Soli, disadattati e manipolati: i media digitali sono utili, ma non sono nostri amici
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Anteprima del libro
Soli, disadattati e manipolati - Emanuele Tartaglia
Sommario
Presentazione
Intelligenza sì, ma quale?
QI, QP e QC
Razionali, ma anche irrazionali
I bias cognitivi
La trappola della competenza
I marcatori somatici e l’enterocezione
Metodi pratici per sviluppare la saggezza
E le emozioni, allora?
Enterocezione, il sesto senso
Metodi pratici per sviluppare l’intuizione
Fake news e disinformazione
La verità percepita
Riuscire ad evitare errori stupidi
I pilastri del successo
L’intelligenza collettiva e l'effetto fuoriclasse
La stupidità funzionale
Stupidità e scelte sbagliate
Il fattore oggi contro domani
Per noi è solo una decisione
Disadattati tecnologici
Nuovi media e stupidità
L’apprendimento permanente
La profondità di elaborazione
Memoria o archiviazione?
I leoni da tastiera
Le nuove dipendenze
La cyberdipendenza
La dipendenza da smartphone
La nomofobia
Nefaste influenze
Cervello, competenza ed apprendimento
Giochi digitali
Media e desensibilizzazione
Nativi digitali
Il mito del multitasking
L’autocontrollo è importante
Organismo e digitalizzazione
Facciamo qualcosa per il cervello
Onnipresente tecnologia
Le malattie del benessere
Lo cyberspazio
Il circuito della dipendenza
L’importanza della privacy
Il meccanismo attacca o fuggi
. Lo stress
Ansia, fobie e tutto ciò che comportano
Ipocondria digitale
Lo sviluppo cerebrale nell’era digitale
Gioventù digitale?
Sonno e media digitali
Solitudine e depressione
Possibili soluzioni
Rete e stupidità
Lo strumento influenza il cervello
Media digitali e distrazione
Sempre più in fondo
Mezzi di distrazione di massa
Sempre più stupidi, ma con un QI sempre più alto?
Memoria, memorizzazione, digitalizzazione
Il web non obbliga nulla
Le nuove generazioni, il nostro futuro
Crescere più lentamente
Un rapporto complicato
Tecnologici, ma con il cervello di un troglodita
Isolamento, distacco e sicurezza
Il senso della vita
Note sull’autore
Presentazione
Si può definire intelligenza la capacità di apprendere e di comprendere, di affrontare e di risolvere le situazioni e i problemi, comprese tutte quelle facoltà che contribuiscono a questi compiti, quindi non una particolare abilità, ma la capacità di capire e interagire con la realtà.
Fondamentalmente, però, siamo convinti che intelligenza
sia sinonimo di pensiero razionale
, tanto è vero che per misurarla usiamo ancora il test del QI (Quoziente d’Intelligenza), un sistema che considera una gamma ristretta di abilità astratte, come la memorizzazione dei dati, il ragionamento analogico e l’ampiezza del vocabolario, convinti che rifletta l’intelligenza in generale, la base dell’apprendimento, della creatività, del problem solving e del processo decisionale.
Negli ultimi decenni va rilevato un notevole aumento del QI, che ci fa pensare di star diventando sempre più intelligenti, quindi in grado di essere più avveduti nei nostri giudizi e, di conseguenza, le nostre decisioni dovrebbero essere migliorate parecchio.
Non servono studi approfonditi per rendersi conto che questo non è affatto vero, e che l’aumento, fino a un certo punto perché il QI negli ultimi anni sta scendendo, probabilmente è dovuto al fatto che fin da bambini ci è stato insegnato a pensare per simboli e categorie, e ragionare in termini astratti porta all’aumento del punteggio nei test del QI.
Infine dobbiamo costatare che più una persona è intelligente
, e più è soggetto a prendere decisioni stupide. Chi è colto e intelligente, per esempio, tende a imparare meno dai propri errori e ad accettare meno facilmente i consigli. E quando commette degli errori, riesce meglio degli altri a giustificare il proprio comportamento, il che significa che ha una visione più dogmatica delle cose, e quel che è peggio, sembra essere meno capace degli altri di riconoscere i difetti nella propria logica.
Se l’aumento del QI rispecchiasse davvero un miglioramento del pensiero, anche l’ottantenne più intelligente sembrerebbe un idiota in confronto al millennial medio, ma non vediamo, altro esempio, un aumento dei brevetti, come ci si aspetterebbe, o politici più saggi e più razionali.
Se la sola intelligenza misurata dal QI fosse il fattore determinante, sembra che questi punti in più di QI non abbiano prodotto dei grandi risultati, così vediamo persone di straordinaria intelligenza prendere decisioni incredibilmente stupide, con conseguenze in certi casi gravi, e nella stragrande maggioranza dei casi non si può certo parlare di incompetenza, impreparazione o inesperienza.
Intelligenza e cultura sono, naturalmente, essenziali per ragionare bene, è che spesso le usiamo male. Cerchiamo allora di capire perché ci comportiamo stupidamente senza apparente motivo, quali sono le trappole che potrebbero spiegare questi errori e infine come sviluppare quelle capacità che ne permettono un’efficace difesa.
In questo libro mi limiterò ai concetti generali, fornire rimandi e riferimenti bibliografici sull’insieme di questi argomenti sarebbe una trattazione probabilmente più rigorosa ma certo assai più lunga, faticosa e dispersiva, con il possibile risultato di far perdere di vista quelli che sono i punti chiave delle argomentazioni. Ho preferito evitarlo, anche a rischio di una certa grossolanità espositiva.
Per chi volesse approfondire gli studi e le ricerche che giustificano le conclusioni qui presentate, con una semplice ricerca in rete troverà abbondante materiale di supporto.
Intelligenza sì, ma quale?
Fino a non molto tempo fa l’intelligenza era misurata solo in funzione della capacità di imparare cose e di risolvere problemi, e il QI, il quoziente d’intelligenza analitica cognitiva, era considerato predittivo del successo nel lavoro e nella vita.
Nonostante il QI sia rimasto il parametro cardine, è stato dimostrato che non è proprio così, l’intelligenza misurata dal QI non è il solo tipo di intelligenza che conta nella vita.
Per comprendere l’insieme di capacità che ci permettono di risolvere problemi e prendere decisioni dobbiamo allargare la prospettiva e includere molti altri elementi. Cominciamo su quanti quozienti possiamo contare.
QI, QP e QC
Per semplificare, possiamo definire tre possibili diversi quozienti d’intelligenza che concorrono a raggiungere i nostri obiettivi, il QI, quoziente di intelligenza analitica cognitiva, il QP, il quoziente di intelligenza pratica, e il QC, il quoziente di intelligenza culturale.
bullet L’intelligenza analitica (QI) . Riguarda il pensiero astratto, e in sostanza comprende le abilità che ci permettono di avere un buon rendimento a scuola.
L’aumento del QI nell’ultimo secolo dimostra che la nostra mente è plasmata dalla società e dall’ambiente.
bullet L’intelligenza pratica (QP) . Riguarda la capacità di pianificare e mettere in pratica un’idea, e di risolvere i problemi nel modo più pragmatico possibile.
Include caratteristiche come la metacognizione
, la facoltà di giudicare i propri punti deboli e i propri punti di forza, e trovare il modo migliore per superarli, l’intelligenza emotiva
, cioè a capacità di capire le motivazioni altrui e di convincere gli altri a fare quello che vogliamo, e l’intelligenza creativa
, che consiste nella capacità di inventare, di immaginare.
L’intelligenza creativa ci permette anche di immaginare le possibili alternative a una certa situazione. In pratica, è la capacità di chiedersi e se…?
e senza di lei potremmo trovarci indifesi davanti a un rischio inaspettato.
Se non siamo in grado di riconsiderare da diversi punti di vista il nostro passato, faremo fatica a imparare dai nostri errori e trovare le soluzioni migliori in futuro.
bullet L’intelligenza culturale (QC) . E’ la sensibilità di una persona alle differenti norme culturali e a quanto ci si possa adattare alle differenze.
I team di professionisti provenienti da vari paesi indubbiamente saranno anche formati da persone intelligenti ed esperte, ma magari penosamente incapaci di collaborare tra loro.
Si può avere un elevato quoziente di intelligenza analitica, ma un basso quoziente di intelligenza pratica o culturale.
Razionali, ma anche irrazionali
Possiamo definire la razionalità come la capacità di prendere le giuste decisioni per raggiungere un certo traguardo.
Irrazionale, invece, è considerato tutto ciò che è incoerente con l’attività razionale del pensiero, o, più semplicemente, irrazionale è diventato sinonimo di mancanza di intelligenza.
La razionalità è apprezzata e giudicata positivamente, l’irrazionalità un difetto, una colpa, come si dice: non essere irrazionale, usa la ragione
.
Gli studi condotti in merito, però, ci dicono che l’irrazionalità non è strettamente connessa al QI. E’ possibile avere un altissimo QI, che dimostra un buon pensiero astratto, e contemporaneamente avere un pessimo punteggio nei nuovi test sulla razionalità. E’ questo che spiega perché spesso commettiamo errori che sono chiaramente evidenti e perché continuiamo a commettere gli stessi anche dopo essere stati smentiti dai fatti.
Esempi di irrazionalità e della sua capacità di far danni ne abbiamo sotto gli occhi in ogni momento. Vogliamo comprare qualcosa, tipo un paio di scarpe, e vogliamo spendere cento euro. Girando per negozi ci imbattiamo in un affare, un paio di scarpe da duecento euro scontato a centocinquanta. Vedere il prezzo originario àncora la nostra percezione del prezzo accettabile, il che significa che supereremo la cifra da cui eravamo partiti.
O quando sopravvalutiamo certi rischi a causa della facilità con cui, per la loro intensità, ci vengono in mente. E’ il motivo per cui ci fa più paura l’aereo dell’automobile, le notizie sugli incidenti aerei sono molto più drammatiche dal punto di vista emotivo, anche se in realtà è molto più rischioso viaggiare in macchina.
O la trappola del framing, l’effetto contesto dato da come viene impostato il discorso. Abbiamo la tendenza a cambiare opinione basandosi sul modo in cui è formulato un concetto, come quando ci viene detto che un certo alimento è per il 95 per cento privo di grassi, anziché che è per il 5 per cento composto di grassi. Le due frasi esprimono lo stesso concetto, ma propendiamo ad accettare l’idea nel primo caso e a respingerla nel secondo.
O la nostra riluttanza ad abbandonare un’impresa, anche se fallimentare, perché fatto trenta, facciamo trentuno
.
O, infine, la credenza secondo la quale se la pallina della roulette è finita sul nero è più probabile che la prossima volta finisca sul rosso.
Ci aspettiamo che le persone intelligenti, dotate di una mente analitica, si comportino in maniera razionale, ma spesso le aspettative vengono disattese perché, anche se riusciamo a capire quando stiamo sbagliando, il più delle volte non siamo in grado di usare le conoscenze e i comportamenti che ci permetterebbero di ragionare in maniera corretta, anzi, utilizziamo l’intelligenza e il raziocinio per accumulare sempre più elementi a giustificazione delle nostre opinioni e per liquidare tutti gli argomenti contrari.
Questo atteggiamento è chiamato bias di conferma
, anche se molti psicologi preferiscono il termine bias della mia versione
, e se qualcuno tentasse di mostrarci un punto di vista differente o, peggio ancora, contrario otterrebbe come risultato un secco rifiuto e un radicamento ancora più profondo delle nostre convinzioni.
Alla fine una persona intelligente che ha un sistema di credenze sbagliato rischia di diventare ancora più radicato e ignorante, e così persone intelligenti fanno cose stupide. Persone con un elevato QI tendono, per esempio, a consumare più alcol e a fumare o assumere droghe, e non investono i loro soldi nella maniera più razionale, avvallando la tesi che l’intelligenza non sempre aiuta a valutare le conseguenze delle nostre decisioni.
Scopriamo allora che la relazione tra razionalità e intelligenza è molto debole. Si può essere intelligenti, molto intelligenti, e insieme irrazionali, si può mancare di intelligenza creativa o di intelligenza pratica, essenziali per affrontare la vita, si possono prendere decisioni basate su giudizi intuitivi viziati da bias, cioè da distorsioni cognitive, si può usare la stessa intelligenza per demolire ogni prova che contraddica una certa visione.
La conclusione è che non ci serviamo della nostra intelligenza in maniera obiettiva, ma in maniera opportunistica
, per favorire i nostri interessi e difendere le nostre credenze.
L’intelligenza è spesso uno strumento
di propaganda, anziché di ricerca della verità
I bias cognitivi
Una delle cause delle nostre decisioni sbagliate, se non stupide, sono da attribuire ai bias cognitivi, quindi conviene approfondire per un attimo l’argomento.
Bias è un termine inglese che significa obliquo, inclinato, e che ha assunto il significato di pregiudizio.
I bias cognitivi sono convinzioni fondate su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie, utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica.
Le euristiche sono, invece, delle scorciatoie mentali che permettono di formarci un’idea generica su un argomento senza troppi sforzi cognitivi. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere rapidamente a delle conclusioni. I bias, quindi, sono particolari euristiche.
Mentre le euristiche sono comode scorciatoie che portano a conclusioni veloci, i bias cognitivi sono pregiudizi che non basano su dati oggettivi, ma su cose di cui non abbiamo avuto esperienza.
Eccone alcuni:
bullet Bias di conferma . E’ nella nostra natura dare maggiore rilevanza alle informazioni in grado di confermare le nostre idee. Ci piace essere d’accordo con le persone che sono d’accordo con noi e tendiamo ad evitare chi ci fa sentire a disagio, questo è quello che viene definito dissonanza cognitiva
, e che porta al bias di conferma, a privilegiare, cioè, quello che supporta le nostre convinzioni e a scartare quello che le contraddice.
bullet Bias di gruppo . E’ il meccanismo che ci porta a sopravvalutare le capacità del nostro gruppo, a considerare i suoi successi come il risultato delle sue competenze, mentre tendiamo ad attribuire i successi degli altri gruppi a fattori esterni, come la fortuna o le circostanze favorevoli.
bullet Bias di Ancoraggio . Facciamo troppo affidamento sulle prime informazioni che ci vengono date. L’errore è quello di ancorarsi, cioè fissarsi su un valore che poi usiamo come termine di paragone per le nostre valutazioni successive.
Immaginiamo, per esempio, di dover trattare il prezzo di un articolo. L’intera trattativa girerà intorno alla prima cifra proposta da una delle due parti, e, se siamo sufficientemente svegli, faremo noi la prima offerta, magari ridicolmente bassa a nostro favore, con delle buone possibilità di strappare un buon affare.
bullet Halo effect, o effetto alone . Riguarda la nostra tendenza, inconscia, di dare giudizi su qualcuno o qualcosa basandosi su cose che non sono correlate.
E’ quel bias cognitivo, per esempio, che ci porta a prestare attenzione a un’unica caratteristica positiva di una persona per valutarla, estendendo questa positività anche ad altre caratteristiche che non possiamo conoscere. In parole povere, una persona elegante, attraente e piacevole ci porterà a pensare che sia anche brava, onesta e meritevole di fiducia.
bullet Fallacia di Gabler . Tendiamo a dare particolare importanza agli eventi del passato, credendo che influenzeranno in qualche modo i risultati futuri.
La ritroviamo nel gioco d’azzardo, quando, dopo una serie di mani sfortunate, siamo convinti che, statisticamente, la prossima sarà fortunata, o quando un numero non esce per un certo numero di volte siamo sicuri che, sempre statisticamente, avrà più probabilità di uscire la prossima volta.
In virtù di questo bias cognitivo, se abbiamo ricevuto un giudizio positivo nel passato, tenderemo a ricevere un giudizio positivo anche oggi, a dispetto del reale rendimento, che potrebbero essere negative o in calo rispetto a quelle passate. E’ la conferma che la prima impressione è quella che conta.
bullet L’errore per somiglianza . Apprezziamo negli altri gli aspetti che riconosciamo in noi stessi, mentre nell’errore per contrasto, al contrario, apprezziamo i tratti di personalità opposti ai nostri, con il risultato di sovrastimare negli altri quei tratti che identifichiamo opposti ai nostri, ad esempio, se siamo timidi o introversi saremo portati a giudicare gli altri più sicuri ed estroversi di quanto siano in realtà.
bullet Bias di proiezione . Siamo convinti che la maggior parte delle persone la pensi come noi. E’ correlato al bias del falso consenso, per il quale riteniamo che le persone non solo la pensino, ma anche che siano d’accordo con noi.
bullet Bias della negatività . Diamo un’eccessiva attenzione, e li consideriamo più importanti, agli elementi negativi. E’ per questa distorsione cognitiva tendiamo a dare maggior peso ai nostri errori e a sottovalutare i nostri successi.
bullet Bias dello status quo . Il cambiamento ci spaventa e così tentiamo di mantenere le cose così come stanno. Questo ci porta ad una distorsione cognitiva che ci fa pensare che tutto ciò che porta un rinnovamento potrà solo far peggiorare le cose.
bullet Bias del pavone (self-enhancing transmission bias). Siamo portati a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti. I social ruotano attorno a questo bias, vacanze incredibili, party selvaggi, amori passionali, una vita ideale, anche se la realtà è un po’ diversa.
bullet Bias della frequenza (frequency illusion). Spiega perché iniziamo a vedere ovunque conferme di quanto ci riguarda, per esempio, se acquistiamo una maglia particolare, cominceremo a notare in giro quel tipo di maglia, facendoci sovrastimare la frequenza di quelle maglie.
bullet Bias del presente . E’ la propensione a scegliere, sempre e comunque, la gratificazione immediata rispetto a un tornaconto a lungo termine.
Questo atteggiamento influenza i nostri comportamenti soprattutto in tre aree della nostra vita, l’alimentazione, il lavoro e i risparmi. Per esempio, siamo pronti ad approfittiamo degli sconti nel presente e