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Diario medio: Le parole di una vita
Diario medio: Le parole di una vita
Diario medio: Le parole di una vita
E-book299 pagine3 ore

Diario medio: Le parole di una vita

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Info su questo ebook

I pensieri e le immagini di una vita diventano brevi raconti e poesie, per cercare di fermare sulla carta i ricordi. La felicità e la malinconia si mescolano. Gli anni diventano attimi, quegli attimi che sono rimasti nella mia memoria.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2023
ISBN9791221476941
Diario medio: Le parole di una vita

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    Anteprima del libro

    Diario medio - Marco Barbieri

    IL RAGAZZO CHE LEGGEVA VELOCE

    Non puoi sussultare per un nonnulla. Questa frase mi rimanda alla mia infanzia; me la diceva sempre il maestro Tazio quando mi vedeva saltare sul banco o spaventarmi per il minimo rumore.

    Sussultare per un nonnulla. Chissà se qualcuno usa ancora la parola nonnulla.

    Lo vedevo spesso girare con la bicicletta, soprattutto in estate, sfrecciava per le strade del quartiere; dietro il sellino, fissati al portapacchi con un elastico, due, tre libri e qualche volta uno zainetto con una merenda o una bibita.

    Lo vidi invece quel giorno abbastanza lontano da casa. Ero andato a fare una passeggiata a Villa Spada, sperando di trovare un po’ di refrigerio, ma anche in quel parco l’afa regnava sovrana. Non un soffio di vento, insetti ovunque e, invece della musica di qualche radiolina, solo il continuo, incessante frinire delle cicale.

    Lui stava lì su una panchina in ombra e all’apparenza sfogliava un libro; dico sfogliava perché le pagine passavano tra le sue dita veloci come l’agitarsi di un ventaglio, cinque, sei secondi e via con una nuova pagina. Ancora pochi secondi e una nuova pagina, ogni tanto le dita ritornavano indietro come a cercare una parola, una frase e poi nuovamente a sfogliare il libro.

    Mi fermai a lungo a osservarlo. Chi sfoglia un libro, una rivista, normalmente lo abbandona annoiato dopo un minuto, massimo due; lui invece sembrava stesse leggendo e sempre più spesso tornava indietro, si soffermava un attimo e via di nuovo.

    Ero troppo distante per vedere il titolo e troppo curioso per non rompergli le scatole.

    Ti ho visto spesso nel quartiere S.; che fai qui?

    Beh, lì ci abito, ma qui ci vengo spesso.Essere ai piedi della collina, mi dà come l’idea di uscire dalla città, di essere in campagna, anzi no in collina.

    Buffo, anch’io oggi sono venuto qua per cercare di estraniarmi un po’ dalla città, o perlomeno per cercare un po’ di fresco che però non ho trovato!

    Qui rinfresca verso le otto e mezzo, mezz’ora dopo che il sole cala dietro la collina, si alza sempre un po’ di vento, ma il pomeriggio non dà respiro come da noi.

    Che cosa leggi, o meglio che cosa sfogli così in fretta?

    Non sfoglio, leggo. Sono I Demoni di Dostoevskij.

    Ti piacciono i classici russi?

    Da matti! Ormai ho letto tutto Tolstoj e Dostoevskij e voglio cominciare con Gogol; ho con me Il Cappotto sulla bici.

    Adesso però non stavi leggendo, stavi solo cercando qualche capitolo o capoverso da ricordare?

    No, no stavo leggendo e ormai sono quasi alla fine. Bellissimo come gli altri.

    Scusa se non mi faccio gli affari miei, ma leggendo... una pagina in pochi secondi?

    Una pagina normalmente tra i sette e gli otto secondi, poi a volte mi rimane un dubbio e devo tornare per due, tre secondi su una parola, su una frase per poi ripartire.

    Non mi stai prendendo in giro, dici sul serio?

    Avevo sette anni, seconda elementare, quel momento in cui si fa il passo di cominciare a leggere sul serio, non solo una, due parole in fila o una mezza frase; a scuola mi fecero leggere un pezzetto del libro Cuore, fai conto sei, sette righe, le parole uscivano al ritmo degli altri bambini, ma la mia mente era già quindici righe sotto. Non ci feci troppo caso, ero troppo piccolo; ma mi successe altre volte, ma si leggeva a scuola o a casa sempre ad alta voce, c’era sempre un maestro o una mamma cui far ascoltare quello che leggevo. Poi nell’estate di quell’anno, tra gli altri compiti mi fu affidato un libretto, preso dalla biblioteca scolastica, sessanta pagine. Avrei dovuto leggerlo e farne un riassunto per ottobre al rientro a scuola. Lo presi in mano qualche settimana dopo e mi misi a leggere da solo. Circa undici minuti dopo l’avevo finito e dissi a mia madre che me ne andavo al campetto con gli amici. Mia madre disse: ‘Eh no, adesso tu rimani a leggere almeno un’altra oretta, voglio che finisca almeno le prime venti pagine’. Da quel giorno scoprii questa mia insolita capacità: l’occhio e la mente corrono sulla carta con una velocità dieci, venti volte superiore alla parola; i concetti restano e le storie rimangono imprese nella mia mente e nei miei ricordi.Certo, ogni tanto ho bisogno di un ripassino, ma posso raccontarti Guerra e Pace per filo e per segno, pur avendolo finito in meno di due ore.

    Incredibile dissi con il massimo possibile della banalità. E questa tua particolare capacità ti aiuta, ti facilita le cose o ti crea un qualche fastidio?

    No fastidi nessuno, perché mai? Certo, mi aiuta nei tempi di studio soprattutto adesso al liceo, pochi minuti e sono fuori a giocare a basket o a vedermi un bel film. Soprattutto mi permette di farmi una mia personale biblioteca interiore, leggendo molti più libri di quanto possa fare qualsiasi altra persona.

    Fantastico dissi ancora chiudendo il cerchio delle espressioni più banali e stupide possibili.

    C’è una cosa però che non mi piace. La mia mente cattura le parole e assimila le nozioni così velocemente che non riesco a tramutarle in emozioni, non riesco a piangere e a ridere per quello che leggo, non riesco a soffrire o a gioire con i protagonisti per le loro disgrazie o i loro successi. I miei occhi guardano velocemente ma non lacrimano in maniera altrettanto veloce o forse è il mio cuore che batte troppo lento e le parole restano parole e non diventano emozioni.Ci ho provato, ho provato a staccare, a leggere dieci righe un giorno e poi dieci il giorno dopo ma i miei occhi erano già sulla seconda pagina, e le parole sfilavano comunque come treni impazziti senza darmi il tempo di gustarle. Ecco questo è un dono, o forse è una maledizione o forse non è nulla e sono io che ancora non ho trovato il modo di lasciarmi coinvolgere fino in fondo.

    Erano le otto e mezzo, il sole era effettivamente calato dietro la collina e un vento caldo ma piacevole accarezzava le piante e il mio sudore.

    Chiusi gli occhi e pensai al ragazzo che leggeva veloce, ma non trovavo parole adatte da dire.

    Chiusi gli occhi e quando li riaprii il ragazzo non c’era più e con lui la bici.

    L’avrei sicuramente rincontrato, avevo il tempo lento delle emozioni per trovare le parole giuste da dire.

    CORSA COL MORTO

    Decido di fare un giro lungo. La giornata è perfetta, non troppo sole, un filo di vento.

    Lascio la città, dirigendomi verso la periferia sud, verso il parco Tolan.

    La mia corsa è sciolta, leggera, senza forzature. Mi sento bene.

    Attraverso la parte alta del parco e poi giù attraverso i boschetti verso i laghetti del Moglia.

    La mente è libera, non penso, non ascolto musica, semplicemente corro.

    Giunto ai laghetti, vedo il solito viavai di pescatori e di curiosi. Passo loro accanto gettando un’occhiata veloce alla superficie piana dei laghetti, appena increspata dal lancio delle canne da pesca.

    Poi la curva fino alla fine dell’ultimo lago e sono pronto a incamminarmi verso il Palazzo dei Verdi e il piccolo ponte in legno.

    Quella mattina non ci sarei mai arrivato, e non per colpa delle mie gambe o del mio fiato.

    Proprio al margine del parco di pesca sportiva ci sono un paio di panchine, comunemente vuote perché lontane e scomode per le attività di pesca.

    Su una di queste vedo seduto un uomo, in una posizione strana, sembra quasi dormire con il busto in avanti, la testa leggermente reclinata, le mani in una posizione innaturale, un’immobilità quasi surreale.

    Vado avanti, poi no, torno indietro, riguardo, c’è sicuramente qualcosa di strano.

    Vorrei saltare la rete che delimita la zona di pesca, mi sento un po’ ridicolo; poi vedo che c’è nella rete un cancelletto, è aperto, entro.

    Signore, signore, tutto bene? Ha bisogno di aiuto?Mi sente, tutto bene?

    Nessuna risposta, mi avvicino, provo ancora a chiamare a voce sempre più alta.

    Signore, signore, sta bene?

    No, niente da fare, sono a due metri: a me sembra morto. Sembra decisamente morto.

    Ho paura ad avvicinarmi di più.

    Sono fuori per correre e come sempre non ho portato il telefono.

    Vedo arrivare dal viale di Palazzo dei Verdi un ciclista.

    Fermati, fermati per Giuda!

    Mi butto quasi sotto le ruote.

    Che cazzo fai, sei scemo? Caschiamo tutti e due!

    Scusami, hai il telefono?

    Ma che cazzo dici, cosa c’entra il telefono?

    C’è un morto su quella panchina, chiama il 118.

    Un morto? Lascia la bici e si avvicina anche lui.

    Cazzo, questo è morto veramente!

    Chiamiamo il 118.

    Ci chiedono di aspettare e di non toccare nulla.

    Dopo circa un quarto d’ora vediamo arrivare assieme dal viale di entrata della pesca sportiva un’ambulanza e un’auto della Polizia.

    Sbloccata l’apertura che immette nel parco, arrivano da noi.

    I sanitari vanno veloci verso la panchina.

    I poliziotti invece si fermano con me e mi chiedono di raccontare quello che ho visto.

    Meno di un minuto e ci arriva la voce dell’infermiere. È morto, non ci sono dubbi. Sembrerebbe un infarto. Chiamiamo il medico e i necrofori.

    Dovete fare dei rilievi?

    Chiamiamo in ufficio e vi facciamo sapere.

    Passano altre due ore, il medico dice che al 99% è un infarto, ma che comunque sarebbe stata fatta l’autopsia.

    Quanto alle forze dell’ordine non sembrano avere particolari perplessità o dubbi sulla morte.

    Mentre il medico termina il suo lavoro, arriva una seconda volante, dalla quale scende l’ispettore Sergio Bruscia, mio vecchio compagno di scuola.

    Sergio!

    Adri? E tu cosa ci fai qui?

    Stavo semplicemente andando a correre come tutti i sabati mattina, ma poi mi sono visto davanti il morto.

    Come stai?

    Benone, è una vita che non usciamo, organizza una cena, con Fabio e Massimo. Mi mancano le nostre serate.

    Poi si mette a chiacchierare con i suoi colleghi e con il medico.

    Dai Adri, mi sembra non ci sia bisogno di noi; il medico conferma l’infarto, non ci sono né sul cadavere né sul terreno attorno tracce o altri segni che possano far pensare a qualcosa di diverso, che possano ancora solo minimamente far pensare a un delitto. Io me ne torno in ufficio a Casanicchio e tu te ne puoi andare a casa tranquillo, per i documenti non ti preoccupare, passi in ufficio domani o dopo, e mi raccomando ricordati la cena. Ora mi tocca la parte peggiore, comunicare ai parenti il decesso.

    Ciao Sergio.

    Posso finalmente andarmene.

    Getto un ultimo sguardo all’uomo ora disteso sull’erba; mi fermo di colpo, io quel viso lo avevo già visto.

    Certo che lo avevo già visto e non una sola volta, e poi sempre lì al parco. E sempre in compagnia di una bellissima donna. Devo dire che avevo notato più lei che lui, ma erano frequentatori assidui del Tolan.

    Una bellissima coppia, sempre sorridente e dinamica. Camminavano a passo svelto, conversando tra loro.

    Ne ricordo un’immagine romantica, belli davvero.

    Dovevo ricordarmi di dirlo a Sergio, quando sarei andato a portare i miei documenti.

    Due giorni dopo sono in ufficio da Sergio. Espletate le formalità, lo invito per un caffè e gli racconto dell’uomo e della sua compagna.

    Sai, anche l’autopsia ha confermato la morte per infarto, aveva solo cinquant’anni, ma un cuore debole e sembra non si fosse mai preoccupato di curarsi. Stiamo cercando, ma non si conoscono parenti prossimi; viveva da solo, i genitori già morti, figlio unico e a detta del vicinato anche poco socievole. Scapolo da sempre,un lavoro da operaio all’AMI, sempre quello ormai da quasi trenta anni. Abbiamo chiesto se frequentasse qualcuno, ma i vicini ci dicono di non aver mai visto nessuno entrare in casa sua. Nessuno si è presentato per la salma, o per salutare il morto.

    Eppure Sergio, sono sicurissimo di averlo visto decine di volte assieme a quella donna. E dal loro modo di fare esce un uomo diverso, un romantico innamorato.

    Ma che ci posso fare io per il tuo romantico? Se nessuno reclama la salma, sarà affidato ai servizi comunali. La tua donna bellissima rimarrà senza un nome.

    Non potete fare qualcosa per cercala?

    Scusami, ma a che titolo? Qui non c’è reato, non c’è nulla. Non abbiamo il dovere di fare nulla, ma soprattutto non abbiamo il diritto di intrometterci nella vita privata di altre persone. Credo che tu questo lo capisca.

    Certo, certo, capisco benissimo. Però...

    Però?

    Ecco, mi piacerebbe incontrarla per capire, per chiederle come mai non è qui a piangere sulla bara di un uomo che lei sembrava amare moltissimo.

    Non posso proprio aiutarti, ma non posso nemmeno impedirti di cercare. Giusto per la mia personale curiosità se la trovi e le parli, fammi sapere.

    Senz’altro, anche se non ho proprio idea da dove cominciare. Non ti ho neanche chiesto il nome, come si chiamava.

    Lucio, si chiamava Lucio D.

    E invece un’idea mi viene in mente appena uscito dal commissariato di Casanicchio.

    Due frequentatori così assidui del parco non potevano non essersi mai fermati al chiosco di Mingo, soprattutto nelle giornate più calde d’estate.

    Ciao Sara, c‘è Mingo?

    Mingo, ti cercano.

    Oh, ciao Adri, che vuoi?

    Gli faccio vedere la foto dell’uomo che mi aveva lasciato Sergio e gli chiedo se sapeva qualcosa di più su quei due.

    Io li chiamavo Romeo e Duchessa, sai gli Aristogatti, perché quando si sedevano da me, sembrava facessero le fusa. Anzi, sembrava si annusassero proprio come fanno due gatti. Lei sembrava leggermente più vecchia di lui, o forse solo più matura. Forse, ma dico forse, una cadenza romagnola. Non so aiutarti con molto di più, certo venivano spesso ma era solo buongiorno, grazie, prego e arrivederci. Sarà però almeno una ventina di giorni che non li vedo, forse qualcosa in più.

    Da lontano Sara ci richiama: Mingo, ma sei proprio rincoglionito, non ti ricordi che proprio quella donna, l’ultima volta che è stata qui, ha dimenticato la sua piccola trousse?.

    Cazz..., vero! Devo averla messa nell’ultimo cassetto a destra.

    Curiosi come due zitelle, andiamo subito a frugare.

    Un rossetto, dei fazzoletti di carta, un paio di biglietti del bus, Winston slim grigie, un accendino e dei fiammiferi.

    Fiammiferi dell’Hotel Casablanca di Misano.

    Poteva esserci andata in ferie una volta nella vita, poteva essere invece la sua casa, il suo di lavoro; valeva la pena provarci?

    Grazie Mingo, il caffè te lo pago la prossima volta, che non ho spiccioli.

    Vuoi che ti dica dove puoi andare?

    No, scusami, ho fretta, penso che non andrò là dove dici tu, ma a Misano.

    C’è un bel regionale veloce alle 12.34, nel primo pomeriggio sarei arrivato a Misano.

    Bella gita di fine estate.

    Tutto troppo semplice.

    Arrivo all’Hotel Casablanca, come un qualsiasi turista che vuole chiedere informazioni, conoscere prezzi e servizi per un futuro possibile soggiorno.

    Passo la porta a vetri e dietro il banco c’è lei; sempre affascinante forse solo una velatura di tristezza nei suoi occhi.

    Buongiorno, desidera?

    Attacco frontale.

    Buongiorno, se ha due minuti, vorrei parlarle di Lucio D.

    ...Chi è lei? Cosa vuole da me? Che cosa vuole?

    Non voglio nulla, le chiedo solo pochi minuti per raccontarle di Lucio. Se vuole, ovviamente; se non se la sente, me ne ritorno da dove sono venuto.

    Dall’altro lato della strada, cento metri verso il centro del paese, c’è un parcheggio, mi aspetti lì con l’auto.

    Sono venuto in treno, non ho auto.

    Mi aspetti ugualmente lì, cerco di essere lì tra dieci minuti, ho una vecchia Golf azzurra.

    I minuti diventano quindici, poi venti, trenta, quando sto per andarmene arriva la Golf azzurra.

    Salga e andiamocene alla svelta.

    Facciamo una decina di chilometri verso l’interno in un silenzio assoluto.

    Ci fermiamo in un locale che sembra una vecchia stazione di posta fine Ottocento, ma è un bar.

    Parla lei per prima.

    Come sta Lucio? Mi porta sue notizie?

    Capisco subito che non sapeva nulla.

    Lei vuole bene a Lucio? le chiedo.

    Non è così semplice, non si tratta solo di voler bene.

    Mi risponda, gli vuole bene? È in pensiero per lui?

    "Non gli voglio bene, lo amo, lo amo veramente, è l’unica persona che mi dà la gioia di vivere. Le ripeto: la vita è molto più difficile e non so se adesso ho la voglia e il tempo di spiegare il

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