' anche te. Te ora tu ti hiudi 'n casa; e bada che stanotte un esca nessun de' tua se no v'ammazzo tutti: io sar qui for' a controllavvi! Doman' a mezzogiorno ci si trova a Vicchio a i' mercato e ci si divid' e sordi di' Bonini.

    Come nulla fosse passa dal fabbro a riprendere i suoi attrezzi e torna a casa; nasconde il portafogli coi documenti del cenciaiolo e la sua agenda in una siepe sotto un mucchio di sassi, il denaro – 24.000 lire – sotto una mattonella dell'ingresso ed il coltello dietro una pietra smossa del camino. Dopodiché se ne va subito a dormire: sa che lo attende una notte laboriosa.

    Sveglia alle undici, mangiato un boccone si mette in cammino, avendo con sé la torcia e un pezzo di quel filo elettrico dei telefoni di guerra. È un buio pesto da non vedersi neanche la punta del naso: la luna nuova di tre giorni non pu mostrare che una piccola falce argentata. Con un'ora di spedito cammino attraverso i boschi Pietro è di nuovo sul luogo del delitto; legatogli il cavo attorno al collo si carica il morto sulle spalle per avviarsi lungo la selva oscura, unico barlume quello della lampadina stretta fra i denti. Il piano è quello di raggiungere il sottostante laghetto per buttarvi dentro il cadavere con una bella pietra legata al collo in modo da farne sparire definitivamente le tracce.

    L'improvvisato necroforo imbocca il sentiero che mena al lago stringendo le gambe del poveretto sopra le spalle, la propria schiena contro la sua mentre le braccia e la testa scempiata penzolano nel vuoto rasente il terreno. Già dopo duecento metri per i novanta chili di Severino cominciano a farsi sentire; Pacciani giunge ad un punto del bosco in cui il viottolo si biforca: ormai allo stremo prende per la sinistra, ma per ritrovarsi dopo un altro centinaio di metri nel folto della macchia. Quel ramo del sentiero muore lì: era l'altro che portava giù al lago.

    Fa per invertire la rotta, ma il cadavere gli scivola a terra. Tenta di riprenderlo su, ma non c'è niente da fare: deve arrendersi, anche la sua forza erculea ha trovato il proprio limite. Prova a trascinarlo per i piedi, ma le asperità del terreno non gli consentono di andare molto lontano; per cui non gli resta che abbandonarlo qui, se non altro in un punto defilato rispetto al viottolo. Lo sistema perci bocconi dentro una macchia di rovi, la faccia nel fango, le mani unite dietro la testa; lo cosparge tutto di foglie e a completare l'occultamento gli mette sopra una punta di querciolo. La missione è in qualche modo compiuta, se ne pu tornare a casa a dormire.

    Al mattino confida quanto accaduto alla madre; dopodiché scende a Vicchio per l'appuntamento con la Miranda: con sé ha le dodicimila lire a lei spettanti, e con le quali conta di acquisirne definitivamente la complicità. La ragazza fa una fugace apparizione in piazza Giotto all'ora convenuta: lui le propone di andare insieme dal fotografo, ma lei preferisce tornarsene subito a casa. Pietro allora va comunque a farsi immortalare da solo, per concludere la mattinata in trattoria, da Pellegro. Dopo pranzo trova pure da far la partita, fra un bicchierotto e l'altro vince ma paga ugualmente lui da bere a tutti. Bighellona un altro po' per le mescite del paese; finché, quand'è bello sbronzo, fa ritorno a Paterno.

    L'arresto

    Il mercoledì sera i fratelli del Bonini, non vedendolo rientrare, pensano che all'ultimo momento egli abbia cambiato programma rispetto a quanto annunciato loro al mattino, andandosene a dormire dalla Nunziatina. Al mattino perci il fratello maggiore Olinto, sceso in paese per il mercato, passa da via dell'Erta per sincerarsene: di Severino, per , neanche l'ombra. Subito corre allora a denunciarne la scomparsa ai carabinieri, preoccupato anche del fatto che il congiunto, proprio il giorno addietro, aveva da fare parecchie riscossioni: il che potrebbe averlo fatto cadere vittima di qualche rapinatore bene informato.

    In un baleno la voce della scomparsa del popolare personaggio si sparge. Un contadino del Poggiosecco riferisce ai Bonini di avere notato il sacco del cenciaiolo nei pressi della Casanova, vicino a un cespuglio: considerando che le tracce dell'uomo si perdono subito dopo la sua uscita dalla casa dello Scarpi, le ricerche si concentrano soprattutto in questa zona, con numerosi amici di Sévero che non mancano di salire a dare man forte ai parenti.

    I più maliziosi, in considerazione della fama della Bugli nonché del fatto che la stessa fidanzata dello scomparso abita a un tiro di schioppo da qui, incominciano a pensare ad un dramma della gelosia. Un altro colono riferisce ad un cugino del cenciaiolo, Dino, di avere visto uscire dalla Casanova, subito dopo Severino, la Miranda: costui si dirige allora immediatamente a casa dello Scarpi, per mettere sotto torchio la ragazza.

    Le cui strane risposte gli fanno presto comprendere che essa deve nascondere qualcosa: e qualcosa di grave. Finché, ben sapendo con chi è fidanzata, non le domanda a bruciapelo: O il tu' fidanzato un ne sa nulla di huesta faccenda? O se gli era ni' bosco hon te!. Nel sentirsi scoperta, quella che a dispetto del fisico e delle precoci esperienze vissute è in fondo ancora una ragazzina crolla singhiozzando: L'ha morto...l'ha morto lui...e po' l'ha buttato ni' bosco.... Pure lo Scarpi a quel punto scoppia a piangere; mentre Dino corre ad avvisare gli altri e i carabinieri: alla presenza dei quali la Miranda ripeterà la propria confessione.

    Si riprendono dunque le ricerche con maggior intensità, e dal Poggiolo di Maioli è tutto un via vai di persone; ma la Bruna, preferendo evitare fastidi e farsi gli affari suoi, si chiude in casa guardandosi bene dal rivelare quanto ha visto. Il pomeriggio trascorre infruttuosamente; le macchie di sangue si limitano del resto alla piazzola, senza offrire alcuna traccia. Si mette pure a piovere e così all'imbrunire il pretore di Borgo San Lorenzo ordina la sospensione delle ricerche rinviando tutto al mattino successivo: ora piuttosto c'è da andare ad arrestare Pacciani.

    I carabinieri suppongono che egli possa essersi dato alla macchia; alcuni vicchiesi riferiscono tuttavia di averlo visto appena qualche ora prima barcollare per piazza Giotto, il naso rosso, dicendosi convinti che in quelle condizioni non possa essere andato troppo lontano: tutt'al più a casa sua, a letto, a smaltire la sbornia. Come per i criminali più pericolosi, si attende l'alba per andarlo a prendere: da diverse testimonianze è infatti emerso che il presunto assassino possiede anche delle armi da fuoco.

    L'ingrato compito di andare ad arrestarlo tocca così all'appuntato Irmo Gamberi: pur negando di avere commesso alcunché, Pacciani gli si consegna senza opporre resistenza. Per il coraggio dimostrato nella circostanza il militare verrà promosso vicebrigadiere.

    Una volta in caserma, informato delle dichiarazioni della fidanzata Pietro finisce con il confessare il delitto: ma parlandone con estremo distacco, quasi non lo riguardasse. Irride perfino chi lo sta interrogando: Se un era pe' quella strulla, vu' l'avei bell' e trovato!. Addossa quindi alla Miranda la responsabilità morale dell'omicidio: La horpa la l'ha lei se l'ho morto, pecché appena la m'ha visto la m'ha urlato: Ammazzalo, ammazzalo, m'ha voluto prende' colla forza!. Gli inquirenti convocano perci in caserma anche la ragazza, per poi trarla in arresto.

    Su alla Tassinaia intanto, per quanto decine di montanari si siano mobilitati affiancandosi ai carabinieri sin dal primo mattino, il corpo di Severino continua a non trovarsi. È quasi mezzogiorno quando il pretore, ormai sfiduciato come tutti quanti, chiama il brigadiere Didio per spedirlo a Vicchio affinché porti su lo stesso omicida.

    In quello stesso momento per dalla parte bassa della foresta si leva una voce: Trovatooo, trovatooo!. Pietro Evangelisti, giovane contadino di Rostolena amico dei Bonini, inoltratosi nella macchia dalla parte opposta rispetto al sentiero del laghetto ha scorto sotto le frasche il cadavere: la schiena scoperta, la camicia insanguinata tirata su al pari del giubbotto, tra le foglie di quercia.

    Tutti a quel punto si avvicinano, ma i più immediatamente si ritraggono inorriditi; lo stesso Olinto non regge allo strazio e sviene. La salma del povero cenciaiolo viene adagiata su di una scala a pioli portata da un contadino; sotto la testa gli viene posto un guanciale di ginestre. Coperto da un lenzuolo viene trasportato fino a Monte: donde, su di una treggia trainata da due bovi, viene traslato nella cappella del piccolo cimitero di Santa Maria a Rostolena. Qui la necroscopia viene eseguita dal professor Clemente Puccini, medico legale fiorentino. La vittima ha avuto la tempia destra squarciata da un corpo contundente, ed ha subito diciannove coltellate: tre alla schiena, quattro al petto, dodici al volto e alla testa; l'orecchio sinistro gli è stato quasi mozzato; orribili fratture ha inoltre patito il cranio, con fuoruscita di materia cerebrale spappolata.

    All'Aiaccia intanto il portafogli, l'agenda, la metà dei soldi di Severino sono stati trovati; ma non il coltello servito a maciullarlo. Pacciani allora spiega di nuovo al brigadiere il punto preciso in cui l'ha nascosto; questi ritorna a Paterno: ma niente, sotto quella pietra l'arma non c'è. Al militare non sfuggono tuttavia certi movimenti compiuti dalla madre dell'omicida attorno al forno: apertolo, vi trova dentro il coltello, caldo, quando il forno è freddo. Evidentemente la donna, in un estremo tentativo di salvare il figlio, lo ha tenuto a lungo stretto nella mano per non farlo trovare. Mentre dei due revolver dichiarati ne viene rinvenuto soltanto uno: l'altro, che Pacciani dice di aver nascosto dentro un cespuglio, è invece sparito.

    Sulla medesima campagnola i due fidanzati vengono tra-

    dotti alle rispettive carceri fiorentine: lui alle Murate, lei in Santa Verdiana. La Miranda è mogia mogia: se solo avesse seguito il consiglio della sorella… Pietro più freddo e distaccato, quasi a giustificarsi continua a ripetere come in una litania: E' doveo ammazza' lei, non lui... ma ero troppo 'nnamorato... le donne le son puttane, le andrebber' ammazzae tutte!.

    Il misfatto suscita in tutto il Mugello uno sdegno, una commozione, un orrore senza precedenti: mai da queste parti si era visto niente di simile. Ovunque si commenta l'accaduto, l'intera comunità vicchiese è sconvolta e partecipe del dolore dei Bonini. Alla tragedia lo stesso Giubba dedica presto un dramma verseggiato, una ballata di venti quartine in versi liberi che nella stagione dei canti a maggio prende a portare di paese in paese: Delitto a Tassinaia di Vicchio, sorprende la fidanzata con l'amante; uccide il rivale a colpi di coltello.

    Un grande tragico fatto è avvenuto / nel Comune Vicchio di Mugello / un giovanotto iniquo e fello / che a sentirlo ne desta pietà. / Tal Pier Pacciani ha ventisei anni / che a parlarne il sangue si ghiaccia / lui sta a Paterno poder detto l'Aiaccia / oh sentite tutto quel che fa. / La ragazza si chiama Miranda / che è l'amante di Pier ne dà la prova / lei sta a Villore detto Casanova / su il colle vicino a Maiol. / A quattordici anni la pastorella / una sua avventura nel bosco / in lei niente c'era di nascosto / prematura donna rendeva lei

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1