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VORTICE. Una vita non vissuta
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E-book114 pagine1 ora

VORTICE. Una vita non vissuta

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Info su questo ebook

Siamo abituati a pensare che la vita sia ciò che ci succede giorno dopo giorno, una serie più o meno ordinata di avvenimenti che si susseguono secondo una logica causale o, il più delle volte, meramente casuale. Ma non per tutti è così. Per il protagonista di Vortice, ad esempio, la vita consiste in un flusso quasi ininterrotto di pensieri, molto più concreti e vividi della realtà esterna che, spesso, gli risulta scialba e priva di significato, come scollata dalla propria intima percezione. Con il pensiero è in grado invece di costruire un mondo concreto, fatto di scale, stanze e focolari per scaldarle, mentre lentamente tutto il resto – il traffico, le persone, i soldi che non ci sono, perfino l’immagine della madre persa nella sua depressione – va scomparendo, confondendosi con l’ambiente circostante. Finché la realtà, in tutta la sua drammatica concretezza, non busserà alla sua porta per chiedere il conto… Romanzo che per stile si avvicina al monologo interiore, Vortice. Una vita non vissuta narra la strenua resistenza di chi, rifiutando di omologarsi a un mondo estraneo e privo di senso, lotta ogni giorno contro una realtà che lo vorrebbe invece integrato, perfettamente allineato alla massa e sempre più lontano e distratto dai suoi pensieri.

Giovanni Delvò è nato nel 1974 a Varese, dove cresce e studia fino al conseguimento della maturità scientifica. Svolge diversi lavori a tempo determinato, fino al congedo dopo dodici mesi di servizio civile presso il Centro Psico Sociale di Laveno (VA). Indipendente dai ventitré anni, inizia a fare il giardiniere - attività che svolge in proprio ormai da quindici anni - e si trasferisce in Toscana, dove vive da oltre vent’anni tra i gelsi della piana del fiume Cecina.  Da quindici lavora per se stesso come giardiniere. Ha già pubblicato il racconto Doc Jim, finalista al premio letterario nazionale S. Barbara e incluso nel volume Racconti di miniera (Gaffi editore, 2007); Graffi, su vita quotidiana senza terracotta (La Bancarella editrice, 2014); C’era il vuoto tutt’intorno, Volume I e Volume II (Rupe Mutevole Edizioni, 2019); Due racconti: futuro incerto e passato poco sicuro (Rupe Mutevole Edizioni, 2020); Caos, ovvero assurdi pensieri di un uomo morto (Rupe Mutevole Edizioni, 2021); Poco buio questa sera (Rupe Mutevole Edizioni, 2021); È così, giusto? (Rupe Mutevole Edizioni, 2021).
 
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9788830673649
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    VORTICE. Una vita non vissuta - Giovanni Delvò

    cover01.jpg

    Giovanni Delvò

    VORTICE

    Una vita non vissuta

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6819-5

    I edizione novembre 2022

    Finito di stampare nel mese di novembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Vortice

    Una vita non vissuta

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Non so, questo periodo è strano. Vedo tutto più lucido. Mi sembra tutto più lucido. Ma anche più grande. È come se prima fosse tutto più piccolo. Per esempio il furgone mi sembra molto lungo, quasi mi sembra pericolosamente lungo. Eppure quando lo guido sono capace come prima. Le manovre mi sembrano facili come prima. Eppure mi sembra più lungo, più grosso. Tutto mi appare come se avesse cambiato proporzioni. Quasi mi sembra di essere più alto. Non lo so. Forse sono queste nuove sigarette che fumo. Sono buone, senza filtro. Me le passano. Forse dovrei anche uscire, ma piove e fa freddo. Dovrebbe arrivare un po’ di caldo, l’inverno è stato troppo lungo. Chi lo sa. So che il furgone della biancheria mi sembra più lungo. Ah un’altra cosa: le piante mi sembrano più basse. Questo è strano. Forse è semplicemente il mio punto di vista che cambia, però, non so ancora. Per il momento sto ristudiando questo strano fenomeno. Mi sembra di essere tornato piccolo quando nostro padre passava dal mio lettino arancione a quello di mio fratello, per salutarci la sera e all’improvviso il metro che separava i due letti diventava allungato e mio padre e mio fratello mi apparivano piccoli, come se fossero lontani. Ma io ero sveglio, non dormivo ancora, la luce era accesa, me la ricordo bene. Mi ricordo le pareti gialle, così strane e opache, vuote. Non c’era mai molto appeso ai muri. Eppure quando rivedo le foto della nostra stanza c’è sempre un sacco di roba appesa. Tutta quella roba non me la ricordo. Quella foto di un mio compleanno, tutti in maschera, forse era quello di dieci anni, sulla poltrona marrone con mia madre seduta in mezzo a noi, trucco capelli neri e sorriso, e io guancia a guancia con lei, come quando ero minuscolo in braccio. Sì la sensazione è quasi come allora. Solo che allora ero sdraiato nel letto e non dicevo niente. Quasi mi vergognavo. Forse pensavo fosse un presagio di quello che sarebbe capitato nel futuro e che di certo i criceti nel cesso non avrebbero fermato o cambiato. La sensazione è la stessa di quando ero piccolo: lo vedevo all’improvviso rimpicciolirsi e restare lì, fermo lontano a salutare mio fratello. L’ultimo ricordo, se così si può definire, è in quel supermercato con la testa nascosta per sperare di non essere visto. È un periodo strano. Forse è una questione di punto di vista che cambia. O forse che è cambiato e non me ne sono reso conto, e ora che si è assestato mi ritrovo ad averlo. Non lo so. Mi sembra di essere io più lucido. Quella specie di foschia normale che accompagnava i miei pensieri sembra si sia diradata e da un giorno all’altro mi sembra tutto più nitido. Non so. Non so cosa. Ma anche quando ero a P. mi è sembrato di essere in sintonia con tutto quello che mi circondava. Mi è sembrato di essere me stesso, così come sono, come mi vedo. Anzi, forse è questo il fatto reale: non mi vedo più. Forse mi sono interiorizzato. Forse riesco a vedermi da fuori a dentro, non più da dentro a fuori. Forse ora mi appartengo veramente. Non sono più io solo con me stesso, ma sono io. E basta. Forse questa è la svolta decisiva. O forse è semplicemente la svolta e basta. Per questo tutto è più lucido. Più chiaro. È apparentemente tutto uguale, ma il punto di vista sta cambiando radicalmente. Il mio, certo, di me sto parlando, ma quello che mi chiedo è se era già prima così oppure mi stava solo aspettando. Cioè se è una questione di clic oppure è più semplice. Una situazione, un cambiamento, quella dolce foschia che mi accompagnava si dirada repentina e puff… tutto è più chiaro. L’unica cosa che non vorrei andasse perduta è quella che ho sempre chiamato poesia. Una visione generale poetica. Non si tratta, è ovvio, dei versi, ma quella sensazione morbida, avvolgente che avevo. Una strana sensazione in cui i miei pensieri nuotavano lenti. Questa. La lentezza che celava la velocità dei collegamenti. Quei passaggi saltati. Essendo morbida era anche densa, ma non gelatinosa, viscida. No. Era consistente per la preparazione. Forse ora sono pronto e quindi non è più necessaria. Forse. Mancarmi mi manca. È quella sensazione che avvolgeva quel profumo di inverno alla finestra di via Sabotino. Quell’odore di neve che stava per cadere quando aspettavamo l’autobus a Capolago mentre le borse si riempivano di pannocchie rubate. Quel freddo che assomigliava vagamente al concerto di Milano, ma che non era. Non era il mio posto, non era lo stesso freddo. Eppure me lo sono gustato. Fa parte di me e mi manca. Mi manca abbastanza. Tre maglioni, il cappellino nero. Le passeggiate. Chilometri anche se pioveva. Quella pioggerellina fitta, insistente, che dà fastidio. Era così bella. E poi dentro nel Circolo, tutti pigiati a bere vino con la musica alta. «Se questa è musica voi non capite un cazzo!» Quella è stata una gran serata. Quante risate per uno fuori di testa. Si voleva far fare un pompino anche dal dottore. Un grande psichiatra che ha fatto una gran bella figura da imbecille. Tante risate in quel periodo. Eppure era un periodo di merda. Senza un soldo in tasca a raccattare sugo e fagioli in Vespa sotto la pioggia dalla zia in via Cernuschi. E quando sono caduto in piazza della Motta al ritorno? Cazzo! Avevo lo zaino carico di scatolette e quella discesa... porca miseria che volo! Quante bestemmie a quella povera Vespina. Che botta! E il giorno dopo a fare il giardiniere. Che periodo strano! Però i ricordi sono sempre morbidi. Quella sensazione di freddo per tanti mesi di seguito. Il ghiaccio sulla tuta cerata e infine la neve che mi ha salutato alla partenza. Quella casa faceva schifo, era piccola, c’era la muffa e faceva freddo.

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