L'ombra calata dal tempo
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Info su questo ebook
Howard Phillips Lovecraft
H. P. Lovecraft (1890-1937) was an American author of science fiction and horror stories. Born in Providence, Rhode Island to a wealthy family, he suffered the loss of his father at a young age. Raised with his mother’s family, he was doted upon throughout his youth and found a paternal figure in his grandfather Whipple, who encouraged his literary interests. He began writing stories and poems inspired by the classics and by Whipple’s spirited retellings of Gothic tales of terror. In 1902, he began publishing a periodical on astronomy, a source of intellectual fascination for the young Lovecraft. Over the next several years, he would suffer from a series of illnesses that made it nearly impossible to attend school. Exacerbated by the decline of his family’s financial stability, this decade would prove formative to Lovecraft’s worldview and writing style, both of which depict humanity as cosmologically insignificant. Supported by his mother Susie in his attempts to study organic chemistry, Lovecraft eventually devoted himself to writing poems and stories for such pulp and weird-fiction magazines as Argosy, where he gained a cult following of readers. Early stories of note include “The Alchemist” (1916), “The Tomb” (1917), and “Beyond the Wall of Sleep” (1919). “The Call of Cthulu,” originally published in pulp magazine Weird Tales in 1928, is considered by many scholars and fellow writers to be his finest, most complex work of fiction. Inspired by the works of Edgar Allan Poe, Arthur Machen, Algernon Blackwood, and Lord Dunsany, Lovecraft became one of the century’s leading horror writers whose influence remains essential to the genre.
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Anteprima del libro
L'ombra calata dal tempo - Howard Phillips Lovecraft
L'ombra calata dal tempo
Original title: The Shadow Out of Time
Original language: English
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1936, 2021 H. P. Lovecraft and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788726584257
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
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I
Dopo ventidue anni d’incubo e terrore, salvato solo dalla disperata convinzione che le mie sensazioni abbiano origine da un delirio, sono ancora riluttante a dire la verità su ciò che credo di aver scoperto nell’ovest dell’Australia la notte fra il 17 e il 18 luglio 1935. C’è motivo di sperare che la mia esperienza sia in tutto o in parte il frutto di un’allucinazione: le cause non mancherebbero.
E, tuttavia, il suo realismo è tanto orribile che, a volte, sperare mi è impossibile.
Se la cosa è accaduta veramente, l’uomo deve prepararsi ad accettare una concezione del cosmo, e del proprio ruolo nel vortice del tempo, la cui sola menzione è follia. Deve, inoltre, essere messo in guardia da un pericolo specifico e insidioso, che, sebbene non sia in grado di distruggere l’intera specie, può condannare alcuni dei suoi membri più avventurosi a esperienze mostruose al di là dell’immaginazione.
È per quest’ultima ragione che imploro, con tutta la forza del mio essere, il definitivo abbandono di ogni tentativo di riportare alla luce le rovine degli edifici ignoti e primordiali che la mia spedizione ha tentato d’investigare.
Se quella notte io ero effettivamente sveglio e sano di mente, la mia esperienza è tale che non può essere capitata a nessun altro uomo ed è la spaventosa conferma di ciò che più volte ho cercato di liquidare come un mito o come un sogno. Per fortuna non esiste nessuna prova, giacché nel terrore ho perduto l’oggetto spaventoso che – se reale e portato fuori dall’abisso – avrebbe costituito una testimonianza irrefutabile.
Quando mi sono imbattuto nell’orrore ero solo e finora non ne ho parlato a nessuno. Naturalmente, non ho potuto impedire ai colleghi di scavare nella mia stessa direzione, ma il caso e gli spostamenti della sabbia li hanno sin qui tenuti lontani dalla scoperta. Ora devo farne un resoconto definitivo, non solo nell’interesse del mio equilibrio mentale, ma per mettere in guardia quanti vorranno prenderlo sul serio.
Scrivo queste note (le cui pagine iniziali saranno familiari ai lettori della stampa scientifica e d’informazione) nella cabina della nave che mi riporta a casa. Le consegnerò a mio figlio, il professor Wingate Peaslee della Miskatonic University, unico della famiglia a essermi rimasto attaccato dopo la strana amnesia che mi ha colpito anni fa, e l’uomo meglio informato sui particolari del caso. Di tutte le persone che conosco, è la sola che forse non metterà in ridicolo il resoconto di quella terribile notte.
Prima di partire ho evitato d’informarlo oralmente, perché credo che sia meglio che abbia la rivelazione per iscritto: leggendo e rileggendo queste note quante volte crederà opportuno, si formerà un quadro più convincente di quello che avrei potuto fornirgli a voce.
Del resoconto farà ciò che vorrà, ma con opportuni commenti potrà farlo circolare in qualsiasi ambiente dove la sua lettura sia di giovamento. Nell’interesse dei lettori che ignorano le fasi iniziali del mio caso, farò precedere la scoperta in sé da un dettagliato resoconto dei fatti che la precedettero.
Mi chiamo Nathaniel Wingate Peaslee, e quelli che ricordano gli articoli apparsi sui giornali di una generazione fa – o le lettere e i dibattiti sulle riviste psicologiche di seisette anni fa – sapranno chi e che cosa sono. Nel periodo 1908-’13, la stampa era piena di sorprendenti particolari sulla mia amnesia e ricamò parecchio sulle tradizioni di orrore, follia e stregoneria che facevano da sfondo all’antica città del Massachusets dove abitavo e abito tuttora. Vorrei precisare, tuttavia, che nella mia famiglia e nella prima parte della mia vita non c’è stato niente di sinistro o che faccia pensare alla pazzia: è un fatto molto importante in vista dell’ombra che calò su di me dall’esterno.
Può darsi che secoli di elucubrazioni abbiano fatto della fatiscente e maldicente città di Arkham il teatro ideale di vicende sinistre come la mia, benché anche questo sembri inverosimile alla luce delle ricerche che ho eseguito successivamente; ma il punto fondamentale è che la mia famiglia e il mio retroterra sono del tutto normali. Quello che mi è capitato, dunque, ha avuto origine altrove: dove, anche adesso esito a dirlo apertamente.
Sono figlio di Jonathan e Hannah (Wingate) Peaslee, entrambi di vecchie e prospere famiglie di Haverhill, dove sono nato e sono stato educato; la nostra casa si trovava in Boardman Street, dalle parti di Golden Hill, e non sono andato ad Arkham fino a quando non sono diventato assistente di economia politica alla Miskatonic University.
Per tredici anni la mia vita scorse felice e senza difficoltà: nel 1896 sposai Alice Keezar di Haverhill e i miei tre figli, Robert, Wingate e Hannah, nacquero rispettivamente nel 1898, 1900 e 1903. Nel 1898 diventai professore associato e nel 1902 titolare di cattedra; in vita mia non mi sono mai minimamente interessato di occultismo o parapsicologia.
La strana amnesia mi accadde giovedì 14 maggio 1908: fu una cosa improvvisa, anche se poi mi resi conto che certe brevi, sfarfallanti visioni di alcune ore prima – immagini caotiche che mi avevano non poco infastidito e che non avevo mai avuto prima – dovevano esserne state i sintomi premonitori. Avevo mal di testa e la strana sensazione – per me del tutto nuova – che qualcuno stesse cercando d’impossessarsi dei miei pensieri.
Ebbi il collasso alle 10,20 del mattino, mentre tenevo lezione al sesto corso di Economia Politica: storia e tendenze attuali dell’economia, per matricole e qualche studente del secondo anno. Davanti agli occhi mi si cominciarono a formare strane immagini ed ebbi la sensazione di trovarmi in un ambiente grottesco che non era la mia aula.
I miei pensieri, e di conseguenza il discorso, si fecero confusi e gli studenti si accorsero che stava per accadere qualcosa di grave. Poi mi accasciai sulla poltrona, senza coscienza e in uno stupore da cui nessuno fu in grado di liberarmi. Per cinque anni, quattro mesi e tredici giorni i miei sensi normali non hanno più visto la luce del mondo quotidiano.
È da altri, naturalmente, che ho saputo quello che avvenne poi. Per sedici ore e mezzo non diedi segno di riprendere conoscenza, benché fossi stato portato a casa mia, al numero 21 di Crane Street, e sottoposto alle più attente cure mediche.
Alle tre del mattino del 15 maggio aprii gli occhi e cominciai a parlare, ma ben presto i miei familiari e i medici furono agghiacciati dal modo e dalla lingua in cui mi esprimevo. Era chiaro che non ricordavo ne la mia identità ne il mio passato, benché per qualche ragione sembrassi ansioso di nascondere quest’ignoranza. I miei occhi fissavano le persone in modo innaturale e le espressioni del mio viso erano del tutto anormali.
Parlavo in un modo che sembrava quello goffo di uno straniero, usavo le
corde vocali con difficoltà e cercavo i